999 resultados para Topologia algebrica, omologia persitente, teoria della taglia
Resumo:
Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)
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Pós-graduação em Matemática - IBILCE
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Pós-graduação em Matemática Universitária - IGCE
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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La presente tesi analizza il comportamento differito in una prova di flessione su quattro punti su una trave prefabbricata con getto di soletta integrativa in opera. Sono riportati i risultati della prova di carico e di rottura sulla trave. Le prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Prove Strutture (DISTART) dell'Università di Bologna. La trave è composta di due tipi di calcestreuzzo, realizzati in tempi diversi e con proprietà meccaniche diverse. L'obiettivo della campagna sperimentale è studiare l'effetto delle fasi di costruzione sull'evoluzione delle tensioni e delle deformazioni nel tempo e sulla resistenza ultima della trave. Il comportamento sperimentale è stato confrontato con i risultati numerici ottenuti con un modello a fibre in grado di cogliere anche i fenomeni legati al creep.
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Produttività ed efficienza sono termini comunemente utilizzati per caratterizzare l’abilità di un’impresa nell’utilizzazione delle risorse, sia in ambito privato che pubblico. Entrambi i concetti sono legati da una teoria della produzione che diventa essenziale per la determinazione dei criteri base con i quali confrontare i risultati dell’attività produttiva e i fattori impiegati per ottenerli. D’altronde, le imprese scelgono di produrre e di investire sulla base delle proprie prospettive di mercato e di costi dei fattori. Quest’ultimi possono essere influenzati dalle politiche dello Stato che fornisce incentivi e sussidi allo scopo di modificare le decisioni riguardanti l’allocazione e la crescita delle imprese. In questo caso le stesse imprese possono preferire di non collocarsi nell’equilibrio produttivo ottimo, massimizzando produttività ed efficienza, per poter invece utilizzare tali incentivi. In questo caso gli stessi incentivi potrebbero distorcere quindi l’allocazione delle risorse delle imprese che sono agevolate. L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare attraverso metodologie parametriche e non parametriche se incentivi erogati dalla L. 488/92, la principale politica regionale in Italia nelle regioni meridionali del paese nel periodo 1995-2004, hanno avuto o meno effetti sulla produttività totale dei fattori delle imprese agevolate. Si è condotta una ricognizione rispetto ai principali lavori proposti in letteratura riguardanti la TFP e l’aiuto alle imprese attraverso incentivi al capitale e (in parte) dell’efficienza. La stima della produttività totale dei fattori richiede di specificare una funzione di produzione ponendo l’attenzione su modelli di tipo parametrico che prevedono, quindi, la specificazione di una determinata forma funzionale relativa a variabili concernenti i fattori di produzione. Da questa si è ricavata la Total Factor Productivity utilizzata nell’analisi empirica che è la misura su cui viene valutata l’efficienza produttiva delle imprese. Il campione di aziende è dato dal merge tra i dati della L.488 e i dati di bilancio della banca dati AIDA. Si è provveduto alla stima del modello e si sono approfonditi diversi modelli per la stima della TFP; infine vengono descritti metodi non parametrici (tecniche di matching basate sul propensity score) e metodi parametrici (Diff-In-Diffs) per la valutazione dell’impatto dei sussidi al capitale. Si descrive l’analisi empirica condotta. Nella prima parte sono stati illustrati i passaggi cruciali e i risultati ottenuti a partire dalla elaborazione del dataset. Nella seconda parte, invece, si è descritta la stima del modello per la TFP e confrontate metodologie parametriche e non parametriche per valutare se la politica ha influenzato o meno il livello di TFP delle imprese agevolate.
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Questo studio mira ad affinare modelli numerici a fibre che siano in grado di valutare il comportamento differito viscoso fessurato di elementi in conglomerato cementizio armato. Il modello numerico iterativo a fibre è stato calibrato e raffrontato con due campagne sperimentali che hanno studiato il fenomeno del creep in due travi in ca gettate in due fasi. E' in grado di valutare le deformzioni differite di sezioni e travi gettate e caricate in più fasi.
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La proliferazione di strutture di difesa costiere ha determinato un interesse crescente circa l’ecologia di questi ambienti artificiali. Ricerche precedenti svolte lungo le coste del Nord Adriatico avevano evidenziato che mentre i substrati naturali in questa regione sono abbondantemente colonizzati da specie algali, i substrati artificiali tendono ad essere quantitativamente poveri di specie algali e dominati da specie di invertebrati. La seguente tesi ha analizzato l’ipotesi che tali differenze nella crescita di alghe tra habitat naturali ed artificiali potessero essere legate ad una iversa pressione da parte di organismi erbivori. Il lavoro si è focalizzato sulla specie Cystoseira barbata che è naturalmente presente nella regione di studio, ma che negli ultimi 70 anni ha subito una significativa regressione. Si volevano pertanto analizzare i fattori che possono favorire o inibire la crescita di Cystoseira su strutture artificiali di difesa costiera, al fine di poter valutare la possibilità di utilizzare questi substrati artificiali come mezzo per la conservazione di questa specie. I principali obiettivi del lavoro erano: 1. individuare e caratterizzare le potenziali specie erbivore presenti nei siti di studio che potessero limitare la crescita di C. barbata 2. analizzare se ci sono differenze nell’abbondanza di erbivori tra i siti artificiali e quelli naturali. 3. testare se il diverso stadio di sviluppo dell’alga o le modalità di trapianto potessero influenzarne la suscettibilità alla predazione. Mediante esperimenti in campo ho testato gli effetti dell’esclusione di erbivori sulla sopravvivenza e la crescita di Cystoseira barbata. Ho inoltre effettuato test in laboratorio determinare per individuare il potenziale ruolo come erbivori di varie tipologie di organismi, quali anfipodi, paguri e pesci. I risultati confermano l’importanza dell’erbivoria nel determinare il successo dei trapianti e ci dicono che gli erbivori da ricercare superano 1 cm di grandezza. In più, si è osservato che modalità di trapianto che distanzino i talli dal fondo aumentano la sopravvivenza dei talli, mentre non sono state osservate differenze in funzione della taglia dell’alga. Attraverso i test di laboratorio è stato possibile escludere gli Anfipodi come potenziali erbivori mentre Pagurus bernardus ha dimostrato un’effettiva azione di consumo dell’alga. Al contrario, i tests effettuati per approfondire la dieta di alcune specie di blennidi, composta almeno in parte da alghe, non hanno fornito conferme, almeno per il momento. Mediante visual census, si è inoltre escluso il ruolo di grandi erbivori quali ricci e salpe, scarsi nei siti di studio. Il lavoro fino a qui svolto indica, tuttavia, chiaramente che gli ambienti artificiali possono essere influenzati dall’azione di organismi predatori in maniera maggiore rispetto agli ambienti rocciosi circostanti. Questa ipotesi è particolarmente interessante in quanto rappresenterebbe una differenza fondamentale nel funzionamento delle strutture artificiali rispetto agli ambienti rocciosi naturali.
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La tesi è uno studio di alcuni aspetti della nuova metodologia “deep inference”, abbinato ad una rivisitazione dei concetti classici di proof theory, con l'aggiunta di alcuni risultati originali orientati ad una maggior comprensione dell'argomento, nonché alle applicazioni pratiche. Nel primo capitolo vengono introdotti, seguendo un approccio di stampo formalista (con alcuni spunti personali), i concetti base della teoria della dimostrazione strutturale – cioè quella che usa strumenti combinatoriali (o “finitistici”) per studiare le proprietà delle dimostrazioni. Il secondo capitolo focalizza l'attenzione sulla logica classica proposizionale, prima introducendo il calcolo dei sequenti e dimostrando il Gentzen Hauptsatz, per passare poi al calcolo delle strutture (sistema SKS), dimostrando anche per esso un teorema di eliminazione del taglio, appositamente adattato dall'autore. Infine si discute e dimostra la proprietà di località per il sistema SKS. Un percorso analogo viene tracciato dal terzo ed ultimo capitolo, per quanto riguarda la logica lineare. Viene definito e motivato il calcolo dei sequenti lineari, e si discute del suo corrispettivo nel calcolo delle strutture. L'attenzione qui è rivolta maggiormente al problema di definire operatori non-commutativi, che mettono i sistemi in forte relazione con le algebre di processo.
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La mobilità nelle aree urbane di medie e grandi dimensioni risente di molte criticità e spesso è causa di numerose discussioni. L'utilizzo sempre crescente del mezzo di trasporto privato ha prodotto conseguenze negative: l'aumento del traffico e degli incidenti stradali, dell'inquinamento atmosferico e del rumore sono accompagnati da un forte spreco energetico. Dall'altra parte, il trasporto pubblico locale (TPL) non è riuscito a costruirsi canali preferenziali all'interno dell'immaginario cittadino, poiché sottomesso da un modello economico e un mercato fortemente dipendenti dall'automobile. Una via d'uscita dalla mobilità non sostenibile basata sull'utilizzo di combustibili fossili porta a concepire un trasporto pubblico locale gratuito, fruibile dal cittadino in qualsiasi momento della giornata. Attraverso un'analisi dell'azienda del trasporto pubblico bolognese (ATC) e dei dati provenienti dalla sanità regionale, questa tesi intende mostrare che vi sarà un miglioramento della qualità di vita in aree urbane nel momento in cui la teoria della decrescita venga condivisa da tutti i cittadini. Così sarà possibile liberare i centri urbani dai mezzi privati e quindi dagli alti livelli di inquinamento acustico e atmosferico, e dare ai cittadini la vera libertà di movimento. Mobility in medium and large sized urban areas is critical and often a cause for numerous debates. The use of private transport is in constant increase and has generated negative consequences: congestion and road accidents, air and noise pollutio as well as a considerable waste of energy. On the other hand, the local public transport (LPT) has not succeeded in representing the preferred choice by citizens in the urban imaginary. Its potential has been subdued by economic models and markets that are largely dependant on the production of vehicles. An alternative to the current non sustainable mobility based on the combustion of fossil fuels could be the provision of a free local transport network available to the citizen from anywhere at any time. This dissertation's objective is to show how an improvement of the quality of life in urban areas is connected to a collective awareness on the degrowth theory. I intend to achieve this by analysing thoroughly the system of the public transportation agency in Bologna (ATC) and considering data from the local health department. Only then we will be able to limit private vehicles from city centres and as a result of that drastically decrease air and noise pollution whilst providing a true service for a free moving citizen.
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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.
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Benessere delle popolazioni, gestione sostenibile delle risorse, povertà e degrado ambientale sono dei concetti fortemente connessi in un mondo in cui il 20% della popolazione mondiale consuma più del 75% delle risorse naturali. Sin dal 1992 al Summit della Terra a Rio de Janeiro si è affermato il forte legame tra tutela dell’ambiente e riduzione della povertà, ed è anche stata riconosciuta l’importanza di un ecosistema sano per condurre una vita dignitosa, specialmente nelle zone rurali povere dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. La natura infatti, soprattutto per le popolazioni rurali, rappresenta un bene quotidiano e prezioso, una forma essenziale per la sussistenza ed una fonte primaria di reddito. Accanto a questa constatazione vi è anche la consapevolezza che negli ultimi decenni gli ecosistemi naturali si stanno degradando ad un ritmo impressionate, senza precedenti nella storia della specie umana: consumiamo le risorse più velocemente di quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di “metabolizzare” i nostri scarti. Allo stesso modo aumenta la povertà: attualmente ci sono 1,2 miliardi di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, mentre circa metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di due dollari al giorno (UN). La connessione tra povertà ed ambiente non dipende solamente dalla scarsità di risorse che rende più difficili le condizioni di vita, ma anche dalla gestione delle stesse risorse naturali. Infatti in molti paesi o luoghi dove le risorse non sono carenti la popolazione più povera non vi ha accesso per motivi politici, economici e sociali. Inoltre se si paragona l’impronta ecologica con una misura riconosciuta dello “sviluppo umano”, l’Indice dello Sviluppo Umano (HDI) delle Nazioni Unite (Cfr. Cap 2), il rapporto dimostra chiaramente che ciò che noi accettiamo generalmente come “alto sviluppo” è molto lontano dal concetto di sviluppo sostenibile accettato universalmente, in quanto i paesi cosiddetti “sviluppati” sono quelli con una maggior impronta ecologica. Se allora lo “sviluppo” mette sotto pressione gli ecosistemi, dal cui benessere dipende direttamente il benessere dell’uomo, allora vuol dire che il concetto di “sviluppo” deve essere rivisitato, perché ha come conseguenza non il benessere del pianeta e delle popolazioni, ma il degrado ambientale e l’accrescimento delle disuguaglianze sociali. Quindi da una parte vi è la “società occidentale”, che promuove l’avanzamento della tecnologia e dell’industrializzazione per la crescita economica, spremendo un ecosistema sempre più stanco ed esausto al fine di ottenere dei benefici solo per una ristretta fetta della popolazione mondiale che segue un modello di vita consumistico degradando l’ambiente e sommergendolo di rifiuti; dall’altra parte ci sono le famiglie di contadini rurali, i “moradores” delle favelas o delle periferie delle grandi metropoli del Sud del Mondo, i senza terra, gli immigrati delle baraccopoli, i “waste pickers” delle periferie di Bombay che sopravvivono raccattando rifiuti, i profughi di guerre fatte per il controllo delle risorse, gli sfollati ambientali, gli eco-rifugiati, che vivono sotto la soglia di povertà, senza accesso alle risorse primarie per la sopravvivenza. La gestione sostenibile dell’ambiente, il produrre reddito dalla valorizzazione diretta dell’ecosistema e l’accesso alle risorse naturali sono tra gli strumenti più efficaci per migliorare le condizioni di vita degli individui, strumenti che possono anche garantire la distribuzione della ricchezza costruendo una società più equa, in quanto le merci ed i servizi dell’ecosistema fungono da beni per le comunità. La corretta gestione dell’ambiente e delle risorse quindi è di estrema importanza per la lotta alla povertà ed in questo caso il ruolo e la responsabilità dei tecnici ambientali è cruciale. Il lavoro di ricerca qui presentato, partendo dall’analisi del problema della gestione delle risorse naturali e dal suo stretto legame con la povertà, rivisitando il concetto tradizionale di “sviluppo” secondo i nuovi filoni di pensiero, vuole suggerire soluzioni e tecnologie per la gestione sostenibile delle risorse naturali che abbiano come obiettivo il benessere delle popolazioni più povere e degli ecosistemi, proponendo inoltre un metodo valutativo per la scelta delle alternative, soluzioni o tecnologie più adeguate al contesto di intervento. Dopo l’analisi dello “stato del Pianeta” (Capitolo 1) e delle risorse, sia a livello globale che a livello regionale, il secondo Capitolo prende in esame il concetto di povertà, di Paese in Via di Sviluppo (PVS), il concetto di “sviluppo sostenibile” e i nuovi filoni di pensiero: dalla teoria della Decrescita, al concetto di Sviluppo Umano. Dalla presa di coscienza dei reali fabbisogni umani, dall’analisi dello stato dell’ambiente, della povertà e delle sue diverse facce nei vari paesi, e dalla presa di coscienza del fallimento dell’economia della crescita (oggi visibile più che mai) si può comprendere che la soluzione per sconfiggere la povertà, il degrado dell’ambiente, e raggiungere lo sviluppo umano, non è il consumismo, la produzione, e nemmeno il trasferimento della tecnologia e l’industrializzazione; ma il “piccolo e bello” (F. Schumacher, 1982), ovvero gli stili di vita semplici, la tutela degli ecosistemi, e a livello tecnologico le “tecnologie appropriate”. Ed è proprio alle Tecnologie Appropriate a cui sono dedicati i Capitoli successivi (Capitolo 4 e Capitolo 5). Queste sono tecnologie semplici, a basso impatto ambientale, a basso costo, facilmente gestibili dalle comunità, tecnologie che permettono alle popolazioni più povere di avere accesso alle risorse naturali. Sono le tecnologie che meglio permettono, grazie alle loro caratteristiche, la tutela dei beni comuni naturali, quindi delle risorse e dell’ambiente, favorendo ed incentivando la partecipazione delle comunità locali e valorizzando i saperi tradizionali, grazie al coinvolgimento di tutti gli attori, al basso costo, alla sostenibilità ambientale, contribuendo all’affermazione dei diritti umani e alla salvaguardia dell’ambiente. Le Tecnologie Appropriate prese in esame sono quelle relative all’approvvigionamento idrico e alla depurazione dell’acqua tra cui: - la raccolta della nebbia, - metodi semplici per la perforazione di pozzi, - pompe a pedali e pompe manuali per l’approvvigionamento idrico, - la raccolta dell’acqua piovana, - il recupero delle sorgenti, - semplici metodi per la depurazione dell’acqua al punto d’uso (filtro in ceramica, filtro a sabbia, filtro in tessuto, disinfezione e distillazione solare). Il quinto Capitolo espone invece le Tecnolocie Appropriate per la gestione dei rifiuti nei PVS, in cui sono descritte: - soluzioni per la raccolta dei rifiuti nei PVS, - soluzioni per lo smaltimento dei rifiuti nei PVS, - semplici tecnologie per il riciclaggio dei rifiuti solidi. Il sesto Capitolo tratta tematiche riguardanti la Cooperazione Internazionale, la Cooperazione Decentrata e i progetti di Sviluppo Umano. Per progetti di sviluppo si intende, nell’ambito della Cooperazione, quei progetti che hanno come obiettivi la lotta alla povertà e il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità beneficiarie dei PVS coinvolte nel progetto. All’interno dei progetti di cooperazione e di sviluppo umano gli interventi di tipo ambientale giocano un ruolo importante, visto che, come già detto, la povertà e il benessere delle popolazioni dipende dal benessere degli ecosistemi in cui vivono: favorire la tutela dell’ambiente, garantire l’accesso all’acqua potabile, la corretta gestione dei rifiuti e dei reflui nonché l’approvvigionamento energetico pulito sono aspetti necessari per permettere ad ogni individuo, soprattutto se vive in condizioni di “sviluppo”, di condurre una vita sana e produttiva. È importante quindi, negli interventi di sviluppo umano di carattere tecnico ed ambientale, scegliere soluzioni decentrate che prevedano l’adozione di Tecnologie Appropriate per contribuire a valorizzare l’ambiente e a tutelare la salute della comunità. I Capitoli 7 ed 8 prendono in esame i metodi per la valutazione degli interventi di sviluppo umano. Un altro aspetto fondamentale che rientra nel ruolo dei tecnici infatti è l’utilizzo di un corretto metodo valutativo per la scelta dei progetti possibili che tenga presente tutti gli aspetti, ovvero gli impatti sociali, ambientali, economici e che si cali bene alle realtà svantaggiate come quelle prese in considerazione in questo lavoro; un metodo cioè che consenta una valutazione specifica per i progetti di sviluppo umano e che possa permettere l’individuazione del progetto/intervento tecnologico e ambientale più appropriato ad ogni contesto specifico. Dall’analisi dei vari strumenti valutativi si è scelto di sviluppare un modello per la valutazione degli interventi di carattere ambientale nei progetti di Cooperazione Decentrata basato sull’Analisi Multi Criteria e sulla Analisi Gerarchica. L’oggetto di questa ricerca è stato quindi lo sviluppo di una metodologia, che tramite il supporto matematico e metodologico dell’Analisi Multi Criteria, permetta di valutare l’appropriatezza, la sostenibilità degli interventi di Sviluppo Umano di carattere ambientale, sviluppati all’interno di progetti di Cooperazione Internazionale e di Cooperazione Decentrata attraverso l’utilizzo di Tecnologie Appropriate. Nel Capitolo 9 viene proposta la metodologia, il modello di calcolo e i criteri su cui si basa la valutazione. I successivi capitoli (Capitolo 10 e Capitolo 11) sono invece dedicati alla sperimentazione della metodologia ai diversi casi studio: - “Progetto ambientale sulla gestione dei rifiuti presso i campi Profughi Saharawi”, Algeria, - “Programa 1 milhão de Cisternas, P1MC” e - “Programa Uma Terra e Duas Águas, P1+2”, Semi Arido brasiliano.