107 resultados para Nefrologia


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Background/Aims. Uremic Neuropathy (UN) highly limits the individual self-sufficiency causing near-continuous pain. An estimation of the actual UN prevalence among hemodialysis patients was the aim of the present work. Methods. We studied 225 prevalent dialysis patients from two Italian Centres. The Michigan Neuropathy Score Instrument (MNSI), already validated in diabetic neuropathy, was used for the diagnosis of UN. It consisted of a questionnaire (MNSI_Q) and a physical-clinical evaluation (MNSI_P). Patients without any disease possibly inducing secondary neuropathy and with MNSI score  3 have been diagnosed as affected by UN. Electroneurographic (ENG) lower limbs examination was performed in these patients to compare sensory conduction velocities (SCV) and sensory nerve action potentials (SNAP) with the MNSI results. Results. Thirtyseven patients (16.4%) were identified as being affected by UN, while 9 (4%) presented a score <3 in spite of neuropathic symptoms. In the 37 UN patients a significant correlation was found between MNSI_P and SCV (r2 = 0.1959; p<0.034) as well as SNAP (r2 = 0.3454; p=0.027) both measured by ENG. Conclusions. UN is an underestimated disease among the dialysis population even though it represents a huge problem in terms of pain and quality of life. MNSI could represent a valid and simple clinical-instrumental screening test for the early diagnosis of UN in view of an early therapeutic approach.

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L’anticoagulazione regionale con citrato (RCA) è una valida opzione in pazienti ad alto rischio emorragico. Lo scopo del nostro studio è stato di valutare, in pazienti critici sottoposti a CRRT per insufficienza renale acuta post-cardiochirurgica, efficacia e sicurezza di un protocollo di RCA in CVVH con l’impiego di una soluzione di citrato a bassa concentrazione (12mmol/L). Metodi: L’RCA-CVVH è stata adottata come alternativa all’eparina o alla CRRT senza anticoagulante (no-AC). Criteri per lo switch verso l’RCA: coagulazione dei circuiti entro 24h o complicanze legate all’eparina. Per facilitare l’impostazione dei parametri CVVH, abbiamo sviluppato un modello matematico per stimare il carico metabolico di citrato e la perdita di calcio. Risultati: In 36 mesi, sono stati sottoposti a RCA-CVVH 30 pazienti. La durata dei circuiti con RCA (50.5 ± 35.8 h, mediana 41, 146 circuiti) è risultata significativamente maggiore (p<0.0001) rispetto all’eparina (29.2±22.7 h, mediana 22, 69 circuiti) o alla no-AC CRRT (24.7±20.6 h, mediana 20, 74 circuiti). Il numero di circuiti funzionanti a 24, 48, 72 h è risultato maggiore durante RCA (p<0.0001). I target di Ca++ sistemico e del circuito sono stati facilmente mantenuti (1.18±0.13 e 0.37±0.09 mmol/L). Durante l’RCA-CVVH nessun paziente ha avuto complicanze emorragiche e il fabbisogno trasfusionale si è ridotto rispetto alle altre modalità (0.29 vs 0.69 unità/die, p<0.05). Le piastrine (p=0.012) e l’AT-III (p=0.004) sono aumentate durante RCA riducendo la necessità di supplementazione. L’RCA è stata interrotta per accumulo di citrato in un solo paziente (calcemia totale/s-Ca++ >2.5). Conclusioni: L’RCA ha consentito di prolungare la durata dei circuiti riducendo il fabbisogno trasfusionale e la necessità di supplementazione di AT-III e piastrine. L’utilizzo di un modello matematico ha facilitato l’impostazione dei parametri CVVH. L’RCA appare meritevole di maggiore considerazione come metodica di anticoagulazione di prima scelta in pazienti ad alto rischio emorragico sottoposti a CRRT.

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PREMESSA: Le linee guida raccomandano la fistola AV radio-cefalica autogena (RCAVF)come prima scelta per l'emodialisi. Preoccupazione è stata sollevata che questo potrebbe non essere appropriato nei pazienti anziani. METODO: Noi abbiamo seguito in modo prospettico 126 pazienti per tre anni. Dopo sistematica valutazione clinica ed ecografica, la RCAVF è stata creata utilizzando un microscopio operatore. La pervietà è stata valutata subito, a 1 settimana, a 1 mese e a 1 anno. I risultati sono stati registrati e stratificati in 2 gruppi: <70a e > 70a. RISULTATI: La RCAVF è stata creata nel 75% dei <70a e nel 70% dei >70a. L'incidenza di insuccesso immediato è stata 11% (<70a) e 13% (>70a). La pervietà primaria e secondaria ad 1 anno è stata 67% e 84% (<70a), 63% e 80% (>70a). CONCLUSIONI: La microchirurgia ha permesso la creazione di RCVAF in >70a con un rischio accettabile di fallimento e lievi differenze rispetto a <70a. L'età non deve precludere una creazione di RCAVF.

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Introduzione. Recenti studi hanno dimostrato che il Rituximab (RTX) è un’alternativa sicura ed efficace alla ciclofosfamide nell’indurre la remissione in pazienti con severa vasculite ANCA-associata (AAV) di nuova diagnosi o recidiva. Scopo dello studio era valutare l’efficacia e la sicurezza del RTX nei nostri pazienti con AAV. Metodi. Studio retrospettivo delle caratteristiche cliniche, dei risultati e della tolleranza al RTX dei pazienti con AAV trattati presso il nostro centro da Gennaio 2006 a Dicembre 2011. Inizialmente veniva utilizzato lo schema convenzionale delle 4 somministrazioni settimanali da 375 mg/m2. Dal 2011 sulla base dell’esperienza maturata e dei nuovi dati della letteratura si decideva di non adottare uno schema fisso per le recidive, ma di somministrare una o due dosi secondo la severità della recidiva ed il rischio infettivo. Risultati. Venivano trattati 51 pazienti con AAV, 15/51 (29%) di nuova diagnosi e 36/51 (71%) ad una recidiva. La maggior parte dei pazienti con nuova diagnosi presentavano una micropoliangioite con severo interessamento renale, 5/15 (33%) erano in dialisi dall’esordio. 32/36 (89%) pazienti trattati ad una recidiva presentavano una recidiva granulomatosa di Granulomatosi di Wegener (WG). Tutti ottenevano una remissione, più rapidamente per le manifestazioni vasculitiche. 2/5 pazienti in dialisi dall’esordio recuperavano la funzione renale. Si osservavano 11 recidive in 9 pazienti con GW mediamente dopo 23.1 mesi, tutti ottenevano nuovamente la remissione. Ad un follow-up medio di 20.1 mesi si registravano 4 decessi, 3 (3/15, 20%) nel gruppo di pazienti con nuova diagnosi, uno (1/36, 3%) nel gruppo trattato ad una recidiva. Quattro pazienti sospendevano il RTX per infezioni. Conclusioni. Nella nostra casistica il RTX si è dimostrato efficace e sicuro nell’indurre la remissione in pazienti con severa AAV, sia all’esordio che alla recidiva. I pazienti con WG presentano maggior rischio di recidiva e dovrebbero pertanto essere mantenuti in terapia immunosoppressiva dopo RTX.

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Introduction:Persistent Hyperparathyroidism after transplantation (HPT),bone disease and vertebral fractures are an important clinical problem in renal transplant patients. Several factors such as renal osteodystrophy, immunosuppressive therapy, deficit/insufficiency Vitamin D may contribute to that.In literature are described different percentages of HPT, vertebral fractures and Osteoporosis/Osteopenia that may be due to the different therapy and to the different employ of steroid. We analyzed 90 patients who received a renal graft between 2005 e 2010. Patients and Methods: 44 male and 46 female. Average age 52,2± 10,1 years, follow-up 31,3±16,6 months, time on dialysis 37±29,6 months. Patients who had creatinine level greater than 2,5 mg/dl were excluded. Immunosuppressive therapy was based on basiliximab, steroids (1.6 to 2 mg/kg/day progressively reduced to 5 mg/day after 45 days from the transplantation) in all patients + calcineurin inhibitor+ mycophenolate mophetil/mycophenolic acid in 88,8% of patients or Everolimus± calcineurin inhibitor in the others. Patients were studied with X-ray of the spine, dual-energy-X-ray, PTH, 25(OH)VitD. Results: 41,1% had HPT; 41,1% had osteopenia at femoral neck and 36,7% at vertebral column; 16,7% had osteoporosis at femoral neck and 15,6% at vertebral column. 10 patients (11%) had vertebral fractures. Patients with normal bone mineral density, compared to those with osteoporosis/osteopenia, are more younger (average age 46,4±11,7 years vs 54.3±8,6); they have spent less time on dialysis (26,5±14,8 months vs 40,7±32,6) and they have values of 25(OH)VitD higher (22,1±7,6 ng/ml vs 17,8±8,5). Patients with vertebral fractures have values of 25(OH)VitD lowest (14,1±6,4 ng/ml vs 19,7±8,5) and they had transplant since more time (29,1±16,2 vs 48,1±8,7 months). There is a significant correlation between HPT and PTH pre transplantation; HPT and levels of VitD (p<0,05) Conclusion: Prevention of Bone disease and vertebral fractures after renal transplant includes: a)treatment before transplantation b)supplementation of vitamin D with cholecalciferol or calcidiol c)shorten the dialysis time.

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L'insufficienza renale cronica (CKD) è associata ad un rischio cardiovascolare più elevato rispetto alla popolazione generale: fattori come uremia, stress ossidativo, età dialitica, infiammazione, alterazioni del metabolismo minerale e presenza di calcificazioni vascolari incidono fortemente sulla morbosità e mortalità per cause cardiovascolari nel paziente uremico. Diversi studi hanno verificato il coinvolgimento dei progenitori endoteliali (EPC) nella malattia aterosclerotica ed è stato dimostrato che esprimono osteocalcina, marcatore di calcificazione. Inoltre, nella CKD è presente una disfunzione in numero e funzionalità delle EPC. Attualmente, il ruolo delle EPC nella formazione delle calcificazioni vascolari nei pazienti in dialisi non è stato ancora chiarito. Lo scopo della tesi è quello di studiare le EPC prelevate da pazienti con CKD, al fine di determinarne numero e fenotipo. È stato anche valutato l'effetto del trattamento in vitro e in vivo con calcitriolo e paracalcitolo sulle EPC, dato il deficit di vitamina D dei pazienti con CKD: il trattamento con vitamina D sembra avere effetti positivi sul sistema cardiovascolare. Sono stati valutati: numero di EPC circolanti e la relativa espressione di osteocalcina e del recettore della vitamina D; morfologia e fenotipo EPC in vitro; effetti di calcitriolo e paracalcitolo sull’espressione di osteocalcina e sui depositi di calcio. I risultati dello studio suggeriscono che il trattamento con vitamina D abbia un effetto positivo sulle EPC, aumentando il numero di EPC circolanti e normalizzandone la morfologia. Sia calcitriolo che paracalcitolo sono in grado di ridurre notevolmente l’espressione di OC, mentre solo il paracalcitolo ha un effetto significativo sulla riduzione dei depositi di calcio in coltura. In conclusione, il trattamento con vitamina D sembra ridurre il potenziale calcifico delle EPC nell’uremia, aprendo nuove strade per la gestione del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da CKD.

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INTRODUCTION. Late chronic allograft disfunction (CAD) is one of the more concerning issues in the management of patients (pts) with renal transplant (tx). Humoral immune response seems to play an important role in CAD pathogenesis. AIM OF THE STUDY. To identify the causes of late chronic allograft disfunction. METHODS. This study (march 2004-august 2011) enrolled pts who underwent renal biopsy (BR) because of CAD (increase of creatininemia (s-Cr) >30% and/or proteinuria >1g/day at least one year after tx). BR were classified according to 1997/2005 Banff classification. Histological evaluation of C4d (positive if >25%), glomerulitis, tubulitis, intimal arteritis, atrophy/fibrosis and arteriolar-hyalinosis were performed. Ab anti-HLA research at BR was an inclusion criteria. Pts were divided into two groups: with or without transplant glomerulopathy (CTG). RESULTS. Evaluated BR: 93/109. BR indication: impaired s-Cr (52/93), proteinuria (23/93), both (18/93). Time Tx-BR: 7.4±6.3 yrs; s-Cr at BR: 2.7±1.4 mg/dl. CTG group(n=49) not-CTG group(n=44) p Time tx-BR (yrs) 9.3±6.7 5.3±5.2 0.002 Follow-up post-BR (yrs) 2.7±1.8 4.1±1.4 0.0001 s-Cr at BR (mg/dl) 2.9±1.3 2.4±1.5 NS Rate (%) of pts: Proteinuria at BR 61% 25% 0.0004 C4d+ 84% 25% <0.0001 Ab anti-HLA+ 71% 30% 0.0001 C4d+ and/or Ab antiHLA 92% 43% 0.0001 Glomerulitis 76% 16% <0.0001 Tubulitis 6% 32% 0.0014 Intimal arteritis 18% 0% 0.002 Arteriolar hyalinosis 65% 50% NS Atrophy/fibrosis 80% 77% NS Graft survival 45% 86% 0.00005 Histological Diagnosis: CTG group (n=49:Chronic rejection 94%;IgA recurrence + humoral activity 4%;IIA acute rejection + humoral activity 2%. Not-CTG group (n=44: GN recurrence 27%;IF/TA 23%; acute rejection 23%;BKV nephritis 9%; mild not specific alterations 18%. CONCLUSIONS: CTG is the morphological lesion mainly related to CAD. In the 92% of the cases it is associated with markers of immunological activity. It causes graft failure within five years after diagnosis in 55% of pts.

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L’insufficienza renale acuta(AKI) grave che richiede terapia sostitutiva, è una complicanza frequente nelle unità di terapia intensiva(UTI) e rappresenta un fattore di rischio indipendente di mortalità. Scopo dello studio é stato valutare prospetticamente, in pazienti “critici” sottoposti a terapie sostitutive renali continue(CRRT) per IRA post cardiochirurgia, la prevalenza ed il significato prognostico del recupero della funzione renale(RFR). Pazienti e Metodi:Pazienti(pz) con AKI dopo intervento di cardiochirurgia elettivo o in emergenza con disfunzione di due o più organi trattati con CRRT. Risultati:Dal 1996 al 2011, 266 pz (M 195,F 71, età 65.5±11.3aa) sono stati trattati con CRRT. Tipo di intervento: CABG(27.6%), dissecazione aortica(33%), sostituzione valvolare(21.1%), CABG+sostituzione valvolare(12.6%), altro(5.7%). Parametri all’inizio del trattamento: BUN 86.1±39.4, creatininemia(Cr) 3.96±1.86mg/dL, PAM 72.4±13.6mmHg, APACHE II score 30.7±6.1, SOFAscore 13.7±3. RIFLE: Risk (11%), Injury (31.4%), Failure (57.6%). AKI oligurica (72.2%), ventilazione meccanica (93.2%), inotropi (84.5%). La sopravvivenza a 30 gg ed alla dimissione è stata del 54.2% e del 37.1%. La sopravvivenza per stratificazione APACHE II: <24=85.1 e 66%, 25-29=63.5 e 48.1%, 30-34=51.8 e 31.8%, >34=31.6 e 17.7%. RFR ha consentito l’interruzione della CRRT nel 87.8% (86/98) dei survivors (Cr 1.4±0.6mg/dL) e nel 14.5% (24/166) dei nonsurvivors (Cr 2.2±0.9mg/dL) con un recupero totale del 41.4%. RFR è stato osservato nel 59.5% (44/74) dei pz non oligurici e nel 34.4% dei pz oligurici (66/192). La distribuzione dei pz sulla base dei tempi di RFR è stata:<8=38.2%, 8-14=20.9%, 15-21=11.8%, 22-28=10.9%, >28=18.2%. All’analisi multivariata, l’oliguria, l’età e il CV-SOFA a 7gg dall’inizio della CRRT si sono dimostrati fattori prognostici sfavorevoli su RFR(>21gg). RFR si associa ad una sopravvivenza elevata(78.2%). Conclusioni:RFR significativamente piu frequente nei pz non oligurici si associa ad una sopravvivenza alla dimissione piu elevata. La distribuzione dei pz in rapporto ad APACHE II e SOFAscore dimostra che la sopravvivenza e RFR sono strettamente legati alla gravità della patologia.

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NGAL (Neutrophil Gelatinase-associated Lipocalin ) is a protein of lipocalin superfamily. Recent literature focused on its biomarkers function in several pathological condition (acute and chronic kidney damage, autoimmune disease, malignancy). NGAL biological role is not well elucidated. Several are the demonstration of its bacteriostatic role. Recent papers have indeed highlight NGAL role in NFkB modulation. The aim of this study is to understand whether NGAL may exert a role in the activation (modulation) of T cell response through the regulation of HLA-G complex, a mediator of tolerance. From 8 healthy donors we obtained peripheral blood mononuclear cells (PBMCs) and we isolated by centrifugation on a Ficoll gradient. Cells were then treated with four concentrations of NGAL (40-320 ng/ml) with or without iron. We performed flow cytometry analysis and ELISA test. NGAL increased the HLA-G expression on CD4+ T cells, with an increasing corresponding to the dose. Iron effect is not of unique interpretation. NGAL adiction affects regulatory T cells increasing in vitro expansion of CD4+ CD25+ FoxP3+ cells. Neutralizing antibody against NGAL decreased HLA-G expression and reduced significantly CD4+ CD25+ FoxP3+ cells percentage. In conclusion, we provided in vitro evidence of NGAL involvement in cellular immunity. The potential role of NGAL as an immunomodulatory molecule has been evaluated: it has been shown that NGAL plays a pivotal role in the induction of immune tolerance up regulating HLA-G and T regulatory cells expression in healthy donors. As potential future scenario we highlight the in vivo role of NGAL in immunology and immunomodulation, and its possible relationship with immunosuppressive therapy efficacy, tolerance induction in transplant patients, and/or in other immunological disorders.

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Background: Chronic kidney disease (CKD) is one of the strongest risk factor for myocardial infarction (MI) and mortality. The aim of this study was to assess the association between renal dysfunction severity, short-term outcomes and the use of in-hospital evidence-based therapies among patients with non–ST-segment elevation myocardial infarction (NSTEMI). Methods: We examined data on 320 patients presenting with NSTEMI to Maggiore’s Emergency Department from 1st Jan 2010 to 31st December 2011. The study patients were classified into two groups according to their baseline glomerular filtration rate (GFR): renal dysfunction (RD) (GFR<60) and non-RD (GFR≥60 ml/min). Patients were then classified into four groups according to their CKD stage (GFR≥60, GFR 59-30, GFR 29-15, GFR <15). Results: Of the 320 patients, 155 (48,4%) had a GFR<60 ml/min at baseline. Compared with patients with a GFR≥60 ml/min, this group was, more likely to be female, to have hypertension, a previous myocardial infarction, stroke or TIA, had higher levels of uric acid and C-reactive protein. They were less likely to receive immediate (first 24 hours) evidence-based therapies. The GFR of RD patients treated appropriately increases on average by 5.5 ml/min/1.73 m2. The length of stay (mean, SD) increased with increasing CKD stage, respectively 5,3 (4,1), 7.0 (6.1), 7.8 (7.0), 9.2 (5.8) (global p <.0001). Females had on average a longer hospitalization than males, regardless of RD. In hospital mortality was higher in RD group (3,25%). Conclusions: The in-hospital mortality not was statically difference among the patients with a GFR value ≥60 ml/min, and patients with a GFR value <60 ml/min. The length of stay increased with increasing CKD stages. Despite patients with RD have more comorbidities then without RD less frequently receive guideline –recommended therapy. The GFR of RD patients treated appropriately improves during hospitalization, but not a level as we expected.

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Le cellule mesenchimali stromali (MSC) sono cellule multipotenti e numerosi studi hanno mostrato i loro effetti benefici nel danno renale acuto ma non sono ancora stati dimostrati potenziali effetti nella malattia renale cronica. L'ostruzione ureterale unilaterale (UUO) è un modello di fibrosi interstiziale nel quale l'attivazione di molecole vasoattive, citochine profibrotiche e infiammatorie gioca un ruolo patogenetico nello sviluppo dell'apoptosi e atrofia tubulare. Il sistema renina-angiotensina (RAS) gioca un ruolo chiave nello sviluppo della fibrosi renale e i farmaci che hanno come target l'angiotensina II, principale mediatore del RAS, sono attualmente la terapia più efficace nel ridurre la progressione della malattia renale cronica. E' noto che gli ACE-inibitori (ACEi) inducono un aumento compensatorio della renina plasmatica per la mancaza del feedback negativo sulla sua produzione. Tuttavia, la renina (R) promuove il danno renale non solo stimolando la produzione di ANGII, ma anche up-regolando geni profibrotici attraverso l'attivazione del recettore renina/prorenina. Lo scopo dello studio è stato indagare se l'infusione di MSC riduceva il danno renalein un modello animale di UUO e comparare gli eventuali effetti protettivi di ACEi e MSC in UUO. Abbiamo studiato 5 gruppi di ratti. A: sham operati. B: ratti sottoposti a UUO che ricevevano soluzione salina. C: ratti sottoposti a UUO che ricevavano MSC 3X106 nella vena della coda al giorno 0. D:ratti sottoposti a UUO che ricevevano lisinopril dal g 1 al g 21. E: ratti sottoposti a UUO che ricevevano MSC 3X106 nella vena della coda al giorno 0 e lisinopril dal g 1 al g 21. I ratti sono stati sacrificati al giorno 7 e 21. I risultati dello studio mostrano che MSC in UUO prevengono l'aumento della renina, riducono la generazione di ANGII e che in terapia combinata con ACEi riducono ulteriormente l'ANGII, determinando una sinergia nel miglioramento della fibrosi renale.

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There is an urgent need to improve the performance of urine cytology for the diagnosis of bladder cancer. In preliminary studies, telomerase activity evaluated by telomeric repeat amplification protocol (TRAP) assay and chromosomal aneuploidy detected by fluorescence in situ hybridization (FISH) in the diagnosis of bladder cancer have produced important results. Urine cell-free (UCF) DNA has also been proposed as a potential marker for early bladder cancer diagnosis. In the first study the diagnostic performance of TRAP assay and FISH analysis was assessed, while the second study evaluated the potential role of UCF DNA integrity in early bladder cancer diagnosis. In the first cross-sectional study, 289 consecutive patients who presented with urinary symptoms underwent cystoscopy and cytology evaluation. In the second study, UCF DNA was isolated from 51 bladder cancer patients, 46 symptomatic patients, and 32 healthy volunteers. c-Myc, BCAS1 and HER2 gene sequences longer than 250 bp were quantified by real time PCR to verify UCF DNA integrity. In the first study, sensitivity and specificity were 0.39 and 0.83, respectively, for cytology; 0.66 and 0.72 for TRAP; 0.78 and 0.60 for the cytology and TRAP combination; 0.78 and 0.78 for the cytology, TRAP and FISH combination; and 0.65 and 0.93 for the TRAP and FISH combination. In the second study, at the best cutoff of 0.1 ng/µl, UCF DNA integrity analysis showed a sensitivity of 0.73 and a specificity of 0.84 in healthy individuals and 0.83 in symptomatic patients. The preliminary results suggest that these biomarkers could potentially be used for the early diagnosis of bladder cancer, especially in high-risk populations (e.g, symptomatic individuals exposed to occupational risk) who may benefit from the use of noninvasive diagnostic tests in terms of cost-benefit.

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Ottimizzazione di un protocollo di anticoagulazione regionale con citrato in CRRT Introduzione: La necessità di un'anticoagulazione continua e l'ipofosforemia in corso di trattamento sono problemi costranti in corso di CRRT. Il nostro studio ha cercato di dimostrare l'efficacia e la sicurezza dell'anticoagulazione regionale con citrato in CVVH basato sull'utilizzo di una soluzione di citrato (18 mmol/L) associata ad una soluzione di reinfusione contenente fosfato, recentemente disponibile in commercio, al fine di ridurre l'ipofosfatemia in corso di CRRT. Metodi: Abbiamo utilizzato il nostro protocollo basato sull'utilizzo di una concentrazione di citrato contenente 18 mmol/l associata ad una soluzione di reinfusione contenente fosfato in un piccolo gruppo di pazienti ricoverati in terapia intensiva post-cardiochirurgica, sottoposti a CRRT per insufficienza renale acuta. Risultati: Il nostro protocollo ha garantito un'adeguata durata del circuito ed un ottimo controllo dell'equilibrio acido-base in ogni paziente. E' stata necessaria solo una minima supplementazione di fosforo in alcuni dei pazienti trattati. Conclusioni: Il nostro protocollo basato sull' utilizzo di una soluzione a concentrazione di citrato maggiore (18 mmol/l), permette un miglior controllo dell'equilibrio acido-base rispetto all'utilizzo della soluzione a più bassa concentrazione di citrato. L'uso di una minore dose di citrato ed il mantenimento di un target maggiore di calcio ionizzato all'interno del circuito sono comunque associati ad un'adeguata durata del circuito. I livelli di fosforemia sono rimasti sostanzialmente stabili nella maggior parte dei pazienti trattati, grazie alla presenza di fosfato nella soluzione utilizzata come reinfusione in post-diluizione.

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I pazienti con glomerulopatie con sindrome nefrosica hanno poche opzioni di trattamento efficace. Riportiamo la nostra esperienza sull'utilizzo della fotochemioterapia extracorporea ( ECP) in 9 pazienti in cui non era stata osservata una risposta efficace/duratura alla convenzionale terapia farmacologica. L’ECP è una promettente terapia immunomodulante, che è stata utilizzata con successo nel trattamento di altre condizioni immunomediate come il rigetto nel trapianto e il GvHD. METODI: In questo studio abbiamo arruolato 9 pazienti, 5 maschi e 4 femmine, età media 32.7±8.9 anni, affetti da sindrome nefrosica e non responsivi/resistenti alle comuni terapie. Il follow-up medio è stato di 41.3±21.7 mesi. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a cicli di fotochemioterapia extracorporea secondo il seguente schema: 1ciclo (2 sedute in 2 giorni consecutivi) ogni 15 giorni per tre mesi, seguito da 1ciclo al mese per tre mesi. Il follow up è stato effetuatio ogni 3 mesi durante il primo anno e poi ogni 12 mesi. Durante il follow up sono stati monitorati pressione arteriosa, funzione renale, marcatori diretti ed indiretti di attività della malattia e indici di flogosi. RISULTATI: attraverso l'analisi dei parametri ematochimici indici di attività di malattia, e monitorando l'eventuale progressione della malattia renale, è stato possibile dimostrare che l' ECP può rappresentare per casi selezionati di pazienti una valida ulteriore opzione terapeutica. Secondo i risultati preliminari tale trattamento risulta inoltre caratterizzato da un eccellente profilo di sicurezza . CONCLUSIONI: I risultati osservati suggeriscono che l’ECP è un trattamento efficace per i pazienti con glomenulonefriti con sindrome nefrosica, soprattutto in coloro che presentano ancora una buona funzionalità renale. Valutazioni cliniche aggiuntive dovranno aiuteranno a definire meglio la popolazione di pazienti in cui ECP sia più efficace e raccomandabile.

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Lo studio CAVE PTX ha lo scopo di valutare la reale prevalenza della paratiroidectomia nei pazienti dializzati in Italia, verificare l’aderenza ai targets ematochimici proposti dalle linee guida internazionali K/DOQI e ricercare la presenza di fratture vertebrali e calcificazioni vascolari. Al momento attuale riportiamo i dati preliminari sulla prevalenza e le caratteristiche cliniche generali dei pazienti finora arruolati. Il nostro studio ha ricevuto contributi da 149 centri dialisi italiani, su un totale di 670, pari al 22%. La popolazione dialitica dalla quale sono stati ottenuti i casi di paratiroidectomia è risultata pari a 12515 pazienti;l’87,7% dei pazienti effettuava l’emodialisi mentre il 12,3% la dialisi peritoneale. Cinquecentoventotto, pari al 4,22%, avevano effettuato un intervento di paratiroidectomia (4,5%emodializzati, 1,9% in dialisi peritoneale;p<0.001). Abbiamo considerato tre gruppi differenti di PTH: basso (<150 pg/ml), ottimale (150 -300 pg/ml) ed elevato (>300 pg/ml). I valori medi di PTH e calcemia sono risultati significativamente diversi (più alti) tra casi e controlli nei due gruppi con PTH basso (PTX = 40±39 vs controllo = 92±42 pg/ml; p<.0001) e PTH alto (PTX= 630 ± 417 vs controllo 577 ±331; p<.05). La percentuale di pazienti con PTH troppo basso è risultata più elevata nei pazienti chirurgici rispetto al resto della popolazione (64vs23%; p<0.0001), mentre la percentuale dei casi con PTH troppo alto è risultata significativamente più alta nel gruppo di controllo (38%vs19%; p<0.003). Il 61% dei casi assumeva vitamina D rispetto al 64 % dei controlli; l’88% vs 75% un chelante del fosforo ed il 13%vs 35% il calciomimentico. In conclusione, la paratiroidectomia ha una bassa prevalenza in Italia, i pazienti sono più spesso di sesso femminile, in emodialisi e con età relativamente giovane ma da più tempo in dialisi.