886 resultados para City planning -- Germany -- Book reviews
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Reviews of the following books: Helen Caldwell and James Bird, 2015, Teaching with Tablets, London: Sage, ISBN: 978-1-473-90679-2 Reviewed by Gurmit Uppal. Vivienne Baumfield, Elaine Hall and Kate Wall, 2013, Action Research in Education (2nd Edition), London: Sage, ISBN: 978-1-446-20719-2 Reviewed by Warren Kidd. Patricia Driscoll, Andrew Lambirth and Judith Roden, 2015, The Primary Curriculum: A Creative Approach (2nd Edition), London: Sage, ISBN 978-1-473-90387-6 Reviewed by Rebecca Bannocks
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Review of The Paradox of Liberation: Secular Revolutions and Religious Counterrevolutions, by Michael Walzer. Yale University Press. 172pp. £16.99
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This chapter (12) reviews key publications by Sir Peter Hall in the period 1967-79. In this period he was particularly interested in the 'inner city' and how problems of deprivation, unemployment, poor housing, and increasingly immigration might best be addressed by public policy. Each chapter in the book reviews Sir Peter's publications over a long and distinguished career in research and policy advice to government in honour of his 80th birthday in 2013.
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The current growth of Kathmandu Valley has been malignant in many ways which suggests a decline of public realm in the city. As the current efforts for planning and design of public open space exhibit numerous problems related to both physical and social aspects of city building, this book examines the shortcomings with contemporary urban development from urban planning and design point of view and attempts to suggest methods to overcome such shortcomings based on the study of historic urban squares. This book identifies the inherent urban design qualities of the historic urban squares in order to learn from them and also attempts to put forward the principles and guidelines for contemporary public space design based on such findings.
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Book reviews of: [1] Nicholas Crane, Mercator: The Man Who Mapped the Planet, London: Weidenfield and Nicolson, 2002, £20, ISBN: 0297646656. [2] Stephen Inwood: The Man Who Knew Too Much: The Strange and Inventive Life of Robert Hooke (1635-1703), London: Macmillan, 2002, £18.99, ISBN: 0333782860.
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Ressenya del llibre L’àrea urbana de Girona: un espai per al futur. A l’obra s’hi tracten aspectes de caràcter social, econòmic, cultural, urbanístic, infraestructural i institucional de Girona, tot plegat des d’una perspectiva globalitzadora i sintètica
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Es relacionen les ponències més significatives de les dues últimes edicions del Seminari Internacional sobre el Paisatge que el Consorci Universitat Internacional Menéndez Pelayo de Barcelona i el Centre Ernest Lluch van organitzar a Olot, la tardor del 2004 i la del 2005. Aquest seminari va aprofundir la temàtica del paisatge des d’una perspectiva interdisciplinària, oberta i innovadora, i va incentivar el debat metodològic i crític al voltant de la construcció social del paisatge
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Ressenya del llibre de Ramón López de Lucio, Ciudad y urbanismo a finales del siglo XX, publicat per la Universitat de València, l'any 1993
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Se il lavoro dello storico è capire il passato come è stato compreso dalla gente che lo ha vissuto, allora forse non è azzardato pensare che sia anche necessario comunicare i risultati delle ricerche con strumenti propri che appartengono a un'epoca e che influenzano la mentalità di chi in quell'epoca vive. Emergenti tecnologie, specialmente nell’area della multimedialità come la realtà virtuale, permettono agli storici di comunicare l’esperienza del passato in più sensi. In che modo la storia collabora con le tecnologie informatiche soffermandosi sulla possibilità di fare ricostruzioni storiche virtuali, con relativi esempi e recensioni? Quello che maggiormente preoccupa gli storici è se una ricostruzione di un fatto passato vissuto attraverso la sua ricreazione in pixels sia un metodo di conoscenza della storia che possa essere considerato valido. Ovvero l'emozione che la navigazione in una realtà 3D può suscitare, è un mezzo in grado di trasmettere conoscenza? O forse l'idea che abbiamo del passato e del suo studio viene sottilmente cambiato nel momento in cui lo si divulga attraverso la grafica 3D? Da tempo però la disciplina ha cominciato a fare i conti con questa situazione, costretta soprattutto dall'invasività di questo tipo di media, dalla spettacolarizzazione del passato e da una divulgazione del passato parziale e antiscientifica. In un mondo post letterario bisogna cominciare a pensare che la cultura visuale nella quale siamo immersi sta cambiando il nostro rapporto con il passato: non per questo le conoscenze maturate fino ad oggi sono false, ma è necessario riconoscere che esiste più di una verità storica, a volte scritta a volte visuale. Il computer è diventato una piattaforma onnipresente per la rappresentazione e diffusione dell’informazione. I metodi di interazione e rappresentazione stanno evolvendo di continuo. Ed è su questi due binari che è si muove l’offerta delle tecnologie informatiche al servizio della storia. Lo scopo di questa tesi è proprio quello di esplorare, attraverso l’utilizzo e la sperimentazione di diversi strumenti e tecnologie informatiche, come si può raccontare efficacemente il passato attraverso oggetti tridimensionali e gli ambienti virtuali, e come, nel loro essere elementi caratterizzanti di comunicazione, in che modo possono collaborare, in questo caso particolare, con la disciplina storica. La presente ricerca ricostruisce alcune linee di storia delle principali fabbriche attive a Torino durante la seconda guerra mondiale, ricordando stretta relazione che esiste tra strutture ed individui e in questa città in particolare tra fabbrica e movimento operaio, è inevitabile addentrarsi nelle vicende del movimento operaio torinese che nel periodo della lotta di Liberazione in città fu un soggetto politico e sociale di primo rilievo. Nella città, intesa come entità biologica coinvolta nella guerra, la fabbrica (o le fabbriche) diventa il nucleo concettuale attraverso il quale leggere la città: sono le fabbriche gli obiettivi principali dei bombardamenti ed è nelle fabbriche che si combatte una guerra di liberazione tra classe operaia e autorità, di fabbrica e cittadine. La fabbrica diventa il luogo di "usurpazione del potere" di cui parla Weber, il palcoscenico in cui si tengono i diversi episodi della guerra: scioperi, deportazioni, occupazioni .... Il modello della città qui rappresentata non è una semplice visualizzazione ma un sistema informativo dove la realtà modellata è rappresentata da oggetti, che fanno da teatro allo svolgimento di avvenimenti con una precisa collocazione cronologica, al cui interno è possibile effettuare operazioni di selezione di render statici (immagini), di filmati precalcolati (animazioni) e di scenari navigabili interattivamente oltre ad attività di ricerca di fonti bibliografiche e commenti di studiosi segnatamente legati all'evento in oggetto. Obiettivo di questo lavoro è far interagire, attraverso diversi progetti, le discipline storiche e l’informatica, nelle diverse opportunità tecnologiche che questa presenta. Le possibilità di ricostruzione offerte dal 3D vengono così messe a servizio della ricerca, offrendo una visione integrale in grado di avvicinarci alla realtà dell’epoca presa in considerazione e convogliando in un’unica piattaforma espositiva tutti i risultati. Divulgazione Progetto Mappa Informativa Multimediale Torino 1945 Sul piano pratico il progetto prevede una interfaccia navigabile (tecnologia Flash) che rappresenti la pianta della città dell’epoca, attraverso la quale sia possibile avere una visione dei luoghi e dei tempi in cui la Liberazione prese forma, sia a livello concettuale, sia a livello pratico. Questo intreccio di coordinate nello spazio e nel tempo non solo migliora la comprensione dei fenomeni, ma crea un maggiore interesse sull’argomento attraverso l’utilizzo di strumenti divulgativi di grande efficacia (e appeal) senza perdere di vista la necessità di valicare le tesi storiche proponendosi come piattaforma didattica. Un tale contesto richiede uno studio approfondito degli eventi storici al fine di ricostruire con chiarezza una mappa della città che sia precisa sia topograficamente sia a livello di navigazione multimediale. La preparazione della cartina deve seguire gli standard del momento, perciò le soluzioni informatiche utilizzate sono quelle fornite da Adobe Illustrator per la realizzazione della topografia, e da Macromedia Flash per la creazione di un’interfaccia di navigazione. La base dei dati descrittivi è ovviamente consultabile essendo contenuta nel supporto media e totalmente annotata nella bibliografia. È il continuo evolvere delle tecnologie d'informazione e la massiccia diffusione dell’uso dei computer che ci porta a un cambiamento sostanziale nello studio e nell’apprendimento storico; le strutture accademiche e gli operatori economici hanno fatto propria la richiesta che giunge dall'utenza (insegnanti, studenti, operatori dei Beni Culturali) di una maggiore diffusione della conoscenza storica attraverso la sua rappresentazione informatizzata. Sul fronte didattico la ricostruzione di una realtà storica attraverso strumenti informatici consente anche ai non-storici di toccare con mano quelle che sono le problematiche della ricerca quali fonti mancanti, buchi della cronologia e valutazione della veridicità dei fatti attraverso prove. Le tecnologie informatiche permettono una visione completa, unitaria ed esauriente del passato, convogliando tutte le informazioni su un'unica piattaforma, permettendo anche a chi non è specializzato di comprendere immediatamente di cosa si parla. Il miglior libro di storia, per sua natura, non può farlo in quanto divide e organizza le notizie in modo diverso. In questo modo agli studenti viene data l'opportunità di apprendere tramite una rappresentazione diversa rispetto a quelle a cui sono abituati. La premessa centrale del progetto è che i risultati nell'apprendimento degli studenti possono essere migliorati se un concetto o un contenuto viene comunicato attraverso più canali di espressione, nel nostro caso attraverso un testo, immagini e un oggetto multimediale. Didattica La Conceria Fiorio è uno dei luoghi-simbolo della Resistenza torinese. Il progetto è una ricostruzione in realtà virtuale della Conceria Fiorio di Torino. La ricostruzione serve a arricchire la cultura storica sia a chi la produce, attraverso una ricerca accurata delle fonti, sia a chi può poi usufruirne, soprattutto i giovani, che, attratti dall’aspetto ludico della ricostruzione, apprendono con più facilità. La costruzione di un manufatto in 3D fornisce agli studenti le basi per riconoscere ed esprimere la giusta relazione fra il modello e l’oggetto storico. Le fasi di lavoro attraverso cui si è giunti alla ricostruzione in 3D della Conceria: . una ricerca storica approfondita, basata sulle fonti, che possono essere documenti degli archivi o scavi archeologici, fonti iconografiche, cartografiche, ecc.; . La modellazione degli edifici sulla base delle ricerche storiche, per fornire la struttura geometrica poligonale che permetta la navigazione tridimensionale; . La realizzazione, attraverso gli strumenti della computer graphic della navigazione in 3D. Unreal Technology è il nome dato al motore grafico utilizzato in numerosi videogiochi commerciali. Una delle caratteristiche fondamentali di tale prodotto è quella di avere uno strumento chiamato Unreal editor con cui è possibile costruire mondi virtuali, e che è quello utilizzato per questo progetto. UnrealEd (Ued) è il software per creare livelli per Unreal e i giochi basati sul motore di Unreal. E’ stata utilizzata la versione gratuita dell’editor. Il risultato finale del progetto è un ambiente virtuale navigabile raffigurante una ricostruzione accurata della Conceria Fiorio ai tempi della Resistenza. L’utente può visitare l’edificio e visualizzare informazioni specifiche su alcuni punti di interesse. La navigazione viene effettuata in prima persona, un processo di “spettacolarizzazione” degli ambienti visitati attraverso un arredamento consono permette all'utente una maggiore immersività rendendo l’ambiente più credibile e immediatamente codificabile. L’architettura Unreal Technology ha permesso di ottenere un buon risultato in un tempo brevissimo, senza che fossero necessari interventi di programmazione. Questo motore è, quindi, particolarmente adatto alla realizzazione rapida di prototipi di una discreta qualità, La presenza di un certo numero di bug lo rende, però, in parte inaffidabile. Utilizzare un editor da videogame per questa ricostruzione auspica la possibilità di un suo impiego nella didattica, quello che le simulazioni in 3D permettono nel caso specifico è di permettere agli studenti di sperimentare il lavoro della ricostruzione storica, con tutti i problemi che lo storico deve affrontare nel ricreare il passato. Questo lavoro vuole essere per gli storici una esperienza nella direzione della creazione di un repertorio espressivo più ampio, che includa gli ambienti tridimensionali. Il rischio di impiegare del tempo per imparare come funziona questa tecnologia per generare spazi virtuali rende scettici quanti si impegnano nell'insegnamento, ma le esperienze di progetti sviluppati, soprattutto all’estero, servono a capire che sono un buon investimento. Il fatto che una software house, che crea un videogame di grande successo di pubblico, includa nel suo prodotto, una serie di strumenti che consentano all'utente la creazione di mondi propri in cui giocare, è sintomatico che l'alfabetizzazione informatica degli utenti medi sta crescendo sempre più rapidamente e che l'utilizzo di un editor come Unreal Engine sarà in futuro una attività alla portata di un pubblico sempre più vasto. Questo ci mette nelle condizioni di progettare moduli di insegnamento più immersivi, in cui l'esperienza della ricerca e della ricostruzione del passato si intreccino con lo studio più tradizionale degli avvenimenti di una certa epoca. I mondi virtuali interattivi vengono spesso definiti come la forma culturale chiave del XXI secolo, come il cinema lo è stato per il XX. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di suggerire che vi sono grosse opportunità per gli storici impiegando gli oggetti e le ambientazioni in 3D, e che essi devono coglierle. Si consideri il fatto che l’estetica abbia un effetto sull’epistemologia. O almeno sulla forma che i risultati delle ricerche storiche assumono nel momento in cui devono essere diffuse. Un’analisi storica fatta in maniera superficiale o con presupposti errati può comunque essere diffusa e avere credito in numerosi ambienti se diffusa con mezzi accattivanti e moderni. Ecco perchè non conviene seppellire un buon lavoro in qualche biblioteca, in attesa che qualcuno lo scopra. Ecco perchè gli storici non devono ignorare il 3D. La nostra capacità, come studiosi e studenti, di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio che il 3D porta con sè, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Una ricostruzione storica può essere molto utile dal punto di vista educativo non sono da chi la visita ma, anche da chi la realizza. La fase di ricerca necessaria per la ricostruzione non può fare altro che aumentare il background culturale dello sviluppatore. Conclusioni La cosa più importante è stata la possibilità di fare esperienze nell’uso di mezzi di comunicazione di questo genere per raccontare e far conoscere il passato. Rovesciando il paradigma conoscitivo che avevo appreso negli studi umanistici, ho cercato di desumere quelle che potremo chiamare “leggi universali” dai dati oggettivi emersi da questi esperimenti. Da punto di vista epistemologico l’informatica, con la sua capacità di gestire masse impressionanti di dati, dà agli studiosi la possibilità di formulare delle ipotesi e poi accertarle o smentirle tramite ricostruzioni e simulazioni. Il mio lavoro è andato in questa direzione, cercando conoscere e usare strumenti attuali che nel futuro avranno sempre maggiore presenza nella comunicazione (anche scientifica) e che sono i mezzi di comunicazione d’eccellenza per determinate fasce d’età (adolescenti). Volendo spingere all’estremo i termini possiamo dire che la sfida che oggi la cultura visuale pone ai metodi tradizionali del fare storia è la stessa che Erodoto e Tucidide contrapposero ai narratori di miti e leggende. Prima di Erodoto esisteva il mito, che era un mezzo perfettamente adeguato per raccontare e dare significato al passato di una tribù o di una città. In un mondo post letterario la nostra conoscenza del passato sta sottilmente mutando nel momento in cui lo vediamo rappresentato da pixel o quando le informazioni scaturiscono non da sole, ma grazie all’interattività con il mezzo. La nostra capacità come studiosi e studenti di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio sottinteso al 3D, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Le esperienze raccolte nelle pagine precedenti ci portano a pensare che in un futuro non troppo lontano uno strumento come il computer sarà l’unico mezzo attraverso cui trasmettere conoscenze, e dal punto di vista didattico la sua interattività consente coinvolgimento negli studenti come nessun altro mezzo di comunicazione moderno.
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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.
Resumo:
1. INTRODUCCION 2. LA ORGANIZACIÓN DEL CONCURSO 3. MONUMENTALIDAD Y ESCALAS CERCANAS Los CIAM de Bridgewater y Hoddesdon. El carácter institucional del urbanismo moderno Las propuestas premiadas 4. PLANTA LIBRE Y PREEXISTENCIAS El CIAM 7 de Bérgamo. El debate sobre la reconstrucción Nada que conservar. La propuesta de Le Corbusier Desde el interior. La propuesta de Luiggi Piccinato 5. LA VIDA EN LA CALLE. SUPERPOSICION DE USOS EN EL ESPACIO PÚBLICO De Hoddesdon al manifiesto de Doorn y Dubrovnic. Usos compartidos. La propuesta de Van der Broeck y Bakema Una calle en alto. La propuesta de Alison y Peter Smithson “The charged void”. Dos sillas y el rastro de una acción 6. EL PAISAJE COMO PUNTO DE PARTIDA El CIAM de la Sarraz. Hacia una definición de “Urbanismo” De la “Grosstadt” al “StadtLandschaft”. La propuesta de Korn y Rosemberg Infraestructuras para un paisaje de mesetas. La propuesta de Abben, Anderson y Utzon 7. OTRAS HUELLAS PARA OTRA SOCIEDAD Forma y contenido de Berlín-Mitte. La propuesta de Scharoun. El paisaje chino propuesto por Ebert y Scharoun 8. CONCLUSIONES Cambios de contexto y búsqueda pragmática De la necesidad de humanizar. Momentos de conciencia INTRODUCCION El espacio público siendo quizás uno de los campos en que con más frecuencia se trabaja en los últimos años, carece sin embargo de episodios suficientemente alejados en el tiempo que nos permitan reconocer su historia reciente. La irrupción del pensamiento organicista y más tarde existencialista tras el final de la 2ª Guerra Mundial cambiaron el modo de pensar en todas las áreas del conocimiento, también en aquellas relativas al urbanismo y el proyecto de ciudad. El cambio de contexto encontrado en las capitales europeas tras los bombardeos de la Guerra (figura1) cristalizó en la necesidad de una ciudad “humanizada”. Esta necesidad se reconoce en algunas propuestas aisladas de aquellos años que se han estudiado usualmente como precursoras de otras mas actuales , pero son cuestiones que también fueron transformando la forma de pensar el espacio público en los diferentes debates de urbanismo llevados a cabo en los Congresos Internacionales de Arquitectura Moderna, influyendo de manera determinante en la continua revisión de las prerrogativas de la “Carta de Atenas” y llegando a estar en la base de su disolución final escenificada por el Team X en Oterloo en 1959. A pesar de las continuas revisiones que se habían llevado a cabo en el periodo de postguerra, la distancia entre los presupuestos teóricos y las realidades urbanas que se encontraban los participantes en los CIAM de aquella época, llevó a un cierto escepticismo y a un desplazamiento de intereses desde la teoría urbanística a la práctica proyectiva, tratando de resolver cuestiones concretas para posteriormente extraer conclusiones. LA ORGANIZACIÓN DEL CONCURSO El concurso: “Berlin Hauptstadt”, un ambicioso Plan para la Capital de una Alemania unida convocado en 1957 por la “Internationalles Bauaustellung” berlinesa, fue un último episodio en los debates de urbanismo moderno de aquel periodo de disolución que nos muestra las incertidumbres y contradicciones de algunos participantes al enfrentarse al proyecto de espacio público desde la desconfianza en las bases teóricas. Si bien en cuanto a los proyectos de edificación, apenas se percibieron cambios en las propuestas presentadas al concurso, en algunos casos, el proyecto de espacio público si presentó ciertas variaciones respecto a las pautas urbanísticas presentadas por los CIAM de aquellos años. Se plantea el estudio de Berlin Hauptstadt como un último registro de estas reacciones pragmáticas ante el cambio de contexto, que nos permita encontrar matices y diferencias de interpretación entre algunas de las propuestas para desvelar a través de ellas las condiciones latentes en el proyecto de espacio público de posguerra europeo. La batalla propagandística derivada de la tensión existente entre los dos bloques que gobernaban la capital alemana en aquellos años, protagonizó la mayor parte de las decisiones sobre la ciudad y sus espacios públicos. En Berlín occidental se realizaron múltiples exposiciones sobre los diversos planes urbanísticos propuestos divulgando un modelo de ciudad moderna abierta y de planta libre, que equilibraría las carencias de soleamiento y espacios verdes existentes hasta el estallido de la Guerra. Entre otras, se impulsó la “Internationalles Bauaustellung” en 1957 conocida como IBA´57, en la que se llevaron a cabo actuaciones como la reconstrucción del nuevo “Hansaviertel” además de otros eventos entre los que destacaba el concurso “Berlin Hauptstadt”. Berlín se presentaba en la convocatoria como la futura capital de una Alemania unificada, que le llevaba a asumir un programa muy extenso y segregado, basado en una nueva red de autopistas y ferrocarriles común para toda la ciudad. Esta utópica premisa fue sin embargo acogida con cierta esperanza de viabilidad real por parte de los participantes, quienes en su mayoría mostraron una preocupación común por lo que coincidieron en llamar “humanizierung der Stadt” la humanización de la ciudad en las memorias presentadas. La humanización era sin embargo algo difícil de lograr en el Berlín de aquellos años. La ciudad o mejor dicho las dos ciudades estaban una vez más sumidas en su propia idea de reconstrucción, como la capital “permanentemente a medio hacer” que ya describía Karl Scheffer a principios de siglo XX. De este modo mientras Berlín era proyectado desde estudios provenientes de países lejanos, para unas autoridades militares afanadas en ganar su particular batalla propagandística con el urbanismo como mejor arma, la necesidad de humanizar el espacio público se fue haciendo cada vez más presente con el paso de los años. Una ciudad real, habitada desde el espacio necesario para las acciones cotidianas, se iba consolidando silenciosamente sobre los descampados y vacíos urbanos de la capital. Las fotografías de Fritz Tiedemann y Arno Fischer (figuras 4,5,6,7) realizadas durante los primeros años tras el final de la guerra, nos muestran un paisaje de ruinas y escombros en las que quedaban registradas los rastros de una escondida cotidianeidad. En estas fotografías las ausencias se hacían mas presentes que las ruinas de la ciudad anterior, enfocando las imágenes en los ejes de las interminables avenidas, la antigua capital prusiana se percibe como un descampado continuo . MONUMENTALIDAD Y ESCALAS CERCANAS Los CIAM de Bridgewater y Hoddesdon. El carácter institucional del urbanismo moderno La mayoría de las propuestas presentadas al Concurso Berlin Hauptstadt, se desarrollaron por tanto desde unas premisas modernas que ya entonces llevaban más de una década en crisis continua. La eclosión de nuevos países en todo el mundo, que inauguraban sus recién instauradas democracias con nuevas capitales que las representasen, había alimentado durante aquellos años las discusiones teóricas llevadas a cabo en el seno de los CIAM actualizando en ciertos aspectos una “Carta de Atenas” que sin embargo se mostraban incompatibles con la recuperación de las ciudades europeas tras los bombardeos de la 2ª Guerra mundial. Estos desencuentros habían ido cambiando la forma de pensar el espacio público e intensificando su debate en los últimos Congresos Internacionales de Arquitectura Moderna. Las críticas a las actas del primer CIAM celebrado tras el final de la contienda en Bridgewater (Reino Unido) en 1947, recogidas en escritos como “Monumentalist, Symbolism and Style” por Lewis Mumford y repetidas en distintas ocasiones desde que declinó la invitación de José Luis Sert para redactar el prólogo de “Can our cities survive?” en 1940, empezaron a desestabilizar las hasta entonces férreas convicciones de los participantes. La búsqueda de una ciudad más humanizada apareció como preocupación común en las actas redactadas por Giedion, donde se entendía además logro suficiente la reanudación de los encuentros, emplazándose a proponer los temas a debatir en el próximo Congreso . Esta cualidad humana era la base del “corazón de la ciudad” que José Luis Sert propondría como tema repetidamente hasta que finalmente fue recogido como título del CIAM 8 celebrado en Hoddesdon (Inglaterra) en 1951. También sería en Hoddesdon, donde como expone Eric P. Mumford , donde se confirmó una cierta conciencia de globalización de los preceptos modernos que ya aceptados como lugar común por los poderes políticos de los distintos gobiernos no podrían volver a jugar el papel de vanguardia que se le suponía. Las propuestas premiadas Pocos años después en 1967 en su monografía editada por W. Boesiger y H. Girsberger44: Le Corbusier dejaba constancia del airado desacuerdo con que recibió el fallo del jurado, en un escrito publicado “El hecho de pensar en urbanismo en 3 dimensiones fue considerado como un crimen. De 86 proyectos se admitieron 13, pero el decimotercero era el de Le Corbusier. Fue eliminado.” Criticando así una referencia que hacían las actas a los enormes rascacielos de planta triangular que el maestro suizo superponía sobre la vieja trama berlinesa. A pesar de las enormes dificultades existentes en las Alemanias de después de la Guerra, el espíritu con que se había propuesto el concurso Berlin Hauptstadt desde la organización del IBA´57, era muy próximo al de las nuevas capitales democráticas recién fundadas profusamente expuestas en 1951 en el CIAM de Hoddesdon. Se hacía mas hincapié en lograr estos aspectos representativos y de escala monumental que debían tener las áreas institucionales que en atender a las condiciones de entendimiento con el centro histórico que tanto preocupaban ya en otras capitales europeas aquellos años. Pero si bien las bases del Concurso se habían establecido sobre estos criterios, la resolución del jurado tuvo sin embargo muy en cuenta ciertas consideraciones en cuanto a la escala de las nuevas edificaciones propuestas y al encuentro con la estructura de la ciudad existente. PLANTA LIBRE Y PREEXISTENCIAS El CIAM 7 de Bérgamo. Intervenir sobre lo existente Los principios del urbanismo moderno descritos en los CIAM de los años 1920 y 1930, desde las primeras ciudades ideales propuestas hasta la redacción de la más tarde conocida como “Carta de Atenas”, estaban pensados generalmente sobre una naturaleza teórica más o menos fértil y habitable que obviaba aquellas particularidades del lugar en el que se producían. Tras la guerra, los desoladores paisajes de retazos urbanos en que se habían convertido las capitales europeas, hacían difícil ignorar las nuevas condiciones del terreno con las ruinas de unas ciudades que poco antes estaban allí. La propuesta para la reconstrucción de Milán, fue presentada por Ernst N. Rogers en la primera sesión del CIAM de Bérgamo, como un trabajo acorde con los preceptos urbanísticos de la Carta de Atenas y capaz de incorporar la restauración de los centros históricos como parte de un plan urbanístico moderno. Se reabría así un debate en el seno de los CIAM, después de que hubiese sido ya puesto sobre la mesa por los arquitectos polacos de origen judío Helena y Syzmon Syrkus en las reuniones preparativas para el CIAM 7 llevadas a cabo un año antes en Paris. El Plan “Varsovia Socialista” incorporaba la reconstrucción del centro histórico de las ciudades a otras actuaciones basadas en la Carta de Atenas, como una reivindicación de identidad cultural ante la barbarie nazi. Helena Syrkus, a quien Giedion reservó una hora en la rueda de conferencias de la sesión inaugural del CIAM de Bérgamo, reclamaba este tipo de actuaciones como parte de una revolución “socialista-realista” que suponía un cambio cultural en la vida de los ciudadanos. Estas intervenciones, llevaron a un debate más amplio que el de la reconstrucción y conservación de centros históricos, planteándose asuntos que eran debatidos por la ciudadanía en otros ámbitos. Nada que conservar. La propuesta de Le Corbusier Le Corbusier (figura1), llevó a cabo Berlin Hauptstadt en paralelo a otros trabajos que ya en aquella época prestaban mas atención a las condiciones particulares del lugar como Chandigarh, trabajó en Berlin partiendo desde un plano teórico con el que superponía con toda libertad una versión reeditada de la “Ville Radieuse”, apenas adaptada al entramado aún presente de la antigua ciudad. Así describía la situación de partida: ”No había duda, no se habrían de destruir obras maestras del pasado para reconstruir. La demolición se debió a los aviones y no quedaba nada de todo el centro de Berlín.” Desde el interior. La propuesta de Luiggi Piccinato El final caótico del Congreso de Bérgamo, tuvo aún una última crítica quizás una de las más difíciles de salvar meses después de la clausura. El crítico italiano formado en Harvard Bruno Zevi dirigía una carta a los participantes: “De´lla cultura architettonica: Messagio al Congrés International d´Architecture Moderne”. poniendo de relieve cómo los CIAM habían perdido la batalla para liderar el debate arquitectónico al no contar con algunos de los arquitectos de la escena internacional que habían desarrollado sobre los principios de Frank Lloyd Wright, una arquitectura llamada orgánica. Con estos principios se trasladaba la idea de construir desde el interior hacia el exterior tanto la arquitectura como la propia ciudad, heredando las estructuras existentes y desarrollándolas como el crecimiento continuo de los organismos vivos. Este principio hacía necesario alejarse de los planteamientos más teóricos del urbanismo moderno, en favor de una práctica proyectiva concreta que asumiera las vicisitudes concretas del lugar en el que se trabaja. Bruno Zevi fundó la A.P.A.O. en Italia, junto con otros arquitectos y urbanistas entre quienes estaban Pier Luiggi Nervi y Mario Ridolfi además del urbanista Luiggi Piccinato. Tras el final de la Guerra, Piccinato lleva a cabo diversos Planes de Reconstrucción de ciudades históricas como Nápoles Roma o Siena y en los años 1950 de las principales capitales turcas, como Estambul y Bursa. El valor patrimonial que detecta en estas capitales de la historia arquitectónica lo asociaba a las cualidades constructivas más básicas, aquellas que realizadas sin arquitectos representaban la herencia de una cultura propia. La propuesta que presentó Luiggi Piccinato al concurso Berlin Hauptstadt (figura2), bien puede considerarse como una mas de las actuacicones realizadas hasta entonces, no había en ella una sola estructura basada en datos socioeconómicos que determine el orden general. sino que su propuesta se basaba en la suma de distintos proyectos concretos que resuelven espacios urbanos de características particulares. El plan General propuesto es consecuencia directa de estas pequeñas actuaciones con las que va re-describiendo la trama urbana de todo el área central. Un entramado de plazas interiores se incorporaban a las manzanas aún existentes, ordenando así los vacíos tan característicos de la ciudad para volver a coser las estructuras que aún quedaban en pie. Re-describir las trazas de una ciudad tan denostada por aquel entonces. LA VIDA EN LA CALLE. SUPERPOSICION DE USOS EN EL ESPACIO PÚBLICO De Hoddesdon al manifiesto de Doorn y el CIAM de Dubrovnic. El “Corazón de la Ciudad” siendo uno de los pocos temas de debate claros en el CIAM de Hoddesdon llevó sin embargo a varias críticas. Una de las más interesantes fue la protagonizada por Jacob B. Bakema y Sigfried Giedion por la posterior repercusión que tendría en las ideas que forjarían el Team X años más tarde. Giedion defendía los antecedentes históricos que daban soporte al corazón de la ciudad como hecho único, mientras que Bakema, tomando como ejemplo los parques infantiles llevadas a cabo por Aldo Van Eyck en los vacíos de Ámsterdam, abogaba por romper el aislamiento del hombre en la ciudad y poner en valor las relaciones entre las personas y objetos, a escala de barrio llevando distintos centros a todos ellos. Una de las primeras consecuencias de esta afirmación, fue la obsolescencia del criterio de segregación por áreas funcionales de la ciudad, una de las piedras angulares del urbanismo hasta entonces. La cuestión del uso. superposiciones en el espacio público En búsqueda de esa ciudad de siempre la propuesta presentada por Van Der Broeck y Bakema para Berlin Hauptstadt, trataban de llevar a cabo una disgregación del exhaustivo programa de usos propuesto en las bases para generar una serie de espacios públicos centrales. La relación entre programa y ciudad se fraguaba así como un esquema multi-centros en el que los usos, lejos de presentarse segregados se superponían por capas en un mismo espacio. La vida de los pueblos y aldeas antes de la llegada de la planificación urbana se concentraba en su espacio público, en su origen las primeras poblaciones carecían de edificios de un solo uso específico como mercados, teatros, etc, estas acciones tenían cabida de forma más o menos espontánea en el suelo libre disponible entre las casas. “The charged void” . El vacío cargado en la propuesta de los Smithson In calling our collected works The Charged Void we are thinking of architecture’s capacity to charge the space around it with an energy which can join up with other energies, influence the nature of things that might come, anticipate happenings… a capacity we can feel and act upon, but cannot necessarily describe or record. Con este escueto pero intenso párrafo, Alison y Peter Smithson hacían una aproximación un tanto indeterminada, a la idea de charged void como espacio público lleno de vida, invitándonos quizá a preguntarnos sobre esa necesidad de espacio vacío para respirar, cada vez más acuciante en la arquitectura de nuestras ciudades. La propuesta para “Berlin Hauptstadt” de Alison y Peter Smithson, ganadora de un 3er premio, se basaba en un entramado de calles en alto que se extendía sobre la antigua ciudad superponiéndose como una nueva trama. Este tejido de calles, con unas dimensiones suficientemente amplias para redefinir Berlín pero a la vez suficientemente cercanas para participar de la vida cotidiana de la ciudad, se presentaba con independencia de las edificaciones existentes y propuestas como el gran protagonista de la intervención. Proponían un entramado más o menos coincidente con el trazado de la ciudad, dejando que pequeñas torres de esquinas achaflanadas albergaran las oficinas, las viviendas y los espacios comerciales, adosándose tan sólo en una de sus caras al entramado peatonal propuesto. Las calles tenían dimensiones sobradas para la mera conexión de barrios y sin embargo tampoco tenían un uso específico, estaban pensadas para albergar todos los eventos cotidianos que se superponían en los barrios y pequeñas poblaciones de la época. EL PAISAJE COMO PUNTO DE PARTIDA El CIAM de la Sarraz. Hacia una definición de “Urbanismo”. En los congresos CIAM, desde el primer encuentro celebrado en La Sarraz en 1928, la necesidad de definir el término “urbanismo” como método objetivo de proyectar la ciudad, había llevado a excluir aquellas otras consideraciones relativas al paisaje que no eran fácilmente analizables. Las consideraciones entorno al uso, al soleamiento, a la facilidad de acceso, de edificación o a las óptimas densidades de ocupación de un territorio, debían estudiarse sin más distracciones con un análisis objetivo que regiría posteriormente todo planteamiento urbanístico. Así, en el primer punto del acta redactada en francés, del CIAM I de La Sarraz, se definía: “1. Urbanismo es la organización de todas las funciones de la vida colectiva. Se extiende sobre las aglomeraciones urbanas y el campo. La urbanización no puede estar condicionada por las pretensiones de un esteticismo preexistente, su esencia es la de un orden funcional” … De la “Grosstadt” al “StadtLandschaft”. La propuesta de Korn y Rosenberg. En 1957, algunas de las propuestas presentadas al concurso Berlín Hauptstadt, como la de Arthur Korn y Stephen Rosenberg, tuvieron el paisaje como punto de partida del proyecto. La propuesta presentada 15 años después para Berlín Hauptstadt, formando equipo con Stephen Rosenberg, con quien se asociaría poco después en Londres, planteaba un paisaje fluvial generado directamente por una gran placa plana. La placa, como aquellas de origen sedimentario que bordean los cauces de los ríos, fluctuaba ampliando y disminuyendo su ancho y se deshacía incrustándose en la trama urbana existente, ahuecando su interior para dar cabida a los distintos espacios públicos del programa. Como apunta Keneth Frampton , la propuesta presentada por Korn y Rosenberg evolucionaban desde el concepto de Grosstadt (gran ciudad) a la idea de Stadtlandschaft (ciudad-paisaje), ya que si bien en el plan propuesto para la reconstrucción de Londres eran las trazas del viario y la parcelación las que respondían a las prerrogativas del paisaje, en Berlín se daba un paso más, confiando en una superestructura de carácter orgánico la resolución de todos los aspectos tanto institucionales como terciarios que se proponían en el programa, que eran posteriormente incluidos en el proyecto. Los primeros esbozos del paisaje lineal entorno al rio Spree a su paso por Berlín, posibilitaron a los autores reconocer cierta unidad en lo que se presentaba como una amalgama de retazos fragmentados y dispersos en el que la Capital no era reconocible. Pero si bien estos apuntes, habían logrado cierta ilusión de cohesión y continuidad en torno al paisaje fluvial del Spree, al desarrollarse con precisión, los autores trasladaban directamente a las plantas generales y axonometrías de la propuesta los sinuosos contornos, haciendo ciertamente complicado el encuentro con la trama existente (figuras 26 y 27). La gran determinación con que trataban sus autores de no perder las virtudes intuidas en sus primeros apuntes, les llevaba a abandonar las pautas de zonificación y separación por unidades funcionales que se establecían en los CIAM para aproximarse a su realidad constructiva desde una utópica confianza en sus valores plásticos como solución de los problemas urbanos encontrados. Un paisaje de mesetas. La propuesta de Abben, Anderson y Utzon. Si bien por un lado, la adopción de criterios paisajísticos como punto de partida liberaba de las rígidas pautas de zonificación determinadas en las “Grilla CIAM”, a otra escala suponía distanciarse de las condiciones sociales en las que se asentaba la población berlinesa. La mayor parte de los proyectos de paisaje presentados, compartieron una prerrogativa: El espacio verde en torno al Rio Spree, fue propuesto como elemento estructurador de la nueva capital. La propuesta presentada por el equipo de Jorn Utzon, mostraba con radicalidad esta doble condición del paisaje poniendo a prueba las experiencias vividas sobre las plataformas del Yucatán en México. Unas plataformas vinculadas a la nueva red de autopistas berlinesas, que albergaban aparcamientos en su interior y daban soporte a los distintos edificios de usos institucionales. Mientras la cota superior a la masa arbórea pertenecía a una visión limpia de horizonte nítido desde el que se podía divisar el valle del Spree y las infraestructuras que lo atravesaban, el nivel inferior quedaba vinculado a las trazas de la ciudad, ocupado generalmente por las viviendas. NUEVAS HUELLAS PARA OTRA SOCIEDAD Forma y contenido de Berlín-Mitte.La propuesta de Hans Scharoun Al presentar Hans Scharoun el “Kollektiv Plan” para la reconstrucción de la ciudad en 1946, proponía una trama flexible de autopistas o vías de circulación superpuesta a los campos de ruinas y escombros de la Berlín de aquellos años. El área central de la antigua ciudad, se incorporaba a una enorme banda verde que atravesaba todas las áreas urbanas discurriendo en paralelo a las márgenes del rio Spree. Se negaba la cuidad radio concéntrica, para proponer una trama o red flexible paralela y perpendicular al rio. Quedaban sin embargo en el plan muy pocos detalles de lo que podría ocurrir bajo esa trama en el interior de la retícula, tan sólo quedaba esbozado un gran área libre de edificación que cruzaba como una gran banda verde la ciudad continuando la márgenes naturales del rio Spree hacia el Tiergarten. Aunque la definición de las áreas interiores al entramado quedaba quizá fuera del ámbito de estudio que por aquel entonces les estaba encomendado, la idea de superposición de la trama viaria sobre el valle de ruinas del Spree originaba una nueva conciencia que abría la puerta a trabajar con una doble materialidad. Aquella propia de las ciudades antiguas que por aquel entonces describía en diversos textos. La propuesta logró un 2º premio siendo quizás una de las que menos relación mantenía con las anteriores trazas urbanas berlinesas. En el acta del jurado, se reconocía el acierto de desarrollar el área verde atravesando la ciudad en cuanto a “acogida para el que llega de fuera”. En la memoria que presentó Scharoun junto con Wills Ebert al Concurso Berlin Hauptstadt, se analizaba el área de actuación recordando cómo fueron originados los barrios sobre las poblaciones medievales de Friedrichstadt y Luisenstadt anteriores a las grandes obras urbanizadoras de la corte prusiana y al desarrollo de la metrópoli del s. XX: “Características y de identificable naturaleza son las estructuras de los barrios medievales de Luisenstadt y Friedrichstadt. En estas partes de la ciudad la forma y el contenido aún eran idénticos”… …”convivimos con ellas entendiéndolas como parte de nuestro patrimonio, sin ser muy conscientes de sus contenidos y sus transformaciones a lo largo del tiempo. La pérdida en general de sus principios ordenadores lleva a dejar expuesta la ciudad. Estamos en todos los ámbitos de la planificación urbana ante la dificultad de gestionar con eficacia nuestras tensiones y establecer una nueva transición en las relaciones sujeto-objeto. De ahí que el moderno sistema de circulación yuxtapuesto nos lleve a la indecisión y por tanto a la confusión, en lugar de ordenar las diferencias y clarificar.”80 La memoria para Berlín Hauptstadt, presentaba la estructura medieval del área de intervención como una necesidad para no dejar “expuesta a la ciudad”, sin embargo en las planos presentados al concurso no resulta fácil reconocer este cuidado con las trazas históricas en la ciudad, más bien parecía haberse borrado toda huella de otro tiempo en un gran vacío verde. Es posible que las trazas a las que hacían referencia Scharoun y Ebert, fueran aquellas anteriores a las urbanizaciones de la corte prusiana en 1780, cuando los caminos agrícolas y los arrabales extramuros trazaban las primeras huellas de la ciudad sobre las que más tarde se trazarían los barrios de la capital de Prusia. Estas primeras huellas berlinesas recogidas en publicaciones como “Die Dörfer in Berlín” por Hans Jürgen Rach 81muestran un campo ya humanizado, surcado por caminos y huertas, que hacía reconocible la vida de la sociedad que los habitaba. El paisaje chino propuesto por Ebert y Scharoun Un texto titulado “Urbanismo Chino” escrito en Berlín durante los últimos años de guerra y publicado dos años después de su fallecimiento en 1972, ilustrado con algunas de sus acuarelas realizadas en la misma época74, en la monografía sobre su obra de la Akademie der Kunste de Berlin, desvelaba algunas de las preocupaciones urbanas y paisajísticas del arquitecto en el periodo de postguerra. En el texto Scharoun dejaba constancia de su admiración por las formaciones o Gestalt75 con que nacían las ciudades chinas, tomándolas como posible ideal o modelo de un urbanismo organicista. Este otro urbanismo se exponía como consecuencia de las acciones de una cultura y una sociedad determinada, suficientemente humanas como para cristalizar en estructuras capaces de convocar a sus semejantes, y de ordenar entorno a ellas la vida de toda la población. “El arte de proyectar con buen gusto el cielo, la tierra, los árboles y los ríos como parte vinculante de sus creencias, condujo a la cultura china a una sólida tradición del diseño que permitió el perfeccionamiento y desarrollo de la continuidad urbana. …la formulación de una estructura alveolar sociológica y espiri tual del cuerpo político como un organismo vivo que deja espacio para construir con natural continuidad las transformaciones… Ordenando por temas posteriormente, las distintas continuidades urbanas: “…1. Muros. Están en todo el país, en la ciudad, en los distritos sagrados y los palacios, de los barrios familiares a los muros que los rodean. Limitan y comparten el uso del suelo por una parte y por otra, proveen de una escala moderada a las células habitacionales, que les permitía variar de forma ordenada desde la escala cercana a la gran escala espiritual de la ciudad… Los muros trabajan como elementos constructivos creadores de espacio, hacia el interior, con un cierto límite, ya que es este un espacio determinante. 2. Ejes. Se construyen - como ejes ópticos - llevando a las ya mencionadas células hacia su correspondiente significado espiritual... 3. La luz. Su estudio es especialmente importante. Los frentes uniformes de numerosos edificios públicos con los barrios al sur, tienen las personas una relación cotidiana con la luz, cuya claridad y fuerza apenas se puede experimentar en las azarosas ciudades occidentales. 4. Construcción. Con la misma actitud espiritual tan impregnada en su cultura, se ordenan también las células más importantes de la ciudad, las salas y espacios principales de los templos, palacios y edificios públicos de los barrios residenciales. Cual bosquecillos en un paisaje construyen condensaciones, sin delimitar estas células urbanas. 5. Tejados. (Exagerando) Sí, flotan cual nubes sobre la tierra sobre las construcciones realizadas con esa actitud espiritual. Tienden sobre esas construcciones la capa probablemente más simbólica de todas. Con ligeros matices, los chinos logran agrandar el pequeño espectáculo de la protección de la techumbre. 6. Las terrazas elevadas. El terreno se prepara con moderación y con cuidada moderación se distancian del suelo, porque la vida no se separa de la esclavitud de la tierra. Sin embargo está enriqueciendo y transformando el mundo a su escala, sin hacer ruido.… 7. Calles. Las vías representativas como la que lleva en Pekín hasta la puerta de entrada al palacio de la ciudad prohibida, contrastan con las interiores que son meros carriles de descongestión de los densos distritos residenciales. Estas calles son franjas de arcilla que discurren entre las altas tapias de las casas donde tan solo tiene lugar el juego de la vida, en familia. De este modo las pequeñas calles con su forma cambiante, son también parte de un único orden espiritual, formadas por la expansión sustancial de las construcciones adyacentes… 8. El Paisaje. Se tienen así paisajes a distintas escalas, realizados o desarrollados desde tamaños inminentes a escalas cercanas a la mano del hombre. También cuando los paisajes están fuera de los ámbitos urbanos son ordenados y utilizados, quedando en ellos bellos retazos asilvestrados, porciones vivas y muertas, y refugios de los demonios. Naturalezas ocupadas y libremente vividas en un rico intercambio. Ya sean partes de paisajes grandes o pequeñas, fuera o dentro de las ciudades, son ciertamente de distintos escalas pero no por ello distintos. No hay (como en los jardines occidentales) naturalezas desarmadas. …” Estos aspectos del urbanismo chino revelaban una gran preocupación por aquellos temas relativos a las características de las condiciones públicas de las ciudades y de sus paisajes, al tiempo que un cierto distanciamiento del problema de la vivienda, aún con las acusadas carencias que en este sentido presentaban las ciudades del periodo de postguerra y a pesar de haber sido tantas veces el centro de los intereses de los CIAM. Dejaban entrever la necesidad de encontrar la ciudad como cristalización de una cultura y sociedad. Las instituciones públicas debían ser capaces de convocar a la población mientras que las casas tenían su propia existencia más o menos espontánea y ligada a la tierra, con un mayor grado de libertad e independencia respecto a los planes de los urbanistas. Pero muchas de estas condiciones que Scharoun encontraba en las ciudades chinas, estaban también presentes en la mayoría de las ciudades medievales centroeuropeas, incluyendo a la propia Berlín. La ciudad medieval de Praga, con su característico skyline de cúpulas, cubiertas y torres ABSTRACT Hypothesis Working method Study state 1. BERLIN HAUPTSTADT: 1945 – 1958 1945. Governments and divisions in post-war Berlin 1946. The “KollektivPlan” 1948. The Bonatz Plan 1957. The IBA´57 2. THE SET-UP Planning a Capital. “Berlin Hauptstadt” The working area The jury and the competition programme The refute of Walter Gropius The Berlin Capital requirements 3. MONUMENTALITY AND CLOSER SCALES The C.I.A.M. at Bridgewater and Hoddesdon. Modern urbanism as institutional urban planning thinking Finalists and Shortlisted proposals 4. OPEN FLOOR PLAN AND PREEXISTENCES AFTER WAR “The as found” The C.I.A.M. 7 in Bergamo. About the rebuild of old cities “Nothing to conserve.” Le Corbusier´s Plan for Berlin. From Inside. The plan proposed by Luiggi Piccinato. 5. LIFE IN THE STREET. OVERLAYED USES ON ANCIENT PUBLIC SPACES Form Hoddesdon to Dubrovnic, and the Doorn manifesto. Shared uses. The Plan proposed by Van der Broeck and Bakema Streets in the air. The Plan proposed by Alison and Peter Smithson “The charged void”. Two chairs and an action trail. 6. LANDSCAPE AS A URBAN PRINCIPLE 1957. The irruption of urban motorways Plan Towards a definition for “Urbanism.” The C.I.A.M. in LaSarraz. From “Grosstadt” to “StadtLandschaft.” The proposal by Korn and Rosemberg Chinese landscapes. The proposal by Ebert and Scharoun 7. FOOTPRINTS OF A NEW SOCIETY The influence of other avant-gardes Paths and trails in Albert H. Steiner proposal Berlín-Mitte Form and contains. References to medieval city in the proposal by Scharoun From Friedrichshein to Berlin Hauptstadt. 8. CONCLUSIONS Changing context and pragmatism Human city necessity after war BIBLIOGRAPHY Essential Bibliography Specific publications Specific publications contemporary to “Berlin Hauptstadt” competition General Bibliography APPENDIX Documents Specific publications ABSTRACT Public space, being perhaps one of the urbanism most studied topics on last years, however lacks events sufficiently distant in time to recognize its recent history. The emergence of organic and later existentialism philosophies after Second World War changed the way of thinking in those areas of knowledge relating to urbanism and city planning. The switched context found in European capitals after the War crystallized the need for a "humanized" city. This need is recognized in some isolated proposals of those years , but these questions were also present in the way public space was thought in different debates and urban planning discussions hold at the International Congresses of Modern Architecture, where the decisive influence of the "Athens Charter" prerogatives and its several reviews was on the basis of its final dissolution staged by Team X in Oterloo in 1959. Despite the on going revisions conducted in the post-war period, the gap between theoretical assumptions and urban realities that CIAM participants found at that time, led to some skepticism and a loss of interest in urban theories and aimed them to set on a projective practice, solving specific issues for further general conclusions. The "Berlin Hauptstadt" Competition, an ambitious Plan for the capital of a united Germany convened in Berlin 1957 by the "Internationalles Bauaustellung" was a last episode in this period of discussions and dissolution of modern urbanism that shows uncertainties and contradictions of some participants when were faced to the public space projects distrusting their theoretical bases. While building projects regarded more or less as they were in pre-war period, in some cases, the public space projects presented in the submitted proposals, are perceived with some important variations comparing to the planning guidelines defended by the CIAM urbanism at that time. Thus, the study of Berlin Hauptstadt competition is here presented as a compilation of these pragmatic responses to the switched context, which will allow us to find nuances and differences of interpretation between some of the presented proposals to reveal through them latent conditions in the public space projects at European post-war. CONCLUSIONS Changing context and pragmatism After having a view of the different concepts used by the participants in their proposals presented to the competition, there is a first conclusion we can drop out. The postwar in Berlin, from the Postdam conference until the Wall erection in august 1961, revealed a frozen period in its recent history on which no urban plan was developed under urban arguments nor theories. Most of the urban changes occurred where done by political decisions. Somehow the global urbanism promoted by the postwar CIAMs helped to this situation, the City planning as a standardized method allowed politicians to use it as a tool for propaganda and so to fight for their own interests. Although the specific situation of Berlin, the use of urbanism as a tool for propaganda has been also a usual problem after second world war in some European cities. But meanwhile modern urbanism became an institutional tool and architects and urban planners refuted it beginning then their own research on city planning from a projective practice by solving concrete questions they found in the given context. Thus, we have the proposal of Piccinato in Berlin Hauptstadt working with the existing to develop a non conclude city, far away from previous works like the one of Villa Sabaudia (1934) organized as an axial and well oriented, shaped city. We find in the Smithson proposal a complex city centre with a “charged void” conception, much more picturesque and aerial than the one projected for Golden Lane, four years before. Their concept “area of quietude” proposed at the Berlin competition was used once again a year after, in the elevated plaza that support the Economist buildings. At last we find that Landscape was again used to city planning and thus many proposals were not based on such concepts as transport main lines or building zonings, but in imagined landscapes, which were after filled up with the program. The proposal presented by Arthur Korn and Stephen Rosenberg was quite a renounce of the CIAM principles, which Korn drew up with the “Ernst May Brigade” in the soviet cities between 1930 and 1933 and ten years later in London with the MARS group. Utzon with Abben and Anderson, also settled up another landscape concept which he import from distant cultures to Berlin. He used the Mayas platforms from the Yucatan half island, and the oriental ones as well, in different projects during those years when he was fling constantly from Denmark to Sidney. But he used it not only to project specific buildings like the one of Sidney Concert Hall, in Berlin and later in other places of a smaller scale such concepts were used for urban planning as well. Landscape was also the final solution for a concept, which Hans Scharoun was working on during all these postwar years in Berlin. The Spree-band he already proposed inspired by Peter Friedrich in the Kollektivplan (1946) as a consequence of the traffic main lines and as a logic separation of functions of the city, was presented in Berlin Hauptstadt as a liberated build mass which disposed at the Leipzigerstrasse permitted Tiergarten Park to be continuously expanded all over the Spree valley. The enormous build mass shaped with gold roofs, presented a high level of public spaces that were able to convoke and bring up citizens for having a view of their entire inhabited landscape. The necessity of a human city after war Despite of their different approaches to the Berlin Hauptstadt solitudes, most of the presented proposals showed up a concerning about what was named: “Humanizierung der Stadt” (Humanization of the city), that was a exposed necessity in their submitted texts. But humanizing was a extremely difficult goal at that time in Berlin, a city immerse at the epicenter of the “Cold War” After so many decades isolated and frozen by the “Wall”, Berlin or better the Berliners have developed its own way for city planning. The restricted life they could overlay to the city voids, have leave specific footprints and shaped the ground showing up their own the daily uses of the city. After the “Wall fallen” the great efforts token to unify the divided city by both governments revealed another, thus softly, division. The one established between a real city sculpted by the citizens daily life and other one planned by the council occupying most of these charged voids with a new remake of the Wagner Plan (1925) or the reconstruction of the 19th century city. Even now having a walk by the city void grounds that once were planned in the Berlin Hauptstadt competition, is possible to see the great value they still have for preserving a sort of places with a closer scale, in such a great City. Sometimes, the footprints confirm some of the ideas that were appointed in the competitors proposals. The inner city proposed by Piccinato is present now in very different places like “PrizessinGarten” or “Pfefferberg” which with their own specific character made from their inside uses, influence the whole neighborhood where they are sited. The ground beside the Reichstag, contrary to the idea of an open-air parliament presented by the Smithson, is today marked with the footprints of the rows of the visitors who want to climb up the new dome and take a view. Meanwhile footprints in other places such as the Mauerpark at Prenzlauerberg show us a rich and with various uses place, where citizens find them selves. Also the landscape is present in some public spaces of the city freely occupied as observatories. The intense relation with the river proposed by Korn and Rosenberg can be lived in the bridge Admiralbrücke where the spring solstice is in alignment with the Landwehrkanal and so people meet this day to presence the sunset. Footprints on both sides of the canal bring the observers to the meeting point. One of the few elevations existing in the city grounds, hosts footprints from the Grossbeerenstrasse and Tempelhofstrasse avenues that are self concentrated in the National Monument projected by Schinkel in 1822, in memoriam of the Independence war fallen. The observatory an octagonal base which crowns the ViktoriaPark, give to citizens a place to sit down all over the hill skirts and watch the city landscape and its skylines. This kind of city recognition was also the basis of the landscape proposed by Hans Scharoun for the competition.
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This layer is a georeferenced raster image of the historic paper map entitled: Staffelbauplan der kgl. Haupt- und Residenzstadt München. It was published by verlag v. Oscar Brunn kartograph. Anstal ca. 1900. Scale 1:13,000. Covers Munich, Germany. Map in German. The image inside the map neatline is georeferenced to the surface of the earth and fit to the 'Deutsches Hauptdreiecksnetz (DHDN) Gauss Kruger Zone 4, Rauenberg Datum' coordinate system. All map collar and inset information is also available as part of the raster image, including any inset maps, profiles, statistical tables, directories, text, illustrations, index maps, legends, or other information associated with the principal map. This map shows features such as roads, railroads and stations, drainage, built-up areas, zoning, areas under construction, selected buildings, parks, and more. Includes index. This layer is part of a selection of digitally scanned and georeferenced historic maps from The Harvard Map Collection as part of the Imaging the Urban Environment project. Maps selected for this project represent major urban areas and cities of the world, at various time periods. These maps typically portray both natural and manmade features at a large scale. The selection represents a range of regions, originators, ground condition dates, scales, and purposes.
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