980 resultados para Negociação distributiva


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Esrcizi su: 1) test chi-quadro di conformità distributiva 2) test binomiale 3) test normale per il confronto tra 2 frequenze relative

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E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta. Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa, efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva. Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della ricerca della forma di mercato più “efficiente”. Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime di concorrenza perfetta. Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il criterio della rule of reason. Capitolo 2 Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri. Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al criterio di efficacia). Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti. Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di Impatto della Regolazione Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale, quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza, Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello sviluppatosi nella cultura cinese. Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì, più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione. Capitolo 3 Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia. L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d. teorie “Post-Chicago”. Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics. Capitolo 4 Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito sull’applicazione del criterio di efficienza. Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione. Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi, contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea. Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato rilevante. Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3). Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto, prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente Regolamento 4064/89. Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese, suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3). Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti. Capitolo 5 L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile. Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in termini di sistema giuridico, nel quale esse operano. Capitolo 6 Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le è stato affidato dall’ordinamento. In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al potere esecutivo né a quello giurisdizionale. Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico. Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea, istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del criterio di efficienza. Capitolo 7 Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza. A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle analisi empiriche svolte dalla letteratura. 6 Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni. Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli utilizzati dagli organi comunitari. Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete. Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della rule of law sulla rule of reason. Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue. Capitolo 8 Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore. La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta, d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico. Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti, suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato fenomeno del trasporto multimodale. Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto; il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di un sistema. Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente, tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo di un network ben più ampio Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale. Capitolo 9. Conclusioni L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza. Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria, non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua legittimazione, che in questa sede non affrontiamo. Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al diritto antitrust. Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze, nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche. Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e giuridico), essendo esse nodi e non reti. E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza. Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai singoli mercati nazionali. Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà, sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli. Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.

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“Il museo sta cambiando. In passato, era un luogo di certezze assolute, fonte di definizioni, di valori e di dottrina in materia d'arte, a tutto campo; era il luogo in cui non ci si ponevano interrogativi ma si davano autorevoli risposte.[...]“ 1 Il collezionismo d'arte comincia con il Rinascimento italiano, che sviluppa un particolare senso della storia, un entusiasmo per i prodotti dell'Antichità classica e per tutti i generi dell'arte contemporanea, pensati per la residenza privata, e in realtà, per esse fabbricati: dipinti di soggetto mitologico, quadri di artisti fiamminghi, piccoli bronzi e, al nord arte grafica. Il collezionismo in senso stretto fu agli inizi del secolo connesso solo con le antichità. Verso la fine del Cinquecento, vanno manifestandosi parecchie innovazioni. Per la prima volta compare la parola museo, che era già stata adottata in Alessandria durante il periodo Ellenistico per designare tutto l'ambito degli edifici per la cultura in cui era compresa la biblioteca. Inizialmente tutte le collezioni erano private, ma potevano essere visitate dalle élite sociali. L‟istituzione del museo che noi oggi conosciamo, nasce dall‟ Europa illuminista del XVIII secolo: infatti in questo periodo fu deliberatamente progettato uno spazio architettonico appropriato che desse forma universalmente riconoscibile all‟idea di museo. Poniamo gli esempi del Museo di Villa Albani nel 1746 e il Museo Pio Clementino in Vaticano nel 1775, che per primi si pongono il problema della progettazione architettonica, dell‟allestimento e ordinamento adeguati a un museo aperto al pubblico. Mentre per Villa Albani si trattava pur sempre di una raccolta privata visitabile, il museo voluto dai papi Clemente XIV e Pio VI per le collezioni archeologiche era già pensato come un‟istituzione di interesse pubblico. Gli ultimi tre secoli del secondo millennio hanno visto la crescita dell‟istituzione del museo, diventata esponenziale negli ultimi decenni del XX secolo. I tempi hanno coinciso con la nascita, l‟affermazione rivoluzionaria, il trionfo e il consolidamento della cultura nell‟età della borghesia. 2 “Mentre prima il museo non era che un luogo pieno di oggetti, oggi è diventato un luogo pieno di idee, che vengono suggerite dalle indicazioni e dalle descrizioni accompagnanti gli oggetti esposti, dato che il museo è come un libro aperto che si offre allo studioso e a chi desidera formarsi una coltura.[...]3 1 Karsten Schubert, Museo. Storia di un'idea - dalla Rivoluzione francese ad oggi, il Saggiatore, Milano 2004, p.17. 2 Alessandra Mottola Molfino, Il libro dei musei, Umberto Alemandi & C., Torino 1991, pp. 11-22 3 Daniele Donghi, Manuale dell'architetto Volume II, Unione Tipografico Editrice Torinese, Torino 1935, p. 11. 8 Un museo non è definito solo in base all'importanza e alla qualità delle sue raccolte, ma soprattutto da come vengono recepite da chi le esamina, sia per motivi di studio che per interesse personale. Per questo motivo si deve mettere in grado le diverse categorie di fruitori, di accedere al museo con il minor spreco di tempo possibile e con il maggior profitto. L'effetto che si vuole ottenere deriva sia dal metodo di esposizione degli oggetti, sia da una buona soluzione tecnica relativa alle dimensioni, alla forma, alla distribuzione, riscaldamento e ventilazione dei locali, all'illuminazione degli oggetti e ai mezzi di loro conservazione e sicurezza. Il museo moderno dovrà coniugare al suo interno museografia e museologia. Dove“[...]per museografia si intende l'insieme delle azioni progettuali, scientifiche e tecniche, tendenti alla sistemazione organizzativa del museo (distributiva, impiantistica, tecnica, architettonica, allestitiva, informatica); appartiene in genere all'opera dell'architetto, con la collaborazione di strutturisti, impiantisti e informatici. Al contrario per museologia si intende l'insieme delle azioni di ricerca storica, filologica, di comparazione critica che presiede all'ordinamento dell'esposizione delle opere; generalmente appartiene allo storico dell'arte, allo storico della scienza, all'archeologo, all'antropologo [...].”4 Confrontando progetti museografici e museali dei primi musei con esempi moderni e contemporanei, si intendono ricavare i caratteri fondamentali che permettano di presentare un progetto per museo coerente all'area di studio, e che riesca a rivelare la vera natura degli oggetti che andrà a ospitare attraverso uno studio specifico dei percorsi e degli allestimenti.

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Il lavoro di ricerca prende le mosse da una premessa di ordine economico. Il fenomeno delle reti di impresa, infatti, nasce dalla realtà economica dei mercati. In tale contesto non può prescindere dal delineare un quadro della situazione- anche di crisi- congiunturale che ha visto coinvolte specialmente le imprese italiane. In tale prospettiva, si è reso necessario indagare il fenomeno della globalizzazione, con riferimento alle sue origini,caratteristiche e conseguenze. Ci si sofferma poi sulla ricostruzione dogmatica del fenomeno. Si parte dalla ricostruzione dello stesso in termini di contratto plurilaterale- sia esso con comunione di scopo oppure plurilaterale di scambio- per criticare tale impostazione, non del tutto soddisfacente, in quanto ritenuto remissiva di fronte alla attuale vis espansiva del contratto plurilaterale. Più convincente appare lo schema del collegamento contrattuale, che ha il pregio di preservare l’autonomia e l’indipendenza degli imprenditori aderenti, pur inseriti nel contesto di un’operazione economica unitaria, volta a perseguire uno scopo comune, l’“interesse di rete”, considerato meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 2.co. c.c. In effetti il contratto ben si presta a disegnare modelli di rete sia con distribuzione simmetrica del potere decisionale, sia con distribuzione asimmetrica, vale a dire con un elevato livello di gerarchia interna. Non può d’altra parte non ravvisarsi un’affinità con le ipotesi di collegamento contrattuale in fase di produzione, consistente nel delegare ad un terzo parte della produzione, e nella fase distributiva, per cui la distribuzione avviene attraverso reti di contratti. Si affronta la materia della responsabilità della rete, impostando il problema sotto due profili: la responsabilità interna ed esterna. La prima viene risolta sulla base dell’affidamento reciproco maturato da ogni imprenditore. La seconda viene distinta in responsabilità extracontrattuale, ricondotta nella fattispecie all’art. 2050 c.c., e contrattuale.

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Il progetto di ricerca si è posto l'obiettivo di analizzare una serie di manufatti egizî e di tradizione egizia della Sicilia preromana e di evidenziare le eventuali sopravvivenze della cultura egittizzante sull’isola fino all'età tardoantica. La realizzazione di un corpus, aggiornato sulla scorta di nuovi rinvenimenti, di recenti riletture e di studi su materiali inediti custoditi nei musei siciliani, ha contribuito a tracciare una mappa distributiva delle aree di rinvenimento e di attestazione, con particolare riferimento alle diverse etnie che recepiscono tali prodotti e alla possibilità di ricostruire l’ambientazione storica della domanda diretta o indiretta. Si è scelto di privilegiare lo studio tipologico, iconografico e iconologico di alcune “categorie” di materiali maggiormente documentati sull’isola, quali amuleti, scarabei e scaraboidi, cretule, ushabti, gioielli, bronzi figurati, gemme, con l’individuazione di riscontri in ambito mediterraneo. La documentazione delle testimonianze antiquarie contenenti notizie su reperti oggi non più reperibili ha permesso, infine, non solo l’acquisizione d’informazioni spesso ritenute perse, ma anche una comprensione storicizzata delle dinamiche del collezionismo siciliano e del suo ruolo nel più vasto ambito europeo dal XVII al XIX secolo. È stato importante, infatti, chiarire anche alcuni aspetti della cultura egittologica del periodo, legata in genere alla circolazione di stereotipi e alla mancanza di una conoscenza diretta della realtà faraonica.

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A pesar de que toda la teoría de Marx tiene por centro y corazón la lucha de clases, Marx no formuló con la sistematicidad que se ocupó de otros temas una «Teoría» de las clases sociales, en tanto sistema de conceptos rigurosamente definidos. El propósito de este artículo es recomponer algunas cuestiones centrales en la definición marxista de las clases sociales, así como demostrar la enorme significación teórica del descubrimiento de Marx. Se pretende por último señalar la distancia respecto de toda concepción subjetivista, economicista, voluntarista, distributiva y socio-profesional de las clases.

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La reserva de gastos, da lugar, a numerosos problemas en la realidad de los concursos. En especial acerca de la asignación del producto del concurso especial. Este tema, suele originar conflictos procedimentales, derivados de la falta de método para formular una cuenta distributiva común; y otros de derecho sustancial, por falta de rigor conceptual para ordenar sucesivamente los beneficios del producto. Y ello porque no siempre es fácil discernir qué tareas o gastos corresponden o se vinculan directamente a la realización del bien sobre el que recae el privilegio especial. Existen, algunos aspectos instrumentales, que han dado lugar a dificultades: quién propone la reserva, el momento procesal oportuno para ello, su carácter definitivo o provisorio. Y, uno de los que más confusiones ha originado es saber si la reserva de que tratamos debe ser efectuada en todos los casos en que nos encontramos ante enajenaciones de bienes afectados a privilegio especiales o, sólo en ciertas hipótesis.

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El presente artículo examina las principales líneas de ataque lanzadas por el libertarismo de derecha -expresado fundamentalmente en la obra de Robert Nozick-, contra el igualitarismo liberal de John Rawls y el materialismo histórico. En particular, analiza el rechazo nozickeano a la justicia distributiva, a la deseabilidad (y posibilidad) de la cooperación social, y a los esquemas distributivos contrarios al principio de autopropiedad. Asimismo, explora el impacto de este principio libertarista sobre algunos postulados fundamentales del marxismo. Desde una perspectiva que se nutre de los principales debates de la filosofía política contemporánea, y con una opción teórica por el igualitarismo, este texto presenta y procura debilitar las más audaces tesis nozickeanas, las cuales siguen ejerciendo gran influencia en círculos académicos, en algunas instancias de formulación de políticas públicas y, sobre todo, en el sentido común forjado en tiempos de hegemonía neoliberal.

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El trabajo tiene el propósito de indagar, en la teoría social latinoamericana, la relación entre Estado, sociedad y medios de comunicación. Aunque esta intención expresa un carácter eminentemente teórico se sustenta en la intrincada e ineludible relación entre teoría y realidad social. Relación que nos lleva a preguntarnos por la concreción de las prácticas políticas hoy vigentes. Esto implica re-pensar no solamente los modelos de Estado en pugna, que van desde la intervención pro-cíclica y distributiva a los que lo definen como mero reproductor de la explotación y la desigualdad, sino también por las distintas concepciones de individuo-sociedad que trasvasan dichos modelos y el rol que dichos modelos le asignan a los medios de comunicación. Se trata, entonces, de rescatar los aportes que se construyeron desde los enfoques del desarrollismo y la dependencia, por entenderlos válidos y pertinentes para analizar la realidad actual de nuestro continente. Ciertamente, muchos de los problemas estructurales actuales de las sociedades capitalistas latinoamericanas se pueden pensar a la luz de esos aportes que comenzaron a construirse en la década de los ´60. La noción de desarrollo, con distintas variantes, no sólo es una constante en el pensamiento latinoamericano sino que atraviesa la política contemporánea.

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La escuela se ha ocupado siempre del cuerpo de los alumnos: ciudadanía, género, vida productiva, defensa de la patria. Lo ha hecho a través de la organización del cotidiano escolar, del control de sus movimientos y también de diversas áreas curriculares; como la Educación Física. Esta tarea ha sido activa productora de subjetividad. La actuación escolar se ha guiado por la pregunta ¿qué hacemos con los cuerpos mientras los niños aprenden?, adjudicándole a la EF la actuación guiada por su complementaria ¿qué hacemos con el niño mientras el cuerpo hace lo correcto? He aquí las bases de la educación corporal dominante, fragmentadora entre los sujetos y sus cuerpos. Pero la EF ha ocupado un lugar curricular destinado a abordar problematizaciones sociales silenciadas, es decir, no traducidas o explicitados en temas de enseñanza. Otras disciplinas, con saberes provenientes de la cultura crítica, expresión legítima del saber oficial, han tematizado esos saberes y lograron un lugar destacado en la jerarquía escolar, mientras los "saberes del cuerpo" no llegaron a transformarse en objetos de enseñanza. El cuerpo en la escuela debe ser pensado como parte de la discusión por una nueva ciudadanía a construir, como parte de la búsqueda de una justicia distributiva que contemple el acceso igualitario a los bienes culturales y a las experiencias más enriquecedoras para todos y todas. Entendiendo justamente el cuerpo no como un objeto sobre el cual se ha de operar, sino como esa construcción dinámica que se da entre la cultura de movimientos y los sujetos, a través de sus experiencias corporales

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En el período 2003-2009 parecieran reducirse en Argentina los niveles de desigualdad de ingresos respecto de la década de 1990. En ocasiones, dicha dinámica distributiva suele relacionarse a ciertas políticas públicas aplicadas por el Estado. Sin embargo, creemos que, generalmente, estos análisis no contemplan el impacto diferenciado de las políticas de ingresos -tales como el Salario Mínimo vital y Móvil, la Asignación Universal por Hijo, el Plan Jefes, el Plan Familias, entre otras- sobre los trabajadores que pertenecen a diferentes estratos al interior de los sectores populares. En el presente trabajo, intentamos realizar una estratificación social por clases sociales, similar a la propuesta por Torrado (1994), para evaluar dos cuestiones clave en relación a las políticas de ingresos aplicadas en la última década. Primero, pretendemos medir el impacto diferencial de las políticas mencionadas sobre los diferentes estratos al interior de los sectores populares. En segundo lugar, la estratificación mencionada nos permite indagar sobre el origen de estas políticas públicas y en qué medida las mismas son el resultado de las estrategias de lucha de los diferentes estratos que conforman las clases populares. La fuente de información prioritaria para realizar el estudio será la Encuesta Permanente de Hogares diseñada por el INDEC

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En el mes de marzo de 2008 se desató en Argentina el llamado conflicto del "campo" entre el Gobierno de Cristina Fernández de Kirchner y este sector, a raíz de la modificación en el sistema de retenciones que se venía aplicando a la exportación de cereales y oleaginosas. Teniendo en cuanta que el conflicto se transformó en un hito de la historia argentina reciente, el presente trabajo busca aportar en la construcción de un marco interpretativo para el abordaje del mismo, que nos permita comprender las causas por las cuales la inicial reacción gremial-corporativa frente a la medida rápidamente se transformó en una disputa de dimensiones políticas a partir de la conformación de dos polos antagónicos (Gobierno/patronales agrarias), que en su lógica de construcción fueron tensando y agudizando el conflicto hasta poner en crisis el proyecto político-económico del Gobierno. Para ello, entendemos necesario encuadrar el conflicto en el marco de una puja redistributiva en un contexto de reconfiguración del modelo de acumulación a partir de la salida de la convertibilidad del año 2002, y al mismo tiempo, indagar en las particularidades de la construcción de hegemonía en que se sustentan uno y otro proyecto político-económico. En ese sentido, partimos de un análisis del modelo sectorial de agro-negocios, articulando sus rasgos y dinámicas con las del modelo de acumulación a nivel nacional, constituyendo la base socio-económico que nos permitan aportar a la comprensión del conflicto agrario, viendo cómo dichas lógicas estructurales se articularon con el proceso del conflicto político y la disputa por la hegemonía

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El sexismo contra las mujeres continúa ocasionando profundas desigualdades en el ámbito laboral a nivel mundial, a pesar de los esfuerzos por erradicarlo. Frente a esta problemática, la presente investigación tuvo como objetivo explorar empíricamente el impacto de variables sociodemográficas, psicológicas y organizacionales, sobre la emergencia del sexismo en el lugar de trabajo. Se efectuó una verificación empírica enmarcada en los lineamientos de la triangulación metodológica, a través de tres aproximaciones sucesivas. La primera aproximación metodológica, de corte cualitativo, estuvo orientada al desarrollo de un instrumento para explorar la tendencia a la discriminación de género en el lugar de trabajo. Se llevaron a cabo encuentros de grupo focal y entrevistas en profundidad con muestras teóricas de la población objetivo (12 y cuatro empleados, respectivamente). El análisis de la información recogida permitió la elaboración, puesta a punto y validación de la versión definitiva del instrumento. La segunda aproximación metodológica, de corte cuantitativo, tuvo como finalidad la adaptación y validación del Inventario de Sexismo Ambivalente para su empleo con muestras argentinas. En esta etapa se trabajó con una muestra por disponibilidad de 345 sujetos. Finalmente, la tercera aproximación metodológica, encuadrada en una perspectiva cuantitativa, tuvo como objetivo poner a prueba las hipótesis de trabajo planteadas. En esta oportunidad, se tomó una nueva muestra por disponibilidad integrada por 414 empleados de diversas organizaciones de la provincia de Santa Fe. La batería de recolección de datos incluyó la escala desarrollada en la primera aproximación, el inventario validado en la segunda, y reconocidos instrumentos para medir individualismo-colectivismo, percepciones de justicia organizacional y deseabilidad social. Los datos reunidos fueron sometidos a análisis descriptivos, correlacionales y multidimensionales. Los resultados más destacados muestran que: (a) los varones, los sujetos con nivel educativo primario/secundario y los trabajadores de organizaciones privadas, pequeñas y del sector industrial, presentan mayores niveles de sexismo que las mujeres, los individuos con nivel educativo superior, y los trabajadores de organizaciones públicas y grandes; (b) los empleados del sector privado y del ramo salud registran menores percepciones de justicia procedimental que los empleados del sector público; (c) los empleados permanentes perciben menos justicia distributiva, y los empleados contratados menos justicia procedimental, que sus superiores; (d) las dimensiones verticales del colectivismo e individualismo se relacionan positivamente con el sexismo en todas sus facetas, en tanto que el individualismo horizontal se vincula positivamente con el prejuicio sexista; (e) mientras el sexismo hostil se asocia negativamente con la justicia interpersonal, el sexismo benévolo se relaciona positivamente con las facetas distributiva, procedimental e informacional de la justicia organizacional; (f) por su parte, la tendencia a la discriminación de género en el lugar de trabajo presenta correlaciones positivas con la justicia procedimental; (g) los principales predictores del sexismo son el género (varón), el nivel educativo (primario secundario), el tamaño organizacional (pequeño), el colectivismo vertical y el individualismo vertical. Los resultados obtenidos se discuten a la luz de las teorías consideradas. Se concluye proponiendo posibles acciones para disminuir el sexismo y mejorar las percepciones de equidad en las organizaciones, y se efectúan sugerencias para futuros estudios en el área

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El sexismo contra las mujeres continúa ocasionando profundas desigualdades en el ámbito laboral a nivel mundial, a pesar de los esfuerzos por erradicarlo. Frente a esta problemática, la presente investigación tuvo como objetivo explorar empíricamente el impacto de variables sociodemográficas, psicológicas y organizacionales, sobre la emergencia del sexismo en el lugar de trabajo. Se efectuó una verificación empírica enmarcada en los lineamientos de la triangulación metodológica, a través de tres aproximaciones sucesivas. La primera aproximación metodológica, de corte cualitativo, estuvo orientada al desarrollo de un instrumento para explorar la tendencia a la discriminación de género en el lugar de trabajo. Se llevaron a cabo encuentros de grupo focal y entrevistas en profundidad con muestras teóricas de la población objetivo (12 y cuatro empleados, respectivamente). El análisis de la información recogida permitió la elaboración, puesta a punto y validación de la versión definitiva del instrumento. La segunda aproximación metodológica, de corte cuantitativo, tuvo como finalidad la adaptación y validación del Inventario de Sexismo Ambivalente para su empleo con muestras argentinas. En esta etapa se trabajó con una muestra por disponibilidad de 345 sujetos. Finalmente, la tercera aproximación metodológica, encuadrada en una perspectiva cuantitativa, tuvo como objetivo poner a prueba las hipótesis de trabajo planteadas. En esta oportunidad, se tomó una nueva muestra por disponibilidad integrada por 414 empleados de diversas organizaciones de la provincia de Santa Fe. La batería de recolección de datos incluyó la escala desarrollada en la primera aproximación, el inventario validado en la segunda, y reconocidos instrumentos para medir individualismo-colectivismo, percepciones de justicia organizacional y deseabilidad social. Los datos reunidos fueron sometidos a análisis descriptivos, correlacionales y multidimensionales. Los resultados más destacados muestran que: (a) los varones, los sujetos con nivel educativo primario/secundario y los trabajadores de organizaciones privadas, pequeñas y del sector industrial, presentan mayores niveles de sexismo que las mujeres, los individuos con nivel educativo superior, y los trabajadores de organizaciones públicas y grandes; (b) los empleados del sector privado y del ramo salud registran menores percepciones de justicia procedimental que los empleados del sector público; (c) los empleados permanentes perciben menos justicia distributiva, y los empleados contratados menos justicia procedimental, que sus superiores; (d) las dimensiones verticales del colectivismo e individualismo se relacionan positivamente con el sexismo en todas sus facetas, en tanto que el individualismo horizontal se vincula positivamente con el prejuicio sexista; (e) mientras el sexismo hostil se asocia negativamente con la justicia interpersonal, el sexismo benévolo se relaciona positivamente con las facetas distributiva, procedimental e informacional de la justicia organizacional; (f) por su parte, la tendencia a la discriminación de género en el lugar de trabajo presenta correlaciones positivas con la justicia procedimental; (g) los principales predictores del sexismo son el género (varón), el nivel educativo (primario secundario), el tamaño organizacional (pequeño), el colectivismo vertical y el individualismo vertical. Los resultados obtenidos se discuten a la luz de las teorías consideradas. Se concluye proponiendo posibles acciones para disminuir el sexismo y mejorar las percepciones de equidad en las organizaciones, y se efectúan sugerencias para futuros estudios en el área

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En el mes de marzo de 2008 se desató en Argentina el llamado conflicto del "campo" entre el Gobierno de Cristina Fernández de Kirchner y este sector, a raíz de la modificación en el sistema de retenciones que se venía aplicando a la exportación de cereales y oleaginosas. Teniendo en cuanta que el conflicto se transformó en un hito de la historia argentina reciente, el presente trabajo busca aportar en la construcción de un marco interpretativo para el abordaje del mismo, que nos permita comprender las causas por las cuales la inicial reacción gremial-corporativa frente a la medida rápidamente se transformó en una disputa de dimensiones políticas a partir de la conformación de dos polos antagónicos (Gobierno/patronales agrarias), que en su lógica de construcción fueron tensando y agudizando el conflicto hasta poner en crisis el proyecto político-económico del Gobierno. Para ello, entendemos necesario encuadrar el conflicto en el marco de una puja redistributiva en un contexto de reconfiguración del modelo de acumulación a partir de la salida de la convertibilidad del año 2002, y al mismo tiempo, indagar en las particularidades de la construcción de hegemonía en que se sustentan uno y otro proyecto político-económico. En ese sentido, partimos de un análisis del modelo sectorial de agro-negocios, articulando sus rasgos y dinámicas con las del modelo de acumulación a nivel nacional, constituyendo la base socio-económico que nos permitan aportar a la comprensión del conflicto agrario, viendo cómo dichas lógicas estructurales se articularon con el proceso del conflicto político y la disputa por la hegemonía