971 resultados para Monte di Santa Teresa (Lombardy, Italy)


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As condições inadequadas vivenciadas nas organizações afligem não só os trabalhadores da iniciativa privada, pois são igualmente encontradas no segmento estatal, contrariando a expectativa de que o aparato governamental eliminaria as condições insalubres e criaria outras melhores nas quais prevalecesse à promoção de saúde. Diante desse panorama questionou-se porque, uma vez que, pelo menos do ponto de vista da sociedade leiga, esses servidores estão submetidos a condições privilegiadas de trabalho. O presente estudo objetivou identificar e descrever possíveis relações entre o clima organizacional e o burnout em servidores públicos de uma instituição federal de ensino. Objetivou-se ainda descrever o clima organizacional predominante. A pesquisa realizada teve cunho quantitativo, tipo estudo de caso e exploratória. A coleta de dados deu-se por meio das escalas ECO (escala de clima organizacional), ECB (escala de caracterização do burnout) e um questionário sociodemográfico, todos os instrumentos autoaplicáveis eletronicamente disponíveis à instituição. Participaram do estudo 201 servidores públicos federais, com idade média de 37 anos, majoritariamente de nível superior e casados. Os resultados revelaram que cerca de um quarto dos participantes raramente experimentaram burnout, no entanto outra quarta parte deles frequentemente experimentaram altos níveis de burnout, resultado bastante expressivo. Os servidores perceberam clima organizacional mediano, destacando-se a boa coesão entre os colegas de trabalho e a percepção de baixa recompensa. Merece destaque a grande dispersão entre as percepções de clima, o que permite inferir haver subclimas não identificados nesta investigação, possivelmente ocasionados por uma força de clima fraca e pela participação dos servidores de unidades de ensino geograficamente distintas, geridas por gestores locais com relativa autonomia. Os resultados dos cálculos de correlação revelaram que, quanto menos os participantes percebem apoio da chefia e da organização, coesão entre colegas, e mais controle/pressão, mais exaustos se sentem, mais desumanizam as pessoas com quem tratam e mais se decepcionam no trabalho e vice-versa. Conforto físico menor está associado a maior desumanização e a mais decepção no trabalho e vice-versa; e que controle/pressão, relaciona-se positiva e fracamente com desumanização e vice-versa. Desta forma, a hipótese de que existe associação entre burnout e clima organizacional foi confirmada. Os resultados também revelaram que os servidores com burnout, perceberam pior clima organizacional que os seus pares sem burnout, confirmando a segunda hipótese. Esses servidores também se mostraram neutros quanto à percepção de apoio da chefia e conforto físico; não percebem controle pressão, nem recompensa; todavia percebem coesão entre os colegas. Esses resultados sugerem que os participantes têm se apoiado nessas relações para suportar a indiferença e ausência de estímulos experimentados no trabalho. Os resultados obtidos nesse estudo permitiram concluir que o clima organizacional é fraco, provavelmente influenciado por uma cultura organizacional fraca, explicando a heterogeneidade da percepção do clima organizacional pelos servidores. Além disso, embora haja burnout entre poucos participantes, há que se atentar que cerca de um quarto deles, encontra-se acometido desta síndrome e isto poderá contagiar os demais.

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Background: sulla base delle evidenze emerse dalle rassegne sistematiche in materia (Johnstone, 1994; Cohen et al.,1998; Robson et al., 2012; Burke et al., 2006; Ricci et al., 2015) si è ipotizzato che la formazione alla salute e sicurezza sul lavoro sia maggiormente efficace quando non è presentata come obbligatoria e venga articolata su più livelli di apprendimento, attraverso metodologie adeguate per ogni livello, con docenti che abbiano caratteristiche corrispondenti allo specifico obiettivo di apprendimento e la cui durata sia parametrata all’obiettivo stesso. Obiettivo di questa ricerca è valutare se esista e quanto sia intensa la relazione causale tra la formazione alla sicurezza sul lavoro e i suoi effetti sul miglioramento delle conoscenze, degli atteggiamenti, dei comportamenti, degli esiti per la salute, del clima di sicurezza aziendale, del controllo comportamentale percepito dai lavoratori, delle condizioni operative e procedure interne, oltre l’eventuale effetto di moderazione determinato da caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti e dal gradimento della formazione. Metodo: la variabile indipendente è costituita dell’intervento formativo erogato, articolato in tre condizioni: formazione obbligatoria, formazione non obbligatoria, gruppo di controllo: sono stati posti a confronto due interventi di pari durata (16 settimane, per 10h complessive), realizzati con identiche modalità (step1 audio-visivo; step2 affiancamento su lavoro da parte del preposto; step3 discussione di auto-casi), ma differenziati rispetto all’essere presentati uno come formazione obbligatoria, l’altro come non obbligatoria. I due gruppi sono anche stati confrontati con un gruppo di controllo per il quale la formazione è prevista successivamente. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale al gruppo con obbligo formativo, senza obbligo formativo, di controllo. Sono stati presi come indicatori (variabili dipendenti) per valutare l’effetto della formazione: I livello – conoscenze: riconoscimento o produzione di un maggior numero di risposte corrette. II livello – atteggiamenti e credenze: maggiore propensione a mettere in atto comportamenti auto ed etero protettivi. III livello – comportamenti: comportamenti osservati più adeguati per la tutela della salute propria e altrui. IV livello – salute: maggior grado di benessere bio-psico-sociale auto-riferito. Le misure di esito consistono nella variazione tra la rilevazione iniziale e ogni rilevazione successiva, sulla base delle diverse misure registrate per ognuno dei quattro livelli dell’intervento formativo. Lo stesso confronto del tempo è stato realizzato per le misure del clima di sicurezza aziendale, del controllo comportamentale percepito dai lavoratori, delle condizioni operative e procedure interne, oltre l’eventuale effetto di moderazione determinato da caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti e dal gradimento della formazione, quest’ultimo misurato solo immediatamente al termine dell’intervento. Risultati: le condizioni di intervento non differiscono in termini di efficacia, la formazione determina infatti gli stessi risultati per i partecipanti del gruppo obbligo formativo e di quello non obbligo, con una significativa differenza post-intervento rispetto al gruppo di controllo. La formazione ha un effetto forte nel miglioramento delle conoscenze che solo parzialmente decade nel tempo, ma comunque mantenendo un livello maggiore rispetto ai valori iniziali. In relazione al miglioramento di atteggiamenti e comportamenti sicuri nel lavoro al Videoterminale, l’effetto della formazione è modesto: per gli atteggiamenti si registra solo un miglioramento verso l’applicazione delle procedure come utili realmente e non come mero adempimento, ma tale effetto decade entro quattro mesi riportando i partecipanti su valori iniziali; i comportamenti invece migliorano nel tempo, ma con deboli differenze tra partecipanti alla formazione e gruppo di controllo, tuttavia tale miglioramento non decade in seguito. Non si registrano invece effetti della formazione nella direzione attesa in termini di esiti per la salute, per il miglioramento del clima di sicurezza e come maggior controllo comportamentale percepito, non risultano nemmeno dati evidenti di moderazione degli effetti dovuti a caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti. Inoltre emerge che il gradimento per la formazione è correlato con migliori atteggiamenti (strumento audio-visivo), il miglioramento del clima di sicurezza e un maggior controllo comportamentale percepito (studio di auto-casi), ovvero gli step che hanno visto l’intervento di formatori qualificati. Infine, la formazione ha determinato migliori condizioni operative e l’adeguamento delle procedure interne. Conclusioni: la presente ricerca ci consente di affermare che la formazione erogata è stata efficace, oltre che molto gradita dai partecipanti, in particolare quando il formatore è qualificato per questa attività (step1 e 3). L’apprendimento prodotto è tanto più stabile nel tempo quanto più i contenuti sono in stretta relazione con l’esperienza lavorativa quotidiana dei partecipanti, mentre negli altri casi il decremento degli effetti è alquanto rapido, di conseguenza ribadiamo la necessità di erogare la formazione con continuità nel tempo. E’ risultato comunque modesto l’effetto della formazione per migliorare gli atteggiamenti e i comportamenti nel lavoro al VDT, ma, al didi alcuni limiti metodologici, sono obiettivi ambiziosi che richiedono più tempo di quanto abbiamo potuto disporre in questa occasione e il cui conseguimento risente molto delle prassi reali adottate nel contesto lavorativo dopo il termine della formazione. Le evidenze finora prodotte non hanno poi chiarito in modo definitivo se attraverso la formazione si possano determinare effetti significativi nel miglioramento di esiti per la salute, anche eventualmente attraverso interventi di supporto individuale. Inoltre l’assenza di differenze significative negli effetti tra i partecipanti assegnati alla condizione di obbligo e quelli di non obbligo, eccezion fatta in direzione opposta alle attese per la misura del danno da lavoro, suggeriscono che nell’erogare la formazione, occorre sottolineare in misura molto rilevante l’importanza dell’intervento che viene realizzato, anche qualora esistesse una prescrizione normativa cogente. Infine, la ricerca ci ha fornito anche indicazioni metodologiche e misure valide che invitano ad estendere questa formazione, e la sua valutazione di efficacia, a diversi comparti economici e svariate mansioni. Nel fare questo è possibile fare riferimento, e testare nuovamente, un modello che indica la corretta percezione del rischio (conoscenza) come fattore necessario, ma non sufficiente per ottenere, con la mediazione di atteggiamenti favorevoli allo specifico comportamento, azioni sicure, attraverso le quali si rinforza l’atteggiamento e migliorano le conoscenze. La formazione, per raggiungere i propri obiettivi, deve tuttavia agire anche sui meccanismi di conformismo sociale favorevoli alla safety, questi originano da conoscenze e azioni sicure e reciprocamente le rinforzano.

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Clusterina (CLU) è una proteina ubiquitaria, presente nella maggior parte dei fluidi corporei e implicata in svariati processi fisiologici. Dalla sua scoperta fino ad oggi, CLU è risultata essere una proteina enigmatica, la cui funzione non è ancora stata compresa appieno. Il gene codifica per 3 varianti trascrizionali identificate nel database NCBI con i codici: NM_001831 (CLU 1 in questo lavoro di tesi), NR_038335 (CLU 2 in questo lavoro di tesi) e NR_045494 (CLU 3 in questo lavoro di tesi). Tutte le varianti sono trascritte come pre-mRNA contenenti 9 esoni e 8 introni e si differenziano per l’esone 1, la cui sequenza è unica e caratteristica di ogni variante. Sebbene in NCBI sia annotato che le varianti CLU 2 e CLU 3 non sono codificanti, tramite analisi bioinformatica è stato predetto che da tutti e tre i trascritti possono generarsi proteine di differente lunghezza e localizzazione cellulare. Tra tutte le forme proteiche ipotizzate, l’unica a essere stata isolata e sequenziata è quella tradotta dall’AUG presente sull’esone 2 che dà origine a una proteina di 449 aminoacidi. Il processo di maturazione prevede la formazione di un precursore citoplasmatico (psCLU) che subisce modificazioni post-traduzionali tra cui formazione di ponti disolfuro, glicosilazioni, taglio in due catene denominate β e α prima di essere secreta come eterodimero βα (sCLU) nell’ambiente extracellulare, dove esercita la sua funzione di chaperone ATP-indipendente. Oltre alla forma extracellulare, è possibile osservare una forma intracellulare con localizzazione citosolica la cui funzione non è stata ancora completamente chiarita. Questo lavoro di tesi si è prefissato lo scopo di incrementare le conoscenze in merito ai trascritti CLU 1 e CLU 2 e alla loro regolazione, oltre ad approfondire il ruolo della forma citosolica della proteina in relazione al signaling di NF-kB che svolge un ruolo importante nel processo di sviluppo e metastatizzazione del tumore. Nella prima parte, uno screening di differenti linee cellulari, quali cellule epiteliali di prostata e di mammella, sia normali sia tumorali, fibroblasti di origine polmonare e linfociti di tumore non-Hodgkin, ha permesso di caratterizzare i trascritti CLU 1 e CLU 2. Dall’analisi è emerso che la sequenza di CLU 1 è più corta al 5’ rispetto a quella depositata in NCBI con l’identificativo NM_001831 e il primo AUG disponibile per l’inizio della traduzione è localizzato sull’esone 2. È stato dimostrato che CLU 2, al contrario di quanto riportato in NCBI, è tradotto in proteina a partire dall’AUG presente sull’esone 2, allo stesso modo in cui viene tradotto CLU 1. Inoltre, è stato osservato che i livelli d’espressione dei trascritti variano notevolmente tra le diverse linee cellulari e nelle cellule epiteliali CLU 2 è espressa sempre a bassi livelli. In queste cellule, l’espressione di CLU 2 è silenziata per via epigenetica e la somministrazione di farmaci capaci di rendere la cromatina più accessibile, quali tricostatina A e 5-aza-2’-deossicitidina, è in grado di incrementarne l’espressione. Nella seconda parte, un’analisi bioinformatica seguita da saggi di attività in vitro in cellule epiteliali prostatiche trattate con farmaci epigenetici, hanno permesso di identificare, per la prima volta in uomo, una seconda regione regolatrice denominata P2, capace di controllare l’espressione di CLU 2. Rispetto a P1, il classico promotore di CLU già ampiamente studiato da altri gruppi di ricerca, P2 è un promotore debole, privo di TATA box, che nelle cellule epiteliali prostatiche è silente in condizioni basali e la cui attività incrementa in seguito alla somministrazione di farmaci epigenetici capaci di alterare le modificazioni post-traduzionali delle code istoniche nell’intorno di P2. Ne consegue un rilassamento della cromatina e un successivo aumento di trascrizione di CLU 2. La presenza di un’isola CpG differentemente metilata nell’intorno di P1 spiegherebbe, almeno in parte, i differenti livelli di espressione di CLU che si osservano tra le diverse linee cellulari. Nella terza parte, l’analisi del pathway di NF-kB in un modello sperimentale di tumore prostatico in cui CLU è stata silenziata o sovraespressa, ha permesso di capire come la forma citosolica di CLU abbia un ruolo inibitorio nei confronti dell’attività del fattore trascrizionale NF-kB. CLU inibisce la fosforilazione e l’attivazione di p65, il membro più rappresentativo della famiglia NF-kB, con conseguente riduzione della trascrizione di alcuni geni da esso regolati e coinvolti nel rimodellamento della matrice extracellulare, quali l’urochinasi attivatrice del plasminogeno, la catepsina B e la metallo proteinasi 9. È stato dimostrato che tale inibizione non è dovuta a un’interazione fisica diretta tra CLU e p65, per cui si suppone che CLU interagisca con uno dei componenti più a monte della via di segnalazione responsabile della fosforilazione ed attivazione di p65.

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Toxoplasma gondii is a coccidian parasite with a global distribution. The definitive host is the cat (and other felids). All warm-blooded animals can act as intermediate hosts, including humans. Sexual reproduction (gametogony) takes place in the final host and oocysts are released in the environment, where they then sporulate to become infective. In intermediate hosts the cycle is extra-intestinal and results in the formation of tachyzoites and bradyzoites. Tachyzoites represent the invasive and proliferative stage and on entering a cell it multiplies asexually by endodyogeny. Bradyzoites within tissue cysts are the latent form. T. gondii is a food-borne parasite causing toxoplasmosis, which can occur in both animals and humans. Infection in humans is asymptomatic in more than 80% of cases in Europe and North-America. In the remaining cases patients present fever, cervical lymphadenopathy and other non-specific clinical signs. Nevertheless, toxoplasmosis is life threatening if it occurs in immunocompromised subjects. The main organs involved are brain (toxoplasmic encephalitis), heart (myocarditis), lungs (pulmonary toxoplasmosis), eyes, pancreas and parasite can be isolated from these tissues. Another aspect is congenital toxoplasmosis that may occur in pregnant women and the severity of the consequences depends on the stage of pregnancy when maternal infection occurs. Acute toxoplasmosis in developing foetuses may result in blindness, deformation, mental retardation or even death. The European Food Safety Authority (EFSA), in recent reports on zoonoses, highlighted that an increasing numbers of animals resulted infected with T. gondii in EU (reported by the European Member States for pigs, sheep, goats, hunted wild boar and hunted deer, in 2011 and 2012). In addition, high prevalence values have been detected in cats, cattle and dogs, as well as several other animal species, indicating the wide distribution of the parasite among different animal and wildlife species. The main route of transmission is consumption of food and water contaminated with sporulated oocysts. However, infection through the ingestion of meat contaminated with tissue cysts is frequent. Finally, although less frequent, other food products contaminated with tachyzoites such as milk, may also pose a risk. The importance of this parasite as a risk for human health was recently highlighted by EFSA’s opinion on modernization of meat inspection, where Toxoplasma gondii was identified as a relevant hazard to be addressed in revised meat inspection systems for pigs, sheep, goats, farmed wild boar and farmed deer (Call for proposals -GP/EFSA/BIOHAZ/2013/01). The risk of infection is more highly associated to animals reared outside, also in free-range or organic farms, where biohazard measure are less strict than in large scale, industrial farms. Here, animals are kept under strict biosecurity measures, including barriers, which inhibit access by cats, thus making soil contamination by oocysts nearly impossible. A growing demand by the consumer for organic products, coming from free-range livestock, in respect of animal-welfare, and the desire for the best quality of derived products, have all led to an increase in the farming of free-range animals. The risk of Toxoplasma gondii infection increases when animals have access to environment and the absence of data in Italy, together with need for in depth study of both the prevalence and genotypes of Toxoplasma gondii present in our country were the main reasons for the development of this thesis project. A total of 152 animals have been analyzed, including 21 free-range pigs (Suino Nero race), 24 transhumant Cornigliese sheep, 77 free-range chickens and 21 wild animals. Serology (on meat juice) and identification of T. gondii DNA through PCR was performed on all samples, except for wild animals (no serology). An in-vitro test was also applied with the aim to find an alternative and valid method to bioassay, actually the gold standard. Meat samples were digested and seeded onto Vero cells, checked every day and a RT-PCR protocol was used to determine an eventual increase in the amount of DNA, demonstrating the viability of the parasite. Several samples were alos genetically characterized using a PCR-RFLP protocol to define the major genotypes diffused in the geographical area studied. Within the context of a project promoted by Istituto Zooprofilattico of Pavia and Brescia (Italy), experimentally infected pigs were also analyzed. One of the aims was to verify if the production process of cured “Prosciutto di Parma” is able to kill the parasite. Our contribution included the digestion and seeding of homogenates on Vero cells and applying the Elisa test on meat juice. This thesis project has highlighted widespread diffusion of T. gondii in the geographical area taken into account. Pigs, sheep, chickens and wild animals showed high prevalence of infection. The data obtained with serology were 95.2%, 70.8%, 36.4%, respectively, indicating the spread of the parasite among numerous animal species. For wild animals, the average value of parasite infection determined through PCR was 44.8%. Meat juice serology appears to be a very useful, rapid and sensitive method for screening carcasses at slaughterhouse and for marketing “Toxo-free” meat. The results obtained on fresh pork meat (derived from experimentally infected pigs) before (on serum) and after (on meat juice) slaughter showed a good concordance. The free-range farming put in evidence a marked risk for meat-producing animals and as a consequence also for the consumer. Genotyping revealed the diffusion of Type-II and in a lower percentage of Type-III. In pigs is predominant the Type-II profile, while in wildlife is more diffused a Type-III and mixed profiles (mainly Type-II/III). The mixed genotypes (Type-II/III) could be explained by the presence of mixed infections. Free-range farming and the contact with wildlife could facilitate the spread of the parasite and the generation of new and atypical strains, with unknown consequences on human health. The curing process employed in this study appears to produce hams that do not pose a serious concern to human health and therefore could be marketed and consumed without significant health risk. Little is known about the diffusion and genotypes of T. gondii in wild animals; further studies on the way in which new and mixed genotypes may be introduced into the domestic cycle should be very interesting, also with the use of NGS techniques, more rapid and sensitive than PCR-RFLP. Furthermore wildlife can become a valuable indicator of environmental contamination with T. gondii oocysts. Other future perspectives regarding pigs include the expansion of the number of free-range animals and farms and for Cornigliese sheep the evaluation of other food products as raw milk and cheeses. It should be interesting to proceed with the validation of an ELISA test for infection in chickens, using both serum and meat juice on a larger number of animals and the same should be done also for wildlife (at the moment no ELISA tests are available and MAT is the reference method for them). Results related to Parma ham do not suggest a concerning risk for consumers. However, further studies are needed to complete the risk assessment and the analysis of other products cured using technological processes other than those investigated in the present study. For example, it could be interesting to analyze products such as salami, produced with pig meat all over the Italian country, with very different recipes, also in domestic and rural contexts, characterized by a very short period of curing (1 to 6 months). Toxoplasma gondii is one of the most diffuse food-borne parasites globally. Public health safety, improved animal production and protection of endangered livestock species are all important goals of research into reliable diagnostic tools for this infection. Future studies into the epidemiology, parasite survival and genotypes of T. gondii in meat producing animals should continue to be a research priority.

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Elemento centrale della presente tesi dottorale è il costrutto di perspective taking, definibile come l’abilità, emergente nei bambini intorno a 4-5 anni, di assumere la prospettiva altrui secondo tre differenti dimensioni: emotiva, cognitiva e percettiva (Bonino, Lo Coco, Tani, 1998; Moll e Meltzoff, 2011). Dalla letteratura emerge come il perspective taking, in quanto abilità di comprensione sociale, rivesta un ruolo adattivo e sia fondamentale per lo sviluppo, non solo intellettivo, ma anche per la formazione di adeguate capacità relazionali e sociali (Jenkins e Astington, 2000; Weil et al., 2011). Sulla base di tali considerazioni, alcuni ricercatori si sono interrogati sulla possibilità di insegnare questa abilità, elaborando specifiche e differenti procedure di intervento finalizzate ad incrementare l’abilità di perspective taking sia in bambini a sviluppo normativo (Cigala e Mori, 2015), sia in gruppi di bambini a sviluppo atipico (Fisher e Happé, 2005; Heagle e Rehfeldt, 2006; Paynter e Peterson, 2012). A partire da una prospettiva teorica socio-costruzionista, secondo cui l’acquisizione del perspective taking si configura come un’impresa di co-costruzione continua, all’interno di interazioni quotidiane con figure significative per il bambino, si è deciso di analizzare il perspective taking non solo in relazione a variabili individuali (genere, età del bambino, regolazione emotiva, abilità sociali) ma anche e soprattutto a variabili contestuali quali le caratteristiche del contesto familiare (caratteristiche disposizionali e stili genitoriali di socializzazione emotiva, presenza di fratelli). Sono stati in particolare indagati un contesto familiare normativo ed uno caratterizzato da maltrattamento psicologico, contrassegnato dalla reiterazione di comportamenti inadeguati (critiche svalutanti, denigrazione, umiliazione, minacce verbali, indifferenza) nei confronti del minore, che convogliano sul bambino l’idea di non essere amato e di avere poco valore. Con i termini “a sviluppo tipico” si intendono i bambini per i quali non sussista una diagnosi clinica e con quelli di “famiglie normative” ci si riferisce a nuclei per i quali non ci siano state segnalazioni da parte dei Servizi Educativi e Sociali di riferimento, indipendentemente dalle caratteristiche della composizione del nucleo familiare (nucleare, estesa, multipla, ricostituita o ricomposta). Tale studio rientra in un ampio progetto di ricerca e formazione che ha coinvolto più di 250 prescolari frequentanti 8 scuole dell’infanzia e 15 comunità terapeutiche e di accoglienza mamma-bambino, situate in differenti province del Nord Italia. Il gruppo dei partecipanti alla ricerca si è composto di 256 bambini in età prescolare, compresa quindi tra 3 e 5 anni (M=54,39; DS=5,705): 128 maschi (M=54,08; DS=5,551) e 128 femmine (M=54,70; DS=5,860). In particolare, 213 bambini appartenevano a famiglie normative e 43 a nuclei familiari caratterizzati dalla presenza di maltrattamento psicologico. Oltre ai bambini, la ricerca ha previsto il coinvolgimento di 155 coppie di genitori, 43 madri ospitate in comunità, 18 insegnanti e 30 operatori. Obiettivo centrale è stato l’indagine della possibilità di poter promuovere il perspective taking in bambini di età prescolare a sviluppo tipico appartenenti a due differenti tipologie di contesto familiare (normativo e psicologicamente maltrattante), attraverso l’applicazione di uno specifico percorso di training di natura “ecologica” all’interno della scuola dell’infanzia e della comunità, assimilabile a quelli di tipo evidence based. In particolare è stata prevista una procedura quasi sperimentale di tipo pre-test, training, post-test e follow-up. Dopo una preliminare valutazione dello sviluppo del perspective taking nelle sue tre componenti, in bambini appartenenti ad entrambi i contesti, si è voluto verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra questa abilità ed alcune capacità socio-emotive dei bambini, con particolare riferimento alla disposizione prosociale, rilevate nel contesto scolastico attraverso differenti metodologie (osservazioni dirette non partecipanti, questionari self report compilati dalle insegnanti). Inoltre, data l’importanza del contesto familiare per lo sviluppo di tale abilità, la ricerca ha avuto lo scopo di verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra le abilità di perspective taking mostrate dai bambini e gli stili di socializzazione emotiva delle figure familiari, caratteristiche di entrambi i contesti (maltrattante e non maltrattante). È stato inoltre previsto uno studio di confronto tra i due campioni rispetto alle dimensioni indagate. I risultati ottenuti sono stati particolarmente interessanti. Innanzitutto, le esperienze di training hanno determinato, in entrambi i contesti, miglioramenti nell’abilità dei prescolari di mettersi nei panni altrui. Tale training ha inoltre dimostrato effetti positivi sulla competenza sociale dei bambini, che, a seguito del percorso, hanno manifestato un incremento dei comportamenti prosociali ed una diminuzione di quelli aggressivi. Per lo studio in contesto normativo, è stato inoltre dimostrato un mantenimento delle abilità acquisite a seguito del training attraverso un follow-up a distanza di 4 mesi dal termine dell’intervento. Il positivo esito di tale percorso sembra quindi rappresentare un’importante risorsa per i prescolari, soprattutto in caso di situazioni in cui l’abilità di perspective taking risulti deficitaria. Il confronto dei due gruppi a seguito del training ha evidenziato come non siano emerse differenze significative, rispetto al perspective taking, ad eccezione della dimensione emotiva, in cui le prestazioni dei prescolari maltrattati sono risultate inferiori, come già evidenziato prima del training. Tali risultati non giungono però inaspettati, poiché, sebbene il percorso abbia agito significativamente sull’abilità di comprensione delle emozioni altrui di questi bambini, non si configura come sufficiente a ristrutturare così profondamente le problematiche presentate. Interessanti sono stati altresì i risultati ottenuti dall’analisi degli stili di socializzazione emotiva, dei genitori (madri e padri) dei prescolari non maltrattati e delle mamme dei bambini residenti in comunità. In particolare è emerso come, stili accettanti e di tipo coaching nei confronti delle emozioni negative dei bambini, siano positivamente correlati con il perspective taking dei figli, e come all’opposto, stili rifiutanti rispetto alle espressioni emotive negative dei propri bambini, mostrino correlazioni negative con le abilità di perspective taking dei figli. Oltre ad interessi di ordine teorico e metodologico, è possibile quindi affermare come, il presente lavoro di tesi, sia stato guidato da fini applicativi, affinché la ricerca scientifica possa tradursi in pratiche educative quotidiane da applicare ai contesti di vita significativi per i bambini.

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Background: in both Spain and Italy the number of immigrants has strongly increased in the last 20 years, currently representing more than the 10% of workforce in each country. The segregation of immigrants into unskilled or risky jobs brings negative consequences for their health. The objective of this study is to compare prevalence of work-related health problems between immigrants and native workers in Italy and Spain. Methods: data come from the Italian Labour Force Survey (n=65 779) and Spanish Working Conditions Survey (n=11 019), both conducted in 2007. We analyzed merged datasets to evaluate whether interviewees, both natives and migrants, judge their health being affected by their work conditions and, if so, which specific diseases. For migrants, we considered those coming from countries with a value of the Human Development Index lower than 0.85. Logistic regression models were used, including gender, age, and education as adjusting factors. Results: migrants reported skin diseases (Mantel-Haenszel pooled OR=1.49; 95%CI: 0.59-3.74) and musculoskeletal problems among those employed in agricultural sector (Mantel-Haenszel pooled OR=1.16; 95%CI: 0.69-1.96) more frequently than natives; country-specific analysis showed higher risks of musculoskeletal problems among migrants compared to the non-migrant population in Italy (OR=1.17; 95% CI: 0.48-1.59) and of respiratory problems in Spain (OR=2.02; 95%CI: 1.02-4.0). In both countries the risk of psychological stress was predominant among national workers. Conclusions: this collaborative study allows to strength the evidence concerning the health of migrant workers in Southern European countries.

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It is almost 20 years since a series of conferences known as CULT (Corpus Use and Learning to Translate) started. The first and second took place in Bertinoro, Italy, back in 1997 and 2000, respectively. The third was held in 2004 in Barcelona, and the fourth in 2015 in Alicante. Each was organized by a few enthusiastic lecturers and scholars who also happened to be corpus lovers. Guy Aston, Silvia Bernardini, Dominic Stewart and Federico Zanettin, from the Universitá di Bologna; Allison Beeby, Patricia Rodríguez-Inés and Pilar Sánchez-Gijón, from the Universitat Autònoma de Barcelona; and Daniel Gallego-Hernández, from the Universidad de Alicante, organized CULT conferences in the belief that spreading the word about the usefulness of corpora for teaching and professional translation purposes would have positive results.

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n. s. v. 2

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