990 resultados para Régulation intersubjective


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La mia tesi si riallaccia al dibattito teorico-letterario contemporaneo sulla possibilità di un approccio cognitivo alla narrativa e alla letteratura in particolare. Essa si propone di esplorare il rapporto tra narrazione ed esperienza, ridefinendo il concetto di “esperienzialità” della narrativa introdotto da Monika Fludernik nel suo Towards a “Natural” Narratology (1996). A differenza di Fludernik, che ha identificato l’esperienzialità con la rappresentazione dell’esperienza dei personaggi, la mia trattazione assegna un ruolo di primo piano al lettore, cercando di rispondere alla domanda: perché leggere una storia è – o si costituisce come – un’esperienza? L’intuizione dietro tutto ciò è che le teorizzazioni dell’esperienza e della coscienza nella filosofia della mente degli ultimi venti anni possano gettare luce sull’interazione tra lettori e testi narrativi. Il mio punto di riferimento principale è la scienza cognitiva “di seconda generazione”, secondo cui l’esperienza è un relazionarsi attivo e corporeo al mondo. La prima parte del mio studio è dedicata all’intreccio tra la narrativa e quello che chiamo lo “sfondo esperienziale” di ogni lettore, un repertorio di esperienze già note ai lettori attraverso ripetute interazioni con il mondo fisico e socio-culturale. Mi soffermo inoltre sul modo in cui relazionarsi a un testo narrativo può causare cambiamenti e slittamenti in questo sfondo esperienziale, incidendo sulla visione del mondo del lettore. Mi rivolgo poi al coinvolgimento corporeo del lettore, mostrando che la narrativa può attingere allo sfondo esperienziale dei suoi fruitori anche sul piano dell’esperienza di base: le simulazioni corporee della percezione contribuiscono alla nostra comprensione delle storie, incidendo sia sulla ricostruzione dello spazio dell’ambientazione sia sulla relazione intersoggettiva tra lettori e personaggi. Infine, mi occupo del rapporto tra l’esperienza della lettura e la pratica critico-letteraria dell’interpretazione, sostenendo che – lungi dal costituire due modalità opposte di fruizione dei testi – esse sono intimamente connesse.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Il mio progetto di ricerca è nato da una riflessione concernente una domanda fondamentale che si pongono gli studiosi della comunicazione digitale: le attuali tecnologie mediali che hanno creato nuovi modelli comunicativi e inaugurato inedite modalità di interrelazione sociale conducono a un dualismo digitale o a una realtà aumentata? Si è cercato di dare una risposta a questo interrogativo attraverso un’indagine compiuta su un social network, Facebook, che è la piattaforma digitale più diffusa nel mondo. L’analisi su Facebook, è stata preceduta da una riflessione sui concetti dello spazio e del tempo elaborati dalla letteratura filosofica e sociologica. Tale riflessione è stata propedeutica all’analisi volta a cogliere l’impatto che hanno avuto sulla relazionalità intersoggettiva e sulle dinamiche di realizzazione del sé l’interazione semantica nello spazio delimitato della piazza tradizionale, la molteplicità e la potenza seduttiva delle offerte comunicative dei media elettronici nella estensione della piazza massmediale e soprattutto la nascita e l’affermazione del cyberspazio come luogo della comunicazione nella piazza digitale. Se la peculiarità della piazza tradizionale è nel farsi dei rapporti face to face e quella della piazza massmediale nella funzione rilevante della fonte rispetto al destinatario, la caratteristica della piazza digitale consiste nella creazione autonoma di un orizzonte inclusivo che comprende ogni soggetto che si collega con la rete il quale, all’interno del network, riveste il doppio ruolo di consumatore e di produttore di messaggi. Con l’avvento dell’online nella prassi della relazionalità sociale si producono e si attuano due piani di interazioni comunicative, uno relativo all’online e l’altro relativo all’offline. L’ipotesi di lavoro che è stata guida della mia ricerca è che la pervasività dell’online conduca all’integrazione dei due segmenti comunicativi: l’esperienza della comunicazione digitale si inserisce nella prassi sociale quotidiana arricchendo i rapporti semantici propri della relazione face to face e influenzandoli profondamente.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La ricerca ha preso le mosse da tre ipotesi fondamentali: 1) Esiste un legame tra processi cognitivi di basso ed alto livello; 2) Lo spazio senso-motorio è una percezione soggettiva; 3) Lo spazio senso-motorio varia in funzione delle diverse modalità di interazione sociale. La tesi sostiene che lo spazio senso-motorio si lascia modulare dalla semplice co-presenza di un altro agente umano e da interazioni cooperative e non cooperative. I capitoli I, II, III, hanno lo scopo di scomporre e spiegare il significato della prima, seconda e terza ipotesi; giungendo a formulare la tesi centrale che sarà poi dimostrata sperimentalmente nel capitolo IV. Il capitolo V introduce future linee di ricerca nell’ambito dell’etica proponendo una nuova ipotesi sul legame che potrebbe sussistere tra la percezione dello spazio durante l’interazione sociale e i giudizi morali. Il lavoro svolto chiama ad operare insieme diverse discipline che concorrono a formare le scienze cognitive: la storia della filosofia, la filosofia della mente contemporanea, la neuropsicologia sperimentale ed alcuni temi della psicologia sociale.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

„Ich bin, weil du bist“ – so lautet eines der Schlüsselzitate in What I Loved, dem 2003 erschienenen dritten Roman der zeitgenössischen amerikanischen Autorin Siri Hustvedt. Die Bedeutung von Beziehung und Interaktion für die Identitätsbildung spielt eine zentrale Rolle nicht nur in diesem Roman, sondern auch in ihrem Gesamtwerk, das vier Romane, ein memoir, drei Essay-Sammlungen und einen Lyrikband umfasst. Hustvedt erforscht die Identität als ein vielschichtiges Produkt bewusster und unbewusster Verknüpfungen innerhalb der sozialen und biologischen Umwelt. Das Bewusstsein wird als eine dialogisch geprägte Entität gezeigt, dessen Identität erst durch die Beziehung auf ein Anderes geformt werden kann. Um dem Mysterium der menschlichen Identitätsfindung nachzuspüren, bedient sich Hustvedt sowohl philosophischer, psychoanalytischer, biologischer als auch kunsttheoretischer Diskurse. In ihren Romanen stellt sich die Frage nach der Erklärung von Identität als komplexe Problematik dar: Ist die Beziehung zu anderen Menschen vor allem durch unsere Entwicklung als Kind und die Nähe zu Bezugspersonen geprägt? In welchem Ausmaß ist das Empfinden von Subjektivität beeinflusst von körperlichen und unbewussten Mechanismen? Inwiefern ist die Wahrnehmung visueller Kunst eine Kooperation zwischen Betrachter und Künstler? rnDiesen und anderen Fragen geht diese Dissertation nach, indem sie Hustvedts Werk als Anlass für eine Analyse intersubjektiver Strukturen der Identität nimmt. Die Intersubjektivitätsphiloso¬phien von Hegel, Buber, Bakhtin, Husserl, und Merleau-Ponty dienen hierbei als Ausgangspunkt für die Interpretation von relationaler Identität in Hustvedts Werken. Die Dissertation konzentriert sich auf Hustvedts Darstellung der Beziehung zwischen Selbst und Anderem in der Photographie und in der Malerei, der Überschreitung von Körpergrenzen in Hysterie und Anorexie sowie der Auswirkung des Verlustes von Bezugspersonen auf die persönliche Identität. Entscheidend für den Hustvedtschen Kunstbegriff ist das Zusammenspiel von Kunstobjekt, Künstler und Betrachter. Die Grenzen zwischen Innerem und Äußeren werden aufgelöst: mal wird der Rezipient Teil des Kunstwerks, mal verschmilzt der Künstler förmlich mit seinem Objekt. Auch hier wird wiederum deutlich, dass Identität nur in Wechselbeziehung und als zwischenmenschliche Kooperation entsteht. Hustvedt betritt durch ihre einzigartige Auseinandersetzung mit den Wechselbeziehungen und fragilen Grenzen zwischen Ich und Umwelt Neuland auf dem Gebiet der literarischen Identitätsforschung, da sie ihr Prinzip des „mixing,“ des unausweichlichen Eindringens fremder Substanz in die eigene Identität, aus dem Blickwinkel dieser verschiedenen Erklärungsansätze beleuchtet. rn

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Sustainable natural resource use requires that multiple actors reassess their situation in a systemic perspective. This can be conceptualised as a social learning process between actors from rural communities and the experts from outside organisations. A specifically designed workshop oriented towards a systemic view of natural resource use and the enhancement of mutual learning between local and external actors, provided the background for evaluating the potentials and constraints of intensified social learning processes. Case studies in rural communities in India, Bolivia, Peru and Mali showed that changes in the narratives of the participants of the workshop followed a similar temporal sequence relatively independently from their specific contexts. Social learning processes were found to be more likely to be successful if they 1) opened new space for communicative action, allowing for an intersubjective re-definition of the present situation, 2) contributed to rebalance the relationships between social capital and social, emotional and cognitive competencies within and between local and external actors.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Many things have been said about literature after postmodernism, but one point there seems to be some agreement on is that it does not turn its back radically on its postmodernist forerunner, but rather generally continues to heed and value their insights. There seems to be something strikingly non-oedipal about the recent aesthetic shift. It is a project of reconstruction that remains deeply rooted in postmodernist tenets. Such an essentially non-oedipal attitude, I would argue, is central to the nature of the reconstructive shift. This, however, also raises questions about the wider cultural context from which such an aesthetic stance arises. If postmodernism was nurtured by the revolutionary spirits of the late 1960s, reconstruction faces a different world with different strategies. Instead of the postmodernist urge to subvert, expose and undermine, reconstruction yearns towards tentative and fragile intersubjective understanding, towards responsibility and community. Instead of revolt and rebellion it explores reconciliation and compromise. One instance in which this becomes visible in reconstructive narratives is the recurring figure of the lost father. Missing father figures abound in recent novels by authors like Mark Z. Danielewski, Dave Eggers, Yann Mantel, David Mitchell etc. It almost seems like a younger generation is yearning for the fathers which postmodernism has struggled hard to do away with. My paper will focus on one particularly striking example to explore the implications of this development: Daniel Wallace’s novel Big Fish and Tim Burton’s well-known film adaptation of the same. In their negotiation of fact and fiction, of doubt and belief, of freedom and responsibility, all of which converge in a father-son relationship, they serve well to illustrate central characteristics and concerns of recent attempts to leave postmodernism behind.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Throughout the last decades, narrative approaches have become quintessential tools for understanding crisis and displacement. While a focus on individual stories allows for a deep look into the particularity of being-displaced, it simultaneously runs the risk of romanticising the outcome (the life story) of what is indeed the product of a rather complex process (the telling of the life story). In this paper I will discuss a change of perspectives: Rather than laying the focus on life stories as texts, I will suggest to shift the attention towards the existential dynamics of storytelling. By zooming in on my longstanding collaboration with a Somali woman in Melbourne, Australia, I will map out the interplay of telling and being that marked this process. Focusing on one particular storytelling moment, I will suggest the importance of appreciating the intersubjective force of storytelling. Rather than melting the set of stories into a coherent “life story”, I will look at the storytelling moment in its lived messiness. In doing so, I will sketch out its potential to shed light both on the teller’s hopes, imaginations and ambitions, and on the reality of being part of a wider world that often contradicts and shatters these hopes.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

The digestive tract is colonized from birth by a bacterial population called the microbiota which influences the development of the immune system. Modifications in its composition are associated with problems such as obesity or inflammatory bowel diseases. Antibiotics are known to influence the intestinal microbiota but other environmental factors such as cigarette smoking also seem to have an impact on its composition. This influence might partly explain weight gain which is observed after smoking cessation. Indeed there is a modification of the gut microbiota which becomes similar to that of obese people with a microbiotical profile which is more efficient to extract calories from ingested food. These new findings open new fields of diagnostic and therapeutic approaches through the regulation of the microbiota.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Según Dilthey, el análisis formalista llevado adelante por la gnoseología de Kant no logra comprender el mundo humano, por su parte, Hegel si aborda al hombre histórico, pero subsume su mundo al despliegue de la razón o el saber absoluto. El proyecto de una fundamentación de las ciencias del espíritu llevado adelante por Dilthey busca adentrarse en el mundo humano concibiéndolo como el conjunto de manifestaciones objetivadas de la vida. Kant y Hegel se convierten en sus interlocutores, pero también Comte con quien se enfrenta en pos de fundamentar la autonomía metodológica de las ciencias del espíritu. Sostengo que la noción tardía de «espíritu objetivo», que Dilthey toma de Hegel, pero que la concibe como el devenir de la vida política y cultural, permite releer toda la filosofía de Dilthey con otra perspectiva. El presente estudio no busca realizar un análisis comparativo entre Dilthey y Hegel, sino partir de la recepción que el primero hace del segundo a los efectos de comprender su filosofía. En este sentido, para Dilthey el «espíritu objetivo» está constituido por el conjunto de las organizaciones exteriores de la sociedad ?la estructura político-jurídica de la sociedad- y por las formas culturales como arte, religión y filosofía. El hombre es quien, según Dilthey, produce estas instituciones las cuales a su vez le anteceden y le sucederán en su existencia. En este sentido Dilthey concibe al hombre como un ser histórico y un «punto de cruce» de las distintas objetivaciones históricas. Este mundo compartido es el mundo histórico ?expresado a través de las nociones como Gemeinsamkeit, objektive Geist, verwebt y kreuzungspunkt-, aquel que contiene el conjunto de experiencia de vidas acumuladas y las expectativas de futuro. En síntesis, se sostiene que para Dilthey el mundo es manifestación objetiva de la vida ? fenomenología del espíritu-, siendo el espíritu objetivo o la vida objetivada, un producto del devenir de la vida humana. Es decir, en el mundo histórico actúan individuos dotados de voluntad- en una conexión estructural con su entorno, como «puntos de cruce» de las distintas objetivaciones. Es decir, la preocupación histórico sistemática diltheyana gira en torno al tema del hombre ?sujeto individual, «punto de cruce»- y lo socio-histórico ?mundo intersubjetivo y espíritu objetivo, manifestación objetivada de la vida-. Así, el hombre juega, para Dilthey, un papel central en la historia y en el despliegue de la vida. Todos los estudios gnoseológicos, epistemológicos, históricos y toda fundamentación sistemática es producto de las conexiones de vida. La importancia de los individuos, sus propias manifestaciones de vida y el «espíritu objetivo» -centros de análisis de las ciencias del espíritu-, permite comprender a la filosofía diltheyana como una filosofía de la intersubjetividad, en oposición a las interpretaciones clásicas que hacían que ella cayera en un psicologismo-empático. Asimismo, el plano de la exteriorización de las acciones individuales y sociales le permite a Dilthey encontrar un saber objetivo para las ciencias del espíritu

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El presente trabajo tiene como finalidad considerar la orientación del siglo XXI en Venezuela como una disciplina con un alto compromiso social. Como programa, debe, hoy día, redefinirse con el objeto de impulsar propuestas conducentes a la inclusión de todas aquellas personas, que tradicionalmente han sido excluidas por su raza, etnia, género y/o discapacidad física y que como praxis social esté dirigida a la facilitación de los procesos de desarrollo humano en las dimensiones del Ser, Convivir, Servir, Conocer y Hacer, en el contexto personal, familiar y comunitario a lo largo del continuo del ciclo vital. L as competencias adquiridas a través de los procesos de orientación, son determinantes para proporcionar los medios a las ciudadanas y los ciudadanos para gestionar su propio desarrollo y el de su comunidad Se plantea la necesidad de un cambio de paradigma que deje atrás la clásica postura de un orientador que ayuda al orientado, desde el que conoce, el que tiene experiencia. Se sugiere más bien una relación de orientación intersubjetiva. Por otra parte, se habla de la necesidad de fortalecer el capital social de los espacios que contextualizan el proceso orientador. Se explican además, los alcances del Sistema Nacional de Orientación.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

The following article deals with knowledge, relationships, representations and values that pupils together with teachers perform daily at school. It includes our research project called "Adolescence and School" which has been implemented since 1995 in our Institution, subject called "Psychological Foundation on education". Throughout its development, we have tried to get to know about in what positions teachers and students are towards knowledge. Our purpose is to make a critic- reflexive perspective possible on the part of university students who are to become teachers, as regards their knowledge on how students are formed on the E.G.B and Polimodal school levels. What plays one of the main roles on the student's career choice is their getting closer to the educative institution as well as to their teachers and the culture of the school. We have chosen a qualitative perspective for this article. Our proceedings on the working field are focused on teacher's interviews and on the participation of two or three students that had access to the concretion of a semi-structured interview. A central topic within teacher's and student's speeches were the topics dealt in class and their motivation, been there a convergence with respect to the effects that these factors have over learning. Therefore, there is no reflection by the actors as regards the role that intention and willingness play in teacher-student-knowledge relationship and its projection in the teaching-learning process.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El presente trabajo tiene como finalidad considerar la orientación del siglo XXI en Venezuela como una disciplina con un alto compromiso social. Como programa, debe, hoy día, redefinirse con el objeto de impulsar propuestas conducentes a la inclusión de todas aquellas personas, que tradicionalmente han sido excluidas por su raza, etnia, género y/o discapacidad física y que como praxis social esté dirigida a la facilitación de los procesos de desarrollo humano en las dimensiones del Ser, Convivir, Servir, Conocer y Hacer, en el contexto personal, familiar y comunitario a lo largo del continuo del ciclo vital. L as competencias adquiridas a través de los procesos de orientación, son determinantes para proporcionar los medios a las ciudadanas y los ciudadanos para gestionar su propio desarrollo y el de su comunidad Se plantea la necesidad de un cambio de paradigma que deje atrás la clásica postura de un orientador que ayuda al orientado, desde el que conoce, el que tiene experiencia. Se sugiere más bien una relación de orientación intersubjetiva. Por otra parte, se habla de la necesidad de fortalecer el capital social de los espacios que contextualizan el proceso orientador. Se explican además, los alcances del Sistema Nacional de Orientación.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Según Dilthey, el análisis formalista llevado adelante por la gnoseología de Kant no logra comprender el mundo humano, por su parte, Hegel si aborda al hombre histórico, pero subsume su mundo al despliegue de la razón o el saber absoluto. El proyecto de una fundamentación de las ciencias del espíritu llevado adelante por Dilthey busca adentrarse en el mundo humano concibiéndolo como el conjunto de manifestaciones objetivadas de la vida. Kant y Hegel se convierten en sus interlocutores, pero también Comte con quien se enfrenta en pos de fundamentar la autonomía metodológica de las ciencias del espíritu. Sostengo que la noción tardía de «espíritu objetivo», que Dilthey toma de Hegel, pero que la concibe como el devenir de la vida política y cultural, permite releer toda la filosofía de Dilthey con otra perspectiva. El presente estudio no busca realizar un análisis comparativo entre Dilthey y Hegel, sino partir de la recepción que el primero hace del segundo a los efectos de comprender su filosofía. En este sentido, para Dilthey el «espíritu objetivo» está constituido por el conjunto de las organizaciones exteriores de la sociedad ?la estructura político-jurídica de la sociedad- y por las formas culturales como arte, religión y filosofía. El hombre es quien, según Dilthey, produce estas instituciones las cuales a su vez le anteceden y le sucederán en su existencia. En este sentido Dilthey concibe al hombre como un ser histórico y un «punto de cruce» de las distintas objetivaciones históricas. Este mundo compartido es el mundo histórico ?expresado a través de las nociones como Gemeinsamkeit, objektive Geist, verwebt y kreuzungspunkt-, aquel que contiene el conjunto de experiencia de vidas acumuladas y las expectativas de futuro. En síntesis, se sostiene que para Dilthey el mundo es manifestación objetiva de la vida ? fenomenología del espíritu-, siendo el espíritu objetivo o la vida objetivada, un producto del devenir de la vida humana. Es decir, en el mundo histórico actúan individuos dotados de voluntad- en una conexión estructural con su entorno, como «puntos de cruce» de las distintas objetivaciones. Es decir, la preocupación histórico sistemática diltheyana gira en torno al tema del hombre ?sujeto individual, «punto de cruce»- y lo socio-histórico ?mundo intersubjetivo y espíritu objetivo, manifestación objetivada de la vida-. Así, el hombre juega, para Dilthey, un papel central en la historia y en el despliegue de la vida. Todos los estudios gnoseológicos, epistemológicos, históricos y toda fundamentación sistemática es producto de las conexiones de vida. La importancia de los individuos, sus propias manifestaciones de vida y el «espíritu objetivo» -centros de análisis de las ciencias del espíritu-, permite comprender a la filosofía diltheyana como una filosofía de la intersubjetividad, en oposición a las interpretaciones clásicas que hacían que ella cayera en un psicologismo-empático. Asimismo, el plano de la exteriorización de las acciones individuales y sociales le permite a Dilthey encontrar un saber objetivo para las ciencias del espíritu

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El presente trabajo tiene como finalidad considerar la orientación del siglo XXI en Venezuela como una disciplina con un alto compromiso social. Como programa, debe, hoy día, redefinirse con el objeto de impulsar propuestas conducentes a la inclusión de todas aquellas personas, que tradicionalmente han sido excluidas por su raza, etnia, género y/o discapacidad física y que como praxis social esté dirigida a la facilitación de los procesos de desarrollo humano en las dimensiones del Ser, Convivir, Servir, Conocer y Hacer, en el contexto personal, familiar y comunitario a lo largo del continuo del ciclo vital. L as competencias adquiridas a través de los procesos de orientación, son determinantes para proporcionar los medios a las ciudadanas y los ciudadanos para gestionar su propio desarrollo y el de su comunidad Se plantea la necesidad de un cambio de paradigma que deje atrás la clásica postura de un orientador que ayuda al orientado, desde el que conoce, el que tiene experiencia. Se sugiere más bien una relación de orientación intersubjetiva. Por otra parte, se habla de la necesidad de fortalecer el capital social de los espacios que contextualizan el proceso orientador. Se explican además, los alcances del Sistema Nacional de Orientación.