893 resultados para Argille Azzurre, calanchi, geomorfologia, morfometria, geotecnica
Resumo:
Il problema dell'acidificazione degli oceani, conseguente ai cambiamenti climatici, è un processo ancora poco conosciuto. Per comprendere questo fenomeno, possono essere utilizzati degli ambienti naturalmente acidificati, considerati laboratori a cielo aperto. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di utilizzare le fumarole presenti nell'isola di Ischia, per approfondire le dinamiche dei processi di acidificazione e per analizzare l'eventuale interazione tra pH e condizioni meteorologiche. I dati utilizzati, forniti dalla Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli, erano serie di pH e di vento rilevate in continuo, in due aree, nord e sud rispetto all'isolotto del Castello Aragonese, e in tre stazioni lungo un gradiente di acidificazione. Tutto il lavoro è stato svolto a step, dove il risultato di un'analisi suggeriva il tipo e il metodo analitico da utilizzare nelle analisi successive. Inizialmente i dati delle due serie sono stati analizzati singolarmente per ottenere i parametri più salienti delle due serie. In seguito i dati sono stati correlati fra loro per stimare l'influenza del vento sul pH. Globalmente è stato possibile evidenziare come il fenomeno dell'acidificazione sia correlato con il vento, ma la risposta sembra essere sito-specifica, essendo risultato dipendente da altri fattori interagenti a scala locale, come la geomorfologia del territorio, le correnti marine e la batimetria del fondale. È però emersa anche la difficoltà nel trovare chiare correlazioni fra le due serie indagate, perché molto complesse, a causa sia della numerosa quantità di zeri nella serie del vento, sia da una forte variabilità naturale del pH, nelle varie stazioni esaminate. In generale, con questo lavoro si è dimostrato come utilizzare tecniche di analisi delle serie storiche, e come poter utilizzare metodi di regressione, autocorrelazione, cross-correlation e smoothing che possono integrare i modelli che prendono in considerazione variabili esogene rispetto alla variabile di interesse.
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Con riferimento alla realizzazione di tunnel per servizi interrati, l’incertezza che contraddistingue il quadro geologico, oltre che incidere sui costi, riveste un ruolo chiave nella progettazione preliminare. Sebbene un’approfondita caratterizzazione geotecnica e geologica del volume di terreno inerente l’opera di scavo sia generalmente parte integrante del progetto, non è comunque possibile eliminare del tutto tali incertezze per via dell’estensione del volume interessato oltre che per la disomogeneità che sempre contraddistingue il terreno. Generalmente, investigazioni in corso d’opera e interventi di stabilizzazione devono essere previsti per contenere i costi di perforazione ed ottimizzare la progettazione. Ad esempio, tra i metodi di esplorazione geotecnica figurano i tunnel pilota, i quali sono in grado di garantire un’ottimale caratterizzazione del quadro geotecnico del sottosuolo. Con riferimento agli interventi di stabilizzazione del terreno, adottabili laddove una perforazione tradizionale non consentirebbe il tunnelling, vi è un vasta gamma di scelta. Pertanto, da una prima analisi delle problematiche connesse al tunnelling emerge che la stabilizzazione delle facce di scavo riveste un’importanza e un risconto applicativo di prim’ordine. Questa tesi si inserisce all’interno di un progetto che promuove un’innovativa ed economica tecnica di stabilizzazione dei tunnel per suzione tenendo quindi conto dell’influenza della suzione sulla coesione non drenata.
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La linea ferroviaria Bologna-Porretta mostra evidenze deformative nel tratto ad EST della stazione di Silla, già da metà del secolo scorso. Il fenomeno si manifesta in una zona delimitata a SUD da un grande deposito di frana quiescente e a NORD dal corso del fiume Reno. In questo contesto, è stato possibile seguire le indagini geognostiche commissionate da RFI, finalizzate alla caratterizzazione geologico-tecnica del problema deformativo e all’installazione di alcuni strumenti di monitoraggio. L’obiettivo principale è quello di ricostruire le dinamiche dei processi in atto, valutando quale sia la causa primaria del cedimento del rilevato ferroviario. Il lavoro ha inizialmente previsto una fase di attività sul campo. Successivamente, prove di laboratorio sono state svolte su cinque campioni rimaneggiati ottenuti da spezzoni di carota. Le stratigrafie di sondaggio, le osservazioni di campo e i risultati delle prove di laboratorio sono stati elaborati assieme ad altri dati a disposizione, quali dati di interferometria radar, dati di monitoraggio e risultati di prove di laboratorio esterne, così da produrre il modello geologico-tecnico dell’area. Nel modello, la superficie di scorrimento si trova a circa 10 m di profondità, coerentemente con le misure degli inclinometri, mentre la falda oscilla tra i 2,0 m e gli 0,5 m di profondità da piano campagna. Infine, le analisi di stabilità sono state divise in una fase di back-analysis e in una fase previsionale che ipotizzasse alcuni interventi di sistemazione. Dal lavoro è stato possibile concludere che il versante destro del fiume Reno è attualmente soggetto a movimenti gravitativi. Le simulazioni effettuate hanno portato a determinare due meccanismi di rottura plausibili. Una batteria di dreni suborizzontali permetterebbe di stabilizzare le superfici di scorrimento critiche con un buon incremento del Fattore di Sicurezza, mentre trincee drenanti e pali rappresentano soluzioni meno efficaci.
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I movimenti lenti delle colate in terra sono una caratteristica geomorfologica comune nell’Appennino settentrionale e sono uno dei principali agenti di modellazione del paesaggio. Spesso case e piccoli centri abitati sorgono in zone affette da questo tipo di movimento franoso e di conseguenza subiscono danni causati da piccoli spostamenti. In questo lavoro di Tesi vengono presentati i risultati ottenuti dall’interferometria radar ad apertura sintetica (InSAR) mediante elaborazione tramite StaMPS (Stanford Method of Persistent Scatterers), utilizzando la tecnica avanzata Small Baseline Subset (Berardino et al., 2002). Questo metodo informatico è applicato alle acquisizioni rilevate dai satelliti Envisat e COSMO-SkyMed in orbita ascendente e discendente, ottenendo una copertura di dati che va dal 2004 al 2015, oltre ad un rilevamento geologico-geomorfologico in dettaglio eseguito nell’area di studio. Questa tecnica di telerilevamento è estremamente efficace per il monitoraggio dei fenomeni di deformazione millimetrica che persistono sulla superficie terrestre, basata sull'impiego di serie temporali d’immagini radar satellitari (Ferretti et al., 2000). Lo studio è stato realizzato nel paese di Gaggio Montano nell’Appennino bolognese. In questa zona sono stati identificati diversi corpi di frana che si muovono con deformazioni costanti durante il tempo di investigazione e grazie ai risultati ottenuti dai satelliti è possibile confrontare tale risultato. Gli spostamenti misurati con il metodo InSAR sono dello stesso ordine di grandezza dei movimenti registrati dai sondaggi inclinometrici. Le probabili cause dell’instabilità di versante a Gaggio Montano sono di natura antropica, in quanto alti tassi di deformazione sono presenti nelle zone dove sorgono case di recente costruzione e complessi industriali. Un’altra plausibile spiegazione potrebbe essere data dalla ricarica costante d’acqua, proveniente dagli strati dei Flysch verso l’interno del complesso caotico sottostante, tale dinamica causa un aumento della pressione dell’acqua nelle argille e di conseguenza genera condizioni d’instabilità sul versante. Inoltre, i depositi franosi rilevati nell’area di studio non mostrano nessun tipo di variazione dovuta ad influenze idrologiche. Per questo motivo le serie temporali analizzare tendo ad essere abbastanza lineari e costanti nel tempo, non essendo influenzate da cicli stagionali.
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Il caranto è un celebre paleosuolo della laguna di Venezia. Esso si presenta come uno strato argilloso di alcuni metri di spessore, a profondità variabile tra 1 e 25 m, fortemente consolidato, al punto che, secondo la tradizione locale, sarebbe il livello sul quale si impostano i pali di fondazione della città di Venezia. Misure di microtremore sismico ambientale nell’area lagunare acquisite in precedenza hanno mostrato amplificazioni delle onde sismiche per risonanza stratigrafica a frequenze medio-alte (sopra 3 Hz), ricollegabili a riflettori sismici superficiali. Tali amplificazioni riguardano frequenze di interesse ingegneristico per le strutture della città lagunare e delle altre isole, in quanto a frequenze superiori a 3 Hz risuona la maggior parte degli edifici in muratura più bassi di 5 piani, come quelli della città. Questo li renderebbe particolarmente vulnerabili per fenomeni di doppia-risonanza in caso di terremoto. Attraverso misure di risonanza del sottosuolo eseguite ad hoc e reperite in letteratura, abbiamo cercato se esista una correlazione tra le frequenze misurate e le profondità stimate del caranto da dati di sondaggio. Abbiamo trovato che tale correlazione esiste ed è netta a patto di assumere che la velocità di propagazione delle onde di taglio nel sottosuolo sia diversa tra centro storico e zona dei litorali della laguna. Tale differenza di valori, oltre ad essere perfettamente in linea con la geologia locale, che prevede argille nella zona insulare e sabbie nelle zone litoranee, è confermata dalle risultanze di prove sismiche multicanale a onde di superficie effettuate in anni passati per la microzonazione sismica della provincia. Si propone infine una relazione tra unità geologiche e valori di velocità delle onde di taglio nelle stesse, che permette di stimare la profondità del caranto a partire da misure di risonanza, del tutto non invasive. I risultati ottenuti sono utili sia in senso geologico che in senso ingegneristico sismico, poiché identificano le frequenze di massima amplificazione sismica del terreno
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La presente tesi descrive la messa a punto del modello geotecnico del sottosuolo di una zona dell’Emilia-Romagna che comprende i Comuni di Cesenatico, Gatteo, San Mauro Pascoli, Savignano sul Rubicone e Bellaria-Igea Marina. Il modello si basa principalmente sull'interpretazione delle misure da prove penetrometriche statiche con piezocono e dei sondaggi, unitamente ad un più limitato numero di prove di laboratorio. Nella prima parte della tesi si descrive la geologia dell'area e si illustra il database sperimentale disponibile. Nella seconda parte sono invece analizzate nel dettaglio le prove ai fini della individuazione delle unità stratigrafiche presenti e della successiva caratterizzazione meccanica delle stesse. Il modello è stato costruito in diverse fasi. Nella prima fase sono state elaborate le singole prove penetrometriche: utilizzando approcci interpretativi noti, per lo più di tipo empirico, si è proceduto a classificare i terreni attraversati, sono state preliminarmente individuate alcune le unità stratigrafiche presenti e ad esse sono stati assegnati valori rappresentativi dei parametri meccanici di interesse. Successivamente si è proceduto ad una sintesi delle informazioni e dei risultati conseguiti per le singole verticali di analisi, facendo riferimento ad un certo numero di sezioni longitudinali e trasversali ritenute più significative. In questo modo è stato possibile costruire un modello geotecnico alla scala territoriale, con l'obiettivo non solo di fornire uno strumento utile in una fase preliminare della progettazione geotecnica, ma anche di indirizzare il progettista nell’ottimizzazione delle prove da programmare e nella scelta delle procedure interpretative più idonee per la stima dei parametri meccanici.
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Il crescente bisogno di infrastrutture di trasporto va inevitabilmente a collidere con la penuria di spazi che caratterizzano le città metropolitane. Per questo motivo ci si orienta sempre più spesso verso soluzioni che riescono a minimizzare lo spazio urbano utilizzato per sopperire ai bisogni legati alla mobilità. Il presente lavoro di tesi è incentrato sul tema del comportamento di scavi a cielo aperto in ambiente urbano, con particolare riferimento agli spostamenti delle strutture perimetrali di sostegno e del terreno a monte, nonché alla caratterizzazione geotecnica dei terreni interessati. In contesti edificati infatti, il controllo degli spostamenti è di fondamentale importanza per ridurre il più possibile il rischio di effetti indesiderati sulle strutture preesistenti. Il lavoro è stato strutturato come segue: Il capitolo 2 è dedicato ai risultati di evidenze sperimentali raccolte da diversi ricercatori con riferimento a un gran numero di casi di studio, che hanno portato alla definizione di correlazioni empiriche tra gli spostamenti, le caratteristiche del terreno e dell'opera di sostegno. Queste costituiscono un primo riferimento per una previsione qualitativa degli spostamenti indotti dagli scavi. Nel capitolo 3 si affronta il caso studio della stazione Dateo della metropolitana M4 di Milano, particolare attenzione viene rivolta alla caratterizzazione tecnologica degli elementi fondamentali, strutturali e geotecnici, che qualificano questo tipo di opere. Nel capitolo 4 vengono sintetizzati i risultati delle campagne geognostiche, ed esposta la caratterizzazione geotecnica dei terreni dell'area in esame. Il capitolo 5 è dedicato alla descrizione di semplici metodi empirici per la stima dei massimi spostamenti indotti dalla realizzazione di scavi profondi. Nel capitolo 6 si presentano le conclusioni del lavoro svolto.
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We studied the coastal zone of the Tavoliere di Puglia plain, (Puglia region, southern Italy) with the aim to recognize the main unconformities, and therefore, the unconformity-bounded stratigraphic units (UBSUs; Salvador 1987, 1994) forming its Quaternary sedimentary fill. Recognizing unconformities is particularly problematic in an alluvial plain, due to the difficulties in distinguishing the unconformities that bound the UBSUs. So far, the recognition of UBSUs in buried successions has been made mostly by using seismic profiles. Instead, in our case, the unavailability of the latter has prompted us to address the problem by developing a methodological protocol consisting of the following steps: I) geological survey in the field; II) draft of a preliminary geological setting based on the field-survey results; III) dating of 102 samples coming from a large number of boreholes and some outcropping sections by means of the amino acid racemization (AAR) method applied to ostracod shells and 14C dating, filtering of the ages and the selection of valid ages; IV) correction of the preliminary geological setting in the light of the numerical ages; definition of the final geological setting with UBSUs; identification of a ‘‘hypothetical’’ or ‘‘attributed time range’’ (HTR or ATR) for each UBSU, the former very wide and subject to a subsequent modification, the latter definitive; V) cross-checking between the numerical ages and/or other characteristics of the sedimentary bodies and/or the sea-level curves (with their effects on the sedimentary processes) in order to restrict also the hypothetical time ranges in the attributed time ranges. The successful application of AAR geochronology to ostracod shells relies on the fact that the ability of ostracods to colonize almost all environments constitutes a tool for correlation, and also allow the inclusion in the same unit of coeval sediments that differ lithologically and paleoenvironmentally. The treatment of the numerical ages obtained using the AAR method required special attention. The first filtering step was made by the laboratory (rejection criteria a and b). Then, the second filtering step was made by testing in the field the remaining ages. Among these, in fact, we never compared an age with a single preceding and/or following age; instead, we identified homogeneous groups of numerical ages consistent with their reciprocal stratigraphic position. This operation led to the rejection of further numerical ages that deviate erratically from a larger, homogeneous age population which fits well with its stratigraphic position (rejection criterion c). After all of the filtering steps, the valid ages that remained were used for the subdivision of the sedimentary sequences into UBSUs together with the lithological and paleoenvironmental criteria. The numerical ages allowed us, in the first instance, to recognize all of the age gaps between two consecutive samples. Next, we identified the level, in the sedimentary thickness that is between these two samples, that may represent the most suitable UBSU boundary based on its lithology and/or the paleoenvironment. The recognized units are: I) Coppa Nevigata sands (NEA), HTR: MIS 20–14, ATR: MIS 17–16; II) Argille subappennine (ASP), HTR: MIS 15–11, ATR: MIS 15–13; III) Coppa Nevigata synthem (NVI), HTR: MIS 13–8, ATR: MIS 12–11; IV) Sabbie di Torre Quarto (STQ), HTR: MIS 13–9.1, ATR: MIS 11; V) Amendola subsynthem (MLM1), HTR: MIS 12–10, ATR: MIS 11; VI) Undifferentiated continental unit (UCI), HTR: MIS 11–6.2, ATR: MIS 9.3–7.1; VII) Foggia synthem (TGF), ATR: MIS 6; VIII) Masseria Finamondo synthem (TPF), ATR: Upper Pleistocene; IX) Carapelle and Cervaro streams synthem (RPL), subdivided into: IXa) Incoronata subsynthem (RPL1), HTR: MIS 6–3; ATR: MIS 5–3; IXb) Marane La Pidocchiosa–Castello subsynthem (RPL3), ATR: Holocene; X) Masseria Inacquata synthem (NAQ), ATR: Holocene. The possibility of recognizing and dating Quaternary units in an alluvial plain to the scale of a marine isotope stage constitutes a clear step forward compared with similar studies regarding other alluvial-plain areas, where Quaternary units were dated almost exclusively using their stratigraphic position. As a result, they were generically associated with a geological sub-epoch. Instead, our method allowed a higher detail in the timing of the sedimentary processes: for example, MIS 11 and MIS 5.5 deposits have been recognized and characterized for the first time in the study area, highlighting their importance as phases of sedimentation.
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Diversas espécies de anuros da família Leptodactylidae se reproduzem em corpos dágua sazonais, temporários e mantidos exclusivamente por chuvas. Em períodos de estiagem prolongada a poça pode secar completamente, ocasionando elevadas taxas de mortalidade de ovos e girinos dessas espécies, podendo exercer forte pressão seletiva na evolução de mecanismos de resistência e sobrevivência nas fases iniciais do desenvolvimento. Algumas espécies de girinos conseguem sobreviver cerca de cinco dias fora dágua o que pode proporcionar uma adaptação vantajosa, porque possibilita a sobrevivência dos girinos por um período que pode ser suficiente para a reincidência de novas chuvas e restabelecimento do corpo dágua. Apesar dessa capacidade de sobrevivência, pouco se sabe sobre as possíveis modificações que a desidratação pode causar na locomoção e na morfologia durante o desenvolvimento desses animais. O presente trabalho teve como objetivo avaliar o efeito do estresse hídrico: (1) no nível de sobrevivência e perda de massa corpórea; (2) no desempenho locomotor; (3) na morfologia externa (morfometria linear) e interna, analisando tanto o volume total quanto o volume visceral (estereologia); e (4) no tempo até metamorfose após o estresse. Utilizamos girinos de duas espécies de anuros, Leptodactylus fuscus (Leptodactylinae) e Physalaemus nattereri (Leiuperinae), ambas as espécies se reproduzem em corpos dágua temporários, em áreas com estação seca definida estando, portanto sujeitas as mesmas pressões seletivas. Além disso, as duas espécies apresentam modos reprodutivos diferentes, podendo apresentar diferentes graus de resistência ao estresse hídrico. Os girinos das duas espécies foram divididos em dois grupos, os que ficaram em água (grupo controle) e os que foram submetidos ao estresse hídrico (grupo tratamento), por três períodos de tempo (12, 24 e 72 horas). Houve diferenças significativas para valores de perda de massa entre os grupos controle e tratamento em ambas as espécies, sendo o grupo tratamento que mais perdeu massa corpórea em todos os períodos, além disso, quase metade dos girinos de P. nattereri morreram em 36 horas de estresse. Não houve diferenças significativas para os dados de desempenho locomotor e volume total entre os grupos testado para girinos de L. fuscus, mas houve diferenças morfometricas significantes nos componentes relacionados a cauda e no volume visceral, onde, o intestino do grupo tratamento foi menor que do controle. Já em P. nattereri, houve diferenças significativas entre os grupos testados para desempenho locomotor, volume total, morfometria da cauda e volume visceral, sendo o estomago e anexo do tratamento maior que do controle. Nossos resultados sugerem que a exposição ao estresse hídrico não afeta significativamente a morfologia e o desempenho locomotor dos girinos de L. fuscus. No entanto, girinos de P. nattereri apresentaram uma sensibilidade ao estresse hídrico prolongado, principalmente sobre o seu desempenho locomotor.
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A análise da estruturação populacional de espécies codistribuídas permite a comparação de padrões de estruturação, fornecendo informações acerca dos fatores que influenciam a diferenciação em espécies pertencentes ao mesmo ecossistema. Este projeto teve como objetivo principal analisar a variabilidade intraespecífica em caranguejos habitantes de manguezais, codistribuídos ao longo do Oceano Atlântico Ocidental, por meio de ferramentas moleculares e morfológicas, visando testar a hipótese de elevada estruturação populacional em manguezais. Para este fim, cinco espécies foram utilizadas como modelo (Aratus pisonii, Goniopsis cruentata, Sesarma rectum, Uca thayeri e Ucides cordatus) e avaliadas por meio de marcadores mitocondriais COI e 16S e nuclear H3 e análises morfológicas comparativas e de morfometria. Os dados moleculares revelaram dois padrões, indicando elevada estruturação populacional para as espécies A. pisonii e U. thayeri e ausência de estruturação para G. cruentata, S. rectum e U. cordatus. Os dados morfológicos, no entanto, não acompanham esses padrões, já que não foram encontradas diferenças morfológicas ou morfométricas associadas aos grupos evidenciados pelas análises moleculares. A ausência de fluxo gênico entre regiões para algumas espécies deve-se, muito provavelmente, à existência de fatores que não se limitam ao isolamento por distância, mas também devido a diferenças na duração do estágio larval e a diferenças bruscas em alguns fatores abióticos, como a salinidade, por exemplo, que, associados às diferentes características do desenvolvimento larval de cada espécie, culminam na existência de estruturas populacionais diferentes. Além disso, os padrões de diferenciação genética observados concordam com os cenários biogeográficos propostos para o Atlântico Ocidental, no qual mudanças e flutuações geológicas, climáticas e oceanográficas, resultantes do fechamento do Istmo do Panamá e de ciclos glaciais na América do Norte, promoveram divergência genética.
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No Estado do Maranhão, na região da Baixada Maranhense, presenta na fauna silvestre o réptil Kinosternon scorpioides, um quelônio de água doce popularmente conhecido como jurará e que possui valor social, econômico e ambiental para os ribeirinhos da cidade de São Bento. Este estudo contempla suas características biológicas reprodutivas baseadas em seu ambiente natural, com o intuito de permitir a preservação e o estabelecimento de planos de manejo reprodutivo e de uso sustentável da espécie. Recentemente poucos estudos em todo o mundo tratam sobre os aspectos do ciclo reprodutivo de tartarugas em face das características endócrinas, na América do Sul estudos desse tipo são recentes e escassos, sendo assim este é o primeiro estudo, que se tem conhecimento, que elucida um padrão sazonal reprodutivo da espécie K. scorpioides, associando hormônios gonadais com aspectos comportamentais. Trinta e oito animais adultos tiveram seus órgãos reprodutivos caracterizados para as enzimas esteroidogênicas P450 aromatase, P450c17 e PNADPH redutase através de imunomarcação e blotting, além de índice gonadossomático, morfometria e concentração de testosterona, corticosterona e estradiol pela técnica de radioimunoensaio. As mudanças biométricas, morfometria celular e a esteroidogênese testicular entre os períodos chuvoso e seco sugerem que o estrógeno produzido pelas células de leydig podem afetar a produção e a apoptose de células germinais durante o processo de espermatogênese, e a presença das enzimas P450aromatase e P450c17 em células de leydig acompanhados com a recrudescência testicular também reforça a ideia, de que elas podem desempenhar um papel na quiescência testicular. Esse trabalho evidenciou que as enzimas citocromo P450, citocromo P450c17 e NADPH-citocromo P450-redutase estão presentes no testículo e epidídimo nos diferentes períodos climáticos e podem estar relacionados à síntese de testosterona em tartarugas concordando com os diferentes achados para biometria e espermiogênese nos períodos chuvoso e seco, o que, nos leva a sugerir um estado de quiescência durante o período seco e atividade espermatogênica no período chuvoso, semelhante ao que ocorre com as espécies que apresentam comportamento reprodutivo sazonal
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O cavalo Baixadeiro é encontrado na Baixada Maranhense, região caracterizada por planície, podendo permanecer alagada por até seis meses. Ainda que diante destas condições, o cavalo Baixadeiro pode viver sem apresentar doenças da úngula, tais como, a laminite. Assim, propôs-se identificar elementos morfológicos da úngula desta raça específica de cavalo com o intuito de explicar tal resistência à umidade. Foram utilizadas amostras de úngula provenientes de 4 cavalos Baixadeiros (N=16) e de 4 cavalos Puro Sangue Inglês (N=16). Todas as úngulas foram analisadas por macroscopia, morfometria e por microscopia eletrônica de varredura e de luz. Macroscopicamente, a úngula do cavalo Baixadeiro era cuneiforme, com comprimento médio de 10.22 ± 1.3 cm, largura de 9.83 ± 1.01 cm e comprimento da parede medial de 5.67 ± 0.76 cm. A úngula do cavalo Puro Sangue Inglês teve um comprimento médio de 13.47 ± 0.8 cm, largura de 12.54 ± 0.49 cm e comprimento da parede medial de 7.77 ± 0.54 cm. Na microscopia de luz da camada interna, o tecido que conecta as lamelas epidérmicas primárias às secundárias e ao estrato médio foi visualmente mais espesso no Baixadeiro. Além disso, a região distal das lamelas era mais compacta do que as da região proximal, enquanto que no Puro Sangue Inglês não foram observadas diferenças. Na microscopia eletrônica de varredura, o espaço intertubular do estrato médio foi visualmente maior. A partir desta arquitetura nós sugerimos que existe maior adesão da cápsula da úngula à falange distal no cavalo Baixadeiro, provavelmente diminuindo a incidência de rotação da falange distal e, consequentemente, diminuindo a laminite
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A ilha de São Sebastião consta principalmente de rochas alcalinas que formam um maciço de 300 km2 aproximadamente, constituindo o terceiro em área no Brasil. Apresenta-se em um "stock" alongado segundo NE-SW, encaixado em estruturas de gnais. As formações geológicas encontradas consistem em 1 - Granitos e Gnais (ARQUEANO), 2 - Eruptivas básicas (RÉTICO), 3 - Eruptivas alcalinas (JURÁSSICO) e 4 - Depósitos recentes (HOLOCENO). O método de estudo empregado foi o petrográfico e a coluna geológica estabelecida em base de dados petrográficos, tectônicos e fisiográficos. O arqueano é determinado por definição dos seus tipos petrográficos (1- gnais facoidal, 2- oligoclásio-gnais, 3- hornblenda-gnais, 4- biotita-gnais e 5- microlina-granito) idênticos aos concorrentes no considerado arqueano do Brasil meridional. O triássico (rético) é conferido às rochas básicas (diabásios e basaltos) pela sua semelhança tectônica e petrográfica com as congêneres que cortam de maneira semelhante o arqueano no continente. A "mise-en-place" das eruptivas alcalinas (1- Nordmarkito, 2- Biotita-pulaskito, 3- Pulaskito, 4- Nefelina-sienito, 5- Foiaito, 6- Essexito-foiaito, 7- Essexito e 8- Teralito) pode ser considerada jurássica devido suas relações com as eruptivas básicas referidas réticas, pois na praia do Bonete (foto 14) observa-se um dique de nordmarkito cortando outro de diabásio. As eruptivas quartzo-dioríticas (quartzo-microdiorito e quartzo-andesito) cortam as alcalinas no cume do Zabumba, indicando sua idade mais moderna que estas. Além deste fato, preenchem linhas de fraturas tectônicas recentes, como as falhas ao longo do canal de São Sebastião, indicando que a topografia deveria ser a mesma que a atual para permitir rios efusivos ao nível do canal ou que pelo menos toda a zona de extrusão estivesse, como hoje está, em superfície. Os depósitos aluviais marinhos e continentais são considerados recentes, (holocênicos) pelo favor da topografia onde se dispõe, ocupando o fundo os vales e os bordos do atual modelado costeiro, idade esta conferida em base fisiográfica. A tectônica que afetou a ilha de São Sebastião participa da que atuou em todo o litoral meridional brasileiro. Pode-se distinguir duas fases distintas: na primeira ocorreram as erupções básicas e as alcalinas subsidiárias e na segunda deram-se os falhamentos escalonados em blocos basculados para NW, com as fraturas de tensão preenchidas pelas eruptivas quartzo-dioríticas. Toda a atividade tectônica foi regulada pela direção NE-SW privilegiada da estrutura do arqueano, correspondente a antigos eixos dos dobramentos laurencianos e huronianos. A geomorfologia da ilha consta de uma antiga superfície de erosão rematada até a senilidade, - o peneplano cretáceo, hoje reduzida às cristas culminares do maciço alcalino e às satélites das estruturas gnáissicas, desnivelada pelo falhamento em blocos e ligeiramente adernada para NW devido ao basculamento. Ao lado desta topografia vestigial existe o modelado atual da ilha caracterizado por uma juventude do estágio evolutivo. Esta escultura foi inaugurada com os últimos levantamentos epirogênicos que ascenderam as eruptivas alcalinas plutônicas a mais de 1.300 m sobre o nível do mar. O modelado costeiro apresenta uma costa típica de submergência com esculturas em rias, no estágio da juventude. A presença de terraceamentos marinhos de abrasão, atualmente elevados cerca de 20 a 30 m, lembra as oscilações epirogênicas ou eustáticas do litoral.
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The aim of this thesis was to evaluate historical change of the landscape of Madeira Island and to assess spatial and temporal vegetation dynamics. In current research diverse “retrospective techniques”, such as landscape repeat photography, dendrochronology, and research of historical records were used. These, combined with vegetation relevés, aimed to gather information about landscape change, disturbance history, and vegetation successional patterns. It was found that landscape change, throughout 125 years, was higher in the last five decades manly driven by farming abandonment, building growth and exotic vegetation coverage increase. Pristine vegetation was greatly destroyed since early settlement and by the end of the nineteenth century native vegetation was highly devastated due to recurrent antropogenic disturbances. These actions also helped to block plant succession and to modify floristical assemblages, affecting as well as species richness. In places with less hemeroby, although significant growth of vegetation of lower seral stages was detected, the vegetation of most mature stages headed towards unbalance between recovery and loss, being also very vulnerable to exotic species encroachment. Recovery by native vegetation also occurred in areas formerly occupied by exotic plants and agriculture but it was almost negligible. Vegetation recovery followed the successional model currently proposed, attesting the model itself. Yet, succession was slower than espected, due to lack of favourable conditions and to recurrent disturbances. Probable tempus of each seral stage was obtained by growth rates of woody taxa estimated through dendrochronology. The exotic trees which were the dominant trees in the past (Castanea sativa and Pinus pinaster) almost vanished. Eucalyptus globulus, the current main tree of the exotic forest is being replaced by other cover types as Acacia mearnsii. The latter, along with Arundo donax, Cytisus scoparius and Pittosporum undulatum are currently the exotic species with higher invasive behaviour. However, many other exotic species have also proved to be highly pervasive and came together with the ones referred above to prevent native vegetation regeneration, to diminish biological diversity, and to block early successional phases delaying native forest recovery.