884 resultados para Civilization, Modern
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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In this short but suggestive study, sociologist Rod Bantjes examines how contending visions of modernity shaped the social and physical landscapes of the Canadian prairies. "[B]oth statesmen and prairie farmers were infused with the modernist spirit of innovation, the will creatively (and destructively) to transform their worlds," Bantjes argues. His provocative view of farmers as agents of modernity reflects recent scholarship that seeks to explore "multiple modernities," or the notion that ideas and practices of modernism must be regarded not as monolithic but rather as contested and multivocal, and must be examined in their historical and geographical contexts.
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Dactylotrochus cervicornis (= Tridacophyllia cervicornis Moseley, 1881), which occurs in Indo-Pacific waters between 73 and 852 m, was originally described as an astraeid but was later transferred to the Caryophylliidae. Assumed to be solitary, this species has no stolons and only one elongated fossa, and is unique among azooxanthellate scleractinians in often displaying extremely long thecal extensions that are septate and digitiform. Based on both molecular phylogenetic analyses (partial mitochondrial CO1 and 16S rDNA, and partial nuclear 28S rDNA) and morphological characteristics, we propose the transfer of D. cervicornis from the Caryophylliidae to the Agariciidae, making it the first extant representative of the latter family that is solitary and from deep water (azooxanthellate). The basal position of D. cervicornis within the agariciids implied by our analyses strengthens the case for inclusion of fossil species that were solitary, such as Trochoseris, in this family and suggests that the ancestor of this scleractinian family, extant members of which are predominantly colonial and zooxanthellate, may have been solitary and azooxanthellate.
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This article analyzes the main objectives of the scientific voyage to circumnavigate the earth, undertaken by the United States from 1838 to 1842. Charting was one of the most important of the scientific and strategic goals of the exploratory voyage. The initiative for the undertaking was the search for exact positioning on the high seas after the establishment of the longitude system, when nautical charts and maps from various countries were compared, and other, new ones were drawn. The United States participated in this international effort, leading to the creation of its own cartographic system.
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We use a recently developed computerized modeling technique to explore the long-term impacts of indigenous Amazonian hunting in the past, present, and future. The model redefines sustainability in spatial and temporal terms, a major advance over the static "sustainability indices" currently used to study hunting in tropical forests. We validate the model's projections against actual field data from two sites in contemporary Amazonia and use the model to assess various management scenarios for the future of Manu National Park in Peru. We then apply the model to two archaeological contexts, show how its results may resolve long-standing enigmas regarding native food taboos and primate biogeography, and reflect on the ancient history and future of indigenous people in the Amazon.
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The aim of this study was to evaluate the color stability of composites subjected to different periods of accelerated artificial aging (AAA). A polytetrafluorethylene matrix (10 x 2 mm) was used to fabricate 24 test specimens of three different composites (n=8): Tetric Ceram (Ivoclar/Vivadent); Filtek P90 and Z250 (3M ESPE), shade A3. After light activation for 20 s (FlashLite 1401), polishing and initial color readout (Spectrophotometer PCB 687; BYK Gardner), the test specimens were subjected to AAA (C-UV; Comexim), in 8-h cycles: 4 h exposure to UV-B rays at 50°C and 4 h condensation at 50°C. At the end of each cycle, color readouts were taken and the test ended when the mean value of ΔE attained a level ≥3.30. Tetric Ceram presented alteration in ΔE equal to 3.33 in the first aging cycle. For Filtek P90 and Z250, two (ΔE=3.60) and four (ΔE=3.42) AAA cycles were necessary. After each cycle, there was a reduction of luminosity in all the samples (ΔL). It was concluded that a short period of AAA was sufficient to promote clinically unacceptable color alteration in composites, and that this alteration was material-dependent.
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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.
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Several activities were conducted during my PhD activity. For the NEMO experiment a collaboration between the INFN/University groups of Catania and Bologna led to the development and production of a mixed signal acquisition board for the Nemo Km3 telescope. The research concerned the feasibility study for a different acquisition technique quite far from that adopted in the NEMO Phase 1 telescope. The DAQ board that we realized exploits the LIRA06 front-end chip for the analog acquisition of anodic an dynodic sources of a PMT (Photo-Multiplier Tube). The low-power analog acquisition allows to sample contemporaneously multiple channels of the PMT at different gain factors in order to increase the signal response linearity over a wider dynamic range. Also the auto triggering and self-event-classification features help to improve the acquisition performance and the knowledge on the neutrino event. A fully functional interface towards the first level data concentrator, the Floor Control Module, has been integrated as well on the board, and a specific firmware has been realized to comply with the present communication protocols. This stage of the project foresees the use of an FPGA, a high speed configurable device, to provide the board with a flexible digital logic control core. After the validation of the whole front-end architecture this feature would be probably integrated in a common mixed-signal ASIC (Application Specific Integrated Circuit). The volatile nature of the configuration memory of the FPGA implied the integration of a flash ISP (In System Programming) memory and a smart architecture for a safe remote reconfiguration of it. All the integrated features of the board have been tested. At the Catania laboratory the behavior of the LIRA chip has been investigated in the digital environment of the DAQ board and we succeeded in driving the acquisition with the FPGA. The PMT pulses generated with an arbitrary waveform generator were correctly triggered and acquired by the analog chip, and successively they were digitized by the on board ADC under the supervision of the FPGA. For the communication towards the data concentrator a test bench has been realized in Bologna where, thanks to a lending of the Roma University and INFN, a full readout chain equivalent to that present in the NEMO phase-1 was installed. These tests showed a good behavior of the digital electronic that was able to receive and to execute command imparted by the PC console and to answer back with a reply. The remotely configurable logic behaved well too and demonstrated, at least in principle, the validity of this technique. A new prototype board is now under development at the Catania laboratory as an evolution of the one described above. This board is going to be deployed within the NEMO Phase-2 tower in one of its floors dedicated to new front-end proposals. This board will integrate a new analog acquisition chip called SAS (Smart Auto-triggering Sampler) introducing thus a new analog front-end but inheriting most of the digital logic present in the current DAQ board discussed in this thesis. For what concern the activity on high-resolution vertex detectors, I worked within the SLIM5 collaboration for the characterization of a MAPS (Monolithic Active Pixel Sensor) device called APSEL-4D. The mentioned chip is a matrix of 4096 active pixel sensors with deep N-well implantations meant for charge collection and to shield the analog electronics from digital noise. The chip integrates the full-custom sensors matrix and the sparsifification/readout logic realized with standard-cells in STM CMOS technology 130 nm. For the chip characterization a test-beam has been set up on the 12 GeV PS (Proton Synchrotron) line facility at CERN of Geneva (CH). The collaboration prepared a silicon strip telescope and a DAQ system (hardware and software) for data acquisition and control of the telescope that allowed to store about 90 million events in 7 equivalent days of live-time of the beam. My activities concerned basically the realization of a firmware interface towards and from the MAPS chip in order to integrate it on the general DAQ system. Thereafter I worked on the DAQ software to implement on it a proper Slow Control interface of the APSEL4D. Several APSEL4D chips with different thinning have been tested during the test beam. Those with 100 and 300 um presented an overall efficiency of about 90% imparting a threshold of 450 electrons. The test-beam allowed to estimate also the resolution of the pixel sensor providing good results consistent with the pitch/sqrt(12) formula. The MAPS intrinsic resolution has been extracted from the width of the residual plot taking into account the multiple scattering effect.