961 resultados para 616.9 Altre malattie (altri rami della Medicina)


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Quando si parla di traduzione, si pensa spesso solo al risultato di un processo, valutato e analizzato come tale. Sembra ci si dimentichi del fatto che, prima di arrivare a quel risultato finale, il traduttore applica più o meno consapevolmente tutta quella serie di strumenti di analisi, critica, correzione, rilettura, riformulazione e modifica che rientrano nell’attività di revisione. A questa prima fase, di cui ogni traduttore fa esperienza nel lavorare alla propria traduzione, segue di norma una fase successiva in cui la traduzione è rivista da un’altra figura professionale della filiera editoriale (di solito, e auspicabilmente, un altro traduttore) e infine altre fasi ancora del processo di lavorazione e pubblicazione del testo tradotto. Oltre a essere un’attività cruciale di ogni attività di traduzione e processo editoriale, la revisione riveste anche un fondamentale ruolo didattico nella formazione dei traduttori. L’idea alla base di questo progetto di ricerca nasce dal bisogno di triangolare riflessioni e dati concreti sulla revisione provenienti dalla ricerca accademica, dalla pratica professionale e dall’esperienza didattico-formativa, in un triplice approccio che informa l’intero progetto, di cui si illustrano i principali obiettivi: • formulare una nuova e chiara definizione sommativa del termine “revisione” da potersi utilizzare nell’ambito della ricerca, della didattica e della prassi professionale; • fornire una panoramica tematica, critica e aggiornata sulla ricerca accademica e non-accademica in materia di revisione; • condurre un’indagine conoscitiva (tramite compilazione di questionari diversificati) sulla pratica professionale della revisione editoriale in Italia, allo scopo di raccogliere dati da traduttori e revisori, fornirne una lettura critica e quindi individuare peculiarità e criticità di questa fase del processo di lavorazione del libro tradotto; • presentare ipotesi di lavoro e suggerimenti su metodi e strumenti da applicare all’insegnamento della revisione in contesti didattici e formativi.

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Lo scopo di questa tesi è lo studio, mediante misure sperimentali con un telescopio per raggi cosmici, della risposta temporale di rivelatori a scintillazione accoppiati a diversi tipi di fotorivelatori. In particolare sono stati studiati due tipi di fotorivelatori: i fotomoltiplicatori al silicio (SiPM) ed i rivelatori MicroChannel Plate (MCP); entrambi i sensori presentano ottime caratteristiche per ciò che concerne la risposta temporale. Per una migliore caratterizzazione dei fotorivelatori e per una maggiore completezza dello studio sono stati analizzati anche diversi modelli di accoppiamento tra gli scintillatori ed i sensori, sia a diretto contatto che tramite fibre ottiche. Per cercare di sfruttare al meglio le eccellenti proprietà temporali, sono state utilizzate anche diverse schede di front end veloce e diversa elettronica di read out. In particolare in questa tesi, per la prima volta, è stata usata, per lo studio di questi nuovi fotorivelatori, l’elettronica di front end e read out realizzata per il rivelatore TOF dell’esperimento ALICE a LHC. I risultati di questa tesi rappresentano un punto di partenza per la realizzazione di rivelatori con ottima risoluzione temporale in esperimenti di fisica nucleare ed subnucleare (definizione del trigger, misure di tempo di volo, calorimetria). Altre interessanti applicazioni sono possibili in ambito medico, in particolare strumenti di diagnostica avanzata quali ad esempio la PET.

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La proteina umana HDAC1 fa parte della famiglia delle HDAC (Istone Deacetilasi); questi enzimi, ad azione deacetilasica, catalizzano la reazione di rimozione di un gruppo acetile a livello degli istoni, componenti fondamentali della cromatina, la cui struttura influenza il ciclo cellulare e la regolazione dell’espressione genica. L’importanza della proteina in questione, a scopo terapeutico, risiede nello studio degli inibitori ad essa associati, i quali risultano utili a livello farmacologico, come coadiuvanti nelle terapie per la cura di tumori. La produzione di HDAC1 ha previsto l’utilizzo di due diversi ceppi del batterio Escherichia coli, denominati TOP10 e BW25993, che sono serviti come sistemi “ospiti” per l’inserimento del vettore di espressione pBAD-HDAC1 contenente la porzione di DNA che codifica per la proteina ricombinante. Sono state determinate le condizioni più idonee, per entrambi i sistemi analizzati, in modo da massimizzare l’espressione della proteina indotta mediante aggiunta di arabinosio al terreno di coltura. A seconda della combinazione ceppo-vettore, infatti, il livello di espressione ottenuto cambia significativamente. In seguito, gli estratti proteici totali sono stati sottoposti a purificazione mediante diversi passaggi cromatografici ed è stata determinata la resa finale del processo. La caratterizzazione della proteina ricombinante purificata ha evidenziato una forma aggregata, di tipo ottamerico, che potrebbe influenzare l’attività enzimatica. Per questo motivo sono stati portati avanti numerosi tentativi di dissociazione dell’oligomero incubando HDAC1 con diversi agenti. Un effetto disaggregante è stato osservato solo in presenza di due detergenti, SDS (anionico) e CTAB (cationico), i quali hanno permesso di ottenere la proteina in forma monomerica. Tra i due detergenti, l’SDS è risultato più efficace, mentre per il CTAB si richiedono ulteriori indagini ed approfondimenti. Altri studi, infine, sono auspicabili ai fini di migliorare ulteriormente la fase di espressione, in modo da rendere il protocollo di produzione adatto ad un’applicazione a livello industriale.

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I tumori, detti anche ''la malattia del secolo'', portano ogni anno alla morte di oltre 7 milioni di persone al mondo. Attualmente è una malattia molto diffusa che colpisce soprattutto persone anziane e non solo; tuttavia ancora non esiste una cura ''esatta'' che riesca a guarire la totalità delle persone: anzi si è ben lontani da questo risultato. La difficoltà nel curare queste malattie sta nel fatto che, oltre ad esservi una grande varietà di tipologie (è quindi difficile trovare una cura unica), spesse volte la malattie viene diagnosticata molto tempo dopo la comparsa per via dei sintomi che compaiono in ritardo: si intende quindi che si parla di una malattia molto subdola che spesse volte lascia poche speranze di vita. Uno strumento, utilizzato assieme alla terapie mediche, è quello della modellizzazione matematica: essa cerca di descrivere e prevedere, tramite equazioni, lo sviluppo di questo processo e, come ben si intenderà, poter conoscere in anticipo quel che accadrà al paziente è sicuramente un fattore molto rilevante per la sua cura. E' interessante vedere come una materia spesso definita come "noiosa" ed ''inutile'', la matematica, possa essere utilizzata per i più svariati, come -nel caso specifico- quello nobile della cura di un malato: questo è un aspetto di tale materia che mi ha sempre affascinato ed è anche una delle ragioni che mi ha spinto a scrivere questo elaborato. La tesi, dopo una descrizione delle basi oncologiche, si proporrà di descrivere le neoplasie da un punto di vista matematico e di trovare un algoritmo che possa prevedere l'effetto di una determinata cura. La descrizione verrà fatta secondo vari step, in modo da poter rendere la trattazione più semplice ed esaustiva per il lettore, sia egli esperto o meno dell'argomento trattato. Inizialmente si terrano distinti i modelli di dinamica tumorale da quelli di cinetica farmacologica, ma poi verrano uniti ed utilizzati assieme ad un algoritmo che permetta di determinare l'effetto della cura e i suoi effetti collaterali. Infine, nella lettura dell'elaborato il lettore deve tenere sempre a mente che si parla di modelli matematici ovvero di descrizioni che, per quanto possano essere precise, sono pur sempre delle approssimazioni della realtà: non per questo però bisogna disdegnare uno strumento così bello ed interessante -la matematica- che la natura ci ha donato.

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Con l’incremento della popolazione mondiale e la conseguente crescita del fabbisogno di energia dovuta a nuovi lavori e sempre più macchinari in circolazione, è insorta l'esigenza di produrre più energia elettrica. A partire dagli anni ’50 numerosi scienziati hanno analizzato il problema energetico e sono giunti alla conclusione che fonti di energia come petrolio, carbone e gas non erano in grado di soddisfare il bisogno umano sul lungo termine e si è quindi passati alla ricerca di altre fonti di energia come il nucleare. Oggi, grazie ad un progetto ed uno studio di circa 50 anni fa – finalizzato alla alimentazione di satelliti geostazionari - , si sta sempre di più affermando la scelta del fotovoltaico, in quanto rappresenta un’energia pulita e facilmente utilizzabile anche nei luoghi dove non è possibile avere un allaccio alla normale rete elettrica. La ricerca di questo nuovo metodo di produrre energia, che tratta la conversione di luce solare in energia elettrica, si è evoluta, differenziando materiali e metodi di fabbricazione delle celle fotovoltaiche, e quindi anche dei moduli fotovoltaici. Con la crescente produzione di apparati elettronici si è arrivati però ad avere un nuovo problema: il consumo sempre maggiore di silicio con un conseguente aumento di prezzo. Negli ultimi anni il prezzo del silicio è significativamente aumentato e questo va a pesare sull’economia del pannello fotovoltaico, dato che questo materiale incide per il 40-50% sul costo di produzione. Per questo motivo si sono voluti trovare altri materiali e metodi in grado di sostituire il silicio per la costruzione di pannelli fotovoltaici, con il seguire di nuovi studi su materiali e metodi di fabbricazione delle celle. Ma data la conoscenza e lo studio dovuto ai vari utilizzi nell’elettronica del silicio, si è anche studiato un metodo per ottenere una riduzione del silicio utilizzato, creando wafer in silicio sempre più sottili, cercando di abbassare il rapporto costo-watt , in grado di abbassare i costi di produzione e vendita.

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Questa tesi compilativa prende in esame la cartilagine, partendo dalla composizione dei suoi diversi tipi rappresentati nel corpo umano e delle funzioni qui svolte, per descrivere i metodi utilizzati per riprodurla artificialmente mediante cellule staminali, fattori di crescita e scaffold dedicati coltivati in ambiente controllato. La cartilagine è un tessuto molto particolare perché, diversamente dagli altri tessuti, non possiede una rete di capillari e quindi riceve un limitati apporto di ossigeno e sostanze nutritive, che spiega la sua poverissima capacità intrinseca di riparazione. La cartilagine è però un tessuto soggetto a numerosi stress di vario tipo e quindi è soggetta a traumi che possono essere di natura sportiva o accidentale (soprattutto la cartilagine di tipo articolare) ed è anche colpita da malattie degenerative. Questo ha stimolato gli studi che intendono ingegnerizzare un tessuto artificiale in grado di aumentare la capacità di riparare la zona colpita. In quest’ottica, vengono attivamente condotti esperimenti in grado di definire protocolli che inducano cellule staminali al differenziamento in cellule di tipo cartilagineo. Tali cellule, seminate su supporti (scaffolds) 3D biocompatibili di diversa natura, naturali o sintetici, eventualmente bioattivi, possono essere coltivate in ambienti dedicati, detti bioreattori, che utilizzino stimoli fisici (p. es. vibrazionali, microgravità, ultrasonici, regolazione della tensione di ossigeno, sforzi di taglio, compressione dinamica e compressione idrostatica ciclica) che si sono dimostrati utili per indurre l’appropriato fenotipo cellulare, valutabile attraverso una batteria di approcci di misura morfologica e funzionale.

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Il peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) è una molecola presente nei neuroni del midollo spinale di diverse specie di Mammiferi, inclusi topi, ratti, conigli, cani, gatti, pecore, scimmie e uomo. Nonostante la distribuzione dei neuroni contenenti questo neuropeptide sia stata studiata in maniera dettagliata nel midollo spinale delle suddette specie, non sono disponibili, in letteratura, informazioni relative alla presenza di queste cellule nel midollo spinale dei Cetacei. Di conseguenza, è stata condotta la presente ricerca che ha avuto lo scopo di determinare, mediante metodiche di immunoistochimica, la distribuzione e la morfologia dei neuroni esprimenti il CGRP nel midollo spinale di tursiope (Tursiops truncatus). In questa specie, la distribuzione laminare (secondo Rexed) dei neuroni CGRP-immunoreattivi è assai simile a quella che si osserva nei Roditori, nei Carnivori e nei Primati; infatti, i corpi cellulari immunopositivi sono localizzati soprattutto in corrispondenza dell’apice del corno dorsale (lamine I e II) e nel corno ventrale (lamine VIII e IX). La distribuzione e la morfologia dei neuroni esprimenti CGRP nel midollo spinale di tursiope suggeriscono come tale neuropeptide possa essere coinvolto nella trasmissione delle informazioni sia sensitive (somatiche e viscerali) che motorie. I neuroni CGRP-immunoreattivi localizzati nelle lamine I e II del midollo spinale di tursiope, come dimostrato in altre specie, potrebbero agire da interneuroni modulando le informazioni nocicettive che dai gangli spinali vengono trasmesse al midollo spinale. Nelle lamine I e II sono presenti anche numerosi processi immunopositivi che, oltre ad appartenere a neuroni locali, derivano, molto probabilmente, dai ai neuroni pseudounipolari dei gangli spinali. In accordo con quanto appena affermato, è opportuno sottolineare come le fibre afferenti primarie provenienti dai gangli spinali utilizzino il CGRP per la trasmissione delle informazioni dolorifiche. La presenza di CGRP nei neuroni della lamina VIII, invece, indica come questo neuropeptide possa essere implicato nella trasmissione di segnali di natura motoria, utilizzando meccanismi presinaptici. Infine, la presenza di numerosi motoneuroni immunoreattivi per il CGRP nella lamina IX indicherebbe un’azione diretta svolta da questo neuropeptide nell’interazione tra motoneurone inferiore e muscolo scheletrico.

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L’elaborato descrive il lavoro svolto nella realizzazione di un software in linguaggio Labview, la cui funzione è di controllare, mediante una scheda, l’alimentatore di un fornetto facente parte di un apparato per spettroscopia di desorbimento termico (TDS), in modo che esso generi una “rampa” di temperatura. La spettroscopia di desorbimento termico è una tecnica che consente di rivelare i gas precedentemente adsorbiti su una superficie. Nella prima fase dell’attività ho implementato un codice dedicato al mantenimento di una temperatura costante (“generazione di un’isoterma”) al fine di acquisire dimestichezza col linguaggio Labview e le problematiche relative al controllo PID. A seguito di questo studio ho proceduto alla realizzazione del software richiesto, partendo da un controllo puramente proporzionale, aggiungendo successivamente le parti integrativa e derivativa opportunamente pesate in base alla risposta del sistema. L’algoritmo utilizzato, tuttavia, non è di tipo PID in senso stretto, poiché sono state apportate alcune modifiche al fine di raggiungere il migliore risultato possibile nella generazione della rampa. Nell’elaborato sono esposti i grafici che mostrano i risultati ottenuti. Nel primo capitolo è presente la descrizione del fenomeno oggetto di studio, a cui segue la descrizione dell’apparato. Gli altri due capitoli sono dedicati alla descrizione dell’algoritmo utilizzato e del lavoro svolto.

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Lo scopo di questa tesi è quello di presentare l'applicazione di tecniche legate alla Teoria di Taglia a un problema di analisi di immagini biomediche. Il lavoro nasce dalla collaborazione del gruppo di Matematica della Visione dell'Università di Bologna, con il progetto PERFECT del Centro di Ricerca ARCES. La tesi si pone quindi come analisi preliminare di approccio alternativo ai metodi preesistenti. I metodi sono principalmente di Topologia Algebrica Applicata, ambito emergente e rilevante nel mondo della Matematica Computazionale. Il nucleo dell'elaborazione è costituito dall'analisi di forma dei dati per mezzo di Funzioni di Taglia. Questa nozione è stata introdotta nel 1999 da Patrizio Frosini e in seguito sviluppata principalmente dallo stesso, Massimo Ferri, Claudia Landi e altri collaboratori appartenuti al Gruppo di Ricerca di Matematica della Visione dell'Università di Bologna.

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La matematica è un’attività umana che sembra non lasciare indifferente quasi nessuno: alcuni rimangono affascinati dalla sua ‘magia’, molti altri provano paura e rifiutano categoricamente persino di sentirla nominare. Spesso, non solo a scuola, si percepisce la matematica come un’attività distaccata, fredda, lontana dalle esigenze del mondo reale. Bisognerebbe, invece, fare in modo che gli studenti la sentano come una risorsa culturale importante, da costruire personalmente con tempo, fatica e soddisfazione. Gli studenti dovrebbero avere l’opportunità di riflettere sul senso di fare matematica e sulle sue potenzialità, attraverso attività che diano spazio alla costruzione autonoma, alle loro ipotesi e alla condivisione delle idee. Nel primo capitolo, a partire dalle difficoltà degli studenti, sono analizzati alcuni studi sulla straordinaria capacità della matematica di organizzare le nostre rappresentazioni del mondo che ci circonda e sull’importanza di costruire percorsi didattici incentrati sulla modellizzazione matematica. Dalla considerazione di questi studi, è stato elaborato un progetto didattico, presentato nel secondo capitolo, che potesse rappresentare un’occasione inconsueta ma significativa per cercare di chiarire l’intreccio profondo tra matematica e fisica. Si tratta di una proposta rivolta a studenti all’inizio del secondo biennio in cui è prevista una revisione dei problemi della cinematica attraverso le parole di Galileo. L’analisi di documenti storici permette di approfondire le relazioni tra grandezze cinematiche e di mettere in evidenza la struttura matematica di tali relazioni. Le scelte che abbiamo fatto nella nostra proposta sono state messe in discussione da alcuni insegnanti all’inizio della formazione per avere un primo riscontro sulla sua validità e sulle sue potenzialità. Le riflessioni raccolte sono state lo spunto per trarre delle considerazioni finali. Nelle appendici, è presente materiale di lavoro utilizzato per la progettazione e discussione del percorso: alcuni testi originali di Aristotele e di Galileo, le diapositive con cui la proposta è stata presentata agli studenti universitari e un esempio di protocollo di costruzione di Geogebra sul moto parabolico.

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In questo lavoro di tesi si affronta una delle problematiche che si presentano oggi nell'impiego degli APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto): la gestione della safety. Non si può più, in altri termini, negare che tali oggetti siano parte integrante dello spazio aereo civile. Proprio su questo tema recentemente gli enti regolatori dello spazio aereo stanno proiettando i loro sforzi al fine di stabilire una serie di regolamenti che disciplinino da una parte le modalità con cui questi oggetti si interfacciano con le altre categorie di velivoli e dall'altra i criteri di idoneità perché anche essi possano operare nello spazio aereo in maniera sicura. Si rende quindi necessario, in tal senso, dotare essi stessi di un sufficiente grado di sicurezza che permetta di evitare eventi disastrosi nel momento in cui si presenta un guasto nel sistema; è questa la definizione di un sistema fail-safe. Lo studio e lo sviluppo di questa tipologia di sistemi può aiutare il costruttore a superare la barriera oggi rappresentata dal regolamento che spesso e volentieri rappresenta l'unico ostacolo non fisico per la categoria dei velivoli unmanned tra la terra e il cielo. D'altro canto, al fine di garantire a chi opera a distanza su questi oggetti di avere, per tutta la durata della missione, la chiara percezione dello stato di funzionamento attuale del sistema e di come esso può (o potrebbe) interagire con l'ambiente che lo circonda (situational awarness), è necessario dotare il velivolo di apparecchiature che permettano di poter rilevare, all'occorrenza, il malfunzionamento: è questo il caso dei sistemi di fault detection. Questi due fondamentali aspetti sono la base fondante del presente lavoro che verte sul design di un ridotto ma preponderante sottosistema dell'UAV: il sistema di attuazione delle superfici di controllo. Esse sono, infatti, l'unico mezzo disponibile all'operatore per governare il mezzo nelle normali condizioni di funzionamento ma anche l'ultima possibilità per tentare di evitare l'evento disastroso nel caso altri sottosistemi siano chiaramente fuori dalle condizioni di normale funzionamento dell'oggetto.

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Un limite rilevante delle apparecchiature elettromedicali presenti in una comune sala operatoria/interventistica è rappresentato dal fatto che le informazioni clinico-strumentali che esse sono in grado di fornire vengono gestite localmente in maniera indipendente: ogni fabbricante di apparecchiatura medica, infatti, sviluppa standard proprietari per l’acquisizione, la presentazione e l’archiviazione dei dati. Ci si chiede se sia possibile una gestione globale, sincronizzata e personalizzata, delle informazioni clinico-strumentali acquisibili da diverse strumentazioni presenti nel medesimo contesto operatorio. La soluzione di SparkBio S.r.l. per colmare il gap esistente in materia di gestione di informazioni clinico-strumentali di sala è quella di concentrare le uscite video e le uscite analogiche dei vari dispositivi e visualizzarle contemporaneamente su di un unico monitor master. Il monitor master sarà suddiviso tramite una griglia in diversi settori ed ogni area predisposta per visualizzare il segnale video o analogico di un dispositivo presente in sala. Avendo a disposizione un’apparecchiatura con questa potenzialità, le applicazioni risultano innumerevoli: l’archiviazione di un unico file contenente la registrazione sincronizzata dei segnali delle varie sorgenti permette di documentare l’intera esecuzione della procedura al fine di una sua successiva visione e distribuzione: il confronto congiunto, fatto a posteriori, di parametri acquisiti da strumenti diversi rende possibile valutare particolari eventi; la condivisione con la comunità scientifica rende possibile la diffusione del sapere in materia di chirurgia. Inoltre la disponibilità di una collezione di dati concentrati in un’unica workstation apre la strada ad applicazioni nel campo della telemedicina: la condivisione a distanza delle varie sorgenti raccolte e sincronizzate via WEB, tramite l’integrazione di un software per videoconferenza, permette di realizzare supporto remoto, e-learning, telementoring e teleproctoring. L’obiettivo di questa tesi è analizzare il processo di sviluppo di questo nuovo dispositivo medico denominato “OneView”, per poi passare alla progettazione di scenari specifici applicabili a diverse procedure chirurgiche.

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Le caratteristiche strutturali dell’occhio dei Cetacei sono state in passato oggetto di studio. Tuttavia, i dati relativi alla stratigrafia della retina ed alle caratteristiche morfologiche dei neuroni gangliari in essa presenti sono piuttosto ridotti; per questo motivo, l’obiettivo della presente ricerca è stato quello di studiare, mediante metodiche di immunoistochimica, l’uso della microscopia ottica e di opportuni software di analisi immagine, le caratteristiche morfologiche della retina e delle cellule gangliari in essa presenti in differenti specie di Cetacei. Per la presente ricerca sono stati utilizzate come specie di riferimento i seguenti Delfinidi: tursiope (Tursiops truncatus) e stenella striata (Stenella coeruleoalba). Le analisi sulle sezioni interessano l’area, la densità dei neuroni gangliari, la stratigrafia della retina e l’analisi morfometrica degli strati e dei neuroni. I risultati ottenuti indicano come la retina del tursiope e della stenella striata, nonostante un'organizzazione di base assai simile a quella degli altri Mammiferi, mostri caratteristiche qualitative sue proprie. Gli strati retinici sono quelli che si osservano in tutti i Mammiferi e lo spessore totale della retina è, nel tursiope (101,23 µm ) e nella stenella striata (108.35 µm ), pressochè simile ai Mammiferi terrestri (110-220 µm). Nell'ambito della retina, lo strato che presento lo spesso medio maggiore è quello dei granuli interni (SNE); tale dato non coincide con quanto osservato in altri Mammiferi. I neuroni gangliari presenti nella retina di tursiope e stenella striata mostrano, analogamente a quanto osservato in altri Cetacei, una bassa densità cellulare. Nel tursiope e nella stenella striata le aree a maggiore densità cellulare presentano neuroni multipolari di dimensioni minori rispetto a quelle con bassa densità. Questo dato potrebbe indicare una "cellularità" (quantità di superficie occupata da cellule) costante nei differenti distretti retinici. I neuroni gangliari presenti nella retina di tursiope e stenella striata sono disposti in un unico strato, come osservato in numerosi altri Cetacei, ma differisce da quanto osservato nel capodoglio (Physeter macrocephalus) dove tali cellule si dispongono in strati multipli. Neuroni gangliari di grandi dimensioni sono stati osservati sia nel tursiope che nella stenella striata. Tale dato coincide con quanto osservato in altri Odontoceti ed in alcuni Misticeti. Allo stato attuale non è ancora stato dato un chiaro significato funzionale alle cellule gangliari giganti. Un possibile ruolo potrebbe essere quello di condurre, in animali di grossa mole, l'impulso nervoso molto velocemente, grazie alla presenza di un assone provvisto di un diametro notevole. Tale interpretazione non è da tutti accettata in quanto Mammiferi terrestri di grandi dimensioni non presentano nella loro retina neuroni gangliari giganti.

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Gli occhi dei Cetacei mostrano delle caratteristiche morfofunzionali necessarie per la vita in ambiente acquatico. Sebbene le caratteristiche strutturali dell’occhio dei Cetacei siano state in passato oggetto di studio, i dati relativi alle caratteristiche istologiche e morfometriche della tonaca fibrosa appaiono, allo stato attuale, poco numerosi e non chiaramente noti in tutti i Delfinifi. Per questo motivo è stato condotto il presente studio che, mediante l’uso della microscopia ottica e di opportuni software di analisi immagine, ha studiato le caratteristiche strutturali e morfometriche della cornea e della sclerotica nel Tursiope (Tursiops truncatus) e nella Stenella striata (Stenella coeruleoalba). La presente ricerca è stata condotta su due Delfinidi, il Tursiope (Tursiops truncatus) (2 soggetti) e la Stenella striata (Stenella coeruleoalba) (1 soggetto). La cornea di Tursiope e Stenella striata mostra la struttura base presente negli altri Mammiferi; essa infatti, dall'esterno verso l'interno, appare costituita dai seguenti cinque strati: epitelio corneale, membrana basale, sostanza propria, membrana di Descemet ed endotelio. Nonostante le caratteristiche istologiche osservabili nei singoli strati non si differenzino da quelle presenti nei Mammiferi terrestri, esistono notevoli differenze per quanto riguarda lo spessore. La cornea di Tursiope e di Stenella striata, come accade per altri Cetacei, mostra uno spessore decisamente maggiore rispetto a quella presente dei Mammiferi terrestri. Come in questi ultimi, lo strato che contribuisce maggiormente a fornire spessore alla cornea è rappresentato dalla sostanza propria. Lo spessore della cornea del Tursiope e della Stenella striata, come osservato in generale nei Cetacei, è maggiore alla periferia rispetto al centro. Tale dato è simile a quanto osservato nel Cavallo, ma si differenzia completamente dalla situazione osservabile in altri Mammiferi terrestri, dove lo spessore della cornea è maggiore al centro (Bovino, Maiale e Cane) o si presenta uniforme per tutta la sua estensione (Gatto, Pecora e Coniglio). Nel Tursiope e nella Stenella striata la parte periferica della cornea, essendo più ispessita di quella centrale, mostra un indice di rifrazione maggiore. Questa caratteristica, unita al fatto che la faccia posteriore è più curva di quella anteriore, rende la cornea una lente divergente in grado di compensare il potere rifrattivo del cristallino. In questo modo l’occhio diventa emmetrope in ambiente subacqueo. Nel Tursiope e nella Stenella striata, come del resto in molti Cetacei, la sclerotica è particolarmente ispessita. Lo spessore della sclerotica è particolarmente evidente nella sua parte posteriore. Tale adattamento svolge probabilmente il ruolo di proteggere l’occhio dalle variazioni di pressione legate all'immersione, tenuto conto anche dell'assenza di una vera e propria orbita di natura ossea.

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La vongola Chamelea gallina è un mollusco appartenente alla famiglia Veneridae avente un'ampia distribuzione nel Mediterraneo. L’animale vive su fondali sabbiosi o sabbiosi – fangosi, con distribuzione aggregata, in prossimità della costa, a bassa profondità da 0 a 15metri. Nel presente studio è stata stimata sia la biomassa di Chamelea gallina espressa in kg/mq che la distribuzione di taglia, per valutare l’accrescimento della specie. L’accrescimento della vongola, così come per altre specie fossorie è influenzato da fattori biotici e abiotici, come la temperatura, lo stato trofico delle acque, la natura dei sedimenti ed infine la densità. Lo scopo di questa tesi è stato quello di monitorare l’attività di pesca delle vongole nel Compartimento di Rimini e raccogliere gli elementi conoscitivi esistenti a fine di ottimizzare la gestione della risorsa. A tal fine sono state realizzate a Rimini due campagne di pesca nel mese di Luglio e Dicembre 2014, utilizzando una draga idraulica di tipo commerciale conforme agli standard previsti dalla legge. Il campionamento è stato effettuato su 9 transetti perpendicolari alla costa con stazioni a 0,25-0,50-0,75 e proseguendo 1 Miglio qualora nei campioni vi sia ancora la presenza di vongole. A fine di valutare la frazione di individui con taglia inferiore a quella commerciale (25mm), all’interno della draga è stato posto un retino campionatore. Il materiale contenuto nella draga è stato selezionato al vibro-vaglio installato a bordo, attrezzato con griglie aventi fori del diametro di 19mm di apertura. Tutte le vongole trattenute dal vaglio sono state analizzate per ottenere una distribuzione di taglia. I risultati acquisiti nel corso della presente indagine hanno evidenziato una generale situazione di sofferenza per la taglia commerciale. In particolare sono state catturate molte vongole della prima maturità sessuale (14mm). Tutto ciò potrebbe essere proprio un’indicazione di banco in ricostituzione e ripresa dopo una situazione di crisi. Per quanto riguarda le forme giovanili i risultati ottenuti dalle due campagne di pesca indicano una notevole differenza di densità dei banchi di Chamelea gallina. Tali risultati sono stati ottenuti con il software ImageJ, il quale è in grado di rilevare la larghezza massima delle singole vongole. Infine sono stati registrati i valori di biomassa espressi in kg/mq, evidenziando una discreta oscillazione di valori tra le stazioni campionate. Infatti in entrambi i campionamenti le stazioni situate all’ interno degli strati più costieri presentano nella maggior parte dei casi valori, sia in biomassa che in numero, maggiori rispetto a quelle di largo. Concludendo, l’insieme dei dati raccolti ha evidenziato la necessità di urgenti misure di controllo e regolamentazione della risorsa, dei parametri eco-ambientali e della pesca esercitata, al fine di acquisire quelle informazioni utili per avviare un corretto piano di gestione della risorsa.