964 resultados para radioterapia, fisica medica, dosimetria, caratterizzazione rivelatore, matrice di rivelatori a ionizzazione


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I disturbi dello spettro autistico (DSA) ed il ritardo mentale (RM) sono caratterizzati da un’eziologia genetica complessa ed eterogenea. Grazie ai recenti sviluppi nella ricerca genomica, è stato possibile dimostrare il ruolo di numerose copy number variants (CNVs) nella patogenesi di questi disturbi, anche se nella maggior parte dei casi l’eziologia rimane ancora sconosciuta. Questo lavoro riguarda l’identificazione e la caratterizzazione dei CNVs in famiglie con DSA e RM. E’ stata studiata una microdelezione in 7q31 che coinvolge i geni IMMP2L e DOCK4, trasmessa dalla madre con dislessia a due figli con autismo ed una figlia con dislessia. Nella stessa famiglia segrega una seconda microdelezione in 2q14 che inattiva il gene CNTNAP5 ed è trasmessa dal padre (con tratti autistici) ai due figli con autismo. Abbiamo quindi ipotizzato che i geni DOCK4 e CNTNAP5 potessero essere implicati, rispettivamente, nella suscettibilità a dislessia e DSA. Lo screening di numerosi individui affetti ha supportato la nostra ipotesi, con l’identificazione di una nuova microdelezione di DOCK4 che segrega con la dislessia, e 3 nuove varianti missenso in CNTNAP5 in individui con autismo. Dall’analisi genomica comparativa su array (aCGH) di individui con RM, è stata identificata una delezione nella regione 7q31.32, che coinvolge il gene CADPS2, in due fratelli con RM e tratti autistici, probabilmente ereditata dalla madre. Lo screening di mutazione di questo gene in individui con autismo o RM, ha portato all’identificazione di 3 varianti non sinonime, assenti nei controlli, ed ereditate per via materna. Poiché CADPS2 risiede in una regione genomica che contiene loci soggetti ad imprinting, abbiamo ipotizzato che il gene CADPS2 possa essere anch’esso caratterizzato da imprinting, con espressione monoallelica materna. Lo studio di espressione di CADPS2 in cellule del sangue ha avvalorato questa ipotesi, implicando perciò CADPS2 come un nuovo gene di suscettibilità per il RM e DSA.

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La leishmaniosi canina (LCan) causata da Leishmania infantum rappresenta un’importante zoonosi in molte aree del mondo ed il cane rappresenta il principale reservoir del parassita per l’uomo. Il tipo di risposta immunitaria che i soggetti colpiti mettono in atto condiziona fortemente la progressione della malattia: animali che non sviluppano un’adeguata risposta immunitaria cellulo-mediata mostrano la sintomatologia clinica nonostante abbiano una forte ma inefficace risposta umorale che contribuisce al peggioramento della sintomatologia clinica. L’obbiettivo dello studio è stato quello valutare da un punto di vista descrittivo il segnalamento, i segni clinici e clinicopatologici dei pazienti affetti da leishmaniosi portati in visita presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie nel periodo compreso da Gennaio 2002 a Marzo 2012 con particolare attenzione sull’impatto della patologia renale e dell’anemia nel quadro clinico della LCan. In base ai risultati ottenuti è stato possibile affermare che la leishmaniosi canina è una patologia relativamente frequente nella nostra realtà clinica universitaria e che presenta caratteristiche cliniche e clinicopatologiche simili a quelle riportate in letteratura. I nostri risultati preliminari suggeriscono che in questa malattia il coinvolgimento renale e le conseguenze sistemiche che ne derivano possono essere predominanti a livello clinico e laboratoristico. La gravità del quadro clinico appare associata in maniera significativa all’entità della risposta umorale e del successivo coinvolgimento glomerulare nel contesto di una risposta infiammatoria sistemica cronica. Successivamente, sono state misurate le concentrazioni di IgG ed IgM in corso di follow-up in alcuni dei soggetti inclusi nello studio e sottoposti a differenti trattamenti anti-leishmania. Dai risultati preliminari ottenuti nel nostro lavoro è stato possibile affermare che in corso di trattamento le concentrazioni di tali immunoglobuline subiscono una riduzione progressiva confermando pertanto l’efficacia del trattamento anti-leishmania non solo nella remissione della sintomatologia clinica ma anche nel ripristino della normale risposta umorale.

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Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte nei paesi industrializzati. Le possibilità di trapianto ed intervento chirurgico risultano molto limitate pertanto lo standard di cura risulta essere la radioterapia, a volte abbinata alla chemioterapia. Sebbene trattando radioterapicamente il tumore si ottengano ottimi risultati, attualmente non esistono solide linee guida per la personalizzazione del trattamento al paziente. Il poter eseguire in laboratorio test radioterapici su un elevato numero di campioni risulterebbe un valido approccio sperimentale d’indagine, ma la carenza di materiale su cui poter condurre gli esperimenti limita questa possibilità. Tipicamente, per ovviare al problema vengono utilizzati sferoidi multicellulari tridimensionali creati in laboratorio partendo da singole cellule del tumore in esame. In particolare, l’efficacia del trattamento viene tipicamente correlata alla riduzione volumetrica media stimata utilizzando un set di sferoidi teoricamente identici. In questo studio vengono messe in discussione la validità delle affermazioni tipicamente sostenute attraverso l’analisi di volumi medi. Abbiamo utilizzando un set di circa 100 sferoidi creati in laboratorio partendo da singole cellule di carcinoma epidermoidale polmonare e trattati secondo sette differenti modalità di trattamento radioterapico (variando intensità di radiazione e numero di frazioni). In una prima fase abbiamo analizzato le singole immagini, acquisite al microscopio ottico circa ogni 48 ore, per identificare features morfometriche significative da affiancare all’analisi volumetrica. Sulla base dell’andamento temporale di queste features abbiamo suddiviso gli sferoidi in sottoclassi con evoluzioni completamente differenti che fanno supporre un differente “stato” biologico. Attraverso algoritmi di estrazione di features e classificazione e analizzando riduzione volumetrica, grado di frastagliatura del bordo e quantità di cellule liberate nel terreno di coltura abbiamo definito un protocollo per identificare in maniera automatica le sottopopolazioni di sferoidi. Infine, abbiamo ricercato con successo alcune features morfometriche in grado di predire, semplicemente analizzando immagini acquisite nei giorni seguenti all’ultimo trattamento, lo “stato di salute” del tumore a medio/lungo periodo. Gli algoritmi realizzati e le features identificate se opportunamente validate potrebbero risultare un importante strumento non invasivo di ausilio per il radioterapista per valutare nel breve periodo gli effetti a lungo periodo del trattamento e quindi poter modificare parametri di cura al fine di raggiungere uno stato desiderato del tumore.

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Con gli strumenti informatici disponibili oggi per le industrie, in particolar modo coi software CAE, le possibile simulare in maniera più che soddisfacente i fenomeni fisici presenti in natura. Anche il raffreddamento di un manufatto in polimero può venire simulato, a patto che si conoscano tutti i dati dei materiali e delle condizioni al contorno. Per quanto riguarda i dati dei materiali, i produttori di polimeri sono molto spesso in grado di fornirli, mentre le condizioni al contorno devono essere padroneggiate dal detentore della tecnologia. Nella pratica, tale conoscenza è al più incompleta, quindi si fanno ipotesi per colmare le lacune. Una tra le ipotesi più forti fatte è quella di una perfetta conduzione all'interfaccia tra due corpi. Questo è un vincolo troppo forte, se paragonato alla precisione di tutti gli altri dati necessari alla simulazione, e quindi si è deciso di eseguire una campagna sperimentale per stimare la resistenza al passaggio flusso termico all'interfaccia polimero-stampo ovvero determinare la conduttanza termica di contatto. L'attività svolta in questa tesi di dottorato ha come scopo quello di fornire un contributo significativo allo sviluppo e al miglioramento dell'efficienza termica degli stampi di formatura dei polimeri termoplastici con tecnologia a compressione.

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Si sono analizzate le opportunità offerte dalla telelettura dei consumi idrici per la caratterizzazione della domanda idrica con particolare attenzione al caso di studio di Fano (PU)

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La ricerca è mirata a valutare come l’attuazione delle politiche ambientali di Sviluppo Rurale possa contribuire al miglioramento del paesaggio, analizzando i suoi effetti territoriali. Nell’ambito del caso di studio della Regione Emilia-Romagna vengono analizzate le misure agro-ambientali e di forestazione agricola dal 1994 al 2011, comprendendo gli interventi realizzati con i Regolamenti (CEE) 2078/1992, 2080/1992 e dai Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) 2000-2006 e 2007-2013. In particolare, sono approfonditi i fattori che determinano la partecipazione territoriale delle misure agro-ambientali, individuate a livello aziendale le motivazioni alla partecipazione per le azioni con effetto diretto sul paesaggio, valutati i conseguenti effetti tecnico-economici e analizzati gli impatti degli interventi sul paesaggio a livello territoriale, in funzione del contesto ambientale. I risultati hanno consentito di approfondire quanto già riportato nelle valutazioni istituzionali dei PSR e in letteratura scientifica, individuando i fattori determinanti della partecipazione a livello regionale. A questo scopo sono state utilizzate analisi di econometria spaziale che hanno permesso di evidenziare effetti di concentrazione territoriale delle superfici sotto impegno, in funzione delle priorità della misura e degli ordinamenti produttivi dei beneficiari. Sono stati inoltre analizzati gli impatti paesaggistici in un’area di studio ristretta a livello territoriale e aziendale: gli interventi specifici, in alcuni contesti territoriali dove è stata raggiunta una certa concentrazione delle superfici sotto impegno, hanno modificato il paesaggio rurale, differenziandolo rispetto alla matrice agricola intensiva in cui sono stati inseriti. A livello aziendale sono stati rilevati effetti significativi sull’economia dei beneficiari che scelgono di aderire a tali misure, con un diffuso effetto di riduzione della redditività. I contributi compensano in maniera differenziata i costi legati all’implementazione degli interventi in funzione della tipologia di intervento e delle scelte tecniche aziendali adottate per la loro gestione.

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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La ricerca in oggetto ha analizzato le relazioni tra migrazione e salute mentale nel Distretto di Pianura Est dell'AUSL di Bologna. Attraverso un dispositivo d’indagine multi-disciplinare basato sui quadri teorici dell'Antropologia Medica Critica, della Salute Pubblica e della Psichiatria, la ricerca si è inserita nell’ampio contesto di sperimentazione di un innovativo modello di assistenza per pazienti migranti, denominato Centro di Consultazione Socio- Culturale. L'architettura dello studio si rifà a un modello di Ricerca-Azione Partecipata e Multi-Situata fondato su un approccio analitico e auto-riflessivo, il quale ha consentito di problematizzare, oltre alle azioni e alle traiettorie dei vari soggetti che operano nel campo della ricerca, anche le categorie oggetto della ricerca stessa. L'analisi, profondamente radicata nel dato empirico, è stata condotta a partire dall'esperienza degli attori sociali coinvolti. Le esperienze, le informazioni e le rappresentazioni reciproche sono state co-costruite in forma partecipativa attraverso l'uso combinato di metodologie quali-quantitative proprie sia delle discipline sanitarie sia di quelle sociali. Come materiali della ricerca sono stati utilizzati: dati primari e secondari prodotti dalle istituzioni e dalle organizzazioni del territorio stesso; informazioni provenienti dall'osservazione partecipante; colloqui con informatori-chiave; interviste semi-strutturate con decisori politici, amministratori, organizzazioni del territorio, operatori dei servizi, cittadini e pazienti. La ricerca ha dimostrato la validità delle prospettive teoriche utilizzate e delle strategie di lavoro proposte. Il modello di lavoro multi-disciplinare e multi-metodologico si è rivelato produttivo nell'indagare congiuntamente le prospettive degli attori coinvolti insieme alle loro traiettorie, alle reciproche interconnessioni e alle relazioni tra processi locali e globali. L’analisi auto-riflessiva ha consentito di analizzare le attività del Centro di Consultazione evidenziandone vantaggi e limiti. Infine, la collaborazione tra Salute Pubblica e Antropologia Medica Critica ha dimostrato una grande potenzialità e produttività sia sul versante della ricerca scientifica sia su quello dell'assistenza sanitaria.

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Il tumore al seno è il più comune tra le donne nel mondo. La radioterapia è comunemente usata dopo la chirurgia per distruggere eventuali cellule maligne rimaste nel volume del seno. Nei trattamenti di radioterapia bisogna cercare di irradiare il volume da curare limitando contemporaneamente la tossicità nei tessuti sani. In clinica i parametri che definiscono il piano di trattamento radioterapeutico sono selezionati manualmente utilizzando un software di simulazione per trattamenti. Questo processo, detto di trial and error, in cui i differenti parametri vengono modificati e il trattamento viene simulato nuovamente e valutato, può richiedere molte iterazioni rendendolo dispendioso in termini di tempo. Lo studio presentato in questa tesi si concentra sulla generazione automatica di piani di trattamento per irradiare l'intero volume del seno utilizzando due fasci approssimativamente opposti e tangenti al paziente. In particolare ci siamo concentrati sulla selezione delle direzioni dei fasci e la posizione dell'isocentro. A questo scopo, è stato investigata l'efficacia di un approccio combinatorio, nel quale sono stati generati un elevato numero di possibili piani di trattamento utilizzando differenti combinazioni delle direzioni dei due fasci. L'intensità del profilo dei fasci viene ottimizzata automaticamente da un algoritmo, chiamato iCycle, sviluppato nel ospedale Erasmus MC di Rotterdam. Inizialmente tra tutti i possibili piani di trattamento generati solo un sottogruppo viene selezionato, avente buone caratteristiche per quel che riguarda l'irraggiamento del volume del seno malato. Dopo di che i piani che mostrano caratteristiche ottimali per la salvaguardia degli organi a rischio (cuore, polmoni e seno controlaterale) vengono considerati. Questi piani di trattamento sono matematicamente equivalenti quindi per selezionare tra questi il piano migliore è stata utilizzata una somma pesata dove i pesi sono stati regolati per ottenere in media piani che abbiano caratteristiche simili ai piani di trattamento approvati in clinica. Questo metodo in confronto al processo manuale oltre a ridurre considerevol-mente il tempo di generazione di un piano di trattamento garantisce anche i piani selezionati abbiano caratteristiche ottimali nel preservare gli organi a rischio. Inizialmente è stato utilizzato l'isocentro scelto in clinica dal tecnico. Nella parte finale dello studio l'importanza dell'isocentro è stata valutata; ne è risultato che almeno per un sottogruppo di pazienti la posizione dell'isocentro può dare un importante contributo alla qualità del piano di trattamento e quindi potrebbe essere un ulteriore parametro da ottimizzare. 

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Le cellule staminali/stromali mesenchimali umane (hMSC) sono attualmente applicate in diversi studi clinici e la loro efficacia è spesso legata alla loro capacità di raggiungere il sito d’interesse. Poco si sa sul loro comportamento migratorio e i meccanismi che ne sono alla base. Perciò, questo studio è stato progettato per comprendere il comportamento migratorio delle hMSC e il coinvolgimento di Akt, nota anche come proteina chinasi B. L’espressione e la fosforilazione della proteinchinasi Akt è stata studiata mediante Western blotting. Oltre al time-lapse in vivo imaging, il movimento cellulare è stato monitorato sia mediante saggi tridimensionali, con l’uso di transwell, che mediante saggi bidimensionali, attraverso la tecnica del wound healing. Le prove effettuate hanno rivelato che le hMSC hanno una buona capacità migratoria. E’ stato osservato che la proteinchinasi B/Akt ha elevati livelli basali di fosforilazione in queste cellule. Inoltre, la caratterizzazione delle principali proteine di regolazione ed effettrici, a monte e a valle di Akt, ha permesso di concludere che la cascata di reazioni della via di segnale anche nelle hMSC segue un andamento canonico. Specifici inibitori farmacologici sono stati utilizzati per determinare il potenziale meccanismo coinvolto nella migrazione cellulare e nell'invasione. L’inibizione della via PI3K/Akt determina una significativa riduzione della migrazione. L’utilizzo di inibitori farmacologici specifici per le singole isoforme di Akt ha permesso di discriminare il ruolo diverso di Akt1 e Akt2 nella migrazione delle hMSC. E’ stato infatti dimostrato che l'inattivazione di Akt2, ma non quella di Akt1, diminuisce significativamente la migrazione cellulare. Nel complesso i risultati ottenuti indicano che l'attivazione di Akt2 svolge un ruolo critico nella migrazione della hMSC; ulteriori studi sono necessari per approfondire la comprensione del fenomeno. La dimostrazione che l’isoforma Akt2 è necessaria per la chemiotassi diretta delle hMSC, rende questa chinasi un potenziale bersaglio farmacologico per modulare la loro migrazione.

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In this thesis three measurements of top-antitop differential cross section at an energy in the center of mass of 7 TeV will be shown, as a function of the transverse momentum, the mass and the rapidity of the top-antitop system. The analysis has been carried over a data sample of about 5/fb recorded with the ATLAS detector. The events have been selected with a cut based approach in the "one lepton plus jets" channel, where the lepton can be either an electron or a muon. The most relevant backgrounds (multi-jet QCD and W+jets) have been extracted using data driven methods; the others (Z+ jets, diboson and single top) have been simulated with Monte Carlo techniques. The final, background-subtracted, distributions have been corrected, using unfolding methods, for the detector and selection effects. At the end, the results have been compared with the theoretical predictions. The measurements are dominated by the systematic uncertainties and show no relevant deviation from the Standard Model predictions.

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Life Cycle Assessment (LCA) is a chain-oriented tool to evaluate the environment performance of products focussing on the entire life cycle of these products: from the extraction of resources, via manufacturing and use, to the final processing of the disposed products. Through all these stages consumption of resources and pollutant releases to air, water, soil are identified and quantified in Life Cycle Inventory (LCI) analysis. Subsequently to the LCI phase follows the Life Cycle Impact Assessment (LCIA) phase; that has the purpose to convert resource consumptions and pollutant releases in environmental impacts. The LCIA aims to model and to evaluate environmental issues, called impact categories. Several reports emphasises the importance of LCA in the field of ENMs. The ENMs offer enormous potential for the development of new products and application. There are however unanswered questions about the impacts of ENMs on human health and the environment. In the last decade the increasing production, use and consumption of nanoproducts, with a consequent release into the environment, has accentuated the obligation to ensure that potential risks are adequately understood to protect both human health and environment. Due to its holistic and comprehensive assessment, LCA is an essential tool evaluate, understand and manage the environmental and health effects of nanotechnology. The evaluation of health and environmental impacts of nanotechnologies, throughout the whole of their life-cycle by using LCA methodology. This is due to the lack of knowledge in relation to risk assessment. In fact, to date, the knowledge on human and environmental exposure to nanomaterials, such ENPs is limited. This bottleneck is reflected into LCA where characterisation models and consequently characterisation factors for ENPs are missed. The PhD project aims to assess limitations and challenges of the freshwater aquatic ecotoxicity potential evaluation in LCIA phase for ENPs and in particular nanoparticles as n-TiO2.

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Il sarcoma di Ewing (ES) è un tumore maligno pediatrico dell’apparato scheletrico; è associato a una traslocazione specifica codificante la proteina di fusione EWS-FLI1 e all’alta espressione di CD99, una glicoproteina di membrana fisiologicamente coinvolta in diversi processi biologici. EWS-FLI1 e CD99, sono riportati avere ruoli divergenti nella modulazione della malignità e del differenziamento di ES. CD99 inoltre è riportato modulare il pathway di MAPK, il quale interagendo con molteplici fattori di trascrizione partecipa a processi di proliferazione e differenziamento. In questo studio abbiamo investigato in due linee cellulari di ES silenziate per CD99 (TC-71shCD99 e IOR/CARshCD99) l’attività basale di diversi fattori trascrizionali quali: NF-kBp65, AP1, Elk-1, E2F e CREB. L’unico fattore trascrizionale statisticamente significativo è risultato essere NF-kBp65 e abbiamo valutato il suo ruolo nel differenziamento neurale di cellule di ES e la relazione con EWS-FLI1 e CD99. L’attività trascrizionale di NF-kB è stata valutata attraverso gene reporter assay in linee cellulari di ES a diversa espressione di CD99, EWS-FLI1 e NF-kB stesso. Il differenziamento neurale è stato valutato come espressione di βIII-Tubulin in immunofluorescenza. Il silenziamento di CD99 induce una down-modulazione dell’attività trascrizionale di NF-kB, mentre il knockdown di EWS-FLI1 ne induce un’aumento. Inoltre, il silenziamento di EWS-FLI1 non è in grado di contrastare la riduzione dell’attività di NF-kB osservata dopo silenziamento di CD99, suggerendo un ruolo dominante del CD99 nel signaling di NF-kB. Cellule deprivate di CD99 ma non di EWS-FLI1, mostrano un fenotipo differenziato in senso neurale, fenotipo che viene perso quando le cellule sono indotte a sovraesprimere NF-kB. Inoltre, in cellule CD99 positive, il silenziamento di NF-kB induce un leggero differenziamento neurale. In conclusione, questi dati hanno evidenziato il ruolo di NF-kB nel differenziamento di cellule di ES e che potrebbe essere un potenziale target nel ridurre la progressione di questo tumore.

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La chirurgia con ultrasuoni focalizzati guidati da MRI (MR-g-FUS) è un trattamento di minima invasività, guidato dal più sofisticato strumento di imaging a disposizione, che utilizza a scopo diagnostico e terapeutico forme di energia non ionizzante. Le sue caratteristiche portano a pensare un suo possibile e promettente utilizzo in numerose aree della patologia umana, in particolare scheletrica. L'osteoma osteoide affligge frequentemente pazienti di giovane età, è una patologia benigna, con origine ed evoluzione non chiare, e trova nella termoablazione con radiofrequenza continua sotto guida CT (CT-g-RFA) il suo trattamento di elezione. Questo lavoro ha valutato l’efficacia, gli effetti e la sicurezza del trattamento dell’osteoma osteoide con MR-g-FUS. Sono stati presi in considerazione pazienti arruolati per MR-g-FUS e, come gruppo di controllo, pazienti sottoposti a CT-g-RFA, che hanno raggiunto un follow-up minimo di 18 mesi (rispettivamente 6 e 24 pazienti). Due pazienti erano stati esclusi dal trattamento MR-g-FUS per claustrofobia (2/8). Tutti i trattamenti sono stati portati a termine con successo tecnico e clinico. Non sono state registrate complicanze o eventi avversi correlati all’anestesia o alle procedure di trattamento, e tutti i pazienti sono stati dimessi regolarmente dopo 12-24 ore. La durata media dei trattamenti di MR-g-FUS è stata di 40±21 min. Da valori di score VAS pre-trattamento oscillanti tra 6 e 10 (su scala 0-10), i trattamenti hanno condotto tutti i pazienti a VAS 0 (senza integrazioni farmacologiche). Nessun paziente ha manifestato segni di persistenza di malattia o di recidiva al follow-up. Nonostante la neurolisi e la risoluzione dei sintomi, la perfusione del nidus è stata ritrovata ancora presente in oltre il 70% dei casi sottoposti a MR-g-FUS (4/6 pazienti). I risultati derivati da un'analisi estesa a pazienti più recentemente arruolati confermano questi dati. Il trattamento con MR-g-FUS sembra essere efficace e sicuro nel risolvere la sintomatologia dell'osteoma osteoide.