811 resultados para adult day care


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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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INTRODUÇÃO: A prevalência de asma tem crescido e a maioria dos pacientes com asma grave não obtém o controle total dos sintomas com as terapias disponíveis, fazendo-se necessária a busca por novas alternativas terapêuticas. Inibidores de proteinases têm sido estudados como tratamento de processos inflamatórios, dentre eles o Enterolobium contortisiliquum Tripsin Inhibitor (EcTI) OBJETIVO: Avaliar se o inibidor de proteinase EcTI modula a hiperresponsividade brônquica à metacolina, inflamação, remodelamento e estresse oxidativo nas vias aéreas e septos alveolares em um modelo experimental de inflamação pulmonar alérgica crônica. MÉTODOS: Vinte e quatro camundongos Balb/c machos, entre seis e sete semanas de vida, pesando em media 25 g foram divididos em quatro grupos: C (controle), OVA (sensibilizados com ovalbumina, 50 ug intraperironeal (i.p) nos dias 0 e 14 e desafiados nos dias 22, 24, 26, 28); C+EC (controle tratados com EcTI (2 mg/kg/i.p) nos dias 22 a 28); OVA+EC (sensibilizados e desafiados com ovalbumina e também tratados com EcTI (2 mg/kg -i.p) nos dias 22 a 28). No dia 29, foram realizadas realizadas: (i) hiperresponsividade à metacolina e obtidas as respostas máximas de resistência e elastância do sistema respiratório; (ii) análise histopatológica do pulmão para quantificação de eosinófilos, fibras colágenas e elásticas nas vias aéreas (VA) e nos septos alveolares (SA); e (iii) imunohistoquímica para quantificação de células positivas para IFN-y, IL-4, IL-5, IL-13, MMP-9, TIMP-1, TGF-beta, iNOS, NF-kB e fração de volume de isoprostano nas VA e nos SA. Uma semana após o dia 29 foi realizada a técnica de anafilaxia cutanea passiva(PCA) para quantificar IgE e IgG1. A significância foi considerada quando p < 0,05. RESULTADOS: Houve aumento de todos os parâmetros avaliados no grupo OVA em relação ao grupo controle (p < 0,05). Houve atenuação da resposta máxima de Rrs e Ers no grupo OVA+EC comparado as grupo OVA (p < 0,05). O tratamento com EcTI nos animais sensibilizados atenuou o número de eosinófilos, células positivas para IL-4, IL-5, IL-13,IFN-y, iNOS, MMP-9, TIMP-1, NF-kB e TGF-beta e fração de volume de isoprostano, fibras colágenas e elásticas nas vias aéreas e nos séptos alveolares quando comparado ao grupo OVA (p < 0,05).Houve reaçao de PCA nos animais sensibilizados com ovalbumina. CONCLUSÃO: EcTI atenuou a hiperresponsividade brônquica, a inflamação, o remodelamento e o estresse oxidativo nesse modelo experimental de inflamação pulmonar alérgica crônica. Embora sejam necessários mais estudos, esse inibidor pode ser considerado uma futura ferramenta farmacológica para o tratamento de asma

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Relatório de estágio apresentado à Escola Superior de Educação de Santarém para obtenção do grau de mestre em Educação Pré-escolar

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Thesis (Master's)--University of Washington, 2016-06

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Patient outcomes in transplantation would improve if dosing of immunosuppressive agents was individualized. The aim of this study is to develop a population pharmacokinetic model of tacrolimus in adult liver transplant recipients and test this model in individualizing therapy. Population analysis was performed on data from 68 patients. Estimates were sought for apparent clearance (CL/F) and apparent volume of distribution (V/F) using the nonlinear mixed effects model program (NONMEM). Factors screened for influence on these parameters were weight, age, sex, transplant type, biliary reconstructive procedure, postoperative day, days of therapy, liver function test results, creatinine clearance, hematocrit, corticosteroid dose, and interacting drugs. The predictive performance of the developed model was evaluated through Bayesian forecasting in an independent cohort of 36 patients. No linear correlation existed between tacrolimus dosage and trough concentration (r(2) = 0.005). Mean individual Bayesian estimates for CL/F and V/F were 26.5 8.2 (SD) L/hr and 399 +/- 185 L, respectively. CL/F was greater in patients with normal liver function. V/F increased with patient weight. CL/F decreased with increasing hematocrit. Based on the derived model, a 70-kg patient with an aspartate aminotransferase (AST) level less than 70 U/L would require a tacrolimus dose of 4.7 mg twice daily to achieve a steady-state trough concentration of 10 ng/mL. A 50-kg patient with an AST level greater than 70 U/L would require a dose of 2.6 mg. Marked interindividual variability (43% to 93%) and residual random error (3.3 ng/mL) were observed. Predictions made using the final model were reasonably nonbiased (0.56 ng/mL), but imprecise (4.8 ng/mL). Pharmacokinetic information obtained will assist in tacrolimus dosing; however, further investigation into reasons for the pharmacokinetic variability of tacrolimus is required.

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Background: Hospital performance reports based on administrative data should distinguish differences in quality of care between hospitals from case mix related variation and random error effects. A study was undertaken to determine which of 12 diagnosis-outcome indicators measured across all hospitals in one state had significant risk adjusted systematic ( or special cause) variation (SV) suggesting differences in quality of care. For those that did, we determined whether SV persists within hospital peer groups, whether indicator results correlate at the individual hospital level, and how many adverse outcomes would be avoided if all hospitals achieved indicator values equal to the best performing 20% of hospitals. Methods: All patients admitted during a 12 month period to 180 acute care hospitals in Queensland, Australia with heart failure (n = 5745), acute myocardial infarction ( AMI) ( n = 3427), or stroke ( n = 2955) were entered into the study. Outcomes comprised in-hospital deaths, long hospital stays, and 30 day readmissions. Regression models produced standardised, risk adjusted diagnosis specific outcome event ratios for each hospital. Systematic and random variation in ratio distributions for each indicator were then apportioned using hierarchical statistical models. Results: Only five of 12 (42%) diagnosis-outcome indicators showed significant SV across all hospitals ( long stays and same diagnosis readmissions for heart failure; in-hospital deaths and same diagnosis readmissions for AMI; and in-hospital deaths for stroke). Significant SV was only seen for two indicators within hospital peer groups ( same diagnosis readmissions for heart failure in tertiary hospitals and inhospital mortality for AMI in community hospitals). Only two pairs of indicators showed significant correlation. If all hospitals emulated the best performers, at least 20% of AMI and stroke deaths, heart failure long stays, and heart failure and AMI readmissions could be avoided. Conclusions: Diagnosis-outcome indicators based on administrative data require validation as markers of significant risk adjusted SV. Validated indicators allow quantification of realisable outcome benefits if all hospitals achieved best performer levels. The overall level of quality of care within single institutions cannot be inferred from the results of one or a few indicators.

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Objective: To evaluate changes in quality of in-hospital care of patients with either acute coronary syndromes (ACS) or congestive heart failure (CHF) admitted to hospitals participating in a multisite quality improvement collaboration. Design: Before-and-after study of changes in quality indicators measured on representative patient samples between June 2001 and January 2003. Setting: Nine public hospitals in Queensland. Study populations: Consecutive or randomly selected patients admitted to study hospitals during the baseline period (June 2001 to January 2002; n = 807 for ACS, n = 357 for CHF) and post-intervention period (July 2002 to January 2003; n = 717 for ACS, n = 220 for CHF). Intervention: Provision of comparative baseline feedback at a facilitative workshop combined with hospital-specific quality-improvement interventions supported by on-site quality officers and a central program management group. Main outcome measure: Changes in process-of-care indicators between baseline and post-intervention periods. Results: Compared with baseline, more patients with ACS in the post-intervention period received therapeutic heparin regimens (84% v 72%; P < 0.001), angiotensin-converting enzyme inhibitors (64% v 56%; P = 0.02), lipid-lowering agents (72% v 62%; P < 0.001), early use of coronary angiography (52% v 39%; P < 0.001), in-hospital cardiac counselling (65% v 43%; P < 0.001), and referral to cardiac rehabilitation (15% v 5%; P < 0.001). The numbers of patients with CHF receiving β-blockers also increased (52% v 34%; P < 0.001), with fewer patients receiving deleterious agents (13% v 23%; P = 0.04). Same-cause 30-day readmission rate decreased from 7.2% to 2.4% (P = 0.02) in patients with CHF. Conclusion: Quality-improvement interventions conducted as multisite collaborations may improve in-hospital care of acute cardiac conditions within relatively short time frames.

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In this study, the suitability of two repetitive-element-based PCR (rep-PCR) assays, enterobacterial repetitive intergenic consensus (ERIC)-PCR and BOX-PCR, to rapidly characterize Pseudomonas aeruginosa strains isolated from patients with cystic fibrosis (CF) was examined. ERIC-PCR utilizes paired sequence-specific primers and BOX-PCR a single primer that target highly conserved repetitive elements in the P. aeruginosa genome. Using these rep-PCR assays, 163 P. aeruginosa isolates cultured from sputa collected from 50 patients attending an adult CF clinic and 50 children attending a paediatric CF clinic were typed. The results of the rep-PCR assays were compared to the results of PFGE. All three assays revealed the presence of six major clonal groups shared by multiple patients attending either of the CF clinics, with the dominant clonal group infecting 38% of all patients. This dominant clonal group was not related to the dominant clonal group detected in Sydney or Melbourne (pulsotype 1), nor was it related to the dominant groups detected in the UK. In all, PFGE and rep-PCR identified 58 distinct clonal groups, with only three of these shared between the two clinics. The results of this study showed that both ERIC-PCR and BOX-PCR are rapid, highly discriminatory and reproducible assays that proved to be powerful surveillance screening tools for the typing of clinical P. aeruginosa isolates recovered from patients with CF.

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Objective: To examine the epidemiology, primary care burden, and treatment of heart failure in Scotland, UK. Design: Cross sectional data from primary care practices participating in the Scottish continuous morbidity recording scheme between 1 April 1999 and 31 March 2000. Setting: 53 primary care practices ( 307 741 patients). Subjects: 2186 adult patients with heart failure. Results: The prevalence of heart failure in Scotland was 7.1 in 1000, increasing with age to 90.1 in 1000 among patients greater than or equal to 85 years. The incidence of heart failure was 2.0 in 1000, increasing with age to 22.4 in 1000 among patients greater than or equal to 85 years. For older patients, consultation rates for heart failure equalled or exceeded those for angina and hypertension. Respiratory tract infection was the most common comorbidity leading to consultation. Among men, 23% were prescribed a beta blocker, 11% spironolactone, and 46% an angiotensin converting enzyme inhibitor. The corresponding figures for women were 20% (p = 0.29 versus men), 7% (p = 0.02), and 34% (p < 0.001). Among patients, 75 years 26% were prescribed a β blocker, 11% spironolactone, and 50% an angiotensin converting enzyme inhibitor. The corresponding figures for patients &GE; 75 years were 19% (p = 0.04 versus patients < 75), 7% (p = 0.04), and 33% (p < 0.001). Conclusions: Heart failure is a common condition, especially with advancing age. In the elderly, the community burden of heart failure is at least as great as that of angina or hypertension. The high rate of concomitant respiratory tract infection emphasises the need for strategies to immunise patients with heart failure against influenza and pneumococcal infection. Drugs proven to improve survival in heart failure are used less frequently for elderly patients and women.

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We examined the feasibility of a low-cost, store-and-forward teledermatology service for general practitioners (GPs) in regional Queensland. Digital pictures and a brief case history were transmitted by email. A service coordinator carried out quality control checks and then forwarded these email messages to a consultant dermatologist. On receiving a clinical response from the dermatologist, the service coordinator returned the message to the referring GP. The aim was to provide advice to rural Gps within one working day. Over six months, 63 referrals were processed by the teledermatology service, covering a wide range of dermatological conditions. In the majority of cases the referring doctors were able to treat the condition after receipt of email advice from the dermatologist; however, in 10 cases (16%) additional images or biopsy results were requested because image quality was inadequate. The average time between a referral being received and clinical advice being provided to the referring GPs was 46 hours. The number of referrals in the present study, 1.05 per month per site, was similar to that reported in other primary care studies. While the use of low-cost digital cameras and public email is feasible, there may be other issues, for example remuneration, which will militate against the widespread introduction of primary care teledermatology in Australia.

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Objective: Few data have been published regarding protein losing enteropathy in adult patients with burns. This study characterised the presence of protein-losing enteropathy in adults with burns and examined the relationship between the magnitude of bum size and the severity of protein loss. Methods: Twenty adult patients with burns (BSA 31+/-25%, range 2-80%) were studied. Fluid resuscitation was based on the Parkland's formula. Protein loss into the gastrointestinal tract was measured using faecal alpha(1)-antitrypsin (FA-1-AT) concentrations. Serial measurements of serum protein and albumin concentrations were performed. Results: Fourteen patients demonstrated elevations in FA-1-AT levels. The mean peak FA-1-AT level was 3.6+/-4.2 mg/g dry weight of stool. Two patients demonstrated elevated FA-1-AT excretion 1.5 months and 3 months after the bums. There was a good correlation between burn size and FA-1-AT excretion (R-2=0.40). Conclusions: Protein losing enteropathy was demonstrable in patients with major burns. The magnitude of this phenomenon appears to be proportional to the burns size.

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In 2000/2001 an outbreak of multi-drug resistant Acinetobacter bauntannii (MDR-AB) susceptible only to amikacin and tobramycin occurred in the intensive care unit (leU) of a general public adult hospital in Brisbane, Australia. Over a 2 year period, a total of 32 new isolates were identified; in all cases, the isolates were considered to be colonising rather than infecting agents. No environmental or other source could be identified. A combination of infection control measures and antibiotic restriction contributed to the eradication of this organism from the leu.