861 resultados para Japanese horror cinema


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L’un des buts de ce mémoire est de définir le concept de « mise en abyme » appliqué au court-métrage Mouettes, réalisé en 2013 par le cinéaste belge Zeno Graton. Un autre but est celui de présenter une version sous-titrée en langue italienne de ce même court-métrage tout en explorant le monde de la traduction audiovisuelle et notamment du sous-titrage. Ce mémoire est divisé en trois chapitres. Le premier chapitre porte principalement sur la mise en abyme, sur les différents types de mise en abyme, à savoir pictural, littéraire et filmique, sur les études réalisées et les théories conçues à propos de ce procédé, à partir d’André Gide jusqu’à Lucien Dällenbach en passant par Jean Ricardou. Ce chapitre se penche également sur les différences entre la mise en abyme filmique et d’autres modes de réflexivité cinématographique, pour ensuite se concentrer sur le court-métrage Mouettes, décrire le procédé de la mise en abyme hétérogène utilisée dans Mouettes et présenter les thèmes abordés dans le court-métrage. Parmi les thèmes exposés, l’un des plus évocateurs est celui de la figure de l’acteur qui ne sait plus distinguer, parfois, ses passions et ses sentiments réels de ceux ressentis dans le rôle du personnage qu’il doit jouer. Ensuite, le deuxième chapitre est consacré aux différents procédés utilisés dans la traduction audiovisuelle, du doublage, au voice-over au respeaking, en analysant surtout la technique du sous-titrage, la théorie et les problèmes liés. Enfin, le dernier chapitre propose mon travail de sous-titrage à travers un tableau avec le time code, le texte de départ transcrit, la traduction et, si nécessaire, l’adaptation. Dans le troisième chapitre, il y a également un commentaire sur les difficultés rencontrées pendant le travail de sous-titrage, dans la traduction ainsi que dans l’utilisation du logiciel Jubler.

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Tra le plurime conseguenze dell’avvento del digitale, la riarticolazione dei rapporti tra immagine statica e immagine in movimento è certamente una delle più profonde. Sintomatica dei cambiamenti in atto sia nei film studies sia nella storia dell’arte, tale riarticolazione richiede un ripensamento dei confini disciplinari tradizionali entro cui il cinema e la fotografia sono stati affrontati come oggetti di studio separati e distinti. Nell’adottare un approccio molteplice, volto a comprendere prospettive provenienti dalla New Film History e dalla media archaeology, dalla teoria dell’arte e dagli studi visuali, questo lavoro esplora l’esistenza di una relazione dialettica tra il cinema e la fotografia intesa in modo duplice: come tensione costitutiva tra due media indissolubilmente connessi – non tanto in considerazione di un medesimo principio realistico di rappresentazione quanto, piuttosto, in virtù di uno scambio incessante nella modellizzazione di categorie quali il tempo, il movimento, l’immobilità, l’istante, la durata; come istanza peculiare della pratica artistica contemporanea, paradigma di riferimento nella produzione estetica di immagini. La tesi si suddivide in tre capitoli. Il primo si concentra sul rapporto tra l’immobilità e il movimento dell’immagine come cifra in grado di connettere l’estetica delle attrazioni e la cronofotografia a una serie di esperienze filmiche e artistiche prodotte nei territori delle avanguardie. Il secondo capitolo considera l’emergenza, dagli anni Novanta, di pratiche artistiche in cui l’incontro intermediale tra film e fotografia fornisce modelli di analisi volti all’indagine dell’attuale condizione estetica e tecnologica. Il terzo offre una panoramica critica su un caso di studio, la GIF art. La GIF è un formato digitale obsoleto che consente di produrre immagini che appaiono, simultaneamente, come fisse e animate; nel presente lavoro, la GIF è discussa come un medium capace di contraddire i confini attraverso cui concepiamo l’immagine fissa e in movimento, suggerendo, inoltre, un possibile modello di pensiero storico-cronologico anti-lineare.

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Studio storiografico condotto su fonti archivistiche, filmiche e sulla stampa locale e specializzata che ricostruisce dettagliatamente l'ambiente cittadino d'inizio Novecento nel quale si sono diffusi i primi spettacoli cinematografici, determinandone le caratteristiche e tracciandone l'evoluzione fra 1896 e 1925. L'avvento della cinematografia è strettamente connesso a un processo di modernizzazione del volto urbano, degli stili di vita, delle idee e il cinema si salda a queste istanze di rinnovamento, con una precisa ricaduta sull'immagine della città e sull'esperienza dei suoi cittadini appartenenti alle diverse classi sociali.

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La presente ricerca ha un duplice obiettivo. Primo, individuare i modi in cui lingue e identità culturali diverse sono state rappresentate al cinema. Secondo, identificare le diverse strade imboccate dai professionisti del doppiaggio italiano quando si trovano a confrontarsi con un film in cui si parlano più lingue. La ricerca propone un approccio multidisciplinare che combina i contributi teorici sviluppati nel campo degli studi di traduzione audiovisiva con le modalità di analisi più comunemente utilizzate dalla semiotica del cinema. L'analisi si basa su un campione di 224 film multilingue prodotti dall'inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Duemila. Particolare attenzione viene indirizzata al quadro teorico all'interno del quale viene interpretato il ruolo che il multilinguismo assume al cinema. Vengono identificate tre funzioni principali: conflitto, confusione e resa realistica. Un altro elemento chiave nell'analisi è costituito dal genere cinematografico prevalente a cui è possibile ricondurre ciascuno dei film selezionati. Sono individuati tre generi principali: il film drammatico, la commedia e il thriller. Nel film drammatico il multilinguismo agisce come un veicolo che produce e accentua il conflitto, mentre nella commedia esso di solito diventa un dispositivo comico che crea confusione e umorismo. Nel cinema thriller, invece, il multilinguismo funziona essenzialmente come un veicolo di suspense. Per quanto riguarda le soluzioni traduttive adottate nel doppiaggio italiano del cinema multilingue, sono rilevate tre macro-strategie: la conservazione, la neutralizzazione e la riduzione dell'originale dimensione multilingue. Ciascuna di queste tre strategie è passata a vaglio critico. Se nel primo caso si tratta di un tentativo di riprodurre fedelmente le originali situazioni multilingue rappresentate nel film, negli altri due casi si tratta di soluzioni che risentono fortemente delle specificità del doppiaggio come modalità di traduzione degli audiovisivi (fattori ideologici ed economici, nonché il problema tecnico dell'armonizzazione delle voci per i personaggi bilingue).

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La tesi analizza alcuni film slovacchi e cechi, prevalentemente coproduzioni, ambientati in tre contesti storici diversi. Il primo periodo storico esaminato è quello del regime comunista, la seconda metà degli anni Sessanta, il secondo fa riferimento al periodo successivo alla caduta del regime con la Rivoluzione di Velluto, quindi gli anni a partire dal 1989, attraverso i quali saranno analizzati alcuni aspetti politico-sociali della realtà cecoslovacca. Il terzo periodo storico si concentra sull’analisi della modernità, soffermandosi su alcune caratteristiche della società contemporanea, con lungometraggi ambientati al giorno d’oggi per approfondire lo studio della realtà slovacca, che ha subito radicali trasformazioni nel corso dell’ultimo ventennio. A seguito di un’analisi di carattere politico-sociale verrà poi studiato, in chiave sincronica e diacronica, l’aspetto socio-linguistico, prendendo in esame i diversi cambiamenti che la lingua ha subito nel corso degli ultimi venticinque anni e le connotazioni che essa veicola a seconda delle caratteristiche sociali che rappresenta e di cui è il riflesso. L’elaborato analizza inoltre il rapporto fra la lingua slovacca e quella ceca, come queste due lingue vengono percepite in maniera diversa da Cechi e Slovacchi e come vengono trattate diversamente nel contesto cinematografico. Per ogni periodo storico sono stati scelti due film, per presentare uno studio più completo e per poter analizzare nel migliore dei modi periodi storici estremamente diversi tra loro. In particolare, i primi due film permettono di riflettere nel dettaglio sui rapporti di estrema vicinanza fra la lingua slovacca, quella ceca e quella russa; i film riguardanti il periodo di transizione sono maggiormente incentrati sugli aspetti sociali dell’epoca, in particolare a livello famigliare ed economico. In ultimo vengono analizzati film molto moderni, che presentano una lingua particolare, caratterizzata da anglicismi, espressioni colloquiali, slang e volgarismi. Nel complesso, si è cercato di proporre film che rappresentassero al meglio i cambiamenti della società e dai quali si potesse prendere spunto per una successiva riflessione linguistica.

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Il presente elaborato intende proporre un’analisi della figura dell’interprete in un corpus di sei film appartenenti al cinema del XXI secolo, con l’obiettivo di analizzare la possibile proiezione della professione nell'opinione pubblica. Si cercherà dunque di fornire un’analisi dell’immagine proiettata dai personaggi che fanno da interpreti nei film selezionati, con lo scopo di determinare se tale immagine contribuisce a diffondere verosimilmente la professione dell’interprete o se, al contrario, risulta poco plausibile e poco fedele alla realtà. I film analizzati nel presente elaborato sono: Lost in Translation, The Interpreter, Ogni cosa è Illuminata, Il Grande Capo, Desert Flower, The Tourist. I criteri di selezione che hanno portato alla scelta dei film che costituiscono il corpus di riferimento sono: realizzazione e data di uscita dei film a partire dall'anno 2000, ambito geografico –Europa, Stati Uniti e Gran Bretagna-, ed infine maggiori incassi al botteghino. Nelle conclusioni tratte dall'analisi del corpus di film si presta speciale attenzione ai seguenti elementi: • La tipologia del personaggio degli interpreti che compaiono nei film presi in esame: se personaggio centrale, secondario o occasionale • Il metraggio totale della presenza dell’interprete sullo schermo (in minuti) • La tipologia dell’interprete: se professionista o ad hoc • L’età dell’interprete • Il sesso dell’interprete

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This thesis focuses on the technical approach to the translation of the Italian horror role-playing game Sine Requie into English. It aims to prove that both the role-playing and horror aspects of the genre are important to convey an enjoyable experience to the players, and that it is possible to create and international reference glossary to better translate the horror genre itself. Following a brief introduction of the history of role-playing games (RPGs), we will look at the RPG technical vocabulary in Sine Requie, and analyze which of these elements can be translated following the great models of the history of role-playing games. A brief introduction will follow regsrding the horror genre and its core characteristics based on the work of worldwide famous horror writer H.P. Lovecraft. Lastly, a description on how the international reference glossary for the horror genre was created will be presented along with a few examples of its practical use.

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This article presents an intermedial analysis of the Italian silent film Cabiria by Giovanni Pastrone within the cultural context of its time. Employing theories developed by Werner Wolf and Irina Rajewsky, the article lays out the intermedial and transmedial relationships of Cabiria with other media, in particular opera, literature, and painting, and illustrates that operatic references are incorporated recognizably during key moments of the film. By contrasting these references with specific cinematic techniques, Pastrone demonstrates that film is able to elicit an operatic sensation and that film is a distinct and valuable form of art.

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Reform is a word that, one might easily say, characterizes more than any other the history and development of Buddhism. Yet, it must also be said that reform movements in East Asian Buddhism have often taken on another goal—harmony or unification; that is, a desire not only to reconstruct a more worthy form of Buddhism, but to simultaneously bring together all existing forms under a single banner, in theory if not in practice. This paper explores some of the tensions between the desire for reform and the quest for harmony in modern Japanese Buddhism thought, by comparing two developments: the late 19th century movement towards ‘New Buddhism’ (shin Bukkyō) as exemplified by Murakami Senshō 村上専精 (1851–1929), and the late 20th century movement known as ‘Critical Buddhism’ (hihan Bukkyō), as found in the works of Matsumoto Shirō 松本史朗 and Hakamaya Noriaki 袴谷憲昭. In all that has been written about Critical Buddhism, in both Japanese and English, very little attention has been paid to the place of the movement within the larger traditions of Japanese Buddhist reform. Here I reconsider Critical Buddhism in relation to the concerns of the previous, much larger trends towards Buddhist reform that emerged almost exactly 100 years previous—the so-called shin Bukkyō or New Buddhism of the late-Meiji era. Shin Bukkyō is a catch-all term that includes the various writings and activities of Inoue Enryō, Shaku Sōen, and Kiyozawa Manshi, as well as the so-called Daijō-hibussetsuron, a broad term used (often critically) to describe Buddhist writers who suggested that Mahāyāna Buddhism is not, in fact, the Buddhism taught by the ‘historical’ Buddha Śākyamuni. Of these, I will make a few general remarks about Daijō-hibusseturon, before turning attention more specifically to the work of Murakami Senshō, in order to flesh out some of the similarities and differences between his attempt to construct a ‘unified Buddhism’ and the work of his late-20th century avatars, the Critical Buddhists. Though a number of their aims and ideas overlap, I argue that there remain fundamental differences with respect to the ultimate purposes of Buddhist reform. This issue hinges on the implications of key terms such as ‘unity’ and ‘harmony’ as well as the way doctrinal history is categorized and understood, but it also relates to issues of ideology and the use and abuse of Buddhist doctrines in 20th-century politics.

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The decline of traditional religions in Japan in the past century, and especially since the end of World War Two, has led to an explosion of so-called “new religions” (shin shūkyō 新宗教), many of which have made forays into the political realm. The best known—and most controversial—example of a “political” new religion is Sōka Gakkai 創価学会, a lay Buddhist movement originally associated with the Nichiren sect that in the 1960s gave birth to a new political party, Komeitō 公明党 (lit., Clean Government Party), which in the past several decades has emerged as the third most popular party in Japan (as New Komeitō). Since the 1980s, Japan has also seen the emergence of so-called “new, new religions” (shin shin shūkyō 新新宗教), which tend to be more technologically savvy and less socially concerned (and, in the eyes of critics, more akin to “cults” than the earlier new religions). One new, new religion known as Kōfuku-no-Kagaku 幸福の科学 (lit., Institute for Research in Human Happiness or simply Happy Science), founded in 1986 by Ōkawa Ryūho 大川隆法, has very recently developed its own political party, Kōfuku Jitsugentō 幸福実現党 (The Realization of Happiness Party). This article will analyse the political ideals of Kōfuku Jitsugentō in relation to its religious teachings, in an attempt to situate the movement within the broader tradition of religio-political syncretism in Japan. In particular, it will examine the recent “manifesto” of Kōfuku Jitsugentō in relation to those of New Komeitō and “secular” political parties such as the Liberal Democratic Party (Jimintō 自民党) and the Democratic Party (Minshutō 民主党).