998 resultados para Autonomie individuelle


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This article analyzes the data resultant of the accomplishment, between 2008 and 2009, of an extension and research project on the international exchange of letters between teachers and students from elementary schools in the towns of Garça and Marília, São Paulo State, Brazil, with a school in the city of Azaruja, Portugal and another in the city of Luanda, Angola. It was developed by a team of students and teachers, UNESP, Marília, in order to promote the exchange via personal letters for that students, between 8 and 9 years old, could take possession of the written language, in this case Portuguese, and understand it as an instrument steeped in culture. The choice of this kind in the world of the epistolary genre was made because it promotes the participation of the Other in the configuration of dialogic relations in the elaboration of the statements, taken as a reference in a Bakhtinian conception of language. It aimed to (1) point, in the letters exchanged between teachers and students between the Portuguese, Brazilians and Angolans in the early years, the evidence of authorship linguistic behavior that could signal the beginning of autonomy in the use of the written modality of language, or signs of submissive behavior; (2) reveal the cultural content of language tools used to construct indicators listed on the customs of each people, including those constituting school doings. For the generation of data were used principles of action research, which enabled direct action, along with Brazilian teachers, and indirectly, in the case of the foreign teachers. From the analysis of the corpus of research - letters exchanged between teachers and students - it is clear that the appropriation of language as a speech act realized in human relations makes the old personal correspondence a powerful instrument of development in the area of the written language.

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Dans ce texte, nous avons abordé l'enseignement des langues selon une approche constructiviste, où le sujet qui apprend et l'objet de connaissance ne se polarisent pas, mais s'articulent. Ceci signifie que personne ni rien ne sort indemne d'un processus de formation : il y a des transformations chez le sujet (apprenant) et l'objet (langues). Nous critiquons par conséquent la conception du langage et donc de la langue en tant qu'instrument de communication.

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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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This paper discusses a study conducted the systematic monitoring of scientific initiation activities in a research group in Epistemology of Biology. The objective was to investigate the evolution of undergraduate ideas about epistemological, historical and didactic aspects from Biology during the development of research projects. Data collection occurred through the use of various instruments, such as written materials and interviews. The results suggest that involvement in research activities and the interaction in the group allowed to the participants the development of critical thinking, by means of collective reflection and individual significance of biological knowledge located in different contexts epistemological, historical and didactic.

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Taking into consideration various argumentation perspectives, the introduction of Modern and Contemporary Physics at High School level has been defended by various researchers. In the present qualitative nature research, we heard and interpreted ten High School physics teachers’ discourses, aiming to analyze how their initial education, regarding to Modern and Contemporary Physics, was based in a rationality which matches with the communicative and the dialogical actions. Teachers of our sample were individually interviewed and, at that time, they had finished their initial undergraduate program at least five years before. Teachers’ discourses interpretation was supported by some French school discourse analysis’ concepts, Jürgen Habermas’ communicative action, Freire’s dialogical action, as well as teachers’ education research critical referential. The discourses interpretations evidenced that these teachers’ education, with respect to Modern and Contemporary Physics, was mainly based in technical-instrumental rationality basis. This perspective did not help teachers’ autonomy construction in order to work these subjects in their classes, mainly in a perspective coherent with the teachers’ emancipation, producing reflexes in classroom physics teaching. The study evidenciates the necessity of future teachers’ professors revise theirs teaching practice, as well studying other curricular structures, regarding to Modern and Contemporary Physics teaching.

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La ricerca ha perseguito l’obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi. Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella amministrativa e quella legislativa, a seconda dell’attività giuridica nella quale il sostituto interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali. I presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un’indagine volta a individuare e classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un’attività complessa, è sembrata risultare di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l’evoluzione del menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l’attività sostitutiva. Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all’interno dell’ordinamento italiano, l’istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che regolavano l’esercizio della funzione amministrativa indiretta. La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli. La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo dell’effettualità giuridica, quell’energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo. Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all’interno di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all’interno dell’organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato. Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno. Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4 febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923. Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò, come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti organi nominati direttamente o indirettamente dall’Amministrazione centrale. In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni (Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all’amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il sostituito. Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica, come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi dell’accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell’Unità di Italia avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l’esigenza dell’istituzione di un ente intermedio tra Stato e Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto. Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l’evoluzione del diritto pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive. Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il sistema delle autonomie nell’evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell’indagine, ed in particolare dai punti di contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell’analisi dell’istituto. Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni, al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire l’ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971 sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito per stabilire un vero e proprio “statuto” della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988, individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente gli interventi del legislatore. Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari, ed in particolare con l’art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per il rispetto dell’autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del 1976. Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l’art. 6 c. 3°, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all’art. 4 c. 3°) una disciplina generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato. Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986. Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei confronti di attività prive di discrezionalità nell’an e presentare idonee garanzie procedimentali in conformità al principio di leale collaborazione. Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta nell’indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale attuazione del principio di sussidiarietà. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all’interno della Costituzione ben due fattispecie di poteri sostitutivi all’art. 117 comma 5 e all’art. 120 comma 2. La “lacuna” del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l’art. 58 del progetto di revisione costituzionale presentato dalla commissione D’Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture. Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione. Con particolare riferimento all’art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà definitorie siano state dovute all’indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all’art. 120 capoverso la disciplina di un potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18 ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura. Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale avrebbe dovuto prevedere, un’obiezione (più delle altre) pare spingere verso l’accoglimento della tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente abbia consentito all’Esecutivo, tosto che al Parlamento, l’adozione di leggi statali in sostituzione di quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell’assetto costituzionale vigente. Le difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell’art. 8, il quale ha mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando genericamente che il potere sostitutivo si adotta “Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120” Cost. Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art. 8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte in materia. Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e definite dal giudice della costituzionalità. In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha tra l’altro fugato i dubbi di chi, all’indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l’illegittimità di tutte quelle previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito “straordinario” il potere di surrogazione attribuito dall’art. 120 Cost. allo Stato, considerando “ordinare” tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale). Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze. In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa della scarsa “forza” degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente sostituito. Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art. 120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari regionali la competenza a promuovere l’“esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 120 della Costituzione”. Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto, sembra rappresentare la conferma della “straordinarietà” della fattispecie sostitutiva costituzionalizzata. Infatti, in via “ordinaria” lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri “le funzioni di Commissario delegato per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007”. Spesso l’aspetto interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione d’urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere l’intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304 del 1987. Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché meno approfonditi in letteratura, ma per l’ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti locali. La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi dell’Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale all’assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l’ente locale della possibile sostituzione. In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo dell’iniziativa dei privati, sembra dimostrare l’attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei singoli. I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a tali strumenti nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall’indagine dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest’ultimo che sembra rappresentare – assieme ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà sostitutiva di funzioni amministrative. In tal senso, come detto, pare emergere dall’analisi di casi concreti come il principio di sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l’art. 118 cost. sembra mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all’ente sovraordinato di intervenire laddove l’ente più vicino ai cittadini non riesca. Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell’altra categoria della sostituzione legislativa statale. L’impossibilità di trascurare o eliminare l’interesse nazionale, all’interno di un ordinamento regionale fondato sull’art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte costituzionale ad individuare una sorta di “potere sostitutivo legislativo”, attraverso il (seppur criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta “chiamata i sussidiarietà”. Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell’art. 117 Cost. ed ingerenza dello stato nelle competenze della regioni. Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi. I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un punto di arrivo, bensì solo di partenza. I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta (recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato in gazzetta ufficiale n. 269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni” con “Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118”. Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti che lo Stato avrebbe dovuto rispettare? Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione espressa dell’interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l’autonomia regionale? Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli sviluppi dell’istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l’ulteriore punto di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il regionalismo italiano.

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La tesi mira ad analizzare e valutare le attuali relazioni esistenti tra le regioni e l’Unione europea, alla luce dei processi di riforma in atto sia sul versante interno sia su quello europeo. In particolare, essa prende spunto dalla riforma del Titolo V della Costituzione italiana e dalle leggi di attuazione della stessa, che hanno ridisegnato i contorni del regionalismo italiano. Nell’introduzione si analizza il contesto europeo delle relazioni dell’Unione con le entità sub-statali; in tal senso si è voluto preliminarmente chiarire il senso in cui si è utilizzato il termine “regione”: non tutti gli Stati europei infatti accolgono una tale nozione nel senso in cui essa è utilizzata nell’ordinamento italiano, né i poteri conferiti alle regioni sono i medesimi in tutti gli Stati che utilizzano ripartizioni territoriali simili alle regioni italiane. Prendendo come punto di riferimento per la prima parte della ricerca le entità territoriali dotate di competenze legislative, trascurando le relazioni dell’UE con i soggetti sub-statali con attribuzioni meramente amministrative. La ricerca prende dunque le mosse dal concetto di “regionalismo comunitario”. La questione regionale ha sempre costituito un problema aperto per le istituzioni comunitarie (legato alla problematica del “deficit democratico” dei processi legislativi comunitari). Le istituzioni, soprattutto agli inizi del cammino di integrazione europea, risentivano infatti delle origini internazionali delle Comunità, e consideravano quale unici interlocutori possibili i governi centrali degli Stati membri. Si è quindi voluta mettere in luce la rapida evoluzione dell’attitudine regionale dell’Unione, provocata da una nuova coscienza comunitaria legata alla prima fase di attuazione della politica dei fondi strutturali, ma soprattutto all’ingresso sulla scena europea del principio di sussidiarietà, e degli effetti che esso è stato in grado di produrre sull’intero sistema di relazioni Stati/Regioni/Unione europea: l’Unione è giunta di recente ad accogliere una nozione più ampia di Stato, comprensiva – anche se in modo limitato e solo per alcuni fini – delle entità sub-statali. Lo studio si concentra poi sull’ordinamento italiano, presentando lo stato attuale della legislazione nazionale relativa alla partecipazione delle regioni al sistema del diritto comunitario. All’inizio del capitolo si precisa la fondamentale distinzione tra fase ascendente, cioè partecipazione di rappresentanti regionali alle procedure legislative dell’Unione, e fase discendente, cioè relativa al ruolo delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario; tale distinzione appare necessaria al fine di chiarire le diverse modalità che può assumere il ruolo delle regioni nel sistema comunitario, e sarà ripresa durante tutta la ricerca. Il secondo capitolo esamina la riforma costituzionale del 2001, complessivamente orientata verso una ridefinizione del nostro sistema delle autonomie e delle loro relazioni con l’Unione europea. Nel nuovo testo costituzionale le prerogative regionali risultano ormai “costituzionalizzate”, trovano ora definitiva collocazione nell’art. 117 Cost. La riforma del 2001 comporta alcuni elementi innovativi circa la complessiva strutturazione del rapporto tra l’ordinamento nazionale e quello comunitario, in particolare prevedendo che “le regioni, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato”. Grazie a questa previsione il coinvolgimento delle regioni assume rango costituzionale e si impone al legislatore ordinario, il quale può continuare a determinarne le modalità procedurali ma non cancellarlo o pregiudicarlo in modo sostanziale. In secondo luogo l’art. 117 Cost. propone, all’interno del nostro ordinamento, una definizione complessiva del rapporto tra le fonti statali e quelle regionali, rimodulando le sfere e le modalità di “interferenza” tra lo Stato e le autonomie regionali. Con riferimento alla ripartizione di competenze, l’evoluzione è evidente: da un sistema in cui la competenza generale era statale, e veniva fornita un’elencazione di dettaglio delle materie che facevano eccezione, si è giunti oggi ad un sistema capovolto, in cui per ogni materia non contenuta nell’elencazione dell’articolo 117 la competenza può essere regionale; in tale sistema può leggersi una forma di “sussidiarietà legislativa”, come messo in luce dalla ricerca. Lo studio passa poi ad analizzare le concrete modalità di partecipazione regionale nelle disposizioni delle leggi primarie che hanno dato attuazione alla novella costituzionale, con riferimento tanto alla fase ascendete quanto a quella discendente. La fase ascendente, osservata nel secondo capitolo della tesi, può verificarsi tramite la partecipazione diretta di rappresentanti regionali alle riunioni del Consiglio, così come previsto da una disposizione della legge n. 131/2003 (“La Loggia”), i cui risultati si sono rivelati però piuttosto modesti e privi, in assenza di una radicale revisione dei Trattati, di serie prospettive di sviluppo. Ma esiste altresì un'altra tipologia di relazioni sviluppabili in fase ascendente, relazioni “indirette”, cioè svolte tramite l’intermediazione dello Stato, che si fa portavoce delle istanze regionali a Bruxelles. In tale prospettiva, la ricerca si concentra sulle disposizioni della legge n. 11/2005 (“Buttiglione”), che riformano il sistema delle conferenze, prevedono precisi obblighi informativi per il Governo nei confronti delle regioni in relazione all’adozione di atti comunitari ed introducono nel panorama legislativo italiano l’istituto della riserva d’esame, al fine di dare maggior peso alle istituzioni regionali al momento dell’adozione di atti comunitari. La tesi passa poi all’analisi della fase discendente. Le funzioni regionali in materia di attuazione del diritto comunitario risultano altresì ampliate non soltanto alla luce della nuova formulazione dell’art. 117 Cost., ma anche e soprattutto grazie ad una disposizione della legge “Buttiglione”, che introduce la possibilità di adottare “leggi comunitarie regionali”, da adottarsi sul modello di legge comunitaria nazionale vigente nel nostro ordinamento fin dal 1989. Tale disposizione ha dato il via ad una serie di processi di riforma all’interno degli ordinamenti giuridici regionali, volti a predisporre tutti gli strumenti legislativi utili all’adozione delle leggi comunitarie regionali, di gran lunga la novità più importante contenuta nella disciplina della legge “Buttiglione”. Perciò, dopo un’analisi approfondita relativa al nuovo riparto di competenze tra Stato e regioni, oggetto della prima parte del capitolo terzo, ed uno studio relativo al locus standi delle regioni nel sistema giurisdizionale europeo, svolto nella seconda parte dello stesso capitolo, l’ultima parte della tesi è rivolta ad individuare gli atti regionali di maggior interesse nella prospettiva dell’attuazione del diritto comunitario realizzata tramite leggi comunitarie regionali. In quest’ambito particolare attenzione è stata rivolta alla legislazione della regione Emilia-Romagna, che si è dimostrata una delle regioni più attente e capaci di cogliere le potenzialità presenti nel “nuovo” sistema di relazioni delle regioni con il sistema comunitario.

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Zusammenfassung Kooperativität bei Atmungsproteinen bedeutet eine Änderung der O2-Affinität während der Beladung mit O2 und läßt sich durch die Wechselbeziehung zwischen O2-Beladung und Konformation beschreiben. In dieser Arbeit wurde das 24-mere Hämocyanin der Vogelspinne Eurypelma californicum bzgl. Beladung und Konformationen sowohl auf der Ensemble- wie auch auf der Einzel-Molekül-Ebene charakterisiert. EnsembleDie Bindung von O2 an Hämocyanine ist mit einer drastischen Abnahme der Fluoreszenz-Quantenausbeute verbunden. Durch Vergleich von theoretisch und experimentell bestimmten Quantenausbeuten konnte gezeigt werden, daß die Löschung auf Förster-Transfer zurückzuführen ist, und daß kein Einfluß der Oligomerisierung, Protein-Konformation, Beweglichkeit oder Tierart besteht. Die Konformation von Hämocyaninen konnte mit Crosslinkern im oxy- und deoxy-Zustand fixiert werden. Die Charakterisierung der Produkte führte zu einer neuen Vorstellung, wie unterschiedliche Affinitäten realisiert sein können. Hierbei kommt der Dynamik der Protein-Matrix eine entscheidende Rolle zu. Einzel-MoleküleMittels Zwei-Photonen-Anregung konnten erstmalig einzelne Proteine über ihre intrinsische Tryptophan-Fluoreszenz nachgewiesen werden. Zum einen gelang es, Modellsysteme mit nur 340 Trp abzubilden, andererseits konnte die Diffusion einzelner Hämocyanine (148 Trp) mit Hilfe der Fluoreszenz-Korrelationsspektroskopie nachgewiesen werden.Einzelne Hämocyanine konnten durch Adsorption und mildes Eintrocknen an verschiedenen Oberflächen immobilisiert werden. Mittels Atomarer Kraft-Mikroskopie (AFM) ließen sich individuelle Hämocyanine abgebilden, wobei Details der Quarärstruktur aufgelöst werden konnten.

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In dieser Arbeit wurde ein zweidimensionales Kopplungssystem zur Bestimmung von leichtflüchtigen bromierten und iodierten Kohlenwasserstoffen (LHKW) in Wasser- und Luftproben entwickelt. Hierzu wurde ein Gaschromatograph mit einem Elektroneneinfangdetektor (ECD) on-line an ein elementselektives induktiv gekoppeltes Plasma-Massenspektrometer (ICPMS) gekoppelt. Dieses extrem nachweisstarke Analysensystem ermöglicht eine simultane Identifizierung unbekannter und koeluierender Peaks sowie eine vereinfachte Quantifizierung mittels ICPMS. Beim Vergleich des GC-ECD-ICPMS-Kopplungssystem mit den herkömmlichen Detektionsmethoden wie dem Massenspektrometer mit Elektronenstoss-Ionisation und dem Atomemissionsdetektor mit mikrowelleninduziertem Plasma schnitt das neu entwickelte Kopplungssystem ausgezeichnet ab. Für die Isolierung der LHKW aus Meerwasserproben wurde die Purge und Trap Technik verwendet, Luftproben wurden durch Besaugung auf Adsorptionsmaterial angereichert. Im Rahmen des BMBF-Teilprojektes ReHaTrop/AFOHAL wurden im August 2001 und im April/Mai 2002 an der Deutschen Nordseeküste Probenahmen durchgeführt. Die Konzentrationen der Wasserproben lagen im Bereich von 0,1-158 ng L-1, die der Luftproben im Bereich von 0,01-470 pptv. Die Messungen bestätigen die wichtige Rolle von Makroalgen im Zusammenhang mit der Produktion von halogenierten Kohlenwasserstoffen. Die Konzentration der iodierten und bromierten Kohlenwasserstoffe war immer höher in Proben, die direkten Kontakt mit Makroalgen hatten. Inkubationsexperimente zeigen für verschiedene braune und grüne Makroalgen individuelle „Fingerprints“ der biogenen LHKW-Produktion. Bei den Messungen an der Nordseeküste wurden Abhängigkeiten zwischen den LHKW und meteorologischen Parametern gefunden.

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Motorische Bewegungen werden über die visuelle Rückmeldung auf ihre Genauigkeit kontrolliert und ggf. korrigiert. Über einen technischen Eingriff, wie beispielsweise einer Prismenbrille, kann man eine Differenz zwischen optisch wahrgenommener und haptisch erlebter Umwelt erzeugen, um die Fähigkeiten des visuomotorischen Systems zu testen. In dieser Arbeit wurde eine computergestützte Methode entwickelt, eine solche visuomotorische Differenz zu simulieren. Die Versuchspersonen führen eine ballistische Bewegung mit Arm und Hand aus in der Absicht, ein vorgegebenes Ziel zu treffen. Die Trefferpunkte werden durch einen Computer mit Hilfe eines Digitalisierungstablettes aufgenommen. Die visuelle Umwelt, welche den Versuchspersonen präsentiert wird, ist auf einem Monitor dargestellt. Das Monitorabbild – ein Kreuz auf weißem Hintergrund – betrachten die Testpersonen über einen Spiegel. Dieser ist in einem entsprechenden Winkel zwischen Monitor und Digitalisierungstablett angebracht, so dass das Zielbild auf dem Digitalisierungstablett projiziert wird. Die Testpersonen nehmen das Zielkreuz auf dem Digitalisierungstablett liegend wahr. Führt die Versuchsperson eine Zielbewegung aus, können die aufgenommenen Koordinaten als Punkte auf dem Monitor dargestellt werden und die Testperson erhält über diese Punktanzeige ein visuelles Feedback ihrer Bewegung. Der Arbeitsbereich des Digitalisierungstabletts kann über den Computer eingerichtet und so motorische Verschiebungen simuliert werden. Die verschiedenartigen Möglichkeiten dieses Aufbaus wurden zum Teil in Vorversuchen getestet um Fragestellungen, Methodik und technische Einrichtungen aufeinander abzustimmen. Den Hauptversuchen galt besonderes Interesse an der zeitlichen Verzögerung des visuellen Feedbacks sowie dem intermanuellen Transfer. Hierbei ergaben sich folgende Ergebnisse: ● Die Versuchspersonen adaptieren an eine räumlich verschobene Umwelt. Der Adaptationsverlauf lässt sich mit einer Exponentialfunktion mathematisch berechnen und darstellen. ● Dieser Verlauf ist unabhängig von der Art des visuellen Feedbacks. Die Beobachtung der Handbewegung während der Adaptation zeigt die gleiche Zielabfolge wie eine einfache Punktprojektion, die den Trefferort der Bewegung darstellt. ● Der exponentielle Verlauf der Adaptationsbewegung ist unabhängig von den getesteten zeitlichen Verzögerungen des visuellen Feedbacks. ● Die Ergebnisse des Folgeeffektes zeigen, dass bei zunehmender zeitlicher Verzögerung des visuellen Feedbacks während der Adaptationsphase, die Größe des Folgeeffektwertes geringer wird, d.h. die anhaltende Anpassungsleistung an eine visuomotorische Differenz sinkt. ● Die Folgeeffekte weisen individuelle Eigenheiten auf. Die Testpersonen adaptieren verschieden stark an eine simulierte Verschiebung. Ein Vergleich mit den visuomotorischen Herausforderungen im Vorleben der Versuchspersonen ließ vermuten, dass das visuomotorische System des Menschen trainierbar ist und sich - je nach Trainingszustand – unterschiedlich an wahrgenommene Differenzen anpasst. ● Der intermanuelle Transfer konnte unter verschiedenen Bedingungen nachgewiesen werden. ● Ein deutlich stärkerer Folgeeffekt kann beobachtet werden, wenn die wahrgenommene visuomotorische Differenz zwischen Ziel und Trefferpunkt in eine Gehirnhälfte projiziert wird und der Folgeeffekt mit der Hand erfolgt, welche von dieser Hirnhemisphäre gesteuert wird. Der intermanuelle Transfer wird demnach begünstigt, wenn die visuelle Projektion der Fehlerbeobachtung in die Gehirnhälfte erfolgt, die während der Adaptationsphase motorisch passiv ist.

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In dieser Arbeit wurden wässrige Suspensionen ladungsstabilisierter kolloidaler Partikel bezüglich ihres Verhaltens unter dem Einfluss elektrischer Felder untersucht. Insbesondere wurde die elektrophoretische Mobilität µ über einen weiten Partikelkonzentrationsbereich studiert, um das individuelle Verhalten einzelner Partikel mit dem bisher nur wenig untersuchten kollektiven Verhalten von Partikelensembles (speziell von fluid oder kristallin geordneten Ensembles) zu vergleichen. Dazu wurde ein superheterodynes Dopplervelocimetrisches Lichtstreuexperiment mit integraler und lokaler Datenerfassung konzipiert, das es erlaubt, die Geschwindigkeit der Partikel in elektrischen Feldern zu studieren. Das Experiment wurde zunächst erfolgreich im Bereich nicht-ordnender und fluid geordneter Suspensionen getestet. Danach konnte mit diesem Gerät erstmals das elektrophoretische Verhalten von kristallin geordneten Suspensionen untersucht werden. Es wurde ein komplexes Fließverhalten beobachtet und ausführlich dokumentiert. Dabei wurden bisher in diesem Zusammenhang noch nicht beobachtete Effekte wie Blockfluss, Scherbandbildung, Scherschmelzen oder elastische Resonanzen gefunden. Andererseits machte dieses Verhalten die Entwicklung einer neuen Auswertungsroutine für µ im kristallinen Zustand notwendig, wozu die heterodyne Lichtstreutheorie auf den superheterodynen Fall mit Verscherung erweitert werden musste. Dies wurde zunächst für nicht geordnete Systeme durchgeführt. Diese genäherte Beschreibung genügte, um unter den gegebenen Versuchbedingungen auch das Lichtstreuverhalten gescherter kristalliner Systeme zu interpretieren. Damit konnte als weiteres wichtiges Resultat eine generelle Mobilitäts-Konzentrations-Kurve erhalten werden. Diese zeigt bei geringen Partikelkonzentrationen den bereits bekannten Anstieg und bei mittleren Konzentrationen ein Plateau. Bei hohen Konzentrationen sinkt die Mobilität wieder ab. Zur Interpretation dieses Verhaltens bzgl. Partikelladung stehen derzeit nur Theorien für nicht wechselwirkende Partikel zur Verfügung. Wendet man diese an, so findet man eine überraschend gute Übereinstimmung der elektrophoretisch bestimmten Partikelladung Z*µ mit numerisch bestimmten effektiven Partikelladungen Z*PBC.

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Konditionale Modellsysteme zur Untersuchung der ERBB2-induzierten Tumorgenese Die Rezeptor-Tyrosinkinase ERBB2 ist in einer Vielzahl epithelialer Tumore, wie Mamma- und Ovarialkarzinomen, überexprimiert. Diese erhöhte Expression korreliert mit aggressivem Tumorwachstum, verstärkter Metastasierung und schlechter Prognose für den Patienten. Zur genaueren Untersuchung molekularer Mechanismen, die zur Tumorentstehung infolge der ERBB2-Überexpression führen, wurden im Rahmen dieser Arbeit mit Hilfe des Tet-Systems induzierbare MCF-7 Zelllinien generiert. Diese exprimieren bei Gabe von Doxyzyklin ERBB2 bzw. die zum humanen ERBB2 homologe und durch Punktmutation onkogen aktivierte Rattenvariante NeuT. Nachdem die stringente Regulierbarkeit durch Doxyzyklin für die untersuchten Zellklone gezeigt werden konnte, stellte sich bei der Charakterisierung der Zelllinien heraus, dass die Induktion von ERBB2 erstaunlicherweise nicht zur Proliferation der Zellen, sondern zum Wachstumsarrest führt. Bei der Untersuchung verschiedener Zellzyklusregulatoren konnte dieser Zellzyklusarrest dem CDK-Inhibitor P21 zugeordnet werden, dessen Expression durch ERBB2 induziert wird. In P21-Antisense-Experimenten konnte nachgewiesen werden, dass P21 eine Schlüsselrolle beim ERBB2-induzierten Zellzyklusarrest spielt. Neben der Induktion von P21 und der daraus resultierenden Wachstumsinhibition zeigten die Zellen starke morphologische Veränderungen und waren positiv beim Nachweis der Seneszenz-assoziierten -Galaktosidase. Erstmals konnte gezeigt werden, dass die Induktion des Onkogens ERBB2 nicht zur Proliferation, sondern zur Aktivierung eines verfrühten Seneszenz-Programms führt, welches der Zelle Schutz gegen die Onkogeneinwirkung bietet. Bei der Untersuchung verschiedener Signaltransduktionskaskaden mit Inhibitormolekülen konnte die Aktivierung dieses Seneszenz-Programms der Stress-aktivierten Proteinkinase P38 zugeordnet werden. Zur Identifizierung von Genen, die für die ERBB2-induzierte Tumorgenese relevant sind, wurde die differenzielle Genexpression eines NeuT-Klons nach 8- bzw. 48-stündiger Induktion mit Doxyzyklin in einem cDNA-Array untersucht. Dabei zeigte sich eine besonders starke Induktion von Integrin 5 und Integrin 1, die zusammen den Fibronektinrezeptor bilden. Der funktionale Nachweis des Rezeptors in einem Adhäsionsassay demonstrierte ein stark erhöhtes Adhäsionsverhalten ERBB2-überexprimierender Zellen an Fibronektin. Bei der Untersuchung von Mamma-, Ovarial- und Endometriumkarzinomen konnte die Expression von ERBB2 mit der von Integrin 5 korreliert werden. Diese Ergebnisse machen Integrin 5 zu einem potenziellen neuen Tumormarker und Therapieziel in ERBB2-überexprimierenden Tumoren. Ein weiteres interessantes Gen, das sich im Array durch ERBB2 überexprimiert zeigte, war die Matrix-Metalloproteinase MMP-9. In einem Zymografieassay konnte die erhöhte Gelatinaseaktivität von MMP-9 in Dox-induzierten Zellen nachgewiesen werden. Der Einsatz verschiedener Signaltransduktionsinhibitoren ergab, dass auch die ERBB2-induzierte Expression von MMP-9 über die Aktivierung von P38 läuft. Bei der Suche nach weiteren MMPs, die für die ERBB2-induzierte Tumorgenese relevant sein könnten, wurde MMP-13 untersucht. Erstmals konnte gezeigt werden, dass diese Matrix-Metalloproteinase von ERBB2 induziert wird. Dieser interessante Befund wurde auch in einem anderen Zellmodell in NIH3T3 Mausfibroblasten verifiziert. Durch ihre Matrix-degradierenden Eigenschaften sind MMPs potente „Werkzeuge“ für Tumorzellen und stellen ein wichtiges Ziel zur Unterbindung der Invasion und Metastasierung dieser Zellen dar. Neben den Zellkulturarbeiten wurden im Rahmen dieser Dissertation transgene Responder-Mäuse generiert, die NeuT unter Kontrolle eines Tet-responsiven Promotors exprimieren. Von vier transgenen Gründerlinien zeigten zwei eine unerwünschte, basale NeuT-Expression, für die beiden anderen Linien konnte sowohl in MEF-Assays, als auch nach Kreuzung mit rtTA- bzw. tTA-Effektor-Mäusen eine Dox-abhängige Regulation des Transgens gezeigt werden. Die Tiere dieser Linien sollen in Zukunft mit Effektor-Mäusen gepaart werden, die den rtTA bzw. tTA spezifisch in für die ERBB2-Tumorgenese relevanten Geweben, wie Ovarial- oder Lungenepithelzellen, exprimieren. So können individuelle Tumormodelle für die verschiedenen epithelialen Tumore, bei denen die Überexpression von ERBB2 von Bedeutung ist, entwickelt und untersucht werden.

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La tesi, che si articola in tre capitoli, analizza la rilevanza della professionalità del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato con particolare riferimento all’interesse mostrato da parte della contrattazione collettiva nel settore privato e pubblico nella definizione dei sistemi classificatori e di inquadramento del personale. Nel primo capitolo, si dà conto dei fattori che hanno determinato l’emersione della professionalità quale bene giuridico meritevole di tutela da parte dell’ordinamento: si analizzano in particolare le trasformazioni organizzative e produttive, nonché le indicazioni provenienti dal testo costituzionale che si riverberano di poi nella legislazione ordinaria. Nel secondo si analizza quanto la professionalità, o le singole voci che la compongono, rilevi a fini classificatori: dunque in che termini le competenze, le conoscenze del lavoratore rilevino quali criteri classificatori. Nel terzo capitolo, viceversa, si pone maggiore attenzione rispetto all’ “importanza” della professionalità quale fattore che incide su meccanismi di progressione retributiva e in genere professionale (assumendosi tale espressione come una sorta di sinonimo del termine carriera, rispetto al quale si differenzia quanto al contesto organizzativo e produttivo in cui si svolge) del lavoratore. In un assetto simile, centrale è il rilievo della valutazione del lavoratore. I contratti collettivi analizzati sono per il settore privato quelli delle categorie chimici, terziario e tessile; per il settore pubblico, quelli del comparto sanità e regioni ed autonomie locali.

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Die vorliegende Arbeit beschäftigt sich mit dem Transformationsprozess von Schulsystemen, den die ostdeutschen Länder mit dem Erlangen der deutschen Vereinigung bewältigen mussten am Beispiel der Mittelschule im Freistaat Sachsen. Dieser Prozess wird mit Fokus auf die Sekundarstufe I und darin insbesondere auf die Mittelschule als „neue Schulform“ nachge-zeichnet und analysiert. Die skizzierten Entwicklungslinien werden aufgegriffen und am Beispiel dieses konkreten bildungspolitischen Vorhabens, des Aufbaus einer neuen Schulform und eines zweigliedrigen Schulsystems, vor dem Hintergrund der widersprüchlichen Aufgabe, ein Schulsystem zu reformieren und dabei weder Ausgangspunkt noch Ziel der Reform genau bestimmen zu können, diskutiert und in ihrer Wirkung bewertet. Dabei werden die Bedeutung der Einzelschule bei der Transformation des Schulsystems herausgearbeitet, die Wirkung von Modellversuchsergebnissen für die weitere Gestaltung des Schulsystems kritisch untersucht und schließlich danach gefragt, welche Form von Steuerung einzelne Schulen brauchen, um sich ansprechend der sich verschärfenden Anforderung an Bildung optimal entwickeln zu können und welche Art der bildungspolitischen Steuerung des Gesamtsystems erforderlich ist, um Qualitätssicherung und Qualitätsentwicklung im Kontext der internationalen Leistungsvergleichsstudien zu realisieren. Die Analysen des Transformationsprozesses stehen unter dem Einfluss der Ergebnisse der ersten PISA-Studie und der sich daran anschließenden bildungspolitischen Diskussionen über die Qualität von Schule in Deutschland im internationalen Vergleich. Damit wird die Perspektive über den Einigungsprozess hinaus geöffnet und an bestehende Forschungsergebnisse angeknüpft, wonach sich der deutsch-deutsche Einigungsprozess hinsichtlich der mit ihm vollzogenen Öffnung in der Gestaltung der Schulverhältnisse als ein Probestück der Bundesrepublik für den europäischen Einigungsprozess verstehen lässt und sich in diesem Sinne auch bewährt hat. Mit den Debatten um Bildung und vor allem um Qualität von Bildung in der Folge der länderübergreifenden Vergleichsstudien zeigt sich aber, dass die Themen auf der bildungspolitischen Agenda raschen Veränderungen unterworfen sind. Im Lichte dieser gesellschaftlichen Debatte um die Qualität und die Steuerung von Bildung werden abschließend die Herausforderungen für die Schulforschung vor dem Hintergrund globalisierter Leistungsanforderungen und erweiterter Selbstverantwortung der Einzelschulen skizziert.

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Die vorliegende Arbeit hatte im Sinne eines geographischen Forschungsvorhabens zum Ziel, die Auswirkungen des Sporttourismus auf eine Fremdenverkehrsregion und die daraus resultierenden spezifischen, aus der differenzierten Nachfrage und den Verhaltensweisen der Sporttouristen entsprechenden raumrelevanten Veränderungen in Form einer komplexen Raumanalyse – im Kontext mit dem holistischen Konzept der nachhaltigen Entwicklung – zu erforschen und einer Bewertung zu unterziehen. Um allerdings das bis dato in der wissenschaftlichen und in der geographischen Diskussion nur unzureichend zur Kenntnis genommene Phänomen Sporttourismus in seiner Wirkungsdimension bzw. im Rahmen einer ganzheitlichen Raumanalyse auf das Konzept der nachhaltigen Entwicklung übertragen zu können, bedurfte es eines interdisziplinären Ansatzes sowie einer holistischen Interpretation des Konzeptes der nachhaltigen Entwicklung. Denn nach Auffassung des Verfassers kann eine nachhaltige sporttouristische Entwicklung in Fremdenverkehrsregionen nur dann erreicht werden, wenn parallel ökologisches Gleichgewicht, ökonomische Sicherheit und soziale Gerechtigkeit unter nachhaltig institutionellen Rahmenbedingungen langfristig für heutige wie auch zukünftige Generationen gleichrangig angestrebt werden. Die größte Herausforderung bestand jedoch darin, festzustellen, inwiefern sich das komplexe und interdisziplinäre Thema Sporttourismus auf das noch unzureichend operationalisierte Leitbild der nachhaltigen Entwicklung übertragen lässt, um die Auswirkungen einzelner Sporttourismusformen in einer Fremdenverkehrsregion messen, interpretieren, darstellen und bewerten zu können. Denn nach wie vor besteht das Hauptproblem dieses theoretischen Leitbildes darin, wie es in die Praxis umgesetzt werden kann bzw. mit welchen Indikatoren und Forschungsmethoden eine nachhaltige Entwicklung in seinen Auswirkungen überhaupt gemessen werden kann. Mittels intensiver interdisziplinärer Studien gelang es jedoch, ein sich auf unterschiedliche Untersuchungsgebiete und Sporttourismusformen übertragbares, variabel einsetzbares Indikatorensystem zu entwickeln, mit dessen Hilfe und der zur Operationalisierung notwendigen Auswahl eines vielfältigen Spektrums geeigneter empirischer Forschungsmethoden die gruppenspezifischen Auswirkungen einzelner Sporttourismusformen auf dimensionaler Ebene (ökologische, ökonomische, soziokulturelle und institutionelle Dimension), dem Konzept der nachhaltigen Entwicklung entsprechend, analysiert und bewertet werden konnten. Die zusammenfassende Erkenntnis der auf allen Dimensionen durchgeführten Analyse unterschiedlicher Sporttourismusformen führt zu dem Ergebnis, dass es sich beim Sporttourismus um ein komplexes Phänomen mit unterschiedlichen Nutzungsintensitäten, räumlichen Konzentrationen und Ausprägungsformen handelt, welches eine individuelle und ganzheitliche Betrachtungsweise im regionalen Kontext erfordert, um dem Anspruch einer mehrdimensionalen nachhaltigen Entwicklung gerecht zu werden. Generalisierende Aussagen bzgl. einer nachhaltigen Entwicklung einzelner Sporttourismusformen können nicht getroffen werden, vielmehr müssen – wie mit Hilfe des in der vorliegenden Studie zum Einsatz gekommenen Indikatorensystems und Operationalisierungsansatzes – die individuellen Auswirkungen einzelner Sporttourismusformen auf dimensionaler Ebene analysiert werden, den politischen und naturräumlichen Rahmenbedingungen des jeweiligen Zielgebietes entsprechend angepasst, auf den Nutzen für die einheimische Bevölkerung hin überprüft und gegebenenfalls Maßnahmen ergriffen werden, um dem Anspruch einer nachhaltigen Entwicklung auf allen Dimensionen gerecht zu werden. Hierbei kommt vor allem der institutionellen Organisation auf nationalstaatlicher Ebene die entscheidende Funktion zu, da der individuelle ökonomische Profit der am Sporttourismus beteiligten Personen im Vordergrund steht und – bei einer nicht existierenden Einbindung der sporttouristischen Aktivitäten in einen nachhaltigen Entwicklungsplan sowie dessen Kontrolle – negative Auswirkungen auf anderer dimensionaler Ebene, insbesondere auf ökologischer Ebene, nach sich zieht und somit den Erhalt des Tourismus auf lange Sicht hin gefährdet.