872 resultados para 670000 - Manufacturing


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Negli ultimi anni è emerso chiaramente come la logistica rivesta un’importanza fondamentale per le aziende e costituisca un ottimo strumento per assicurarsi e mantenere un solido vantaggio competitivo. Inoltre, osservando l’ambiente attuale si evince come il sistema logistico sia caratterizzato da un progressivo aumento di complessità, sia in seguito alle maggiori esigenze dei mercati e sia come conseguenza della globalizzazione. In questo quadro evolutivo è mutato profondamente il ruolo ricoperto dalla logistica all’interno delle organizzazioni. Rispetto alla concezione tradizionale, che considerava la logistica come una funzione esclusivamente interna all’azienda, si è assistito al progressivo coinvolgimento dei fornitori e dei clienti ed è emersa la necessità di coordinare gli sforzi dell’intera supply chain, con l’obiettivo di migliorare il livello di servizio globalmente offerto e di ridurre i costi logistici totali. Tali considerazioni sono state il filo conduttore dell’analisi presentata di seguito, basata su uno studio svolto presso la DENSO Manufacturing Italia S.p.A., finalizzato all’analisi dei flussi in ingresso ed in particolar modo alla razionalizzazione degli imballi e dei trasporti, in un’ottica di integrazione con i fornitori. In particolare, la prima parte della trattazione introduce gli argomenti dal punto di vista teorico. Infatti, nel primo capitolo verrà illustrato il tema della logistica integrata e della sua evoluzione nel tempo, in relazione all’ambiente competitivo attuale ed alle nuove richieste dei mercati, approfondendo il tema della logistica in ingresso e del trasporto merci. Quindi, nel secondo capitolo verrà trattato il tema degli imballi, analizzandone le ripercussioni sull’intera catena logistica ed offrendo una panoramica dei metodi che permettono l’integrazione tra gli imballaggi ed i sistemi di trasporto, movimentazione e stoccaggio. Invece, la seconda parte dello studio sarà dedicata alla presentazione dell’azienda in cui è stato realizzato il progetto di tesi. Nel terzo capitolo verranno introdotte sia la multinazionale giapponese DENSO Corporation che la sua consociata DENSO Manufacturing Italia S.p.A., specializzata nella produzione di componenti per il mercato automotive, presso cui si è svolto lo studio. Nel quarto capitolo verrà descritto il layout dell’impianto, per poi presentare la logistica in ingresso allo stabilimento, ponendo maggiore attenzione ai flussi provenienti dal nord Italia – ed in particolare dal Piemonte – su cui si incentra il lavoro di tesi. Quindi, nella terza ed ultima parte verrà presentata in dettaglio l’analisi condotta durante lo studio aziendale. In particolare, il quinto capitolo tratta dei flussi di materiale provenienti dall’area piemontese, con l’analisi degli imballi utilizzati dai fornitori, delle consegne e delle modalità di trasporto. Infine, nel sesto capitolo saranno proposte delle soluzioni migliorative relativamente a tutte le criticità emerse in fase di analisi, valutandone gli impatti sia in termini economici che in relazione all’efficienza del flusso logistico.

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This doctoral thesis unfolds into a collection of three distinct articles that share an interest in supply firms, or “peripheral firms”. The three studies offer a novel theoretical perspective that I call the peripheral view of manufacturing networks. Building on the relational view literature, this new perspective identifies the supplier-based theoretical standpoint to analyze and explain the antecedents of relational rents in manufacturing networks. The first article, the namesake of the dissertation, is a theoretical contribution that explains the foundations of the “peripheral view of manufacturing networks”. The second article “Framing The Strategic Peripheries: A Novel Typology of Suppliers” is an empirical study with the aim to offer an interpretation of peripheries’ characteristics and dynamics. The third article, “What is Behind Absorptive Capacity? Dispelling the Opacity of R&D” presents an example of general theory development by using data from peripheral firms.

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In the framework of an international collaboration with South Africa CSIR, the structural design, manufacturing and testing of the new wing for the Modular UAS in composite materials has been performed.

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Lo studio della turbolenza è di fondamentale importanza non solo per la fluidodinamica teorica ma anche perchè viene riscontrata in una moltitudine di problemi di interesse ingegneristico. All'aumentare del numero di Reynolds, le scale caratteristiche tendono a ridurre le loro dimensioni assolute. Nella fluidodinamica sperimentale già da lungo tempo si è affermata l'anemometria a filo caldo, grazie ad ottime caratteristiche di risoluzione spaziale e temporale. Questa tecnica, caratterizzata da un basso costo e da una relativa semplicità, rende possibile la realizzazione di sensori di tipo artigianale, che hanno il vantaggio di poter essere relizzati in dimensioni inferiori. Nonostante l'ottima risoluzione spaziale degli hot-wire, infatti, si può verificare, ad alto numero di Reynolds, che le dimensioni dell'elemento sensibile siano superiori a quelle delle piccole scale. Questo impedisce al sensore di risolvere correttamente le strutture più piccole. Per questa tesi di laurea è stato allestito un laboratorio per la costruzione di sensori a filo caldo con filo di platino. Sono in questo modo stati realizzati diversi sensori dalle dimensioni caratteristiche inferiori a quelle dei sensori disponibili commercialmente. I sensori ottenuti sono quindi stati testati in un getto turbolento, dapprima confrontandone la risposta con un sensore di tipo commerciale, per verificarne il corretto funzionamento. In seguito si sono eseguite misure più specifiche e limitate ad alcune particolari zone all'interno del campo di moto, dove è probabile riscontrare effetti di risoluzione spaziale. Sono stati analizzati gli effetti della dimensione fisica del sensore sui momenti statistici centrali, sugli spettri di velocità e sulle funzioni di densità di probabilità.

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Nel presente lavoro di tesi magistrale sono stati depositati e caratterizzati film sottili (circa 10 nm) di silicio amorfo idrogenato (a-Si:H), studiando in particolare leghe a basso contenuto di ossigeno e carbonio. Tali layer andranno ad essere implementati come strati di passivazione per wafer di Si monocristallino in celle solari ad eterogiunzione HIT (heterojunctions with intrinsic thin layer), con le quali recentemente è stato raggiunto il record di efficienza pari a 24.7% . La deposizione è avvenuta mediante PECVD (plasma enhanced chemical vapour deposition). Tecniche di spettroscopia ottica, come FT-IR (Fourier transform infrared spectroscopy) e SE (spettroscopic ellipsometry) sono state utilizzate per analizzare le configurazioni di legami eteronucleari (Si-H, Si-O, Si-C) e le proprietà strutturali dei film sottili: un nuovo metodo è stato implementato per calcolare i contenuti atomici di H, O e C da misure ottiche. In tal modo è stato possibile osservare come una bassa incorporazione (< 10%) di ossigeno e carbonio sia sufficiente ad aumentare la porosità ed il grado di disordine a lungo raggio del materiale: relativamente a quest’ultimo aspetto, è stata sviluppata una nuova tecnica per determinare dagli spettri ellisometrici l’energia di Urbach, che esprime la coda esponenziale interna al gap in semiconduttori amorfi e fornisce una stima degli stati elettronici in presenza di disordine reticolare. Nella seconda parte della tesi sono stati sviluppati esperimenti di annealing isocrono, in modo da studiare i processi di cristallizzazione e di effusione dell’idrogeno, correlandoli con la degradazione delle proprietà optoelettroniche. L’analisi dei differenti risultati ottenuti studiando queste particolari leghe (a-SiOx e a-SiCy) ha permesso di concludere che solo con una bassa percentuale di ossigeno o carbonio, i.e. < 3.5 %, è possibile migliorare la risposta termica dello specifico layer, ritardando i fenomeni di degradazione di circa 50°C.

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The main goal of this thesis is to facilitate the process of industrial automated systems development applying formal methods to ensure the reliability of systems. A new formulation of distributed diagnosability problem in terms of Discrete Event Systems theory and automata framework is presented, which is then used to enforce the desired property of the system, rather then just verifying it. This approach tackles the state explosion problem with modeling patterns and new algorithms, aimed for verification of diagnosability property in the context of the distributed diagnosability problem. The concepts are validated with a newly developed software tool.

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La fabbricazione additiva è una classe di metodi di fabbricazione in cui il componente viene costruito aggiungendo strati di materiale l’uno sull’altro, sino alla completa realizzazione dello stesso. Si tratta di un principio di fabbricazione sostanzialmente differente da quelli tradizionali attualmente utilizzati, che si avvalgono di utensili per sottrarre materiale da un semilavorato, sino a conferire all’oggetto la forma desiderata, mentre i processi additivi non richiedono l’utilizzo di utensili. Il termine più comunemente utilizzato per la fabbricazione additiva è prototipazione rapida. Il termine “prototipazione”’ viene utilizzato in quanto i processi additivi sono stati utilizzati inizialmente solo per la produzione di prototipi, tuttavia con l’evoluzione delle tecnologie additive questi processi sono sempre più in grado di realizzare componenti di elevata complessità risultando competitivi anche per volumi di produzione medio-alti. Il termine “rapida” viene invece utilizzato in quanto i processi additivi vengono eseguiti molto più velocemente rispetto ai processi di produzione convenzionali. La fabbricazione additiva offre diversi vantaggi dal punto di vista di: • velocità: questi processi “rapidi” hanno brevi tempi di fabbricazione. • realizzazione di parti complesse: con i processi additivi, la complessità del componente ha uno scarso effetto sui tempi di costruzione, contrariamente a quanto avviene nei processi tradizionali dove la realizzazione di parti complesse può richiedere anche settimane. • materiali: la fabbricazione additiva è caratterizzata dalla vasta gamma di materiali che può utilizzare per la costruzione di pezzi. Inoltre, in alcuni processi si possono costruire pezzi le cui parti sono di materiali diversi. • produzioni a basso volume: molti processi tradizionali non sono convenienti per le produzioni a basso volume a causa degli alti costi iniziali dovuti alla lavorazione con utensili e tempi di setup lunghi.

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SUMMARY The aim of this study was to evaluate the influence of surface roughness on surface hardness (Vickers; VHN), elastic modulus (EM), and flexural strength (FLS) of two computer-aided design/computer-aided manufacturing (CAD/CAM) ceramic materials. One hundred sixty-two samples of VITABLOCS Mark II (VMII) and 162 samples of IPS Empress CAD (IPS) were ground according to six standardized protocols producing decreasing surface roughnesses (n=27/group): grinding with 1) silicon carbide (SiC) paper #80, 2) SiC paper #120, 3) SiC paper #220, 4) SiC paper #320, 5) SiC paper #500, and 6) SiC paper #1000. Surface roughness (Ra/Rz) was measured with a surface roughness meter, VHN and EM with a hardness indentation device, and FLS with a three-point bending test. To test for a correlation between surface roughness (Ra/Rz) and VHN, EM, or FLS, Spearman rank correlation coefficients were calculated. The decrease in surface roughness led to an increase in VHN from (VMII/IPS; medians) 263.7/256.5 VHN to 646.8/601.5 VHN, an increase in EM from 45.4/41.0 GPa to 66.8/58.4 GPa, and an increase in FLS from 49.5/44.3 MPa to 73.0/97.2 MPa. For both ceramic materials, Spearman rank correlation coefficients showed a strong negative correlation between surface roughness (Ra/Rz) and VHN or EM and a moderate negative correlation between Ra/Rz and FLS. In conclusion, a decrease in surface roughness generally improved the mechanical properties of the CAD/CAM ceramic materials tested. However, FLS was less influenced by surface roughness than expected.

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BACKGROUND The variant Creutzfeldt-Jakob disease incidence peaked a decade ago and has since declined. Based on epidemiologic evidence, the causative agent, pathogenic prion, has not constituted a tangible contamination threat to large-scale manufacturing of human plasma-derived proteins. Nonetheless, manufacturers have studied the prion removal capabilities of various manufacturing steps to better understand product safety. Collectively analyzing the results could reveal experimental reproducibility and detect trends and mechanisms driving prion removal. STUDY DESIGN AND METHODS Plasma Protein Therapeutics Association member companies collected more than 200 prion removal studies on plasma protein manufacturing steps, including precipitation, adsorption, chromatography, and filtration, as well as combined steps. The studies used a range of model spiking agents and bench-scale process replicas. The results were grouped based on key manufacturing variables to identify factors impacting removal. The log reduction values of a group are presented for comparison. RESULTS Overall prion removal capacities evaluated by independent groups were in good agreement. The removal capacity evaluated using biochemical assays was consistent with prion infectivity removal measured by animal bioassays. Similar reduction values were observed for a given step using various spiking agents, except highly purified prion protein in some circumstances. Comparison between combined and single-step studies revealed complementary or overlapping removal mechanisms. Steps with high removal capacities represent the conditions where the physiochemical differences between prions and therapeutic proteins are most significant. CONCLUSION The results support the intrinsic ability of certain plasma protein manufacturing steps to remove prions in case of an unlikely contamination, providing a safeguard to products.

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BACKGROUND: Intracoronary application of BM-derived cells for the treatment of acute myocardial infarction (AMI) is currently being studied intensively. Simultaneously, strict legal requirements surround the production of cells for clinical studies. Thus good manufacturing practice (GMP)-compliant collection and preparation of BM for patients with AMI was established by the Cytonet group. METHODS: As well as fulfillment of standard GMP requirements, including a manufacturing license, validation of the preparation process and the final product was performed. Whole blood (n=6) and BM (n=3) validation samples were processed under GMP conditions by gelafundin or hydroxyethylstarch sedimentation in order to reduce erythrocytes/platelets and volume and to achieve specifications defined in advance. Special attention was paid to the free potassium (<6 mmol/L), some rheologically relevant cellular characteristics (hematocrit <0.45, platelets <450 x 10(6)/mL) and the sterility of the final product. RESULTS: The data were reviewed and GMP compliance was confirmed by the German authorities (Paul-Ehrlich Institute). Forty-five BM cell preparations for clinical use were carried out following the validated methodology and standards. Additionally three selections of CD34+ BM cells for infusion were performed. All specification limits were met. Discussion In conclusion, preparation of BM cells for intracoronary application is feasible under GMP conditions. As the results of sterility testing may not be available at the time of intracoronary application, the highest possible standards to avoid bacterial and other contaminations have to be applied. The increased expense of the GMP-compliant process can be justified by higher safety for patients and better control of the final product.

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Waste effluents from the forest products industry are sources of lignocellulosic biomass that can be converted to ethanol by yeast after pretreatment. However, the challenge of improving ethanol yields from a mixed pentose and hexose fermentation of a potentially inhibitory hydrolysate still remains. Hardboard manufacturing process wastewater (HPW) was evaluated at a potential feedstream for lignocellulosic ethanol production by native xylose-fermenting yeast. After screening of xylose-fermenting yeasts, Scheffersomyces stipitis CBS 6054 was selected as the ideal organism for conversion of the HPW hydrolysate material. The individual and synergistic effects of inhibitory compounds present in the hydrolysate were evaluated using response surface methodology. It was concluded that organic acids have an additive negative effect on fermentations. Fermentation conditions were also optimized in terms of aeration and pH. Methods for improving productivity and achieving higher ethanol yields were investigated. Adaptation to the conditions present in the hydrolysate through repeated cell sub-culturing was used. The objectives of this present study were to adapt S. stipitis CBS6054 to a dilute-acid pretreated lignocellulosic containing waste stream; compare the physiological, metabolic, and proteomic profiles of the adapted strain to its parent; quantify changes in protein expression/regulation, metabolite abundance, and enzyme activity; and determine the biochemical and molecular mechanism of adaptation. The adapted culture showed improvement in both substrate utilization and ethanol yields compared to the unadapted parent strain. The adapted strain also represented a growth phenotype compared to its unadapted parent based on its physiological and proteomic profiles. Several potential targets that could be responsible for strain improvement were identified. These targets could have implications for metabolic engineering of strains for improved ethanol production from lignocellulosic feedstocks. Although this work focuses specifically on the conversion of HPW to ethanol, the methods developed can be used for any feedstock/product systems that employ a microbial conversion step. The benefit of this research is that the organisms will the optimized for a company's specific system.

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This thesis is composed of three life-cycle analysis (LCA) studies of manufacturing to determine cumulative energy demand (CED) and greenhouse gas emissions (GHG). The methods proposed could reduce the environmental impact by reducing the CED in three manufacturing processes. First, industrial symbiosis is proposed and a LCA is performed on both conventional 1 GW-scaled hydrogenated amorphous silicon (a-Si:H)-based single junction and a-Si:H/microcrystalline-Si:H tandem cell solar PV manufacturing plants and such plants coupled to silane recycling plants. Using a recycling process that results in a silane loss of only 17 versus 85 percent, this results in a CED savings of 81,700 GJ and 290,000 GJ per year for single and tandem junction plants, respectively. This recycling process reduces the cost of raw silane by 68 percent, or approximately $22.6 and $79 million per year for a single and tandem 1 GW PV production facility, respectively. The results show environmental benefits of silane recycling centered around a-Si:H-based PV manufacturing plants. Second, an open-source self-replicating rapid prototype or 3-D printer, the RepRap, has the potential to reduce the environmental impact of manufacturing of polymer-based products, using distributed manufacturing paradigm, which is further minimized by the use of PV and improvements in PV manufacturing. Using 3-D printers for manufacturing provides the ability to ultra-customize products and to change fill composition, which increases material efficiency. An LCA was performed on three polymer-based products to determine the CED and GHG from conventional large-scale production and are compared to experimental measurements on a RepRap producing identical products with ABS and PLA. The results of this LCA study indicate that the CED of manufacturing polymer products can possibly be reduced using distributed manufacturing with existing 3-D printers under 89% fill and reduced even further with a solar photovoltaic system. The results indicate that the ability of RepRaps to vary fill has the potential to diminish environmental impact on many products. Third, one additional way to improve the environmental performance of this distributed manufacturing system is to create the polymer filament feedstock for 3-D printers using post-consumer plastic bottles. An LCA was performed on the recycling of high density polyethylene (HDPE) using the RecycleBot. The results of the LCA showed that distributed recycling has a lower CED than the best-case scenario used for centralized recycling. If this process is applied to the HDPE currently recycled in the U.S., more than 100 million MJ of energy could be conserved per annum along with significant reductions in GHG. This presents a novel path to a future of distributed manufacturing suited for both the developed and developing world with reduced environmental impact. From improving manufacturing in the photovoltaic industry with the use of recycling to recycling and manufacturing plastic products within our own homes, each step reduces the impact on the environment. The three coupled projects presented here show a clear potential to reduce the environmental impact of manufacturing and other processes by implementing complimenting systems, which have environmental benefits of their own in order to achieve a compounding effect of reduced CED and GHG.