946 resultados para Swan, Anni


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Questa tesi di dottorato ha per suo oggetto la ricognizione degli elementi teorici, di linguaggio politico e di influenza concettuale che le scienze sociali tra Ottocento e Novecento hanno avuto nell’opera di Antonio Gramsci. La ricerca si articola in cinque capitoli, ciascuno dei quali intende ricostruire, da una parte, la ricezione gramsciana dei testi classici della sociologia e della scienza politica del suo tempo, dall’altra, far emergere quelle filiazioni concettuali che permettano di valutare la portata dell’influenza delle scienze sociali sugli scritti gramsciani. Il lungo processo di sedimentazione concettuale del lessico delle scienze sociali inizia in Gramsci già negli anni della formazione politica, sullo sfondo di una Torino positivista che esprime le punte più avanzate del “progetto grande borghese” per lo studio scientifico della società e per la sua “organizzazione disciplinata”; di questa tradizione culturale Gramsci incrocia a più riprese il percorso. La sua formazione più propriamente politica si svolge però all’interno del Partito socialista, ancora imbevuto del lessico positivista ed evoluzionista. Questi due grandi filoni culturali costituiscono il brodo di coltura, rifiutato politicamente ma al tempo stesso assunto concettualmente, per quelle suggestioni sociologiche che Gramsci metterà a frutto in modo più organico nei Quaderni. La ricerca e la fissazione di una specifica antropologia politica implicita al discorso gramsciano è il secondo stadio della ricerca, nella direzione di un’articolazione complessiva delle suggestioni sociologiche che i Quaderni assumono come elementi di analisi politica. L’analisi si sposta sulla storia intellettuale della Francia della Terza Repubblica, più precisamente sulla nascita del paradigma sociologico durkheimiano come espressione diretta delle necessità di integrazione sociale. Vengono così messe in risalto alcune assonanze lessicali e concettuali tra il discorso di Durkheim, di Sorel e quello di Gramsci. Con il terzo capitolo si entra più in profondità nella struttura concettuale che caratterizza il laboratorio dei Quaderni. Si ricostruisce la genesi di concetti come «blocco storico», «ideologia» ed «egemonia» per farne risaltare quelle componenti che rimandano direttamente alle funzioni di integrazione di un sistema sociale. La declinazione gramsciana di questo problema prende le forme di un discorso sull’«organicità» che rende più che mai esplicito il suo debito teorico nei confronti dell’orizzonte concettuale delle scienze sociali. Il nucleo di problemi connessi a questa trattazione fa anche emergere l’assunzione di un vero e proprio lessico sociologico, come per i concetti di «conformismo» e «coercizione», comunque molto distante dallo spazio semantico proprio del marxismo contemporaneo a Gramsci. Nel quarto capitolo si affronta un caso paradigmatico per quanto riguarda l’assunzione non solo del lessico e dei concetti delle scienze sociali, ma anche dei temi e delle modalità della ricerca sociale. Il quaderno 22 intitolato Americanismo e fordismo è il termine di paragone rispetto alla realtà che Gramsci si prefigge di indagare. Le consonanze delle analisi gramsciane con quelle weberiane dei saggi su Selezione e adattamento forniscono poi gli spunti necessari per valutare le novità emerse negli Stati Uniti con la razionalizzazione produttiva taylorista, specialmente in quella sua parte che riguarda la pervasività delle tecniche di controllo della vita extra-lavorativa degli operai. L’ultimo capitolo affronta direttamente la questione delle aporie che la ricezione della teoria sociologica di Weber e la scienza politica italiana rappresentata dagli elitisti Mosca, Pareto e Michels, sollevano per la riformulazione dei concetti politici gramsciani. L’orizzonte problematico in cui si inserisce questa ricerca è l’individuazione di una possibile “sociologia del politico” gramsciana che metta a tema quel rapporto, che è sempre stato di difficile composizione, tra marxismo e scienze sociali.

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La necessità di sviluppare questo progetto è nata dal fatto che quando due aziende desiderano collaborare in maniera costruttiva con rapporti di fornitura di materiali o lavorazioni, bisogna evitare che si verifichino scostamenti nei rapporti a discapito di uno dei due contraenti. La coscienza dell'inefficienza di un rapporto squilibrato ha portato le due aziende a intavolare un progetto migliorativo basato sulla massima trasparenza e propositività. Quando G.D ha deciso di avvalersi della fornitura da parte di Transmec per quanto riguarda il servizio di taglio del materiale, l'ha fatto per andare a cercare un miglior livello di efficacia ed efficienza. Il raggiungimento degli attuali livelli di performance non sarebbe stato possibile se entrambe le aziende non avessero collaborato attivamente nell'ottenimento degli standard desiderati. Questo studio è nato dal fatto che il modello interno adottato precedentemente da G.D per la ripartizione dei costi delle Business Unit non era più efficace se utilizzato come strumento di pagamento. Si rendeva quindi necessaria un'analisi accurata della situazione produttiva utilizzando gli approcci analitici resi disponibili nel corso degli anni come lo strumento per l'allocazione dei costi secondo le attività (Activity Based Costing) e la mappatura dei processi utilizzata nei casi di re-ingegnerizzazione dei reparti.

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I terreni di Treporti, nella laguna di Venezia, sono caratterizzati da una fitta alternanza di strati con caratteristiche di compressibilità fortemente variabili, pertanto risulta alquanto complessa la determinazione e la scelta di parametri appropriati per la progettazione. La costruzione del terrapieno sperimentale, ed il contemporaneo impiego dell'assestimetro a basi multiple, ha permesso di misurare il comportamento deformativo del terreno in sito e le analisi retrospettive hanno simulato, in base a parametri di tentativo, il comportamento nel tempo dei terreni di fondazione. L'analisi a posteriori delle deformazioni è stata confrontata con le misure effettuate nel corso degli anni precedenti la fase di scarico, mentre oltre questa fase è stata eseguita una previsione confrontata con le tre misure eseguite dopo la fase di scarico, ottenendo in entrambi i casi un buon accordo tra simulazioni e misure. L’aderenza quasi perfetta ottenuta tra le curve ε-t calcolate e le corrispondenti curve ε-t sperimentali, fa ritenere che tutti i parametri geotecnici ottenuti dal modello, rispecchino con buona approssimazione quelli realmente mobilitati dai 40 m di sottosuolo interessati dal carico. Pertanto anche i risultati ottenuti in ordine all'influenza della consolidazione secondaria sugli abbassamenti totali, debbono ritenersi con buona approssimazione vicini al comportamento reale. Il modello è anche in grado di descrivere molto bene i cedimenti dei diversi strati di terreno e quello del piano di posa.

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Il Lavoro si inserisce nel quadro complesso del settore Energy & Utilities e si propone l’obiettivo di analizzare l’attuale mercato dell’energia per individuarne i driver al cambiamento e presentare un innovativo modello di business per le aziende di vendita di energia, con lo scopo di recuperare efficienza nella gestione del Cliente finale, cercando di quantificarne i vantaggi potenziali. L’attività di studio e progettuale è stata svolta nell’ambito di un periodo di tirocinio formativo della durata di sei mesi, effettuato presso Engineering Ingegneria Informatica S.p.A., in particolare nella sede di viale Masini di Bologna, a seguito della candidatura autonoma dello studente e del suo immediato inserimento nei processi di business della divisione Utilities dell’azienda. Il Lavoro si suddivide in 9 capitoli: dopo una breve introduzione sul settore Energy&Utilities, nei primi quattro capitoli sono descritte le filiere produttive dei principali servizi, i principali attori del mercato e gli aspetti normativi e tariffari che caratterizzano l’intero settore, valutando in particolare la formazione del prezzo del gas e dell’energia elettrica. I capitoli cinque e sei descrivono invece le principali tendenze, le strategie competitive in atto nel mercato delle Utilities e l’importanza del Cliente, in un’ottica di CRM che segue i dettami del modello “Customer Centric”. Gli ultimi capitoli mostrano invece, dopo una breve presentazione dell’azienda in cui lo studente ha svolto l’attività, l’intero lavoro di analisi realizzato, input del modello di business a chiusura del Lavoro, volto a quantificare gli impatti del processo di liberalizzazione che ha radicalmente modificato il settore delle Utilities negli ultimi anni, valutando a proposito la profittabilità per un cliente medio in base ad un’opportuna pre-analisi di segmentazione. Il modello di business che occupa l’ultimo capitolo costituisce una soluzione originale e innovativa per incrementare tale profittabilità.

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La ricognizione delle opere composte da Filippo Tommaso Marinetti tra il 1909 e il 1912 è sostenuta da una tesi paradossale: il futurismo di Marinetti non sarebbe un'espressione della modernità, bensì una reazione anti-moderna, che dietro a una superficiale ed entusiastica adesione ad alcune parole d'ordine della seconda rivoluzione industriale nasconderebbe un pessimismo di fondo nei confronti dell'uomo e della storia. In questo senso il futurismo diventa un emblema del ritardo culturale e del gattopardismo italiano, e anticipa l’analoga operazione svolta in politica da Mussolini: dietro un’adesione formale ad alcune istanze della modernità, la preservazione dello Status Quo. Marinetti è descritto come un corpo estraneo rispetto alla cultura scientifica del Novecento: un futurista senza futuro (rarissime in Marinetti sono le proiezioni fantascientifiche). Questo aspetto è particolarmente evidente nelle opere prodotte del triennio 1908-1911, che non solo sono molto diverse dalle opere futuriste successive, ma per alcuni aspetti rappresentano una vera e propria antitesi di ciò che diventerà il futurismo letterario a partire dal 1912, con la pubblicazione del Manifesto tecnico della letteratura futurista e l'invenzione delle parole in libertà. Nelle opere precedenti, a un sostanziale disinteresse per il progressismo tecnologico corrispondeva un'attenzione ossessiva per la corporeità e un ricorso continuo all'allegoria, con effetti particolarmente grotteschi (soprattutto nel romanzo Mafarka le futuriste) nei quali si rilevano tracce di una concezione del mondo di sapore ancora medioevo-rinascimentale. Questa componente regressiva del futurismo marinettiano viene platealmente abbandonata a partire dal 1912, con Zang Tumb Tumb, salvo riaffiorare ciclicamente, come una corrente sotterranea, in altre fasi della sua carriera: nel 1922, ad esempio, con la pubblicazione de Gli indomabili (un’altra opera allegorica, ricca di reminiscenze letterarie). Quella del 1912 è una vera e propria frattura, che nel primo capitolo è indagata sia da un punto di vista storico (attraverso la documentazione epistolare e giornalistica vengono portate alla luce le tensioni che portarono gran parte dei poeti futuristi ad abbandonare il movimento proprio in quell'anno) che da un punto di vista linguistico: sono sottolineate le differenze sostanziali tra la produzione parolibera e quella precedente, e si arrischia anche una spiegazione psicologica della brusca svolta impressa da Marinetti al suo movimento. Nel secondo capitolo viene proposta un'analisi formale e contenutistica della ‘funzione grottesca’ nelle opere di Marinetti. Nel terzo capitolo un'analisi comparata delle incarnazioni della macchine ritratte nelle opere di Marinetti ci svela che quasi sempre in questo autore la macchina è associata al pensiero della morte e a una pulsione masochistica (dominante, quest'ultima, ne Gli indomabili); il che porta ad arrischiare l'ipotesi che l'esperienza futurista, e in particolare il futurismo parolibero posteriore al 1912, sia la rielaborazione di un trauma. Esso può essere interpretato metaforicamente come lo choc del giovane Marinetti, balzato in pochi anni dalle sabbie d'Alessandria d'Egitto alle brume industriali di Milano, ma anche come una reale esperienza traumatica (l'incidente automobilistico del 1908, “mitologizzato” nel primo manifesto, ma che in realtà fu vissuto dall'autore come esperienza realmente perturbante).

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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Il tema della Logistica Urbana è un argomento complesso che coinvolge diverse discipline. Infatti, non è possibile affrontare la distribuzione delle merci da un solo punto di vista. Da un lato, infatti, manifesta l’esigenza della città e della società in generale di migliorare la qualità della vita anche attraverso azioni di contenimento del traffico, dell’inquinamento e degli sprechi energetici. A questo riguardo, è utile ricordare che il trasporto merci su gomma costituisce uno dei maggiori fattori di impatto su ambiente, sicurezza stradale e congestione della viabilità urbana. Dall’altro lato vi sono le esigenze di sviluppo economico e di crescita del territorio dalle quali non è possibile prescindere. In questa chiave, le applicazioni inerenti la logistica urbana si rivolgono alla ricerca di soluzioni bilanciate che possano arrecare benefici sociali ed economici al territorio anche attraverso progetti concertati tra i diversi attori coinvolti. Alla base di tali proposte di pratiche e progetti, si pone il concetto di esternalità inteso come l’insieme dei costi esterni sostenuti dalla società imputabili al trasporto, in particolare al trasporto merci su gomma. La valutazione di questi costi, che rappresentano spesso una misurazione qualitativa, è un argomento delicato in quanto, come è facile immaginare, non può essere frutto di misure dirette, ma deve essere dedotto attraverso meccanismi inferenziali. Tuttavia una corretta definizione delle esternalità definisce un importante punto di partenza per qualsiasi approccio al problema della Logistica Urbana. Tra gli altri fattori determinanti che sono stati esplorati con maggiore dettaglio nel testo integrale della tesi, va qui accennata l’importanza assunta dal cosiddetto Supply Chain Management nell’attuale assetto organizzativo industriale. Da esso dipendono approvvigionamenti di materie prime e consegne dei prodotti finiti, ma non solo. Il sistema stesso della distribuzione fa oggi parte di quei servizi che si integrano con la qualità del prodotto e dell’immagine della Azienda. L’importanza di questo settore è accentuata dal fatto che le evoluzioni del commercio e l’appiattimento dei differenziali tra i sistemi di produzione hanno portato agli estremi la competizione. In questa ottica, minimi vantaggi in termini di servizio e di qualità si traducono in enormi vantaggi in termini di competitività e di acquisizione di mercato. A questo si aggiunge una nuova logica di taglio dei costi che porta a ridurre le giacenze di magazzino accorciando la pipeline di produzione ai minimi termini in tutte le fasi di filiera. Naturalmente questo si traduce, al punto vendita in una quasi totale assenza di magazzino. Tecnicamente, il nuovo modello di approvvigionamento viene chiamato just-in-time. La ricerca che è stata sviluppata in questi tre anni di Dottorato, sotto la supervisione del Prof. Piero Secondini, ha portato ad un approfondimento di questi aspetti in una chiave di lettura ad ampio spettro. La ricerca si è quindi articolata in 5 fasi: 1. Ricognizione della letteratura italiana e straniera in materia di logistica e di logistica urbana; 2. Studio delle pratiche nazionali ed europee 3. Analisi delle esperienze realizzate e delle problematiche operative legate ai progetti sostenuti dalla Regione Emilia Romagna 4. Il caso di studio di Reggio Emilia e redazione di più proposte progettuali 5. Valutazione dei risultati e conclusioni Come prima cosa si è quindi studiata la letteratura in materia di Logistica Urbana a livello nazionale. Data la relativamente recente datazione dei primi approcci nazionali ed europei al problema, non erano presenti molti testi in lingua italiana. Per contro, la letteratura straniera si riferisce generalmente a sistemi urbani di dimensione e configurazione non confrontabili con le realtà nazionali. Ad esempio, una delle nazioni che hanno affrontato per prime tale tematica e sviluppato un certo numero di soluzioni è stata il Giappone. Naturalmente, città come Tokyo e Kyoto sono notevolmente diverse dalle città europee ed hanno necessità ed esigenze assai diverse. Pertanto, soluzioni tecnologiche e organizzative applicate in questi contesti sono per la maggior parte inattuabili nei contesti del vecchio continente. Le fonti che hanno costituito maggiore riferimento per lo sviluppo del costrutto teorico della tesi, quindi, sono state i saggi che la Regione Emilia Romagna ha prodotto in occasione dello sviluppo del progetto City Ports di cui la Regione stessa era coordinatore di numerosi partners nazionali ed europei. In ragione di questo progetto di ricerca internazionale, l’Emilia Romagna ha incluso il trattamento della logistica delle merci negli “Accordi di Programma per il miglioramento della qualità dell’aria” con le province ed i capoluoghi. In Questo modo si è posta l’attenzione sulla sensibilizzazione delle Pubbliche Amministrazioni locali verso la mobilità sostenibile anche nell’ambito di distribuzione urbana delle merci. Si noti infatti che l’impatto sulle esternalità dei veicoli leggeri per il trasporto merci, quelli cioè che si occupano del cosiddetto “ultimo miglio” sono di due ordini di grandezza superiori rispetto a quelli dei veicoli passeggeri. Nella seconda fase, la partecipazione a convegni di ambito regionale e nazionale ha permesso di arricchire le conoscenze delle best-practice attuate in Italia per lo sviluppo di strumenti finalizzati ad condividere i costi esterni della mobilità delle merci con gli operatori logistici. In questi contesti è stato possibile verificare la disponibilità di tre linee di azione sulle quali, all’interno del testo della tesi si farà riferimento molto spesso: - linea tecnologica; - linea amministrativa; - linea economico/finanziaria. Nel discutere di questa tematica, all’interno di questi contesti misti in cui partecipavano esponenti della cultura accademica, delle pubbliche amministrazioni e degli operatori, ci si è potuti confrontare con la complessità che il tema assume. La terza fase ha costituito la preparazione fondamentale allo studio del caso di studio. Come detto sopra, la Regione Emilia Romagna, all’interno degli Accordi di Programma con le Province, ha deliberato lo stanziamento di co-finanziamenti per lo sviluppo di progetti, integrati con le pratiche della mobilità, inerenti la distribuzione delle merci in città. Inizialmente, per tutti i capoluoghi di provincia, la misura 5.2 degli A.d.P. prevedeva la costruzione di un Centro di Distribuzione Urbana e l’individuazione di un gestore dei servizi resi dallo stesso. Successive considerazioni hanno poi portato a modifiche della misura lasciando una maggiore elasticità alle amministrazioni locali. Tramite una esperienza di ricerca parallela e compatibile con quella del Dottorato finanziata da un assegno di ricerca sostenuto dall’Azienda Consorziale Trasporti di Reggio Emilia, si è potuto partecipare a riunioni e seminari presentati dalla Regione Emilia Romagna in cui si è potuto prendere conoscenza delle proposte progettuali di tutte le province. L’esperienza di Reggio Emilia costituisce il caso di studio della tesi di Dottorato. Le molteplici problematiche che si sono affrontate si sono protratte per tempi lunghi che hanno visto anche modifiche consistenti nell’assetto della giunta e del consiglio comunali. Il fatto ha evidenziato l’ennesimo aspetto problematico legato al mantenimento del patrimonio conoscitivo acquisito, delle metodiche adottate e di mantenimento della coerenza dell’impostazione – in termini di finalità ed obiettivi – da parte dell’Amministrazione Pubblica. Essendo numerosi gli attori coinvolti, in un progetto di logistica urbana è determinante per la realizzazione e la riuscita del progetto che ogni fattore sia allineato e ben informato dell’evoluzione del progetto. In termini di programmazione economica e di pianificazione degli interventi, inoltre, la pubblica amministrazione deve essere estremamente coordinata internamente. Naturalmente, questi sono fattori determinanti per ogni progetto che riguarda le trasformazioni urbane e lo sviluppo delle città. In particolare, i diversi settori (assessorati) coinvolti su questa tematica, fanno o possno fare entrare in situazioni critiche e rischiose la solidità politica dello schieramento di maggioranza. Basti pensare che la distribuzione delle merci in città coinvolge gli assessorati della mobilità, del commercio, del centro storico, dell’ambiente, delle attività produttive. In funzione poi delle filiere che si ritiene di coinvolgere, anche la salute e la sicurezza posso partecipare al tavolo in quanto coinvolte rispettivamente nella distribuzione delle categorie merceologiche dei farmaci e nella security dei valori e della safety dei trasporti. L’esperienza di Reggio Emilia è stata una opportunità preziosissima da molteplici punti di vista. Innanzitutto ha dato modo di affrontare in termini pratici il problema, di constatare le difficoltà obiettive, ad esempio nella concertazione tra gli attori coinvolti, di verificare gli aspetti convergenti su questo tema. Non ultimo in termini di importanza, la relazione tra la sostenibilità economica del progetto in relazione alle esigenze degli operatori commerciali e produttivi che ne configurano gli spazi di azione. Le conclusioni del lavoro sono molteplici. Da quelle già accennate relative alla individuazione delle criticità e dei rischi a quelle dei punti di forza delle diverse soluzioni. Si sono affrontate, all’interno del testo, le problematiche più evidenti cercando di darne una lettura costruttiva. Si sono evidenziate anche le situazioni da evitare nel percorso di concertazione e si è proposto, in tal proposito, un assetto organizzativo efficiente. Si è presentato inoltre un modello di costruzione del progetto sulla base anche di una valutazione economica dei risultati per quanto riguarda il Business Plan del gestore in rapporto con gli investimenti della P.A.. Si sono descritti diversi modelli di ordinanza comunale per la regolamentazione della circolazione dei mezzi leggeri per la distribuzione delle merci in centro storico con una valutazione comparativa di meriti ed impatti negativi delle stesse. Sono inoltre state valutate alcune combinazioni di rapporto tra il risparmio in termini di costi esterni ed i possibili interventi economico finanziario. Infine si è analizzato il metodo City Ports evidenziando punti di forza e di debolezza emersi nelle esperienze applicative studiate.

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La ricerca si pone come obbiettivo principale quello di individuare gli strumenti in grado di controllare la qualità di una progettazione specifica che risponde alle forti richieste della domanda turistica di un territorio. Parte dalle più semplici teorie che inquadrano una costante condizione dell’uomo, “il VIAGGIARE”. La ricerca si pone come primo interrogativo quello definire una “dimensione” in cui le persone viaggiano, dove il concetto fisico di spazio dedicato alla vita si è spostato come e quanto si sposta la gente. Esiste una sorta di macroluogo (destinazione) che comprende tutti gli spazi dove la gente arriva e da cui spesso riparte. Pensare all'architettura dell’ospitalità significa indagare e comprendere come la casa non è più il solo luogo dove la gente abita. La ricerca affonda le proprie tesi sull’importanza dei “luoghi” appartenenti ad un territorio e come essi debbano riappropriarsi, attraverso un percorso progettuale, della loro più stretta vocazione attrattiva. Così come si sviluppa un’architettura dello stare, si manifesta un’architettura dello spostarsi e tali architetture si confondono e si integrano ad un territorio che per sua natura è esso stesso attrattivo. L’origine terminologica di nomadismo è passaggio necessario per la comprensione di una nuova dimensione architettonica legata a concetti quali mobilità e abitare. Si indaga pertanto all’interno della letteratura “diasporica”, in cui compaiono le prime configurazioni legate alla provvisorietà e alle costruzioni “erranti”. In sintesi, dopo aver posizionato e classificato il fenomeno turistico come nuova forma dell’abitare, senza il quale non si potrebbe svolgere una completa programmazione territoriale in quanto fenomeno oramai imprescindibile, la ricerca procede con l’individuazione di un ambito inteso come strumento di indagine sulle relazioni tra le diverse categorie e “tipologie” turistiche. La Riviera Romagnola è sicuramente molto famosa per la sua ospitalità e per le imponenti infrastrutture turistiche ma a livello industriale non è meno famosa per il porto di Ravenna che costituisce un punto di riferimento logistico per lo scambio di merci e materie prime via mare, oltre che essere, in tutta la sua estensione, caso di eccellenza. La provincia di Ravenna mette insieme tutti i fattori che servono a soddisfare le Total Leisure Experience, cioè esperienze di totale appagamento durante la vacanza. Quello che emerge dalle considerazioni svolte sul territorio ravennate è che il turista moderno non va più in cerca di una vacanza monotematica, in cui stare solo in spiaggia o occuparsi esclusivamente di monumenti e cultura. La richiesta è quella di un piacere procurato da una molteplicità di elementi. Pensiamo ad un distretto turistico dove l’offerta, oltre alla spiaggia o gli itinerari culturali, è anche occasione per fare sport o fitness, per rilassarsi in luoghi sereni, per gustare o acquistare cibi tipici e, allo stesso tempo, godere degli stessi servizi che una persona può avere a disposizione nella propria casa. Il percorso, finalizzato a definire un metodo di progettazione dell’ospitalità, parte dalla acquisizione delle esperienze nazionali ed internazionali avvenute negli ultimi dieci anni. La suddetta fase di ricerca “tipologica” si è conclusa in una valutazione critica che mette in evidenza punti di forza e punti di debolezza delle esperienze prese in esame. La conclusione di questa esplorazione ha prodotto una prima stesura degli “obbiettivi concettuali” legati alla elaborazione di un modello architettonico. Il progetto di ricerca in oggetto converge sul percorso tracciato dai Fiumi Uniti in Ravenna. Tale scelta consente di prendere in considerazione un parametro che mostri fattori di continuità tra costa e città, tra turismo balneare e turismo culturale, considerato quindi come potenziale strumento di connessione tra realtà spesso omologhe o complementari, in vista di una implementazione turistica che il progetto di ricerca ha come primo tra i suoi obiettivi. Il tema dell’architettura dell’ospitalità, che in questo caso si concretizza nell’idea di sperimentare l’ALBERGO DIFFUSO, è quello che permette di evidenziare al meglio la forma specifica della cultura locale, salvandone la vocazione universale. La proposta progettuale si articola in uno studio consequenziale ed organico in grado di promuovere una riflessione originale sul tema del modulo “abitativo” nei luoghi di prossimità delle emergenze territoriali di specifico interesse, attorno alle quali la crescente affluenza di un’utenza fortemente differenziata evidenzia la necessità di nodi singolari che si prestino a soddisfare una molteplicità di usi in contesti di grande pregio.

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Il continuo verificarsi di gravi incidenti nei grandi impianti industriali ha spinto gli Stati membri dell’Unione Europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. Anche a seguito della pressione esercitata dall’opinione pubblica sono state implementate, nel corso degli ultimi quarant’anni, misure legislative sempre più efficaci per la prevenzione e la mitigazione dei rischi legati ad attività industriali particolarmente pericolose. A partire dagli ultimi anni dello scorso secolo, l’Unione Europea ha emanato una serie di direttive che obbligano gli Stati membri ad essere garanti della sicurezza per l’uomo e per l’ambiente nelle zone circostanti a stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In quest’ottica è stata pubblicata nel 1982 la Direttiva Seveso I [82/501/EEC], che è stata ampliata nel 1996 dalla Direttiva Seveso II [96/82/CE] ed infine emendata nel dicembre 2003 dalla Direttiva Seveso III [2003/105/CE]. Le Direttive Seveso prevedono la realizzazione negli Stati membri di una valutazione dei rischi per gli stabilimenti industriali che sono suscettibili a incendi, esplosioni o rilasci di gas tossici (quali, ad esempio, le industrie chimiche, le raffinerie, i depositi di sostanze pericolose). La Direttiva Seveso II è stata trasposta in legge belga attraverso “l’Accord de Coopération” del 21 giugno 1999. Una legge federale nel giugno del 2001 [M.B. 16/06/2001] mette in vigore “l’Accord de Coopération”, che è stato in seguito emendato e pubblicato il 26 aprile del 2007 [M.B. 26/04/2007]. A livello della Regione Vallona (in Belgio), la tematica del rischio di incidente rilevante è stata inclusa nelle disposizioni decretali del Codice Vallone della Pianificazione Territoriale, dell’Urbanismo e del Patrimonio [CWATUP]. In questo quadro la Regione Vallona ha elaborato in collaborazione con la FPMs (Faculté Polytechnique de Mons) una dettagliata metodologia di analisi del rischio per gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In Italia la Direttiva Seveso II è stata recepita dal Decreto Legislativo n°334 emanato nell’agosto del 1999 [D. Lgs. 334/99], che ha introdotto per la prima volta nel quadro normativo italiano i concetti fondamentali di “controllo dell’urbanizzazione” e “requisiti minimi di sicurezza per la pianificazione territoriale”. Il Decreto Legislativo 334/99 è attualmente in vigore, modificato ed integrato dal Decreto Legislativo n°238 del 21 settembre 2005 [D. Lgs. 238/05], recepimento italiano della Direttiva Seveso III. Tra i decreti attuativi del Decreto Legislativo 334/99 occorre citare il Decreto Ministeriale n°151 del 2001 [D. M. 151/01] relativo alla pianificazione territoriale nell’intorno degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. L’obiettivo di questo lavoro di tesi, che è stato sviluppato presso la Faculté Polytechnique di Mons, è quello di analizzare la metodologia di quantificazione del rischio adottata nella Regione Vallona, con riferimento alla pianificazione territoriale intorno agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, e di confrontarla con quella applicata in Italia. La metodologia applicata in Vallonia è di tipo “probabilistico” ovvero basata sul rischio quale funzione delle frequenze di accadimento e delle conseguenze degli scenari incidentali. Il metodo utilizzato in Italia è “ibrido”, ovvero considera sia le frequenze che le conseguenze degli scenari incidentali, ma non la loro ricomposizione all’interno di un indice di rischio. In seguito al confronto teorico delle due metodologie, se ne è effettuato anche una comparazione pratica tramite la loro applicazione ad un deposito di GPL. Il confronto ha messo in luce come manchino, nella legislazione italiana relativa agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, indicazioni di dettaglio per la quantificazione del rischio, a differenza di quanto accade nella legislazione belga. Ciò lascia all’analista di rischio italiano una notevole arbitrarietà nell’effettuare ipotesi ed assunzioni che rendono poi difficile la comparazione del rischio di stabilimenti differenti. L’auspicio è che tale lacuna possa essere rapidamente superata.

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ABSTRACT In passato valeva il motto “grande è meglio”. Le aziende avevano enormi magazzini che riempivano fino a che questi riuscivano a contenere merce. Ciò avveniva nella convinzione che gli alti costi della gestione delle scorte sarebbero stati superati dalle vendite. Negli ultimi anni le aziende hanno però radicalmente cambiato il loro approccio alla gestione delle rimanenze: queste, vengono considerate un eccesso e i magazzini con elevate scorte vengono visti come un‟opportunità mancata e capitale sprecato. I produttori sono sempre più consapevoli della necessità di minimizzare l‟inventario e massimizzare la rotazione dei prodotti. In questo contesto si inseriscono le problematiche connesse alla gestione delle scorte, con particolare riferimento al fenomeno dello slow moving, espressione che indica tutti i materiali a lenta movimentazione stoccati a magazzino. Questi spesso rappresentano un importante onere finanziario per le aziende: si sostengono costi di immobilizzo del capitale, di stoccaggio del materiale oltre a quelli connessi al rischio di obsolescenza. Molto spesso si tende a trascurare il problema, fino a quando le dimensioni di quest‟ultimo si ingrandiscono al punto di diventare una priorità aziendale da cui si cerca una rapida soluzione. L‟elaborato presenta un preliminare studio di caso che ha costituito il punto di partenza per la progettazione di un action plan per la riduzione e lo smaltimento degli item obsoleti e a bassa movimentazione di una realtà aziendale italiana del settore metalmeccanico di cui si presentano anche i primi risultati dell‟implementazione. Dopo aver fornito una panoramica teorica sul ruolo e la gestione delle scorte, si passa ad analizzare il problema dello slow moving in una particolare realtà aziendale, la Biffi s.r.l. di Fiorenzuola d‟Arda (Piacenza), un‟ impresa che dal 1955 produce attuatori per valvole. Esaminato il mercato di riferimento, il tipo di prodotto e il processo di fabbricazione, si passa all‟as-is del magazzino. Attraverso tale analisi, vengono poste in risalto le problematiche legate all‟identificazione, classificazione e gestione dei codici slow moving. E‟ stato proprio lo studio di questi dati che ha posto le basi per lo sviluppo dell‟action plan per la razionalizzazione delle giacenze a magazzino. Nell‟ultima parte dell‟elaborato ho quindi descritto le azioni intraprese e presentato i risultati ottenuti, che hanno consentito risparmi significativi senza effettuare investimenti , ma semplicemente utilizzando al meglio le risorse già disponibili.

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Il tema del risparmio energetico nell'industria ceramica sta assumendo una crescente importanza a livello mondiale, non solo in ambito europeo. Data l'importanza dell'efficienza energetica nel settore delle piastrelle ceramiche, negli ultimi anni sono cresciute e si sono sviluppate notevoli proposte tenologiche ed impiantistiche ottimali ed efficienti, a seconda dei processi produttivi. Si è ritenuto interessante, in un momento in cui l'analisi dei costi di produzione nelle industrie italiane diventa determinante per restare competitivi sul mercato, procedere ad un approfondimento sul tema, facendo il punto della situazione sull'efficienza energetica degli impianti, effettuando, nello specifico, una diagnosi, con il Centro Ceramico di Bologna, di uno stabilimento produttivo presso la Ceramica Castelvetro di Solignano.

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In Italia, il contesto legislativo e l’ambiente competitivo dei Confidi è profondamente mutato negli ultimi anni a seguito dell’emanazione di due nuove normative: la “Legge Quadro” sui Confidi e la nuova regolamentazione del capitale di vigilanza nelle banche (c.d. "Basilea 2"). la Legge Quadro impone ai Confidi di adottare uno dei seguenti status societari: i) ente iscritto all’albo di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario (TUB); ii) ente iscritto all’albo di cui all’art. 107 del Testo Unico Bancario; iii) banca cooperativa di garanzia collettiva dei fidi. Fermi restando i requisiti soggettivi sui garanti ammessi da Basilea 2, la modalità tecnica finora utilizzata dai Confidi non risponde ai requisiti oggettivi. Il pensiero strategico si enuclea nelle seguenti domande: A) qual è la missione del Confidi (perché esistono i Confidi)? B) Quali prodotti e servizi dovrebbero offrire per raggiungere la loro missione? C) Quale modello organizzativo e di governance si conforma meglio per l'offerta dei prodotti e servizi individuati come necessari per il raggiungimento della missione? Le riflessioni condotte nell’ambito di un quadro di riferimento delineato dal ruolo delle garanzie nel mercato del credito bancario, dalle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, dalla “Legge Quadro” sui e, infine, dall’assetto istituzionale ed operativo dei Confidi si riassumono nelle seguenti deduzioni: Proposizione I: segmentare la domanda prima di adeguare l’offerta; Proposizione II: le operazioni tranched cover sono un'alternativa relativamente efficiente per l'operatività dei Confidi, anche per quelli non vigilati; Proposizione III: solo i Confidi‐banca hanno la necessità di dotarsi di un rating esterno; Proposizione IV: le banche sono nuovi Clienti dei Confidi: offrire servizi di outsourcing (remunerati), ma non impieghi di capitale; Proposizione V: le aggregazioni inter settoriali nel medesimo territorio sono da preferirsi alle aggregazioni inter territoriali fra Confidi del medesimo settore. Alle future ricerche è affidato il compito di verificare: quali opzioni strategiche nel concreato siano state applicate; quali siano state le determinati di tali scelte; il grado di soddisfacimento dei bisogni degli stakeholder dei Confidi; misurare i benefici conseguiti nell'efficienza allocativa del credito.

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In un periodo di tre anni è stato svolto un lavoro mirato alla valutazione delle complicanze correlate all’utilizzo dello stenting carotideo. Dopo la preparazione di un protocollo con definizione di tutti i fattori di rischio sono stati individuati i criteri di inclusione ed esclusione attraverso i quali arruolare i pazienti. Da Luglio 2004 a Marzo 2007 sono stati inclusi 298 pazienti e sono state valutate le caratteristiche della placca carotidea, con particolare riferimento alla presenza di ulcerazione e/o di stenosi serrata, la tortuosità dei vasi e il tipo di arco aortico oltre a tutti i fattori di rischio demografici e metabolici. E’ stato valutato quanto e se questi fattori di rischio incrementino la percentuale di complicanze della procedura di stenting carotideo. I pazienti arruolati sono stati suddivisi in due gruppi a seconda della morfologia della placca: placca complicata (placca con ulcera del diametro > di 2 mm e placca con stenosi sub occlusiva 99%) e placca non complicata. I due gruppi sono stati comparati in termini di epidemiologia, sintomatologia neurologica preoperatoria, tipo di arco, presenza di stenosi o ostruzione della carotide controlaterale, tipo di stent e di protezione cerebrale utilizzati, evoluzione clinica e risultati tecnici. I dati sono stati valutati mediante analisi statistica di regressione logistica multipla per evidenziare le variabili correlate con l’insuccesso. Dei 298 pazienti consecutivi sottoposti a stenting, 77 hanno mostrato una placca complicata (25,8%) e 221 una placca non complicata (74,2%). I due gruppi non hanno avuto sostanziali differenze epidemiologiche o di sintomatologia preoperatoria. Il successo tecnico si è avuto in 272 casi (91,2%) e sintomi neurologici post-operatosi si sono verificati in 23 casi (23.3%). Tutti i sintomi sono stati temporanei. Non si sono avute differenze statisticamente significative tra i due gruppi in relazione alle complicanze neurologiche e ai fallimenti tecnici. L’età avanzata è correlata ad un incremento dei fallimenti tecnici. I risultati dello studio portano alla conclusione che la morfologia della placca non porta ad un incremento significativo dei rischi correlati alla procedura di stenting carotideo e che l’indicazione alla CAS può essere posta indipendentemente dalla caratteristica della placca.

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“Il tocco pianistico: premesse storiche e sviluppi scientifici” si pone l’obiettivo di provare la politimbricità del pianoforte. A tal fine, ho indagato la relazione tra il gesto, la meccanica del pianoforte e il suono, problema sfiorato da alcuni maestri del Novecento, ma mai approfondito e sviscerato per ovvie ragioni riguardanti la mancanza di una tecnologia idonea e competenze difficili da trovare in una medesima persona. Per quest’ultima ragione mi sono avvalsa della collaborazione sia del Laboratorio di Anatomia Funzionale dell'Apparato Locomotore del Dipartimento di Morfologia Umana dell’Università di Milano, dove lavorano esperti delle più moderne tecnologie idonee alla registrazione del movimento, sia dell’ingegnere Alberto Amendola, docente a contratto di Acustica musicale presso l’Università di Parma per ciò che concerne l’analisi del suono e i rilievi acustici. La tesi si articola in due parti organizzate in quattro capitoli. Nel primo, La didattica pianistica nel primo trentennio del Novecento: il tocco e il timbro come parole chiave, dopo aver tracciato un quadro generale riguardante i concetti di ‘tocco’ e ‘timbro’ incontrati nei metodi e trattati del Sette/Ottocento, già affrontati nella tesi di laurea, procedo ad analizzare alcuni dei lavori più rappresentativi scritti tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento (The Leschetizky Method. A Guide to Fine and Correct Piano Playing di Malwine Brée, Über die physiologischen Fehler und die Umgestaltung der Klaviertechnik di Albert Maria Steinhausen, Die Grundlagen der Klaviertechnik di Rudolph Maria Breithaupt e The Phisiological Mechanics of Piano Technique di Otto Ortmann). Tali studi presentano una parte dedicata alle diverse modalità di produzione sonora e, quasi tutti, giungono ad una medesima conclusione: pur nella sua ricchezza, il pianoforte è uno strumento monotimbrico, dove la differenza tra i suoni è data dall’intensità e dall’agogica. Al fine di provare la politimbricità del pianoforte, il mio percorso di studi si è scontrato sia con la meccanica del pianoforte sia con l’acustica musicale. Ho fatto precedere quindi l’indagine scientifica, che confluisce nel capitolo IV, da una sezione in cui presento l’evoluzione della meccanica del pianoforte fino a giungere alla descrizione della meccanica moderna (capitolo II, Il Pianoforte: meccanica e modalità di produzione del suono), e da un’altra in cui affronto i fondamenti di acustica musicale, al fine di fornire al lettore i mezzi basilari per cimentarsi con la parte scientifica (capitolo III, Cenni di acustica musicale). Il capitolo IV è il resoconto organico e sistematico delle sperimentazioni svolte durante il dottorato presso il laboratorio di Anatomia funzionale dell’apparato locomotore dell’Università di Milano. La presentazione ripercorre necessariamente le tappe della ricerca considerata la novità assoluta dell’oggetto indagato. All’illustrazione dei dati di ogni fase segue sempre la discussione e l’interpretazione dei risultati per garantire la validità dell’esperimento. L’interesse della ricerca è stato condiviso oltre che dal dipartimento di Anatomia, anche dalla casa costruttrice di pianoforti Bechstein che ha costruito una meccanica speciale, e dalla ditta di pianoforti Angelo Fabbrini, che ha messo a disposizione un mezza coda Bechstein per effettuare i rilievi. Il capitolo IV, che rappresenta, dunque, il cuore della presente dissertazione dottorale, dimostra che il pianoforte è uno strumento politimbrico: mettendo in relazione il gesto pianistico, la reazione della meccanica e il suono è risultato che al movimento del martello, ripetibilmente diverso a seconda del tocco pianistico, corrisponde una reazione acustica che varia ripetibilmente in maniera differente a seconda del tocco.

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L'Appenino Emiliano è tra le zone più franose al mondo; i fenomeni che la interessano sono abbastanza lenti e quindi mai catastrofici, ma, vista la loro diffusione, molto dannosi per le infrastrutture. La ricerca della pericolosità associata alle frane si distingue in previsione spaziale e previsione temporale; la prima, detta anche suscettività, è il tema del presente lavoro. La suscettività è volta alla realizzazione di carte di propensione al dissesto, relative e indipendenti dal tempo. Dall'inizio degli anni '90 sono disponibili in letteratura diversi modelli per rispondere a questa esigenza, i quali sono generalmente costituiti da una componente geo-meccanica (di solito il modello del Pendio Infinito) e una idrologica. Il presente lavoro si concentra su quest'ultima che, nei diversi modelli, presenta la maggiore varietà, e cerca di capire quale sia il contributo che questa componente può dare all'analisi di suscettività in un'area argillosa. Per valutare questo contributo, sono stati applicati ad un'area di studio rappresentativa, diversi modelli fisicamente basati noti in letteratura o creati appositamente. Le informazioni dinamiche dei modelli transitori sono state integrate nel tempo secondo diversi metodi che tengono conto della permanenza delle condizioni critiche nel versante. I risultati dell'analisi suggeriscono che, nell'area di studio, e presumibilmente nelle aree a prevalenza argillosa in genere, per la determinazione della suscettività alle frane, il contributo di un modello fisicamente basato, completo di componente geo-meccanica e componente idrologica accoppiate, è assolutamente trascurabile rispetto ad un semplice modello geo-meccanico basato sulla sola pendenza come quello del Pendio Infinito. Le indicazioni provenienti da un modello completo possono essere ridondanti o addirittura fuorvianti se questo non è adatto alle caratteristiche dell'area in studio e ben calibrato.