855 resultados para Isabel, Reina consorte de Felipe IV, Rey de España, 1603-1644


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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Cosa e’ stato fatto e il fine della ricerca in questi tre anni si è esaminato il materiale edito sui sarcofagi del periodo in esame, sui culti funerari, i problemi religiosi ed artistici. Per trovare confronti validi si sono resi necessari alcuni viaggi sia in Italia che all’estero. Lo scopo della ricerca è stato quello di “leggere” i messaggi insiti nelle figurazioni delle casse dei sarcofagi, per comprendere meglio la scelta dei committenti verso determinati temi e la ricezione di questi ultimi da parte del pubblico. La tomba, infatti, è l’ultima traccia che l’uomo lascia di sé ed è quindi importante cercare di determinare l’impatto psicologico del monumento funerario sul proprietario, che spesso lo acquistava quando ancora era in vita, e sui familiari in visita alla tomba durante la celebrazione dei riti per i defunti. Nell’ultimo anno, infine, si è provveduto a scrivere la tesi suddivindendo i capitoli e i pezzi in base all’argomento delle figurazioni (mitologici, di virtù, etc.). I capitoli introduttivi Nel primo capitolo di introduzione si è cercato di dare un affresco per sommi capi del periodo storico in esame da Caracalla a Teodosio e della Chiesa di III e IV secolo, mettendo in luce la profonda crisi che gravava sull’Impero e le varie correnti che frammentavano il cristianesimo. In particolare alcune dispute, come quella riguardante i lapsi, sarà alla base di ipotesi interpretative riguardanti la raffigurazione del rifiuto dei tre giovani Ebrei davanti a Nabuchodonosor. Nel capitolo seguente vengono esaminati i riti funerari e il ruolo dei sarcofagi in tali contesti, evidenziando le diverse situazioni emotive degli osservatori dei pezzi e, quindi, l’importanza dei temi trattati nelle casse. I capitolo Questo capitolo tratta dei sarcofagi mitologici. Dopo una breve introduzione, dove viene spiegata l’entrata in uso dei pezzi in questione, si passa alla discussione dei temi, suddivisi in paragrafi. La prima classe di materiali è qualla con la “caduta di Fetonte” la cui interpretazione sembra chiara: una tragedia familiare. Il compianto sul corpo di un ragazzo morto anzi tempo, al quale partecipa tutto il cosmo. L’afflizione dei familiari è immane e sembra priva di una possibile consolazione. L’unico richiamo a riprendere a vivere è solo quello del dovere (Mercurio che richiama Helios ai propri impegni). La seconda classe è data dalle scene di rapimento divino visto come consolazione e speranza in un aldilà felice, come quelle di Proserpina e Ila. Nella trasposizione della storia di Ila è interessante anche notare il fatto che le ninfe rapitrici del giovane – defunto abbiano le sembianze delle parenti già morte e di un fanciullo, probabilmente la madre, la nonna e un fratello deceduto anzi tempo. La terza classe presenta il tema del distacco e dell’esaltazione delle virtù del defunto nelle vesti dei cacciatori mitici Mealeagro, Ippolito e Adone tutti giovani, forti e coraggiosi. In questi sarcofagi ancor più che negli altri il motivo della giovinezza negata a causa della morte è fondamentale per sottolineare ancora di più la disperazione e il dolore dei genitori rimasti in vita. Nella seguente categoria le virtù del defunto sono ancora il tema dominante, ma in chiave diversa: in questo caso l’eroe è Ercole, intento ad affrontare le sue fatiche. L’interpretazione è la virtù del defunto che lo ha portato a vincere tutte le difficoltà incontrate durante la propria vita, come dimostrerebbe anche l’immagine del semidio rappresentato in età diverse da un’impresa all’altra. Vi è poi la categoria del sonno e della morte, con i miti di Endimione, Arianna e Rea Silvia, analizzato anche sotto un punto di vista psicologico di aiuto per il superamento del dolore per la perdita di un figlio, un marito, o, ancora, della sposa. Accanto ai sarcofagi con immagini di carattere narrativo, vi sono numerosi rilievi con personaggi mitici, che non raccontano una storia, ma si limitano a descrivere situazioni e stati d’animo di felicità. Tali figurazioni si possono dividere in due grandi gruppi: quelle con cortei marini e quelle con il tiaso dionisiaco, facendo dell’amore il tema specifico dei rilievi. Il fatto che quello del tiaso marino abbia avuto così tanta fortuna, forse, per la numerosa letteratura che metteva in relazione l’Aldilà con l’acqua: l’Isola dei Beati oltre l’Oceano, viaggi per mare verso il mondo dei morti. Certo in questo tipo di sarcofagi non vi sono esplicitate queste credenze, ma sembrano più che altro esaltare le gioie della vita. Forse il tutto può essere spiegato con la coesistenza, nei familiari del defunto, della memoria retrospettiva e della proiezione fiduciosa nel futuro. Sostanzialmente era un modo per evocare situazioni gioiose e di godimento sensibile, riferendole ai morti in chiave beneaugurale. Per quanto rigurda il tiaso di Bacco, la sua fortuna è stata dettata dal fatto che il suo culto è sempre stato molto attivo. Bacco era dio della festa, dell’estasi, del vino, era il grande liberatore, partecipe della crescita e della fioritura, il grande forestiero , che faceva saltare gli ordinamenti prestabiliti, i confini della città con la campagna e le convenzioni sociali. Era il dio della follia, al quale le menadi si abbandonavano nella danza rituale, che aggrediva le belve, amante della natura, ma che penetra nella città, sconvolgendola. Del suo seguito facevano parte esseri ibridi, a metà tra l’ordine e la bestialità e animali feroci ammansiti dal vino. I suoi nemici hanno avuto destini orribili di indicibile crudeltà, ma chi si è affidato anima e corpo a lui ha avuto gioia, voluttà, allegria e pienezza di vita. Pur essendo un valente combattente, ha caratteri languidi e a tratti femminei, con forme floride e capelli lunghi, ebbro e inebriante. Col passare del tempo la conquista indiana di alessandro si intrecciò al mito bacchico e, a lungo andare, tutti i caratteri oscuri e minacciosi della divinità scomparirono del tutto. Un esame sistematico dei temi iconografici riconducibili al mito di Bacco non è per nulla facile, in quanto l’oggetto principale delle raffigurazioni è per lo più il tiaso o come corteo festoso, o come gruppi di figure danzanti e musicanti, o, ancora, intento nella vendemmia. Ciò che interessava agli scultori era l’atmosfera gioiosa del tiaso, al punto che anche un episodio importante, come abbiamo visto, del ritrovamento di Arianna si pèerde completamente dentro al corteo, affollatissimo di personaggi. Questo perché, come si è detto anche al riguardo dei corte marini, per creare immagini il più possibile fitte e gravide di possibilità associative. Altro contesto iconografico dionisiaco è quello degli amori con Arianna. Sui sarcofagi l’amore della coppia divina è raffigurato come una forma di stupore e rapimento alla vista dell’altro, un amore fatto di sguardi, come quello del marito sulla tomba della consorte. Un altro tema , che esalta l’amore, è senza ombra di dubbio quello di Achille e Pentesilea, allegoria dell’amore coniugale. Altra classe è qualla con il mito di Enomao, che celebra il coraggio virile e l’attitudine alla vittoria del defunto e, se è presente la scena di matrimonio con Ippodamia, l’amore verso la sposa. Infine vi sono i sarcofagi delle Muse: esaltazione della cultura e della saggezza del morto. II capitolo Accanto ad i grandi ambiti mitologici dei due tiasi del capitolo precedente era la natura a lanciare un messaggio di vita prospera e pacifica. Gli aspetti iconografici diq uesto tema sono due: le stagioni e la vita in un ambiente bucolico. Nonostante la varietà iconografica del soggetto, l’idea di fondo rimane invariata: le stagioni portano ai morti i loro doni affinchè possano goderne tutto l’anno per l’eternità. Per quanto riguarda le immagini bucoliche sono ispirate alla vita dei pastori di ovini, ma ovviamente non a quella reale: i committenti di tali sarcofagi non avevano mai vissuto con i pastori, né pensavano di farlo i loro parenti. Le immagini realistiche di contadini, pastori, pescatori, tutte figure di infimo livello sociale, avevano assunto tratti idilliaci sotto l’influsso della poesia ellenistica. Tutte queste visioni di felicità mancano di riferimenti concreti sia temporali che geografici. Qui non vi sono protagonisti e situazioni dialogiche con l’osservatore esterno, attraverso la ritrattistica. I defunti se appaiono sono all’interno di un tondo al centro della cassa. Nei contesti bucolici, che andranno via, via, prendendo sempre più piede nel III secolo, come in quelli filosofici, spariscono del tutto le scene di lutto e di cordoglio. Le immagini dovevano essere un invito a godersi la vita, ma dovevano anche dire qualcosa del defunto. In una visione retrospettiva, forse, si potrebbero intendere come una dichiarazione che il morto, in vita, non si era fatto mancare nulla. Nel caso opposto, poteve invece essere un augurio ad un’esistenza felice nell’aldilà. III capitolo Qui vengono trattati i sarcofagi con l’esaltazione e l’autorappresentazione del defunto e delle sue virtù in contesti demitizzati. Tra i valori ricorrenti, esaltati nei sarcofagi vi è l’amore coniugale espresso dal tema della dextrarum iunctio, simbolo del matrimonio, la cultura, il potere, la saggezza, il coraggio, esplicitato dalle cacce ad animali feroci, il valore guerriero e la giustizia, dati soprattutto dalle scene di battaglia e di giudizio sui vinti. IV capitolo In questo capitolo si è provato a dare una nuova chiave di lettura ai sarcofagi imperiali di S. Elena e di Costantina. Nel primo caso si tratterebbe della vittoria eterna sul male, mentre nel secondo era un augurio di vita felice nell’aldilà in comunione con Dio e la resurrezione nel giorno del giudizio. V capitolo Il capitolo tratta le mediae voces, quei pezzi che non trovano una facile collocazione in ambito religioso poiché presentano temi neutri o ambivalenti, come quelli del buon pastore, di Prometeo, dell’orante. VI capitolo Qui trovano spazio i sarcofagi cristiani, dove sono scolpite varie scene tratte dalle Sacre Scritture. Anche in questo caso si andati al di là della semplice analisi stilistica per cercare di leggere il messaggio contenuto dalle sculture. Si sono scoperte preghiere, speranze e polemiche con le correnti cristiane considerate eretiche o “traditrici” della vera fede, contro la tradizionale interpretazione che voleva le figurazioni essenzialmente didascaliche. VII capitolo Qui vengono esposte le conclusioni da un punto di vista sociologico e psicologico.

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Las tensiones políticas que signaron el reinado de Sancho IV (1284-1295) llegan a un punto de inflexión en la entrevista que en 1288 se lleva a cabo en Alfaro, en la cual resulta asesinado el principal enemigo del rey, el conde Lope Díaz de Haro. El episodio se recoge tanto en la Crónica de tres reyes como en la sección conocida como *Historia hasta 1288 dialogada, transmitida en la Estoria del fecho de los godos . La orientación que al hecho se le asigna en ambas versiones es diversa ?entre otras cosas? en el grado de responsabilidad que se le asigna al rey en la decisión de matar al conde. La Crónica de tres reyes tiende a mitigar la injerencia del monarca en los hechos al punto de organizar una serie de situaciones previas que generan las condiciones necesarias para que el asesinato se presente como un hecho inevitable que excede el radio de acción de Sancho.

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Las tensiones políticas que signaron el reinado de Sancho IV (1284-1295) llegan a un punto de inflexión en la entrevista que en 1288 se lleva a cabo en Alfaro, en la cual resulta asesinado el principal enemigo del rey, el conde Lope Díaz de Haro. El episodio se recoge tanto en la Crónica de tres reyes como en la sección conocida como *Historia hasta 1288 dialogada, transmitida en la Estoria del fecho de los godos . La orientación que al hecho se le asigna en ambas versiones es diversa ?entre otras cosas? en el grado de responsabilidad que se le asigna al rey en la decisión de matar al conde. La Crónica de tres reyes tiende a mitigar la injerencia del monarca en los hechos al punto de organizar una serie de situaciones previas que generan las condiciones necesarias para que el asesinato se presente como un hecho inevitable que excede el radio de acción de Sancho.

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Las tensiones políticas que signaron el reinado de Sancho IV (1284-1295) llegan a un punto de inflexión en la entrevista que en 1288 se lleva a cabo en Alfaro, en la cual resulta asesinado el principal enemigo del rey, el conde Lope Díaz de Haro. El episodio se recoge tanto en la Crónica de tres reyes como en la sección conocida como *Historia hasta 1288 dialogada, transmitida en la Estoria del fecho de los godos . La orientación que al hecho se le asigna en ambas versiones es diversa ?entre otras cosas? en el grado de responsabilidad que se le asigna al rey en la decisión de matar al conde. La Crónica de tres reyes tiende a mitigar la injerencia del monarca en los hechos al punto de organizar una serie de situaciones previas que generan las condiciones necesarias para que el asesinato se presente como un hecho inevitable que excede el radio de acción de Sancho.

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Alcance y contenido: Copia ms. con la relación sumaria de la Comisión/nes encargadas a D. Adrián Bayarte, caballero aragonés, nombrado Comisario General en Valencia por el rey Felipe III, para que en dicho reino tasase y vendiese "las haziendas que los moriscos dexaron en las ciudades y villas reales", pagando todas las deudas y censales justificados sobre dichos bienes. El número de comisiones encargadas por el rey a Adrián Bayarte ascendieron a 4, realizadas entre 1614 y 1617. Al final del texto aparece "Vto. Dr. Ambrosio Alos"

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Contiene: Generaciones y semblanzas de los señores reyes don Enrique III y don Juan II ...

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Si bien se han ido realizando análisis sistemáticos desde el punto de vista arquitectónico de los diferentes jardines nacionales europeos, el jardín clásico español, a pesar del importante incremento de bibliografía operado en la última década, no ha sido todavía estudiado desde los criterios compositivos y espaciales propios de la disciplina arquitectónica. Responde el jardín clásico español a una organización perspectiva que proviene de las construcciones espaciales originadas y desarrolladas en Italia durante los siglos XV y XVI; establece, además, una importante conexión con la arquitectura de jardines contemporánea, es decir, las grandes corrientes europeas –desde el jardín renacentista italiano al barroco francés-, que asume, interpreta e incluso supera en cuanto a organización unitaria e integración con su entorno en varios ejemplos señeros. Pero esta imbricación europea se ve puntualizada por una influencia primordial: el concepto islámico del espacio arquitectónico, caracterizado por la fragmentación y la pérdida de la axialidad, que en España se extiende de forma generalizada. Fusionada con los principios perspectivos provenientes de Italia, esta concepción espacial proporciona a los jardines –y demás edificios- una gran riqueza espacial que, poco analizada y mal comprendida, se ha considerado habitualmente como falta de pericia compositiva. Este hecho ha negado a los jardines españoles originalidad alguna –otorgada, en cambio, a los hispanomusulmanes- y una clasificación periférica en la historia de la disciplina. El jardín clásico español presenta tres etapas principales: una primera, durante los siglos XVI y XVII, que se podría denominar renacentista; una segunda, en la primera mitad del siglo XVIII, de ascendencia barroca francesa, y, por último, en la segunda mitad del Ochocientos, el jardín neoclásico, que en buena medida retoma la organización formal de la primera etapa renacentista. Las tres influencias preponderantes en el jardín renacentista español son la hispanomusulmana, procedente de la ocupación islámica en España desde el siglo VIII hasta el XV, cuya estela se mantiene durante todo el desarrollo del jardín clásico; una flamenca, de menor calado y cuyo origen está en los contactos políticos de la corona española con Flandes, y, por último, la italiana, de donde procederá la espacialidad perspectiva propia del Renacimiento, extendida por toda Europa y conocida en España asimismo por vínculos políticos y culturales. El jardín hispanomusulmán va a proporcionar los rasgos distintivos de la jardinería española posterior, derivados de la necesaria adaptación compositiva a un medio físico poco idóneo para la implantación de jardines. Esta cuestión se soluciona tradicionalmente de forma perfecta con el patio y el apoyo de una serie de elementos arquitectónicos de carácter ligero articulados aleatoriamente con la vivienda para organizar su entorno, operación que produce un organismo superior asimétrico y estructurado a partir de pequeños fragmentos ordenados por ejes quebrados, cuyo crecimiento no presupone un cambio en las cualidades espaciales del jardín. Esta ordenación quebrada y la fragmentación espacial tienden a embarazar la unidad perspectiva renacentista, de tal forma que el jardín español no presenta grandes ejes visuales ni espacios fugados, sino pequeñas piezas independientes –adaptadas mejor a la corrección climática y al riego- que se agregan sin intención de regularidad o simetría, pues buscan la ambigüedad espacial mediante la ofuscación de la percepción y orientación en el jardín, como sucedía en las obras hispanomusulmanas. El jardín renacentista español tendrá una doble vertiente dependiendo del medio físico donde se asiente: si este es poco propicio a la implantación de jardines, se recuperará la ordenación espacial medieval musulmana como respuesta compositiva a dicho entorno remiso, pues los ensayos de jardines basados en elementos arquitectónicos, ante la dificultad de estructurar el espacio del jardín en España con las componentes naturales –topografía, vegetación y agua-, se realizaron con éxito y se reutilizaron en siglos posteriores, e incluso alcanzan el momento actual; contemporáneamente, en territorios propicios a la creación de jardines –generalmente, riberas de ríos-, se podrá desarrollar el espacio perspectivo unitario italiano, que producirá ejemplos de gran calidad. Así, Felipe II creará de forma simultánea jardines muy diferentes según su ubicación. Entre los de carácter más medieval destacan los del Alcázar de Madrid y Valsaín –con el antecedente de Yuste, promovido por Carlos V-, y de los plenamente renacentistas, la Casa de Campo, El Escorial y Aranjuez, éstos últimos de Juan Bautista de Toledo. Los dos primeros se organizan con varios recintos independientes articulados por ejes quebrados y ordenados a partir de elementos ligeros –galerías, torreones, miradores- que se proyectan hacia el exterior para dar forma al entorno inmediato del palacio. Los últimos, en cambio, utilizan las posibilidades del medio natural para estructurar los jardines, y establecen magníficos ejes de raigambre renacentista, origen de espacios perspectivos unitarios de gran interés, dado su tamaño y temprana fecha de creación. Así, en la Casa de Campo la villa se articula con un jardín llano cuya unidad espacial no tiene parangón en la Italia del momento; en Aranjuez, el Jardín de la Isla, independiente en su trazado del palacio que lo propicia, presenta una superposición de dos ejes con gradientes en sentido contrario, y una ordenación a escala territorial, las Huertas de Picotajo, con una malla focalizada de doble simetría adaptada a un difícil meandro del río Jarama y con capacidad de extensión ilimitada en la vega de Aranjuez, que es contemporánea pero mucho más evolucionada que los primeros tridentes creados en Italia y anterior en un siglo a las formalizaciones de Versalles. Frente a estas realizaciones reales, en España los jardines nobiliarios responden a una clara influencia medieval, como los del duque de Alcalá en Bornos, el marqués de Mondéjar, Bellaflor en Sevilla, la Casa del Rey en Arganda o el cigarral de Buenavista en Toledo. Pero en paralelo con éstos y promovidos por nobles conectados con Italia, se están implantando jardines de hispanomusulmana-, en fechas incluso anteriores a los construidos por la corona. Así, el marqués de Villena construye en Cadalso de los Vidrios un jardín con una tempranísima ordenación en terrazas que se integra con su entorno; el duque de Alba en Abadía realiza la misma operación con mayor desarrollo espacial; y en Béjar por el duque de esta ciudad salmantina se establece otro jardín de clara espacialidad italiana, pero con la casa fuera de la ordenación. El siglo XVII supone, en los escasos ejemplos construidos, la prolongación de la espacialidad renacentista introducida por Juan Bautista de Toledo. Hay una clara continuidad en los jardines aterrazados, como La Zarzuela y La Florida, mientras en el ejemplo llano principal, el Buen Retiro, se atiende más a la fragmentación hispana y a una adaptación de los sistemas de extensión al aumento de escala. Así había sucedido en Italia, donde los jardines de malla ortogonal se convirtieron en grandes parques focalizados, con avenidas arboladas y remates perspectivos, elementos que se repiten en el jardín madrileño, aunque sin la unidad conseguida en los precedentes mediante la focalización. El siglo XVIII va a conocer la nueva dinastía de los Borbones y el jardín barroco francés, que supondrá un cambio radical en la concepción espacial del jardín, aunque la influencia hispana no dejará de producirse. El tamaño de estos jardines, su coste de implantación y mantenimiento y la falta de adaptación al medio físico español serán los factores principales del escaso desarrollo que el jardín de Le Nôtre alcanzó en España. A pesar de los proyectos realizados - algunos de gran calidad, como los de Robert de Cotte para el Buen Retiro, los del Palacio Real Nuevo, el de Riofrío y el del castillo de Villaviciosa de Odón-, sólo se van a construir escasos parterres de los denominados urbanos. Entre ellos hay que destacar los del Buen Retiro, Aranjuez y palacios de Liria, Buenavista y Altamira en Madrid, Piedrahita para los duques de Alba, el convento de Santa Bárbara, Migas Calientes –algunos de éstos quedaron en proyecto-, a los que se añade un gran jardín con todos los componentes, que es San Ildefonso de La Granja. En La Granja se puede encontrar un parque completo a la francesa, que responde en mayor medida a los principios establecidos en el tratado de Dezallier d'Argenville que a la influencia directa de las obras de Le Nôtre. Pero la ordenación canónica de jardín barroco francés se particulariza mediante los dispositivos proyectuales de origen hispano, pues se desjerarquizan los ejes principales impidiendo su continuidad, que queda truncada por desarrollos paralelos, interrupciones perspectivas y ejes quebrados. En la segunda mitad del siglo XVIII, los propios monarcas Borbones recuperarán los jardines regulares de los Austrias, cuyos tipos llano y aterrazado tuvieron un importante desarrollo con Felipe II y Juan Bautista de Toledo y gozaban de un merecido prestigio. Ya con Fernando VI se introdujeron ordenaciones de inspiración renacentista, como en el Jardín del Príncipe de Aranjuez; pero será con su hermano Carlos III cuando se revisen las actuaciones filipinas. Juan de Villanueva fue el autor de los principales jardines del momento -entre ellos, las Casitas realizadas para el príncipe de Asturias, el futuro Carlos IV y su hermano el infante Don Gabriel- aunque Ventura Rodríguez realizó en esos años un magnífico epílogo del jardín aterrazado en España: el palacio para el infante Don Luis en Boadilla del Monte, así como proyectos para el parque del Palacio Real Nuevo. En las Casitas de El Escorial –en menor medida en El Pardo-, Villanueva recoge una larga tradición de jardines aterrazados que, además, inserta magistralmente en su entorno, dentro de la secular tradición española de adaptación al medio físico. Lejos de presentar una lectura canónica, aunque utilizando todos los recursos del tipo, el arquitecto consigue la ambigüedad espacial hispana mediante la superposición en el eje longitudinal de dos gradaciones de dirección contraria, accesos quebrados e interrupción de las visuales y el viario, sin prescindir de una ordenación clásica. También de Villanueva son el proyecto definitivo del Jardín Botánico, de gran claridad compositiva y orden científico, y, para el Palacio Real Nuevo y su entorno, el jardín previo a las Reales Caballerizas y una remodelación de la Casa de Campo y su acceso.

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Contiene además: Al ... señor Don José Martínez de San Martín ... : Himno

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Texto a dos col.