980 resultados para Giller, Agaton, 1831-1887.


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British Imperial policy in Southern Africa in the last three decades of the nineteenth century oscillated between two extremes. It began in the early 1870's with Lord Kimberley's attempt to effect confederation as a means of devolving Imperial responsibility and expenditure. It ended in 1899 with Britain's active intervention against the Boers. For most of the remaining years of those decades a middle course was adopted while the British Government struggled to reconcile its diverse political interests. Strategy, supremacy, economy, humanitarianism, and recognition of colonial aspirations were all at one time or another, in varying degrees, motivating forces behind Imperial policy. Many historians have pointed out how incompatible many of these ends were and how the attempt to pursue them all at once almost inevitably ended in at least one of them being sacrificed on the way. This study focusses on a relatively minor problem over a period of about seven years. It attempts to show how the British Government tried to reconcile, in this case, the predominant motives of economy and supremacy. The problem of the Disputed Territory now seems like a small fish in a big ocean because non the great hopes and fears that it raised were ever realized. But the anticlimactic nature of the outcome of events should not be allowed to conceal two important points: first, that the problem loomed large at the time in the eyes of the Imperial Government; and second, that in the case of its policy towards the Disputed Territory, the Government gained a greater degree of success in trying to reconcile seemingly incompatible ends than it did in many other instances.

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The Journal has been Queen's main student newspaper since it was founded in 1873. It appears twice a week on campus with a mix of news, sports, and entertainment stories, editorials, letters to the editor, and photographs. The paper is students' most important source of news and general information and has been a training ground for scores of Canadian journalists.

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The Journal has been Queen's main student newspaper since it was founded in 1873. It appears twice a week on campus with a mix of news, sports, and entertainment stories, editorials, letters to the editor, and photographs. The paper is students' most important source of news and general information and has been a training ground for scores of Canadian journalists.

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This article deals with the encounters between a traditional Korean rural and island population and western military forces when the British navy occupied Geomundo, an archipelago known to them as Port Hamilton, for 22 months between 1885 and 1887. The paper first outlines the sometimes painful process of East Asian countries being opened up to trade and outside influences in the 19th century, a process sometimes urged upon them by naval weapons in this era of gunboat diplomacy. This provides the setting for the Port Hamilton Affair itself when in preparation for possible war with Russia, a British naval squadron steamed into Port Hamilton and took it without reference to the local people or their national government. After brief reference to the political consequences of this action, the focus is then on what the records from the occupation and earlier investigations by the British, who had long coveted the islands’ strategic harbour, reveal about the life of the islanders. The article considers both their traditional life, from a time rather before western travel accounts were written about the Korean mainland, and how the islanders fared under the British.

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Il contenuto di questo volume non vuole rappresentare un testo didattico per lo studio in generale della vulcanologia in quanto in esso si tratta unicamente quell’a-spetto della disciplina che riguarda il vulcanismo esplosivo. In tal senso l’autore ritiene che questo testo possa essere utile per gli studenti di Scienze Geologiche che, vivendo nelle aree vulcaniche italiane di età quaternaria ed anche attive, possano, da laureati, svolgere attività professionali mirate alla individuazione e definizione di Pericolosità, Vulnerabilità e Rischio Vulcanico. Trattare gli argomenti che seguono non è stato facile e forse si poteva, in alcuni casi, renderli più semplici, ma talvolta la semplicità non sempre è sinonimo di precisione; inoltre, per descrivere certi aspetti non quantitativi si è costretti ad utilizzare un linguaggio quanto più possibile “ad hoc”. L’autore ha svolto la propria attività di ricerca in aree vulcaniche, sia in Italia che all’estero. Le ricerche in Italia sono state da sempre concentrate nelle aree di vulcanismo attivo in cui l’attività del vulcanologo è finalizzata fondamentalmente alla definizione della Pericolosità Vulcanica supporto indispensabile per la definizione dell’aree a Rischio Vulcanico, intendendo per Rischio il prodotto della Pericolosità per il Danno in termini, questo, di numero di vite umane ovvero di valore monetario dei beni a rischio nell’area vulcanica attiva. Le ricerche svolte dall’autore in Africa Orientale (Etiopia e Somalia) e nello Yemen hanno contribuito ad assimilare i concetti di vulcanologia regionale, rappresentata dall’ampia diffusione del vulcanismo di plateau, variabile per spessore dai 1500 ai 3000 metri, fra i quali si inseriscono, nella depressione dell’Afar, catene vulcaniche inquadrabili, dal punto di vista geodinamico, come “oceaniche” alcune delle quali attive e che si sviluppano per decine/centinaia di chilometri. Nelle aree vulcaniche italiane le difficoltà che sorgono durante il rilevamento risiedono nella scarsa continuità di affioramenti, talvolta incompleti per la descrizione delle variazioni di facies piroclastiche, non disgiunta dalla fitta vegetazione ovvero ur banizzazione specialmente nelle aree di vulcanismo attivo. Il rilevamento vulcanologico richiede competenze e l’adozione di scale adatte a poter cartografare le variazioni di facies piroclastiche che, a differenza dalle assise sedimentarie, in un’area vulcanica possono essere diffuse arealmente soltanto per alcune centinaia di metri. I metodi di studio delle rocce piroclastiche sono del tutto simili a quelli che si usano per le rocce clastiche, cioè dall’analisi delle strutture e delle tessiture alla litologica fino a quella meccanica; su questi clasti inoltre le determinazioni della densità, della mineralogia e della geochimica (Elementi in tracce e Terre Rare), ottenute sulla frazione vetrosa, rappresentano parametri talvolta identificativi di un’area vulcanica sorgente. Non esistono testi nei quali venga descritto come si debba operare nelle aree vulcaniche per le quali l’unica certezza unificante è rappresentata dall’evidenza che, nelle sequenze stratigrafiche, il termine al top rappresenta quello più relativamente recente mentre quello alla base indica il termine relativo più vecchio. Quanto viene riportato in questo testo nasce dall’esperienza che è stata acquisita nel tempo attraverso una costante azione di rilevamento che rappresenta l’uni- ca sorgente di informazione che un vulcanologo deve ricavare attraverso un attento esame dei depositi vulcanici (dalla litologia alla mineralogia, alla tessitura, etc.) la cui distribuzione, talvolta, può assumere un carattere interegionale in Italia nell’ambito dell’Olocene. Soltanto l’esperienza acquisita con il rilevamento produce, in un’area di vulcanismo attivo, risultati positivi per la definizione della Pericolosità, sapendo però che le aree vulcaniche italiane presentano caratteristiche ampiamente differenti e di conseguenza il modo di operare non può essere sempre lo stesso. Un esempio? Immaginate di eseguire un rilevamento vulcanico prima al Somma-Vesuvio e poi nei Campi Flegrei: sono mondi completamente differenti. L’autore desidera ribadire che questo testo si basa sulla esperienza acquisita sia come geologo sia come docente di Vulcanologia; pertanto il libro potrà forse risultare più o meno bilanciato, in forza dell’argomento trattato, in quanto durante l’attività di ricerca l’autore, come tutti, ha affrontato alcuni argomenti più di altri. Questo approccio può essere considerato valido per chiunque voglia scrivere un libro in maniera autonoma e originale, non limitandosi, come molte volte avviene, a tradurre in italiano un libro su tematiche analoghe diffuso, ad esempio, nel mondo anglosassone.Diversamente, si sarebbe potuto concepire un libro come un collage di capitoli scritti da vari autori, che magari avevano esperienza più specifica nei singoli argomenti, ma in tal senso si sarebbe snaturato lo spirito con cui si è impostato il progetto. L’autore, infine, ha fatto ricorso al contributo di altri autorevoli colleghi solo per temi importantissimi, ma in qualche modo complementari rispetto al corpus costitutivo del Vulcanismo Esplosivo.

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Anais do Parlamento Brasileiro, 1831.

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Anais do Parlamento Brasileiro, 1831.

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Neogobius caspius is a small benthic fish that is native to the Caspian Sea. The importance of this fish is because of it is role as a main food resource of the sturgeon fish. The genetic diversity of N. caspius population in the Caspian Sea was studied using PCR- RFLP technique. A total of 135 samples of N. caspius were collected from coastal line in the north Caspian sea, including specimens from coasts of Anzali , Torkman Port and Chalus. Genomic DNA was extracted by phenol-chloroform method and then was amplified using a pair primer of cytochrom b gene, 2 tRNA gene and the control region sequences by a thermal cycler. D2 (5'-CCGGAGTATGTAGGGCATTCTCAC-3'), CY1 (5'-YYTAACCRRGACYAATGACTTGA-3') 12 restriction enzyme were used to digest the target gene region including: Alul HincII —Tas1 —Rsa1 -MboI -DraI -BSeNI(BSRI) Alw261(BsmAI). Bsul 51 Hin11 Bsh12851- BsuRI(HaeIII) digested PCR products were observed by silver staining method followed by Polyacrylamide gel electrophoresis (PAGE). The results were shown the same pattern among the species. There was no polymorphism and no differentiation in population in the Neogobius caspius fish and all individuals have shown homogenous genotype.

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Electric rays, thought to be the most primitive of the skates and rays, have stout tails but have rather expansive disc. This group is distinguished by the presence of powerful electric organs, derived from branchial muscles in head region. Torpedo sinuspersici found inshore in sandy bottoms, and well offshore from the surf zone down to 200 m. Also on or near coral reefs (like Kish Island in Persian Gulf). Common in shallow sandy areas. Occasionally hooked by anglers, more often seen by divers; can deliver a strong shock. Flesh is edible. T. sinuspersici can survive for hours after being stranded on the beach. Little is known of the life history of the Gulf torpedo. It is a sluggish predator of bony fishes. At night it actively hunts for food, sculling slowly through the water about a meter above the bottom; during the day it usually rests on the bottom and opportunistically ambushes unwary prey. It uses its broad pectoral fins to envelop the target fish before delivering an electric shock to stun it. Usually solitary, they may form groups during the mating season. Reproduction is a placental viviparous, with the developing embryos initially surviving on their yolk sacs, and then on enriched uterine fluid produced by the mother. Litters of 9-22 young are birthed in the summer. Newborns measure about 10 cm wide; males mature at a disc width of 39 cm and females at 45 cm.

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Pempheris vanicolensis has reported for the first time from Persian Gulf (Kish Island). Various aspects of the biology of P. vanicolensis Cuvier & Valenciennes, a recent Lessepsian (Suez Canal) immigrant into the Mediterranean, are given. Red Sea and Mediterranean populations were compared, and the results indicate that the spawning season is shortened in the Mediterranean, continuing from April to September, as opposed to year-round in the Red Sea. Descriptions of a ripe ovary and post-larva from the Mediterranean are given. Individuals reach a mean size of 10.8 cm in their first year, and 14.4 cm in the second year. Little change has occurred in the diet of the immigrant population, and both populations feed nocturnally, chiefly on larval and adult stages of planktonic crustaceans. Direct underwater observations on the diurnal behavior of the species show that the fish leave their daytime cave shelter at sunset, congregate at a nearby site and then migrate inshore and disperse into small groups to feed. Before dawn, they reassemble at the cave's entrance, and finally enter it at sunrise, after the school has built up. Observations on Persian Gulf sweepers show that the fish are segregated into size groups, ranging 15–18 cm adults at depths of 3 m.

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Estudos baseados nas características testiculares estão altamente relacionados com a eficiência reprodutiva de varias espécies. Assim, o projeto desenvolvido teve como objetivo identificar as células do epitélio seminífero, caracterizar histologicamente suas associações, que formam os estádios, e determinar a frequência destes. Os fragmentos de testículos, com 30, 45, 60, 75, 90, 105, 120, 150 dias foram coletados no Centro de Multiplicação da Universidade Federal Rural do Semi-Árido (UFERSA), Mossoró/ RN. Passando pelos processos de fixação, lavagens em soluções de concentrações crescentes de álcoois (70-100%), desidratação em xilol, inclusão em Histosec®, preparação das lâminas histológicas, colorações em Hematoxilina e Eosina (HE) e suas fotomicrografias para a caracterização dos núcleos celulares do epitélio germinativo e a definição dos oitos estágios do ciclo do epitélio seminífero (CES) baseados no Método da Morfologia Tubular. Das faixas etárias analisadas todos os animais de 90-150 dias de idade apresentaram todos os estádios do CES. Os estádios I e III foram os que apresentaram maior e menor freqüência, respectivamente. Os animais caracterizados como pré-púberes (30 dias), púberes (45-90 dias de idade) e pós-púberes (105150 dias de idade) apresentaram os estádios I, VIII e IV com uma maior freqüência, respectivamente.

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Anais do Parlamento Brasileiro, 1887.

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