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Resumo:
L’osteosarcoma (OS) è il tumore primitivo dell’osso più comune in età pediatrica e adolescenziale. L’OS è stato recentemente riconsiderato come una patologia da de-differenziamento, legata all’interruzione del processo cui vanno incontro i precursori osteoblastici, quali le cellule staminali mesenchimali (MSCs), per trasformarsi in osteoblasti maturi. Il sistema IGF è coinvolto nella regolazione della proliferazione e del differenziamento di cellule di OS. IRS-1 è un mediatore critico di tale via di segnalazione e il suo livello di espressione modula il differenziamento di cellule ematopoietiche. Lo scopo di questa tesi è stato quello di definire il ruolo di IRS-1 nel differenziamento osteoblastico di MSCs e cellule di OS. Il potenziale differenziativo di cellule di OS umano e murino e di MSCs derivate da midollo osseo è stato valutato tramite Alizarin Red staining e Real Time-PCR. Dai dati ottenuti è emerso come i livelli di espressione di IRS-1 diminuiscano durante il differenziamento osteoblastico. Conseguentemente, i livelli di espressione di IRS-1 sono stati manipolati utilizzando shRNA per down-regolare l’espressione della proteina o un plasmide per sovra-esprimerla. Sia la down-regolazione sia la sovra-espressione di IRS-1 hanno inibito il differenziamento osteoblastico delle linee cellulari considerate. Allo scopo di valutare il contributo di IRS-1 nella via di segnalazione di IGF-1R è stato utilizzato l’inibitore di tale recettore, αIR-3. Anche in questo caso è stata osservata una riduzione della capacità differenziativa. L’inibitore del proteasoma MG-132 ha portato ad un aumento dei livelli di IRS-1, portando nuovamente all’inibizione del differenziamento osteoblastico e suggerendo che l’ubiquitinazione di questa proteina potrebbe avere un ruolo importante nel mantenimento di appropriati livelli di espressione di IRS-1. I risultati ottenuti indicano la criticità dei livelli di espressione di IRS-1 nella determinazione della capacità differenziativa sia di cellule di OS umano e murino, sia delle MSCs.
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Der Transplantat-gegen-Leukämie (GVL) Effekt als immuntherapeutisches Mittel bei der allogenen hämatopoetischen Stammzell Transplantation (HSZT) ist hauptsächlich durch Spender Lymphozyten vermittelt, welche hämatopoetische Minor-Histokompatibilitäts Antigene bzw. Leukämie-assoziierte Antigene (z. B.: PRAME, p53) erkennen. Der adoptive Transfer von Leukämie-spezifischen T-Zellen kann den GVL-Effekt, ohne ein Auftreten einer Transplantat-gegen-Wirt Erkrankung (GVHD), steigern. Unter Verwendung von HLA-A2 und human CD8 transgenen Mäusen (CD8yCyA2Kb) konnten in dieser Arbeit PRAME spezifische CD8+ zytotoxischen T-Zellen generiert werden. Diese zytotoxischen CD8+ T-Zellen zeigten in Chromfreisetzungsuntersuchungen lytische Aktivität gegen eine Vielzahl von Zelllinien, die PRAME endogen prozessieren sowie gegen das spezifische PRAME-Peptid. Des Weiteren wurden die hier generierten T-Zellen auf ihre zytotoxische Aktivität gegen akute myeloische Leukämie Blasten hin untersucht, und diese Untersuchungen zeigten AML-Reaktivität der PRAME-spezifischen sowie der als Vergleich genutzten p53- und HLA-A2-spezifischen T-Zellen. Das Potenzial der PRAME-spezifischen ZTL die GVL-Immunität in vivo zu erhöhen ohne das Vorkommen einer GVHD wurde in einem Tumor-Protektions-Model unter der Nutzung von NOD/SCIDgcnull Mäusen untersucht. Die PRA100- bzw. p53-ZTL wurden adoptiv in NOD/SCIDgcnull Rezipienten transferiert und gleichzeitig wurden die Tiere mit PRAME-, oder p53-exprimierende Tumorzelllinien inokuliert. Die Reduktion des Tumorwachstums bestätigte die Spezifität der T-Zellen auch in vivo. In weiteren in vivo Experimenten wurden NOD/SCIDgcnull Mäuse mit AML-Blasten rekonstituiert. Durch die Applikation von nur CD34 positiven Zellen aus einer AML-Probe, oder einer CD56 depletierten Probe, konnten Rekonstitutionen in 95 % aller Versuche erfolgreich beendet werden. Wurde eine Rekonstitution mittels PCR- und FACS-Analysen diagnostiziert, so folgten mehrere Applikationen der PRAME- oder p53-spezifischen ZTL. In diesen Untersuchungen konnten wir in einem therapeutischen AML-in vivo-Modell zeigen, dass die in diesen Untersuchungen generierten/verwandten ZTL in der Lage sind AML-Blasten in vivo zu bekämpfen und so die leukämische Last der Tiere im Blut sowie in der Milz auf unter 1 % zu regulieren. Der prozentuale Anteil humaner AML Zellen im Knochenmark konnte deutlich gesenkt werden (< 10 %). Zusammenfassend sind die von uns generierten PRAME-spezifischen T-Zellen in der Lage, in vitro und auch in vivo, endogen prozessiertes Protein auf Zelllinien und AML-Blasten zu erkennen und zu lysieren. Auch die p53-ZTL, welche als eine weitere Antigen-spezifische ZTL-Population in vivo getestet wurden, zeigten GVL-Effekte. Die Kenntnis von Tumor- bzw. Leukämie assoziierten Antigenen und die daraus erwachsene Möglichkeit der Generierung krankheitsspezifischer ZTL bietet die Grundlage für eine spezifische Immuntherapie maligner Erkrankungen.
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Con il termine IPC (precondizionamento ischemico) si indica un fenomeno per il quale, esponendo il cuore a brevi cicli di ischemie subletali prima di un danno ischemico prolungato, si conferisce una profonda resistenza all’infarto, una delle principali cause di invalidità e mortalità a livello mondiale. Studi recenti hanno suggerito che l’IPC sia in grado di migliorare la sopravvivenza, la mobilizzazione e l’integrazione di cellule staminali in aree ischemiche e che possa fornire una nuova strategia per potenziare l’efficacia della terapia cellulare cardiaca, un’area della ricerca in continuo sviluppo. L’IPC è difficilmente trasferibile nella pratica clinica ma, da anni, è ben documentato che gli oppioidi e i loro recettori hanno un ruolo cardioprotettivo e che attivano le vie di segnale coinvolte nell’IPC: sono quindi candidati ideali per una possibile terapia farmacologica alternativa all’IPC. Il trattamento di cardiomiociti con gli agonisti dei recettori oppioidi Dinorfina B, DADLE e Met-Encefalina potrebbe proteggere, quindi, le cellule dall’apoptosi causata da un ambiente ischemico ma potrebbe anche indurle a produrre fattori che richiamino elementi staminali. Per testare quest’ipotesi è stato messo a punto un modello di “microambiente ischemico” in vitro sui cardiomioblasti di ratto H9c2 ed è stato dimostrato che precondizionando le cellule in modo “continuativo” (ventiquattro ore di precondizionamento con oppioidi e successivamente ventiquattro ore di induzione del danno, continuando a somministrare i peptidi oppioidi) con Dinorfina B e DADLE si verifica una protezione diretta dall’apoptosi. Successivamente, saggi di migrazione e adesione hanno mostrato che DADLE agisce sulle H9c2 “ischemiche” spronandole a creare un microambiente capace di attirare cellule staminali mesenchimali umane (FMhMSC) e di potenziare le capacità adesive delle FMhMSC. I dati ottenuti suggeriscono, inoltre, che la capacità del microambiente ischemico trattato con DADLE di attirare le cellule staminali possa essere imputabile alla maggiore espressione di chemochine da parte delle H9c2.
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The t(8;21) (q22;q22) translocation fusing the ETO (also known as MTG8) gene on human chromosome 8 with the AML1 (also called Runx1 or CBFα) gene on chromosome 21 is one of the most common genetic aberrations found in acute myeloid leukemia (AML). This chromosomal translocation occurs in 12 % of de novo AML cases and in up to 40 % of the AML-M2 subtype of the French-American-British classification. To date, the in vivo function of aberrant AML1-ETO fusion protein expression has been investigated by several groups. However, in these studies, controversial results were reported and some key issues remain unknown. Importantly, the consequences of aberrant AML1-ETO expression for self-renewing hematopoietic stem cells (HSCs), multipotent hematopoietic progenitors (MPPs) and lineage-restricted precursors are not known. rn The aim of this thesis was to develop a novel experimental AML1-ETO in vivo model that (i) overcomes the current lack of insight into the pre-leukemic condition of t(8;21)-associated AML, (ii) clarifies the in vivo consequences of AML1-ETO for HSCs, MPPs, progenitors and more mature blood cells and (iii) generates an improved mouse model suitable for mirroring the human condition. For this purpose, a conditional tet on/off mouse model expressing the AML1-ETO fusion protein from the ROSA26 (R26) locus was generated. rn Aberrant AML1-ETO activation in compound ROSA26/tetOAML1-ETO (R26/AE) mice caused high rates of mortality, an overall disruption of hematopoietic organs and a profound alteration of hematopoiesis. However, since the generalized activity of the R26 locus did not recapitulate the leukemic condition found in human patients, it was important to restrict AML1-ETO expression to blood cell lineages. Therefore, bone marrow cells from non-induced R26/AE mice were adoptively transplanted into sublethal irradiated RAG2-/- recipient mice. First signs of phenotypical differences between AML1-ETO-expressing and control mice were observed after eight to nine months of transgene induction. AML1-ETO-expressing mice showed profound changes in hematopoietic organs accompanied by manifest extramedullary hematopoiesis. In addition, a block in early erythropoiesis, B- and T-cell maturation was observed and granulopoiesis was significantly enhanced. Most interestingly, conditional activation of AML1-ETO in chimeric mice did not increase HSCs, MPPs, common lymphoid precursors (CLPs), common myeloid progenitors (CMPs) and megakaryocyte-erythrocyte progenitors (MEPs) but promoted the selective amplification of granulocyte-macrophage progenitors (GMPs). rn The results of this thesis provide clear experimental evidence how aberrant AML1-ETO modulates the developmental properties of normal hematopoiesis and establishes for the first time that AML1-ETO does not increase HSCs, MPPs and common lineage-restricted progenitor pools but specifically amplifies GMPs. The here presented mouse model not only clarifies the role of aberrant AML1-ETO for shaping hematopoietic development but in addition has strong implications for future therapeutic strategies and will be an excellent pre-clinical tool for developing and testing new approaches to treat and eventually cure AML.rn
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Myeloid cell leukemia-1 (Mcl-1) ist ein anti-apoptotisches Mitglied der Bcl-2-Proteinfamilie. Als solches ist es in der Lage, die mitochondriale Aktivierung während der Apoptose zu hemmen. Dadurch schützt es Zellen bei zellulärem Stress (wie z.B. Differenzierung, Proliferation oder Virusinfektion) vor Apoptoseinduktion. Aufgrund dieser Eigenschaft ist es unabkömmlich während der Embryogenese und in verschiedenen hämatopoetischen Zellpopulationen. Des Weiteren ist Mcl-1 als Protoonkogen in verschiedenen humanen Tumorentitäten verstärkt exprimiert und kann so zu einer verminderten Apoptosesensitivität von Tumorzellen beitragen. Auch primäre humane Hepatozyten können nach Mcl-1-Induktion durch Wachstumsfaktorbehandlung gegenüber CD95-vermittelter Apoptose geschützt werden. Daher sollte untersucht werden, welche Bedeutung Mcl-1 im hepatozellulären Karzinom (HCC) und in der gesunden Leber einnimmt. Hierzu wurde zunächst humanes HCC-Gewebe hinsichtlich der Expression von Mcl-1 untersucht. Es konnte gezeigt werden, dass Mcl-1 sowohl auf mRNA- als auch auf Protein-Ebene in HCC-Gewebe verstärkt exprimiert ist im Vergleich zu benachbartem Normalgewebe. Auch in verschiedenen HCC-Zelllinien konnte eine starke Mcl-1-Expression nachgewiesen werden. Diese war vor allem über den PI3K/Akt-Signalweg reguliert. Eine Hemmung dieses Signalwegs führte zu einer Reduktion der Mcl-1-Expression und so zu einer Sensitivierung der Zellen gegenüber verschiedenen Chemotherapeutika und zielgerichteten Therapien. Des Weiteren wurde die Mcl-1-Expression spezifisch durch RNA-Interferenz gehemmt. Auch hier konnte gezeigt werden, dass Zellen mit unterdrückter Mcl-1-Expression deutlich sensitiver gegenüber verschiedenen Apoptose-induzierenden Substanzen reagierten. Eine kombinierte Hemmung der Mcl-1-Expression und der PI3-Kinase führte schließlich zu einer nochmals verstärkten Sensitivierung. Im Gegensatz dazu führte eine Überexpression von Mcl-1 zu einer Hemmung der Apoptoseinduktion. Im zweiten Teil der Arbeit wurde eine Mauslinie etabliert, welche spezifisch in Hepatozyten kein Mcl-1 exprimiert, um so die Bedeutung von Mcl-1 für die Leber in vivo zu untersuchen. Es zeigte sich, dass Mcl-1flox/flox-AlbCre-Mäuse bereits im Alter von acht Wochen eine verminderte Lebergröße aufweisen. Dies wurde verursacht durch spontane Apoptoseinduktion in den Mcl-1 negativen Hepatozyten. Hierdurch kam es zu einer Leberschädigung, ersichtlich durch erhöhte Transaminasenwerte, erhöhte Caspase-3-Aktivierung, und Schädigung der Gewebsstruktur. Zudem war als kompensatorischer Effekt die Zellproliferation erhöht, ohne dass sich jedoch das Lebergewicht an das von Kontrolltieren anglich. Interessanterweise kam es in Mcl-1flox/flox-AlbCre-Mäusen als Folge der chronischen Leberschädigung zur Entwicklung einer Leberfibrose, ersichtlich durch eine verstärkte Collageneinlagerung. Weiterhin reagierten Mcl-1flox/flox-AlbCre-Mäuse wesentlich empfindlicher gegenüber Todesrezeptor-vermittelter Apoptose. Diese Daten zeigen zum einen, dass Mcl-1 zur Apoptoseresistenz von HCC-Zellen beitragen kann. Zielgerichtete Therapien, welche die Expression von Mcl-1 hemmen, könnten folglich für die Therapie des HCCs von Interesse sein. Des Weiteren konnte in dieser Arbeit zum ersten Mal gezeigt werden, dass Mcl-1 ein zentraler anti-apoptotischer Faktor für Hepatozyten in vivo ist.
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Identifizierung, Sequenzierung und Charakterisierung des Dmxl1-Gen in Mus musculus sowie die funktionelle Analyse durch Knock-OutrnrnBei Dmxl1 handelt es sich um ein neuartiges Gen aus Mus musculus. Das ebenfalls in der vorliegenden Arbeit bioinformatisch untersuchte Gen DMXL1 ist das zu Dmxl1 homologe Gen des Menschen. Beide Gene bestehen aus 43 Exons, das murine Dmxl1 codiert für eine mRNA von 10992 bp bzw. 12210 bp, das humane DMXL1 kodiert für eine cDNA von 11082 bp, der offene Leserahmen umfasst bei der Maus 9042 bp. In der Maus konnte ein mögliches alternatives Polyadenylierungssignal identifiziert werden. Zwischen beiden Spezies sind die Exonpositionen und ihre Längen hoch konserviert. Dmxl1 liegt auf dem Crick-Strang von Chromosom 18 Bande C, der translatierte Bereich erstreckt sich auf genomischer Ebene über 129558 bp und die Orientierung verläuft in Richtung Centromer. Dmxl1 und DMXL1 gehören damit zu den größten bekannten Genen in Maus und Mensch. Bei beiden Spezies liegen die DmX-Homologen genomisch innerhalb eines Bereichs der Isochoren-Klasse L1 in einer Gen-armen Region. Die Anzahl der repetitiven Elemente innerhalb der Genregion von Dmxl1 liegt 6% unter dem erwarteten Wert eines L1 Isochors, die Anzahl beim Menschen liegt 4% über dem erwarteten Wert. Um die mögliche Promotorstruktur von Dmxl1 darzustellen, wurden umfangreiche in silico-Analysen der Region um den putativen Transkriptionsstart vorgenommen. Mit Hilfe der gewonnenen Daten konnte ein Transkriptionstartpunkt identifiziert werden. Zudem wurde eine Promotorstruktur erarbeitet, bei der angenommen werden kann, dass sie eine gute Näherung an die tatsächlich vorhandenen Bindungsstellen von Transkriptionsfaktoren darstellt. Die mit bioinformatischen Werkzeugen erzeugte virtuelle Promotor- und Enhancerstruktur zeigt das Potenzial, Dmxl1 basal und ubiquitär zu exprimieren. Gleichzeitig zeigen diese Daten, dass Dmxl1 vermutlich in einigen Geweben der Keimbahn, im Fettgewebe, dem blutbildenen System und während der Embryogenese hochkomplex reguliert werden kann. Eine regulierte Expression zur Steuerung des Energiestoffwechsels ist ebenfalls wahrscheinlich. Diese Ergebnisse passen sehr gut zu den experimentell ermittelten Daten und den beobachteten Phänotypen Dmxl1-chimärer Mäuse.rnDie abgeleitete Aminosäuresequenz umfasst in der Maus 3013 AS, im Menschen 3027 AS, der Vergleich der abgeleiteten Aminosäuresequenzen zeigt eine Identität von 89,3 % und eine Similarität von 94,7 % zwischen beiden Spezies. Im Dmxl1/DMXL1-Protein von Maus und Mensch konnten mindestens 24 und maximal 36 WD-Wiederholungseinheiten identifiziert werden, zudem wurden eine Reihe weiterer konservierter Proteinmotive gefunden. Die in silico-Strukturanalysen beider abgeleiteter Aminosäuresequenzen lässt vermuten, dass sich C- und N-terminal WD-Propellerstrukturen befinden. In dieser Arbeit gelang eine C-terminale Rekonstruktion einer 10-blättrigen Propellerstruktur, denkbar ist jedoch auch eine Struktur mit mindestens drei WD-Propellern, wenn eine prädominante Struktur mit Propellern aus jeweils sieben Propellerblättern angenommen wird.rnDas primäre Ziel dieser Arbeit, die Etablierung einer stabilen Mauslinie mit diruptiertem Dmxl1-Gen konnte aufgrund einer beobachteten Haploinsuffizienz nicht erreicht werden. Trotz zahlreicher Transformationen von Maus-Stammzelllinien konnte letztlich nur eine stabil transformierte Linie mit einem Dmxl1-Null-Allel identifiziert werden, was auch zu den theoretischen Daten und den angenommenen Aufgaben von Dmxl1 als komplex und diffizil reguliertes Multifunktions-Protein passt. Aus der transformierten Mauszelllinie konnten chimäre Mäuse entwickelt werden, die in Abhängigkeit von dem Ausmaß des Chimärismus phänotypisch massive Schädigungen aufwiesen. Neben einer Teilsterilität wurden massive Fettleibigkeit und ein ausgeprägter Hypogonadismus beobachtet. Keines der Tiere war in der Lage das Dmxl1-Null-Allel zu transduzieren. Die Tiere waren nur sehr eingeschränkt fertil, die wenigen Nachkommen entsprachen genotypisch und phänotypisch ausschließlich den verwendeten Blastocysten.rn
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Numerose evidenze sperimentali hanno dimostrato il contributo delle cellule staminali (SC) di derivazione midollare nei processi di rigenerazione epatica dopo danno tissutale. E’ cresciuto pertanto l’interesse sul loro potenziale impiego in pazienti con cirrosi. Questo studio si proponeva di valutare la fattibilità e la sicurezza della reinfusione intraepatica di cellule staminali midollari autologhe CD133+ in 12 pazienti con insufficienza epatica terminale. Previa mobilizzazione nel sangue periferico mediante somministrazione di granulocyte-colony stimulating factor (G-CSF) alla dose di 7,5 mcg/Kg/b.i.d. e raccolta per leucoaferesi (solo se la concentrazione di CD133 + SC era > 8/μL), le cellule CD133+ altamente purificate sono state reinfuse in arteria epatica a partire da 5x104/Kg fino a 1x106/kg. Nei tre giorni successivi è stato somministrato G-CSF per favorire l’espansione e l’attecchimento delle cellule. Durante la fase della mobilizzazione e quella della reinfusione sono stati eseguiti saggi biologici quali: caratterizzazione fenotipica delle SC circolanti, saggi clonogenici, valutazione della concentrazione sierica del Hepatocyte Growth Factor (HGF), Stromal-Derived Factor-1 (SDF-1) ed il Vascular-Endotelial Growth Factor (VEGF) e caratterizzazione fenotipica delle CD133+SC purificate. Fino ad oggi sono stati reinfusi 12 pazienti. Questi dati preliminari suggeriscono che è possibile mobilizzare e reinfondere un numero considerevole di SC autologhe CD133+ altamente purificate in pazienti con ESLD . Gli studi biologici mostrano che: il numero di progenitori ematopoietici ed endoteliali circolanti è aumentato dopo il trattamento con G–CSF; le SCs CD133+ altamente purificato esprimono marcatori emopoietici ed endoteliali; la concentrazione sierica di HGF, SDF-1, VEGF e la capacità clonogenica di progenitori emopoietici sono aumentati durante la mobilitazione e nelle fasi di reinfusione; il potenziale clonogenico dei progenitori endoteliali mostra espressione variabile.
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Oltre alla progressiva perdita dei linfociti T CD4, i pazienti HIV-infetti presentano diverse citopenie periferiche. In particolare l’anemia si riscontra nel 10% dei pazienti asintomatici e nel 92% di quelli con AIDS e la terapia cART non è in grado di risolvere tale problematica. I meccanismi patogenetici alla base di questa citopenia si ritiene che possano riguardare la deregolazione citochinica, il danno alle HPCs, alle cellule in differenziamento e alle cellule stromali. Le cellule progenitrici ematopoietiche CD34+, dopo essere state separate da sangue cordonale e differenziate verso la linea eritroide, sono state trattate con HIV-1 attivo, inattivato al calore e gp120. In prima istanza è stata messa in luce la mancata suscettibilità all’infezione e l’aumento dell’ apoptosi dovuto al legame gp120-CD4/CXCR4 e mediato dal TGF-β1 nelle cellule progenitrici indifferenziate. L’aspetto innovativo di questo studio però si evidenzia esaminando l’effetto di gp120 durante il differenziamento verso la filiera eritrocitaria. Sono stati utilizzati due protocolli sperimentali: nel primo le cellule sono inizialmente trattate per 24 ore con gp120 (o con HIV-1 inattivato al calore) e poi indotte in differenziamento, nel secondo vengono prima differenziate e poi trattate con gp120. Il “priming” negativo determina una apoptosi gp120-indotta molto marcata già dopo 48 ore dal trattamento ed una riduzione del differenziamento. Se tali cellule vengono invece prima differenziate per 24 ore e poi trattate con gp120, nei primi 5 giorni dal trattamento, è presente un aumento di proliferazione e differenziamento, a cui segue un brusco arresto che culmina con una apoptosi molto marcata (anch’essa dipendente dal legame gp120-CD4 e CXCR4 e TGF-β1 dipendente) e con una drastica riduzione del differenziamento. L’insieme dei risultati ha permesso di definire in modo consistente la complessità della genesi dell’anemia in questi pazienti e di poter suggerire nuovi target terapeutici in questi soggetti, già sottoposti a cART.
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Die Transplantation von allogenen hämatopoetischen Stammzellen stellt für viele Patienten mit hämatologischen Erkrankungen, wie beispielsweise akuter Leukämie, oftmals die einzige kurative Therapieoption dar. Die Erkennung von Empfängerantigenen durch immunkompetente Zellen des Spenders bietet dabei die Basis für erwünschte Graft-versus-Tumor-Effekte, verursacht jedoch häufig außerdem die unerwünschte Graft-versus-Host Disease (GvHD), eine mitunter schwerwiegende Komplikation. In der vorliegenden Arbeit wurden potentielle Mechanismen zur Hemmung alloreaktiver CD4+ und CD8+ T-Zellen (TZ) und folglich zur Hemmung der akuten GvHD in einem experimentellen GvHD-Modell untersucht, welches auf dem Transfer von allogenen Zellen zwischen MHC-inkompatiblen Mausstämmen basiert. Die vorliegende Arbeit weist zum Einen darauf hin, dass das Fehlen MyD88- und TRIF-vermittelter Toll-like-Rezeptor-Signale zumindest im Rahmen des hier verwendeten Transplantationsmodells nicht zwingend zu einer Hemmung der akuten GvHD führt. Zum Anderen konnte belegt werden, dass CD4+ CD25+ regulatorische T-Zellen (Tregs) kompetente Suppressoren der durch alloreaktive CD4+ und CD8+ TZ ausgelösten akuten GvHD darstellen. In weiterführenden Experimenten ist gezeigt worden, dass die Tregs sich verschiedener Mechanismen bedienen, um ihre Zielzellen zu inhibieren. Das suppressive Zytokin Interleukin-10 kann als löslicher Mediator zumindest in vitro offenbar eine Rolle bei der Treg-vermittelten Suppression alloreaktiver TZ spielen. Da jedoch auch Tregs aus Interleukin-10-defizienten Spendern die GvHD-Entstehung in den Empfängern abschwächen konnten, müssen noch weitere Mechanismen involviert sein. Es konnte in einer gemischten Leukozyten Reaktion in vitro eine zellkontaktabhängige Kommunikation mittels gap junctions hauptsächlich zwischen den Tregs und den allogenen Dendritischen Zellen (DCs) nachgewiesen werden, welche prinzipiell den Transfer von cAMP möglich macht. Die Kommunikation zwischen Tregs und DCs resultierte in einem supprimierten Phänotyp der DCs, gekennzeichnet durch eine verminderte Expression kostimulatorischer Moleküle auf ihrer Oberfläche. Solche supprimierten DCs können als Folge die alloreaktiven Spender-TZ vermutlich nicht aktivieren. Das cAMP-erhöhende Rolipram konnte in einer gemischten Leukozyten Reaktion in vitro die Proliferation alloreaktiver CD4+ und CD8+ TZ hemmen. Daneben konnte die Treg-vermittelte Suppression alloreaktiver TZ und der GvHD in vivo durch die zusätzliche Verabreichung von Rolipram noch gesteigert werden. Im letzten Kapitel dieser Arbeit wurde beschrieben, dass die alleinige Aktivierung alloreaktiver CD8+ TZ ausreichend ist, um eine akute GvHD auszulösen. In diesem Zusammenhang konnte nachgewiesen werden, dass CD4+ CD25+ Tregs die akute GvHD auch in einer scheinbar MHC-II-unabhängigen Weise hemmen können. Zusammenfassend belegt die vorliegende Arbeit, dass Tregs in einem MHC-inkompatiblen Transplantationsmodell alloreaktive CD4+ und CD8+ TZ und folglich die Entstehung einer GvHD effizient hemmen können. Bei der Hemmung der GvHD kommen wahrscheinlich verschiedene Mechanismen zum Tragen. Zumindest in vivo scheint von Tregs produziertes Interleukin-10 eine untergeordnete Rolle bei der Suppression alloreaktiver TZ und der GvHD zu spielen, hierbei steht vermutlich vielmehr der cAMP-abhängige Suppressionsmechanismus im Vordergrund.
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Circulating Fibrocytes (CFs) are bone marrow-derived mesenchymal progenitor cells that express a similar pattern of surface markers related to leukocytes, hematopoietic progenitor cells and fibroblasts. CFs precursor display an ability to differentiate into fibroblasts and Myofibroblasts, as well as adipocytes. Fibrocytes have been shown to contribute to tissue fibrosis in the end-stage renal disease (ESRD), as well as in other fibrotic diseases, leading to fibrogenic process in other organs including lung, cardiac, gut and liver. This evidence has been confirmed by several experimental proofs in mice models of kidney injury. In the present study, we developed a protocol for the study of CFs, by using peripheral blood monocytes cells (PBMCs) samples collected from healthy human volunteers. Thanks to a flow cytometry method, in vitro culture assays and the gene expression assays, we are able to study and characterize this CFs population. Moreover, results confirmed that these approaches are reliable and reproducible for the investigation of the circulating fibrocytes population in whole blood samples. Our final aim is to confirm the presence of a correlation between the renal fibrosis progression, and the different circulating fibrocyte levels in Chronic Kidney Disease (CKD) patients. Thanks to a protocol study presented and accepted by the Ethic Committee we are continuing the study of CFs induction in a cohort of sixty patients affected by CKD, divided in three distinct groups for different glomerular filtration rate (GFR) levels, plus a control group of thirty healthy subjects. Ongoing experiments will determine whether circulating fibrocytes represent novel biomarkers for the study of CKD progression, in the early and late phases of this disease.
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Nach einer hämatopoetischen Stammzelltransplantation spielt die Zuordnung hämatopoetischer Zellen zum Spender oder Empfänger für viele transplantationsbezogene Fragestellungen eine wichtige Rolle. Unter anderem ist das Persistieren von dendritischen Zellen des Empfängers, welche allogene T-Zellen des Spenders stimulieren, ein wichtiger Schritt bei der Entstehung der akuten GVHD. Aus diesem Grund wurde in dieser Arbeit die Weiterentwicklung einer Methode angestrebt, die es uns erlaubt, die Zugehörigkeit isolierter hämatopoetischer Zellen dem Spender oder dem Empfänger zuzuordnen (Chimärismusbestimmung) und gleichzeitig Aussagen über das Ursprungsgewebe und den Aktivierungszustand der Zellen machen zu können. Hierfür nutzten wir Einzelbasenpolymorphismen (SNPs). Ziel dieser Arbeit war es, einen Pool von cDNA-kodierten SNPs zu definieren, mit dem auch HLA-identische Geschwister eindeutig unteschieden werden können. rnHierfür wurden zunächst aus publizierten Datenbanken solche SNPs ausgewählt, die in kodierenden Genabschnitten konstitutiv und gewebeunabhängig auf expremierten Genen lagen und zugleich eine hohe Heterozygotenfrequenz in der europäischen Population aufwiesen. Anhand dieser Kriterien wurden mittels der NCBI-Datenbank insgesamt eine Anzahl von 208 Polymorphismen auf 150 Genen identifiziert. Anschließend erfolgte die Gestaltung von Primerpaaren zur Amplifikation der SNP-kodierenden cDNA-Abschnitte. Diese mussten mindestens eine Intron/Exon-Grenze überspannen, um genomische DNA in der PCR ausschließen zu können. Mit Hilfe der etablierten PCR-Reaktion wurden die Gene in unterschiedlichen Geweben auf ihre Expression hin überprüft. Für 45 Gene ließ sich sowohl eine entsprechende PCR etablieren als auch deren konstitutive Expression in verschiedenen hämatopoetischen Zellen nachweisen. Zur Detektion der einzelnen SNPs in der Minisequenzierung wurden Minisequenzierungs-Sonden generiert und geprüft. Im Folgenden wurden für PCR und Minisequezierung Multiplex-Reaktionen aus vier bis sechs Reaktionen zusammengestellt. Zu diesem Zweck wurden die jeweiligen Primerinteraktionen und die unterschiedlichen Basenlängen des PCR-Produktes berücksichtigt.rnVon den 45 etablierten Einzelreaktionen waren 30 für den Multiplexansatz geeignet. Unter Anwendung dieser Multiplex-Reaktionen wurden 24 HLA-identische Geschwisterpaare (Spender und Empfänger) getestet. Zur Kontrolle erfolgte zusätzlich eine konventionelle Sequenzierung der SNP-kodierenden Bereiche auf der cDNA der jeweiligen Proben. Mit Hilfe der SNP-Kombinationen und der etablierten Methodik waren wir in der Lage alle 24 untersuchten Geschwisterpaare in zwischen sechs und 18 SNP-Systemen zu unterscheiden. rnDie Möglichkeiten, die die Analysen des Chimärismus mittels SNPs auf kodierenden Bereichen der DNA mit sich bringen, liegen nicht nur in der gleichzeitigen Bestimmung der Gewebszugehörigkeit und der Detektion des bestehenden Chimärismus sowie dessen Quantifizierung unter Anwendung einer Real-time-PCR. Vielmehr ermöglicht sie auch eine Aussage über die Genexpression der untersuchten Zelle zu machen. Dies ist insbesondere dann von Interesse, wenn geringe Zellzahlen von aus Gewebe isolierten Zellen zur Verfügung stehen. Die in dieser Arbeit etablierten Ansätze werden derzeit für eine Quantifizierung mittels real-time RCR weiterentwickelt und sollen mittelfristig insbesondere für Untersuchungen des Chimärismus von dermalen und epidermalen dendritischen Zellen der Haut und anderer Zielgewebe der GvHD verwendet werden.rn
Resumo:
Dendritische Zellen der Haut, wie z.B. die Langerhanszellen (LC) der Epidermis, sind potente antigenpräsentierende Zellen (APC). Nach allogener Blutstammzelltransplantation (engl.: hematopoietic stemm cell transplantation, HSCT) persistieren Empfänger-APC und können Spender-T-Zellen aktivieren. Somit spielen dendritische Zellen eine kritische Rolle bei der Initiierung von akuter Transplantat-Gegen-Wirt-Reaktion (engl.: graft-versus-host-disease, GvHD).rnIn der vorliegenden Arbeit wurde ein Modellsystem entwickelt, welches humane Haut in einem Xenotransplantationsmodell nutzt, um die Wechselwirkung dieser gewebsständigen APC mit alloreaktiven T-Zellen zu untersuchen. Dafür wurden humane Resthautpräparate von subkutanem Gewebe befreit und intraskaptulär auf immunsupprimierte NOD/LtSz-scid IL2R#-null Mäuse (NSG) transplantiert. Diesen Tieren fehlen funktionale T-, B- und NK-Zellen, und sie tolerieren somit ein xenogenes Transplantat. Im Vergleich zu anderen immundefizienten Stämmen, haben sie eine erhöhte Lebenserwartung und es ist zudem möglich humane Hämatopoese durch Stammzellgabe zu etablieren.rnPublizierte Methoden der Hauttransplantation wurden für diese Arbeit optimiert und weiterentwickelt. So konnte die Erfolgsrate von 44% auf bis zu 95% gesteigert werden. Erste Untersuchungen fokussierten den Einfluss der Wundheilung auf die Verteilung dermaler Zellpopulationen, wie z.B. CD11c positive APC, und die Population der LC in der Epidermis. Während der ersten Wochen der Wundheilung war ein vorübergehendes Verschwinden der LC aus der Epidermis zu beobachten. Im Gegensatz dazu waren CD11c positive dermale Zellen permanent detektierbar. Die zu späteren Zeitpunkten festgestellte Repopulation der Epidermis mit LC unterstützt die Hypothese einer lokalen Vorläuferzelle. Die vorgelegten Daten und die lokale proliferative Aktivität dieser Zellen unterstreichen ihre Unabhängigkeit vom peripheren Blut. Versuche, eine Depletion der LC mittels UVC-Bestrahlung zu erreichen, gelangen nicht. Auch dies spricht für das Vorhandensein eines lokalen Vorläufers.rnZur Induktion von GvHD in der transplantierten Haut wurden in vitro DC des Hautspenders generiert und damit HLA-disparate T-Zellen stimuliert. Auf diese Weise sollte eine maximale Alloreaktivität gegen das Hauttransplantat generiert werden. In allen vorgestellten Systemen ließ sich nach Infusion der T-Lymphozyten in transplantierte Tiere, eine T-Zellinduzierte inflammatorische Reaktion auslösen. Optisch war eine deutliche Rötung des Transplantats feststellbar. Diese war jedoch nur in den Proben besonders deutlich, welche T-Zellen mit vorheriger in vitro Stimulation durch DC des Hautspenders erhalten hatten. Histologisch konnten Anzeichen einer Entzündung nachgewiesen werden. Neben Akanthose und Hyperparakeratose, waren deutliche T-Zellinfiltrate detektierbar. Auch Spaltbildung und Ablösung der Epidermis, sowie vereinzelte Apoptosen der epidermalen Zellen wiesen auf eine GvHD artige Entzündung hin.rnEine weitere Beobachtung nach T-Zellgabe, war die Depletion der LC aus der Epidermis. Auch konnte durch spätere T-Zellgaben keine weitere Hautrötung ausgelöst werden. Dies belegt die Funktion der LC als primäre Zielzelle der alloreaktiven T-Zellen. Unterstrichen wird dies durch Verwendung einer LC defizienten Haut, welche keine Hautrötung oder Anzeichen einer Entzündung entwickelte.rnZusammenfassend wurde für diese Arbeit ein Modellsystem entwickelt, welches es erlaubt Untersuchungen entzündlicher Hautkrankheiten unter Berücksichtigung hautständiger APC durchzuführen. Dabei kann dieses Modell in Zukunft für die Untersuchung von APC modulierenden Agenzien genutzt werden, da präklinische Modelle für spezies-spezifische Therapien bislang fehlten. Das Entstehen einer Entzündung könnte so verhindert oder eine Behandlung ermöglicht werden.
Resumo:
Primary varicella-zoster virus (VZV) infection during childhood leads to varicella commonly known as chickenpox. After primary infection has occurred VZV establishes latency in the host. During subsequent lifetime the virus can cause reactivated infection clinically known as herpes zoster or shingles. In immunodeficient patients’ dissemination of the virus can lead to life-threatening disease. Withdrawal of acyclovir drug prophylaxis puts allogeneic hematopoietic stem-cell transplantation (HSCT) patients at increased risk for herpes zoster as long as VZV-specific cellular immunity is impaired. Although an efficient live attenuated VZV vaccine for zoster prophylaxis exists, it is not approved in immunocompromised patients due to safety reasons. Knowledge of immunogenic VZV proteins would allow designing a noninfectious nonhazardous subunit vaccine suitable for patients with immunodeficiencies. The objective of this study was to identify T cell defined virus proteins of a VZV-infected Vero cell extract that we have recently described as a reliable antigen format for interferon-gamma (IFN-γ) enzyme-linked immunosorbent spot (ELISpot) assays (Distler et al. 2008). We first separated the VZV-infected/-uninfected Vero cell extracts by size filtration and reverse-phase high performance liquid chromatography (RP-HPLC). The collected fractions were screened for VZV reactivity with peripheral blood mononuclear cells (PBMCs) of VZV-seropositive healthy individuals in the sensitive IFN-γ ELISpot assay. Using this strategy, we successfully identified bioactive fractions that contained immunogenic VZV material. VZV immune reactivity was mediated by CD4+ memory T lymphocytes (T cells) of VZV-seropositive healthy individuals as demonstrated in experiments with HLA blockade antibodies and T cell subpopulations already published by Distler et al. We next analyzed the bioactive fractions with electrospray ionization mass spectrometry (ESI-MS) techniques and identified the sequences of three VZV-derived proteins: glycoprotein E (gE); glycoprotein B (gB), and immediate early protein 62 (IE62). Complementary DNA of these identified proteins was used to generate in vitro transcribed RNA for effective expression in PBMCs by electroporation. We thereby established a reliable and convenient IFN-γ ELISPOT approach to screen PBMCs of healthy donors and HSCT patients for T cell reactivity to single full-length VZV proteins. Application in 10 VZV seropositive healthy donors demonstrated much stronger recognition of glycoproteins gE and gB compared to IE62. In addition, monitoring experiments with ex vivo PBMCs of 3 allo-HSCT patients detected strongly increased CD4+ T cell responses to gE and gB for several weeks to months after zoster onset, while IE62 reactivity remained moderate. Overall our results show for the first time that VZV glycoproteins gE and gB are major targets of the post-transplant anti-zoster CD4+ T cell response. The screening approach introduced herein may help to select VZV proteins recognized by memory CD4+ T cells for inclusion in a subunit vaccine, which can be safely used for zoster prophylaxis in immunocompromised HSCT patients.
Resumo:
n der vorliegenden Dissertation wurde systematisch die Interaktion von rnunterschiedlichen polymeren Nanopartikeln auf die Zellfunktionalität und das rnDifferenzierungspotential zweier humaner Stammzelllinien (mesenchymale und rnhämatopoetische Stammzellen) untersucht. Als Modellsystem wurden Polystyrol-rnPartikel für bioinerte Nanopartikel und PLLA-Partikel als Modell für bioabbaubare Nanopartikel gewählt. rnDie Analyse der Partikelaufnahme und der Zytotoxizität ergab, dass alle getesteten Partikel nach einen Zeitraum von 24 h und einer Inkubation mit 300 µg/mL Partikeln in beiden Zellsorten nicht toxisch waren. Für die CTMA-Cl-stabilisierten Partikel wurde während Differenzierungsversuche mit hMSCs eine Langzeittoxizität festgestellt, so dass diese Partikel für weitere Versuche nicht verwendet werden konnten. rnAlle Partikel wurden in die Zellen aufgenommen. Die Lutensol-stabilisierten Polystyrol-Partikel zeigten sowohl in unfunktionalisierter Form als auch mit Aminogruppen auf der Oberfläche ein geringeres Aufnahmeverhalten in hMSCs und wurden deswegen nicht für weitere Versuche verwendet. Die SDS-stabilisierten Polystyrol-Partikel zeigten eine gute Aufnahme, die durch die funktionalisierung mit Carboxylgruppen um ca. das 3-fache rnverstärkt werden konnte (hMSCs). Gleiches wurde für die CTMA-Cl stabilisierten rnPolystyrol und dem dazugehörigen aminofunktionalisierten Partikel beobachtet rn(hMSCs). In hHSCs wurden nur die SDS-stabilisierten Polystyrol-Partikel (nicht rnfunktionalisiert, carboxylfunktionalisiert) getestet. Hierbei konnte kein Unterschied bezüglich der Aufnahme festgestellt werden. Die PLLA- und PLLA-Fe-Partikel wurden sowohl in hMSCs als auch in hHSCs sehr gut und besser als die Polystyrol-Partikel aufgenommen. Das in den Partikeln eingebaute Magnetit zeigt keine Auswirkungen auf die Zellaufnahme. Für weitere Versuche wurden deshalb auf Grund der Aufnahme und Toxizitätsdaten die SDS-stabilisierten Polystyrol-Partikel (PS und PS-COOH) sowie die ebenfalls SDS-stabilisierten PLLA-Partikel (PLLA und PLLA-Fe) gewählt. Somit standen 4 Partikel zur Auswahl, die sich sowohl in ihrer Größe als auch im verwendeten Tensid nicht unterscheiden und so Aussagen über den Einfluss von Oberflächenfunktionalisierung sowie Magnetit zulassen. rnDie Zellfunktionalität der hMSCs unter Partikeleinfluss wurde mit Hilfe von IL-6 und IL-8 Messungen untersucht, hierbei zeigte sich, dass nur der PLLA-Fe-Partikel zu einer signifikant erhöhten IL-8 Ausschüttung führte, die Sekretion von IL-6 blieb vollständig unverändert. Die IL-8 Sekretion der hHSCs wurde durch die Anwesenheit der Partikel nicht verändert. rnUm den Einfluss der oben beschriebenen Partikel auf das Differenzierungspotential von hMSCs und hHSCs zu untersuchen, wurden beide Zelllinien vor der Induktion der Differenzierung für 24 h mit 300 µg/mL Partikeln inkubiert. Sowohl die histochemischen Färbungen der differenzierten hMSCs als auch die CD-Marker-Färbungen der differenzierten hHSCs zeigten keinen Einfluss der Partikel auf die Differenzierungsfähigkeit. Bei den hMSCs konnte auch keine durch die Partikel hervorgerufene Differenzierung nachgewiesen werden. Die Analyse der Differenzierung auf RNA-Ebene (qPCR) ergab jedoch für beide Zelllinien, dass einzelne Partikel einzelne Differenzierungsmarker in ihrer Expression positiv oder negativ beeinflussen. Einzig der PLLA-Partikel zeigt bei allen untersuchten Differenzierungsrichtungen in beiden Zelllinien rnkeine Veränderung der Expression. Die jeweils beobachteten Expressionsveränderungen sind jedoch nicht stark genug, um die Differenzierung sichtbar zu beeinflussen, was die histologischen bzw. CD-Marker-Färbungen gezeigt haben. rnIn einem Kooperationsprojekt mit der Gruppe von Arancha del Campo (MPI für rnPolymerforschung) wurde der Einfluss unterschiedlicher BMP-2-Peptide auf die rnosteogene Differenzierung von hMSCs untersucht. Hierbei konnte gezeigt werden, dass die unterschiedlichen Peptide in keiner Konzentration und Kombination eine positive Wirkung auf die osteogene Differenzierung haben. rnIm Rahmen eines Kooperationsprojekts mit Kerstin Münnemann (MPI für rnPolymerforschung) konnte gezeigt werden, dass eine quantitative Bestimmung des rnzellulären Eisengehalts nach Inkubation mit SPIOs sowohl mit Hilfe von MRT, H1rn NMR als auch UV/VIS Messungen bis zu einem Detektionslimit von 100.000 Zellen /mL (bei einer Beladung von 10 pg Fe/Zelle) erfolgen kann.
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Solid organ transplantation (SOT) is considered the treatment of choice for many end-stage organ diseases. Thus far, short term results are excellent, with patient survival rates greater than 90% one year post-surgery, but there are several problems with the long term acceptance and use of immunosuppressive drugs. Hematopoietic Stem Cells Transplantation (HSCT) concerns the infusion of haematopoietic stem cells to re-establish acquired and congenital disorders of the hematopoietic system. The main side effect is the Graft versus Host Disease (GvHD) where donor T cells can cause pathology involving the damage of host tissues. Patients undergoing acute or chronic GvHD receive immunosuppressive regimen that is responsible for several side effects. The use of immunosuppressive drugs in the setting of SOT and GvHD has markedly reduced the incidence of acute rejection and the tissue damage in GvHD however, the numerous adverse side effects observed boost the development of alternative strategies to improve the long-term outcome. To this effect, the use of CD4+CD25+FOXP3+ regulatory T cells (Treg) as a cellular therapy is an attractive approach for autoimmunity disease, GvHD and limiting immune responses to allograft after transplantation. Treg have a pivotal role in maintaining peripheral immunological tolerance, by preventing autoimmunity and chronic inflammation. Results of my thesis provide the characterization and cell processing of Tregs from healthy controls and patients in waiting list for liver transplantation, followed by the development of an efficient expansion-protocol and the investigation of the impact of the main immunosuppressive drugs on viability, proliferative capacity and function of expanded cells after expansion. The conclusion is that ex vivo expansion is necessary to infuse a high Treg dose and although many other factors in vivo can contribute to the success of Treg therapy, the infusion of Tregs during the administration of the highest dose of immunosuppressants should be carefully considered.