982 resultados para Basi di dati, Database, Linq, Entity framework, Workflow, Database
Resumo:
La terapia di resincronizzazione cardiaca (TRC) è un presidio non farmacologico che riduce la mortalità e la morbosità nei pazienti con scompenso refrattario alla terapia medica. La maggior parte dei dati riguardanti gli effetti della TRC coinvolgono i pazienti con le indicazioni consolidate seguenti: classe NYHA III-IV, ritardo della conduzione ventricolare (QRS>opp= 20 msec), disfunzione sistolica ventricolare sinistra (frazione di eiezione ventricolare sinistra >opp= 35%) e ritmo sinusale (RS). Mentre è noto che la fibrillazione atriale permanente (FA) sia presente in una porzione consistente dei pazienti con scompenso cardiaco, vi sono pochi dati riguardanti la sopravvivenza e gli effetti a lungo-termine della TRC in pazienti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale (FA); la maggior parte degli studi sono osservazionali ed hanno dimostrato che la TRC potrebbe conferire dei benefici a corto e medio termine anche in pazienti con FA permanente. Solo recentemente un ampio studio osservazionale ha descritto che, a lungo-termine, la TRC migliora significativamente la capacità funzionale, la frazione di eiezione e induce il rimodellamento inverso del ventricolo sinistro solamente in quei pazienti con FA dove la TRC viene combinata con l’ablazione del nodo atrio-ventricolare (NAV). La strategia ablativa del NAV infatti conferendo una stimolazione completa e costante, permette di eliminare gli effetti del ritmo spontaneo di FA (ritmo irregolare e tendenzialmente tachicardico) cheinterferisce in maniera importante con la stimolazione biventricolare in particolare durante gli sforzi fisici. Sulla base di queste premesse il presente studio si propone di valutare gli effetti a lungo-termine della TRC su pazienti con scompenso cardiaco e FA permanente focalizzando su due aspetti principali: 1) confrontando la sopravvivenza di pazienti con FA permanente rispetto ai pazienti in RS; 2) confrontando la sopravvivenza di pazienti in FA suddivisi secondo la modalità di controllo della frequenza con somministrazione di farmaci antiaritmici (gruppo FA-farm) oppure mediante controllo ablazione del NAV (gruppo FA-abl). Metodi e risultati: Sono presentati i dati di 1303 pazienti sottoposti consecutivamente ad impianto di dispositivo per la TRC e seguiti per un periodo mediano di 24 mesi. Diciotto pazienti sono stati persi durante il follow-up per cui la popolazione dello studio è rappresentata da una popolazione totale di 1295 pazienti di cui 1042 in RS e 243 (19%) in FA permanente. Nei pazienti con FA il controllo della frequenza cardiaca è stato effettuato mediante la somministrazione di farmaci anti-aritmici (gruppo FA-farm: 125 pazienti) oppure mediante ablazione del NAV (FA-abl: 118 pazienti). Rispetto ai pazienti in RS, i pazienti in FA permanente erano significativamente più vecchi, più spesso presentavano eziologia nonischemica, avevano una frazione di eiezione più elevata al preimpianto, una durata del QRS minore e erano più raramente trattati con un defibrillatore. Lungo un follow-up mediano di 24 mesi, 170/1042 pazienti in RS e 39/243 in FA sono deceduti (l’incidenza di mortalità a 1 anno era di 8,4% e 8,9%, rispettivamente). I rapporti di rischio derivanti dall’analisi multivariata con il 95% dell’intervallo di confidenza (HR, 95% CI) erano simili sia per la morte per tutte le cause che per la morte cardiaca (0.9 [0.57-1.42], p=0.64 e 1.00 [0.60-1.66] p=0.99, rispettivamente). Fra i pazienti con FA, il gruppo FA-abl presentava una durata media del QRS minore ed era meno frequentemente trattato con il defibrillatore impiantabile rispetto al gruppo FA-farm. Soli 11/118 pazienti del FA-abl sono deceduti rispetto a 28/125 nel gruppo FA-farm (mortalità cumulativa a 1 anno di 9,3% e 15,2% rispettivamente, p<0.001), con HR, 95% CI per FA-abl vs FA-farm di 0.15 [0.05-0.43],,p<0.001 per la mortalità per tutte le cause, di 0.18 [0.06-0.57], p=0.004 per la mortalità cardiaca, e di 0.09 [0.02-0.42], p<0.002 per la mortalità da scompenso cardiaco. Conclusioni: I pazienti con scompenso cardiaco e FA permanente trattati con la TRC presentano una simile sopravvivenza a lungo-termine di pazienti in RS. Nei pazienti in FA l’ablazione del NAV in aggiunta alla TRC migliora significativamente la sopravvivenza rispetto alla sola TRC; questo effetto è ottenuto primariamente attraverso una riduzione della morte per scompenso cardiaco.
Il nucleotide extracellulare UTP: induzione della migrazione di cellule staminali emopoietiche CD34+
Resumo:
La letteratura scientifica degli ultimi anni si è arricchita di un numero sempre crescente di studi volti a chiarire i meccanismi che presiedono ai processi di homing di cellule staminali emopoietiche e del loro attecchimento a lungo termine nel midollo osseo. Tali fenomeni sembrano coinvolgere da un lato, l’interazione delle cellule staminali emopoietiche con la complessa architettura e componente cellulare midollare, e dall’altro la riposta ad un’ampia gamma di molecole regolatrici, tra le quali chemochine, citochine, molecole di adesione, enzimi proteolitici e mediatori non peptidici. Fanno parte di quest’ultimo gruppo anche i nucleotidi extracellulari, un gruppo di molecole-segnale recentemente caratterizzate come mediatori di numerose risposte biologiche, tra le quali l’allestimento di fenomeni flogistici e chemiotattici. Nel presente studio è stata investigata la capacità dei nucleotidi extracellulari ATP ed UTP di promuovere, in associazione alla chemochina CXCL12, la migrazione di cellule staminali umane CD34+. E’ così emerso che la stimolazione con UTP è in grado di incrementare significativamente la migrazione dei progenitori emopoietici in risposta al gradiente chemioattrattivo di CXCL12, nonché la loro capacità adesiva. Le analisi citofluorimetriche condotte su cellule migranti sembrano inoltre suggerire che l’UTP agisca interferendo con le dinamiche di internalizzazione del recettore CXCR4, rendendo così le cellule CD34+ maggiormente responsive, e per tempi più lunghi, al gradiente attrattivo del CXCL12. Saggi di homing competitivo in vivo hanno parallelamente mostrato, in topi NOD/SCID, che la stimolazione con UTP aumenta significativamente la capacità dei progenitori emopoeitci umani di localizzarsi a livello midollare. Sono state inoltre indagate alcune possibili vie di trasduzione del segnale attivate dalla stimolazione di recettori P2Y con UTP. Esperimenti di inibizione in presenza della tossina della Pertosse hanno evidenziato il coinvolgimento di proteine Gαi nella migrazione dipendente da CXCL12 ed UTP. Ulteriori indicazioni sono provenute dall’analisi del profilo trascrizionale di cellule staminali CD34+ stimolate con UTP, con CXCL12 o con entrambi i fattori contemporaneamente. Da questa analisi è emerso il ruolo di proteine della famiglia delle Rho GTPasi e di loro effettori a valle (ROCK 1 e ROCK 2) nel promuovere la migrazione UTP-dipendente. Questi dati sono stati confermati successivamente in vitro mediante esperimenti con Tossina B di C. Difficile (un inibitore delle Rho GTPasi) e con Y27632 (in grado di inibire specificatamente le cinasi ROCK). Nel complesso, i dati emersi in questo studio dimostrano la capacità del nucleotide extracellulare UTP di modulare la migrazione in vitro di progenitori emopoietici umani, nonché il loro homing midollare in vivo. L’effetto dell’UTP su questi fenomeni si esplica in concerto con la chemochina CXCL12, attraverso l’attivazione concertata di vie di trasduzione del segnale almeno parzialmente condivise da CXCR4 e recettori P2Y e attraverso il reclutamento comune di proteine ad attività GTPasica, tra le quali le proteine Gαi e i membri della famiglia delle Rho GTPasi.
Resumo:
Il lavoro è incentrato sull’applicazione ed integrazione di differenti tecniche di indagine geofisica in campo ambientale e ingegneristico/archeologico. Alcuni esempi sono stati descritti al fine di dimostrare l’utilità delle metodologie geofisiche nella risoluzione di svariate problematiche. Nello specifico l’attenzione è stata rivolta all’utilizzo delle tecniche del Ground Penetrating Radar e del Time Domain Reflectometry in misure condotte su un corpo sabbioso simulante una Zona Insatura. L’esperimento è stato realizzato all’interno di un’area test costruita presso l’azienda agricola dell’Università La Tuscia di Viterbo. Hanno partecipato al progetto le Università di Roma Tre, Roma La Sapienza, La Tuscia, con il supporto tecnico della Sensore&Software. Nello studio è stato condotto un approccio definito idrogeofisico al fine di ottenere informazioni da misure dei parametri fisici relativi alla Zona Insatura simulata nell’area test. Il confronto e l’integrazione delle due differenti tecniche di indagine ha offerto la possibilità di estendere la profondità di indagine all’interno del corpo sabbioso e di verificare l’utilità della tecnica GPR nello studio degli effetti legati alle variazioni del contenuto d’acqua nel suolo, oltre a determinare la posizione della superficie piezometrica per i differenti scenari di saturazione. Uno specifico studio è stato realizzato sul segnale radar al fine di stabilire i fattori di influenza sulla sua propagazione all’interno del suolo. Il comportamento dei parametri dielettrici nelle condizioni di drenaggio e di imbibizione del corpo sabbioso è stato riprodotto attraverso una modellizzazione delle proprietà dielettriche ed idrologiche sulla base della dimensione, forma e distribuzione dei granuli di roccia e pori, nonché sulla base della storia relativa alla distribuzione dei fluidi di saturazione all’interno del mezzo. La modellizzazione è stata operata sulle basi concettuali del Differential Effective Medium Approximation.
Resumo:
L’obiettivo della tesi riguarda l’utilizzo di immagini aerofotogrammetriche e telerilevate per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa di ecosistemi forestali e della loro evoluzione. Le tematiche affrontate hanno riguardato, da una parte, l’aspetto fotogrammetrico, mediante recupero, digitalizzazione ed elaborazione di immagini aeree storiche di varie epoche, e, dall’altra, l’aspetto legato all’uso del telerilevamento per la classificazione delle coperture al suolo. Nel capitolo 1 viene fatta una breve introduzione sullo sviluppo delle nuove tecnologie di rilievo con un approfondimento delle applicazioni forestali; nel secondo capitolo è affrontata la tematica legata all’acquisizione dei dati telerilevati e fotogrammetrici con una breve descrizione delle caratteristiche e grandezze principali; il terzo capitolo tratta i processi di elaborazione e classificazione delle immagini per l’estrazione delle informazioni significative. Nei tre capitoli seguenti vengono mostrati tre casi di applicazioni di fotogrammetria e telerilevamento nello studio di ecosistemi forestali. Il primo caso (capitolo 4) riguarda l’area del gruppo montuoso del Prado- Cusna, sui cui è stata compiuta un’analisi multitemporale dell’evoluzione del limite altitudinale degli alberi nell’arco degli ultimi cinquant’anni. E’ stata affrontata ed analizzata la procedura per il recupero delle prese aeree storiche, definibile mediante una serie di successive operazioni, a partire dalla digitalizzazione dei fotogrammi, continuando con la determinazione di punti di controllo noti a terra per l’orientamento delle immagini, per finire con l’ortorettifica e mosaicatura delle stesse, con l’ausilio di un Modello Digitale del Terreno (DTM). Tutto ciò ha permesso il confronto di tali dati con immagini digitali più recenti al fine di individuare eventuali cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo intercorso. Nel secondo caso (capitolo 5) si è definita per lo studio della zona del gruppo del monte Giovo una procedura di classificazione per l’estrazione delle coperture vegetative e per l’aggiornamento della cartografia esistente – in questo caso la carta della vegetazione. In particolare si è cercato di classificare la vegetazione soprasilvatica, dominata da brughiere a mirtilli e praterie con prevalenza di quelle secondarie a nardo e brachipodio. In alcune aree sono inoltre presenti comunità che colonizzano accumuli detritici stabilizzati e le rupi arenacee. A questo scopo, oltre alle immagini aeree (Volo IT2000) sono state usate anche immagini satellitari ASTER e altri dati ancillari (DTM e derivati), ed è stato applicato un sistema di classificazione delle coperture di tipo objectbased. Si è cercato di definire i migliori parametri per la segmentazione e il numero migliore di sample per la classificazione. Da una parte, è stata fatta una classificazione supervisionata della vegetazione a partire da pochi sample di riferimento, dall’altra si è voluto testare tale metodo per la definizione di una procedura di aggiornamento automatico della cartografia esistente. Nel terzo caso (capitolo 6), sempre nella zona del gruppo del monte Giovo, è stato fatto un confronto fra la timberline estratta mediante segmentazione ad oggetti ed il risultato di rilievi GPS a terra appositamente effettuati. L’obiettivo è la definizione del limite altitudinale del bosco e l’individuazione di gruppi di alberi isolati al di sopra di esso mediante procedure di segmentazione e classificazione object-based di ortofoto aeree in formato digitale e la verifica sul campo in alcune zone campione dei risultati, mediante creazione di profili GPS del limite del bosco e determinazione delle coordinate dei gruppi di alberi isolati. I risultati finali del lavoro hanno messo in luce come le moderne tecniche di analisi di immagini sono ormai mature per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissi nelle tre applicazioni considerate, pur essendo in ogni caso necessaria una attenta validazione dei dati ed un intervento dell’operatore in diversi momenti del processo. In particolare, le operazioni di segmentazione delle immagini per l’estrazione di feature significative hanno dimostrato grandi potenzialità in tutti e tre i casi. Un software ad “oggetti” semplifica l’implementazione dei risultati della classificazione in un ambiente GIS, offrendo la possibilità, ad esempio, di esportare in formato vettoriale gli oggetti classificati. Inoltre dà la possibilità di utilizzare contemporaneamente, in un unico ambiente, più sorgenti di informazione quali foto aeree, immagini satellitari, DTM e derivati. Le procedure automatiche per l’estrazione della timberline e dei gruppi di alberi isolati e per la classificazione delle coperture sono oggetto di un continuo sviluppo al fine di migliorarne le prestazioni; allo stato attuale esse non devono essere considerate una soluzione ottimale autonoma ma uno strumento per impostare e semplificare l’intervento da parte dello specialista in fotointerpretazione.
Resumo:
Thanks to the Chandra and XMM–Newton surveys, the hard X-ray sky is now probed down to a flux limit where the bulk of the X-ray background is almost completely resolved into discrete sources, at least in the 2–8 keV band. Extensive programs of multiwavelength follow-up observations showed that the large majority of hard X–ray selected sources are identified with Active Galactic Nuclei (AGN) spanning a broad range of redshifts, luminosities and optical properties. A sizable fraction of relatively luminous X-ray sources hosting an active, presumably obscured, nucleus would not have been easily recognized as such on the basis of optical observations because characterized by “peculiar” optical properties. In my PhD thesis, I will focus the attention on the nature of two classes of hard X-ray selected “elusive” sources: those characterized by high X-ray-to-optical flux ratios and red optical-to-near-infrared colors, a fraction of which associated with Type 2 quasars, and the X-ray bright optically normal galaxies, also known as XBONGs. In order to characterize the properties of these classes of elusive AGN, the datasets of several deep and large-area surveys have been fully exploited. The first class of “elusive” sources is characterized by X-ray-to-optical flux ratios (X/O) significantly higher than what is generally observed from unobscured quasars and Seyfert galaxies. The properties of well defined samples of high X/O sources detected at bright X–ray fluxes suggest that X/O selection is highly efficient in sampling high–redshift obscured quasars. At the limits of deep Chandra surveys (∼10−16 erg cm−2 s−1), high X/O sources are generally characterized by extremely faint optical magnitudes, hence their spectroscopic identification is hardly feasible even with the largest telescopes. In this framework, a detailed investigation of their X-ray properties may provide useful information on the nature of this important component of the X-ray source population. The X-ray data of the deepest X-ray observations ever performed, the Chandra deep fields, allows us to characterize the average X-ray properties of the high X/O population. The results of spectral analysis clearly indicate that the high X/O sources represent the most obscured component of the X–ray background. Their spectra are harder (G ∼ 1) than any other class of sources in the deep fields and also of the XRB spectrum (G ≈ 1.4). In order to better understand the AGN physics and evolution, a much better knowledge of the redshift, luminosity and spectral energy distributions (SEDs) of elusive AGN is of paramount importance. The recent COSMOS survey provides the necessary multiwavelength database to characterize the SEDs of a statistically robust sample of obscured sources. The combination of high X/O and red-colors offers a powerful tool to select obscured luminous objects at high redshift. A large sample of X-ray emitting extremely red objects (R−K >5) has been collected and their optical-infrared properties have been studied. In particular, using an appropriate SED fitting procedure, the nuclear and the host galaxy components have been deconvolved over a large range of wavelengths and ptical nuclear extinctions, black hole masses and Eddington ratios have been estimated. It is important to remark that the combination of hard X-ray selection and extreme red colors is highly efficient in picking up highly obscured, luminous sources at high redshift. Although the XBONGs do not present a new source population, the interest on the nature of these sources has gained a renewed attention after the discovery of several examples from recent Chandra and XMM–Newton surveys. Even though several possibilities were proposed in recent literature to explain why a relatively luminous (LX = 1042 − 1043erg s−1) hard X-ray source does not leave any significant signature of its presence in terms of optical emission lines, the very nature of XBONGs is still subject of debate. Good-quality photometric near-infrared data (ISAAC/VLT) of 4 low-redshift XBONGs from the HELLAS2XMMsurvey have been used to search for the presence of the putative nucleus, applying the surface-brightness decomposition technique. In two out of the four sources, the presence of a nuclear weak component hosted by a bright galaxy has been revealed. The results indicate that moderate amounts of gas and dust, covering a large solid angle (possibly 4p) at the nuclear source, may explain the lack of optical emission lines. A weak nucleus not able to produce suffcient UV photons may provide an alternative or additional explanation. On the basis of an admittedly small sample, we conclude that XBONGs constitute a mixed bag rather than a new source population. When the presence of a nucleus is revealed, it turns out to be mildly absorbed and hosted by a bright galaxy.
Resumo:
Una breve introduzione sulla storia del mosaico: dalle origine alle sue evoluzione tipologiche e tecnologiche nel tempo, di come si organizzavano le antiche botteghe del mosaico e le suddivisione dei compiti tra il pictor imaginarius, pictor parietarius e il musivarius (la gerarchia) all’interno di essi; la tecniche esecutiva per la messa in opera dei mosaici pavimentali romani. Visto che i mosaici si trovano a Suasa, quindi è stata riassunta la storia della città romana di Suasa con le sua varie fase edilizie, con maggior approfondimenti per gli edifici che presentano pavimentazione a mosaico: in primo luogo è la domus dei Coiedii contenente più di diciotto pavimenti in opus tessellatum. Il secondo è quello del così detto Edificio 4 (ancora inedito e di incerta natura e destinazione) portato in luce solo parzialmente con due settore a mosaico. Successivamente è stato effettuato in maniera dettagliata lo studio dello stato di conservazione dei vani musivi che sono state oggetto in senso stretto dei varie interventi conservativi, sia nella domus dei Coiedii (vano AU, oecus G e vano BB) che in Edificio 4 (vano A e vano D), evidenziando così le diverse morfologie di degrado in base “Normativa UNI 11176/2006 con l’aiuto della documentazione grafica ed fotografica. Un ampio e complessivo studio archeometrico-tecnologico dei materiali impiegati per la realizzazione dei musaici a Suasa (tessere e malte) presso i laboratori del CNR di Faenza.. Sono stati prelevati complessivamente 90 campione da tredici vani musivi di Suasa, di cui 28 campione di malte, comprese tra allettamento e di sottofondo,42 tessere lapidee e 20 tessere vitree; questi ultimi appartengono a sette vani della domus. Durante l’operazione del prelevo, è stato presso in considerazione le varie tipologie dei materiali musivi, la cromia ed le morfologie di degrado che erano presente. Tale studio ha lo scopo di individuare la composizione chimico-mineropetrografico, le caratteristiche tessiturali dei materiali e fornire precisa informazione sia per fine archeometrici in senso stretto (tecnologie di produzione, provenienza, datazione ecc.), che come supporto ai interventi di conservazione e restauro. Infine si è potuto costruire una vasta banca dati analitici per i materiali musivi di Suasa, che può essere consultata, aggiornata e confrontata in futuro con altri materiali proveniente dalla stessa province e/o regione. Applicazione dei interventi conservativi: di manutenzione, pronto intervento e di restauro eseguiti sui vani mosaicati di Suasa che presentavano un pessimo stato di conservazione e necessitavano l’intervento conservativo, con la documentazione grafica e fotografica dei varie fase dell’intervento. In particolare lo studio dei pregiatissimi materiali marmorei impiegati per la realizzazione dell’opus sectile centrale (sala G) nella domus dei Coiedii, ha portato alla classificazione e alla schedatura di sedici tipi di marmi impiegati; studio esteso poi al tessellato che lo circonda: studio del andamento, tipologie dei materiali, dei colore, dimensione delle tessere, interstizio ecc., ha permesso con l’utilizzo delle tavole tematiche di ottenere una chiara lettura per l’intero tessellato, di evidenziare così, tutti gli interventi antiche e moderni di risarciture, eseguiti dal II sec. d.C. fio ad oggi. L’aspetto didattico (teorico e pratico) ha accompagnato tutto il lavoro di ricerca Il lavoro si qualifica in conclusione come un esempio assai significativo di ricerca storicoiconografiche e archeometriche, con risultati rilevanti sulle tecnologie antiche e sui criteri di conservazione più idonei.
Resumo:
This Ph.D. Thesis has been carried out in the framework of a long-term and large project devoted to describe the main photometric, chemical, evolutionary and integrated properties of a representative sample of Large and Small Magellanic Cloud (LMC and SMC respectively) clusters. The globular clusters system of these two Irregular galaxies provides a rich resource for investigating stellar and chemical evolution and to obtain a detailed view of the star formation history and chemical enrichment of the Clouds. The results discussed here are based on the analysis of high-resolution photometric and spectroscopic datasets obtained by using the last generation of imagers and spectrographs. The principal aims of this project are summarized as follows: • The study of the AGB and RGB sequences in a sample of MC clusters, through the analysis of a wide near-infrared photometric database, including 33 Magellanic globulars obtained in three observing runs with the near-infrared camera SOFI@NTT (ESO, La Silla). • The study of the chemical properties of a sample of MCs clusters, by using optical and near-infrared high-resolution spectra. 3 observing runs have been secured to our group to observe 9 LMC clusters (with ages between 100 Myr and 13 Gyr) with the optical high-resolution spectrograph FLAMES@VLT (ESO, Paranal) and 4 very young (<30 Myr) clusters (3 in the LMC and 1 in the SMC) with the near-infrared high-resolution spectrograph CRIRES@VLT. • The study of the photometric properties of the main evolutive sequences in optical Color- Magnitude Diagrams (CMD) obtained by using HST archive data, with the final aim of dating several clusters via the comparison between the observed CMDs and theoretical isochrones. The determination of the age of a stellar population requires an accurate measure of the Main Sequence (MS) Turn-Off (TO) luminosity and the knowledge of the distance modulus, reddening and overall metallicity. For this purpose, we limited the study of the age just to the clusters already observed with high-resolution spectroscopy, in order to date only clusters with accurate estimates of the overall metallicity.
Resumo:
Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.
Resumo:
Confronto tra due software specifici per l'analisi di rischio nel trasporto stradale di merci pericolose (TRAT GIS 4.1 e QRAM 3.6) mediante applicazione a un caso di studio semplice e al caso reale di Casalecchio di Reno, comune della provincia di Bologna.
Resumo:
Da ormai sette anni la stazione permanente GPS di Baia Terranova acquisisce dati giornalieri che opportunamente elaborati consentono di contribuire alla comprensione della dinamica antartica e a verificare se modelli globali di natura geofisica siano aderenti all’area di interesse della stazione GPS permanente. Da ricerche bibliografiche condotte si è dedotto che una serie GPS presenta molteplici possibili perturbazioni principalmente dovute a errori nella modellizzazione di alcuni dati ancillari necessari al processamento. Non solo, da alcune analisi svolte, è emerso come tali serie temporali ricavate da rilievi geodetici, siano afflitte da differenti tipologie di rumore che possono alterare, se non opportunamente considerate, i parametri di interesse per le interpretazioni geofisiche del dato. Il lavoro di tesi consiste nel comprendere in che misura tali errori, possano incidere sui parametri dinamici che caratterizzano il moto della stazione permanente, facendo particolare riferimento alla velocità del punto sul quale la stazione è installata e sugli eventuali segnali periodici che possono essere individuati.
Resumo:
In questa tesi si è voluta porre l’attenzione sulla suscettibilità alle alte temperature delle resine che li compongono. Lo studio del comportamento alle alte temperature delle resine utilizzate per l’applicazione dei materiali compositi è risultato un campo di studio ancora non completamente sviluppato, nel quale c’è ancora necessità di ricerche per meglio chiarire alcuni aspetti del comportamento. L’analisi di questi materiali si sviluppa partendo dal contesto storico, e procedendo successivamente ad una accurata classificazione delle varie tipologie di materiali compositi soffermandosi sull’ utilizzo nel campo civile degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) e mettendone in risalto le proprietà meccaniche. Considerata l’influenza che il comportamento delle resine riveste nel comportamento alle alte temperature dei materiali compositi si è, per questi elementi, eseguita una classificazione in base alle loro proprietà fisico-chimiche e ne sono state esaminate le principali proprietà meccaniche e termiche quali il modulo elastico, la tensione di rottura, la temperatura di transizione vetrosa e il fenomeno del creep. Sono state successivamente eseguite delle prove sperimentali, effettuate presso il Laboratorio Resistenza Materiali e presso il Laboratorio del Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali, su dei provini confezionati con otto differenti resine epossidiche. Per valutarne il comportamento alle alte temperature, le indagini sperimentali hanno valutato dapprima le temperature di transizione vetrosa delle resine in questione e, in seguito, le loro caratteristiche meccaniche. Dalla correlazione dei dati rilevati si sono cercati possibili legami tra le caratteristiche meccaniche e le proprietà termiche delle resine. Si sono infine valutati gli aspetti dell’applicazione degli FRP che possano influire sul comportamento del materiale composito soggetto alle alte temperature valutando delle possibili precauzioni che possano essere considerate in fase progettuale.
Resumo:
La tesi tratta di strumenti finalizzati alla valutazione dello stato conservativo e di supporto all'attività di manutenzione dei ponti, dai più generali Bridge Management Systems ai Sistemi di Valutazione Numerica della Condizione strutturale. Viene proposto uno strumento originale con cui classificare i ponti attraverso un Indice di Valutazione Complessiva e grazie ad esso stabilire le priorità d'intervento. Si tara lo strumento sul caso pratico di alcuni ponti della Provincia di Bologna. Su un ponte in particolare viene realizzato un approfondimento specifico sulla determinazione approssimata dei periodi propri delle strutture da ponte. Si effettua un confronto dei risultati di alcune modellazioni semplificate in riferimento a modellazioni dettagliate e risultati sperimentali.