905 resultados para ingegneria tissutale,scaffold,rigenerazione dei tessuti,blend polimerico,gelatina,nanocellulosa,processi di reticolazione


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Scopo di questa tesi di dottorato è stabilire se l’obiezione di coscienza in ambito medico sia moralmente giustificabile. Esistono essenzialmente tre tipi di rifiuto motivati dall’obiezione di coscienza (1) rifiuto di informare un paziente relativamente alle opzioni terapeutiche come ad esempio l’uso di un contraccettivo di emergenza o l’interruzione volontaria di gravidanza (2) rifiuto di rinviare un paziente che chiede un particolare intervento (o terapia) presso un collega non obiettore (3) rifiuto di svolgere in prima persona una certa attività richiesta dal paziente Per rispondere a questo interrogativo si è svolta un’analisi filosofico-morale dei principali argomenti utilizzati dalla letteratura su questo tema per giustificare o per negare un diritto morale all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari. Il diritto degli operatori sanitari all’integrità morale e a non essere complici di attività ritenute immorali dev’essere infatti confrontato con il diritto dei pazienti ad avere un’assistenza sanitaria efficiente, a poter compiere scelte autonome riguardo alla propria salute e ad essere informati relativamente a tutte le opzioni terapeutiche disponibili. Nel corso dell’intero lavoro è stato dimostrato come suddetti diritti dei pazienti sono facilmente e frequentemente violati a causa dell’incidenza dell’obiezione di coscienza in ambito medico. L’analisi condotta nel corso del lavoro di tesi si concentra fondamentalmente su quattro importanti aspetti del problema quali diritto all’integrità morale dell’ operatore sanitario, obblighi professionali, cooperazione al male e laicità dello stato. Alla fine del lavoro di analisi si è giunti alla conclusione che: le obiezioni di tipo (1) e (2) non sono mai moralmente giustificabili perché comportano sempre una violazione dei diritti fondamentali del paziente. Le obiezioni di coscienza di tipo (3) sono moralmente accettabili solo quando non impongono un peso eccessivo al paziente, vale a dire quando il rinvio presso un collega non obiettore è veloce, sicuro e agevole. Tuttavia le condizioni ideali in cui vengono rispettati i criteri minimi di ammissibilità dell’obiezione di coscienza di tipo (3) non si verificano quasi mai nella realtà dei fatti (per ragioni ampiamente spiegate nel corso del lavoro), per cui tali obiezioni risultano in pratica solo raramente accettabili da un punto d vista morale.

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La tesi ha mostrato come il pensiero politico di Montesquieu possa costituire un utile riferimento teorico per affrontare il problema della ricontestualizzazione dello studio delle relazioni internazionali. La prima parte del lavoro evidenzia alcuni aspetti del metodo di ricerca e del pensiero politico di Montesquieu. Nel primo capitolo, è stato identificato un metodo di ricerca ed un approccio sociologico nello studio della politica, che rappresenta un precedente rispetto alla fondazione di una scienza politica che si propone di identificare nessi causali tra i fenomeni politici. In particolare, si deve riconoscere a Montesquieu il merito di aver introdotto un tipo di analisi della politica che consideri l’interazione di più fattori tra loro. La complessità del reale può essere spiegata soltanto identificando i rapporti che si formano tra gli elementi della realtà. Quindi è possibile porre dei principi in grado di produrre un ordine conoscibile ed interpretabile di tutti questi elementi. Nel secondo capitolo è stata presentata un’analisi delle tipologie delle forme di governo e del concetto di libertà politica. Questo capitolo ha evidenziato solo alcuni aspetti del pensiero politico di Montesquieu utili alla comprensione del pensiero politico internazionale. In particolare, è stata analizzata la struttura e il ressort di ogni forma di governo sottolineando gli aspetti di corruzione e i relativi processi di mutamento. La seconda parte del lavoro ha affrontato l’analisi di un pensiero politico internazionale ed ha evidenziato la rilevanza di una riflessione geopolitica. Nel terzo capitolo abbiamo mostrato l’emersione di una riflessione su alcuni argomenti di relazioni internazionali, quali il problema della guerra e della pace, il diritto internazionale e l’interdipendenza economica, legandoli alle forme di governo. Quindi sono stati identificati ed analizzati tre modelli di sistema internazionale sottolineando in particolare il nesso con il concetto di società internazionale. Tra questi modelli di sistema internazionale, quello che presenta le caratteristiche più singolari, è certamente il sistema della federazione di repubbliche. Infine, nell’ultimo capitolo, abbiamo evidenziato l’importanza della rappresentazione spaziale del mondo di Montesquieu e l’uso di categorie concettuali e metodi di analisi della geopolitica. In particolare, è stata rilevata l’importanza dell’aspetto dimensionale per la comprensione delle dinamiche di ascesa e declino delle forme di Stato e delle forme di governo. Si è mostrato come non sia possibile ascrivere il pensiero di Montesquieu nella categoria del determinismo geografico o climatico. Al contrario, abbiamo evidenziato come tale pensiero possa essere considerato un precedente di una corrente di pensiero della geopolitica francese definita “possibilismo”. Secondo questa teoria i fattori ambientali, più che esercitare un’azione diretta sul comportamento dell’uomo, agiscono selezionando il campo delle scelte possibili.

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Al fine di studiare la richiesta di energia imposta dall’esercizio per mantenere l’omeostasi dell’adenosina trifosfato o ATP a livello cellulare, è stato sviluppato e applicato con successo un modello matematico del sistema biologico, che descrive l’interazione tra il trasporto di ossigeno (per convezione e diffusione) e i meccanismi del metabolismo energetico cellulare, che avvengono nel muscolo scheletrico durante l’esercizio.

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La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.

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La ricerca ha mirato a ricostruire storicamente quali furono le motivazioni che, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, portarono gli amministratori della Cassa Risparmio in Bologna a progettare la creazione di un Museo d’arte e di Storia della città, delineandone quelli che furono i principali responsabili e protagonisti. Dall’analisi dei documenti conservati presso l’Archivio della Cassa di Risparmio è emerso uno studio approfondito dei protagonisti della politica artistica e culturale dell’Istituto, oltre che dei legami e delle relazioni intessute con le principali istituzioni cittadine. Lo studio si è progressivamente focalizzato su un particolare momento della storia di Bologna, quando, in seguito all’approvazione del Piano Regolatore del 1889, la città fu per oltre un trentennio sottoposta a radicali trasformazioni urbanistiche che ne cambiarono completamente l’aspetto. Tra i personaggi finora ignoti di questa storia è emerso il nome dell’ingegnere Giambattista Comelli, consigliere e vice segretario della banca alla fine del XIX secolo, che per primo, nel 1896, avanzò la proposta di creare un museo dell’Istituto. A differenza di quanto ritenuto sino ad oggi, questo avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni originarie, esclusivamente funzione di riunire e mostrare oggetti e documenti inerenti la nascita e lo sviluppo della Cassa di Risparmio. Un museo, dunque, che ne celebrasse l’attività, mostrando alla città come la banca avesse saputo rispondere prontamente e efficacemente, anche nei momenti più critici, alle esigenze dei bolognesi. Personaggio oggi dimenticato, Comelli fu in realtà figura piuttosto nota in ambito cittadino, inserita nei principali sodalizi culturali dell’epoca, tra cui la Regia Deputazione di Storia Patria e il Comitato per Bologna Storico Artistica, assieme a quei Rubbiani, Cavazza e Zucchini, che tanta influenza ebbero, come vedremo in seguito, sugli orientamenti Si dovettero tuttavia aspettare almeno due decenni, affinché l’idea originaria di fondare un Museo della Cassa di Risparmio si evolvesse in un senso più complesso e programmatico. Le ricerche hanno infatti evidenziato che le Raccolte d’Arte della Cassa di Risparmio non avrebbero acquistato l’importanza e la consistenza che oggi ci è dato constatare senza l’intervento decisivo di un personaggio noto fino ad oggi soltanto per i suoi indubbi meriti artistici: Alfredo Baruffi. Impiegato come ragioniere della Cassa fin dai diciotto anni, il Baruffi divenne, una volta pensionato, il “conservatore” delle Collezioni della Cassa di Risparmio. Fu lui a imprimere un nuovo corso all’originaria idea di Comelli, investendo tutte le proprie energie nella raccolta di dipinti, disegni, incisioni, libri, incunaboli, autografi, fotografie e oggetti d’uso quotidiano, col proposito di creare un museo che raccontasse la storia di Bologna e delle sue ultime grandi trasformazioni urbanistiche. Attraverso l’attenta analisi dei documenti cartacei e il raffronto con le opere in collezione è stato quindi possibile ricostruire passo dopo passo la nascita di un progetto culturale di ampia portata. La formazione della raccolta fu fortemente influenzata dalle teorie neomedievaliste di Alfonso Rubbiani, oltre che dalla volontà di salvaguardare, almeno a livello documentario, la memoria storica della Bologna medievale che in quegli anni stava per essere irrimediabilmente cancellata. Le scelte che orientarono la raccolta dei materiali, recentemente confluiti per la maggior parte nelle Collezioni della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna, acquistano, con questo studio una nuova valenza grazie alla scoperta degli stretti rapporti che Baruffi intrattenne coi principali rappresentanti della cerchia rubbianesca, tra cui Francesco Cavazza, Guido Zucchini e Albano Sorbelli. Con essi Baruffi partecipò infatti a numerosi sodalizi e iniziative quali il Comitato per Bologna Storico Artistica, la “Mostra Bologna che fu” e la società Francesco Francia, che segnarono profondamente l’ambiente culturale cittadino. La portata e la qualità delle scelte condotte da Baruffi nell’acquisto e raccolta dei materiali si rivela ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, attenta e mirata per il ruolo documentario che le Raccolte avevano e hanno assunto quali preziose e spesso uniche testimonianze del recente passato cittadino. Esaminata tutta la documentazione inerente la nascita delle Raccolte, la ricerca si è ha successivamente concentrata sulla vicenda di acquisto del fondo delle incisioni carraccesche della collezione Casati. La prima parte del lavoro è consistita nel repertoriare e trascrivere tutti i documenti relativi alla transazione d’acquisto, avvenuta nel 1937, vicenda che per la sua complessità impegnò per molti mesi, in un fitto carteggio, Baruffi, la direzione della Cassa e l’antiquario milanese Cesare Fasella. Il raffronto tra documenti d’archivio, inventari e materiale grafico ha permesso di ricostituire, seppur con qualche margine di incertezza, l’intera collezione Casati, individuando quasi 700 incisioni e 22 dei 23 disegni che la componevano. L’ultima fase di studio ha visto l’inventariazione e la catalogazione delle 700 incisioni. Il catalogo è stato suddiviso per autori, partendo dalle incisioni attribuite con certezza ad Agostino e ai suoi copisti, per poi passare ad Annibale e a Ludovico e ai loro copisti. Le incisioni studiate si sono rivelate tutte di grande qualità. Alcuni esemplari sono inoltre particolarmente significativi dal punto di vista storico-critico, perché mai citati nei tre principali e più recenti repertori di stampe carraccesche. Lo studio si conclude con l’individuazione di una stretta correlazione tra il pensiero e della pratica operatività in qualità di archivista, museografo e opinionista, di un altrettanto decisivo protagonista della ricerca, lo storico dell’arte Corrado Ricci, la cui influenza esercitata nell’ambiente culturale bolognese di quegli anni è già sottolineata nel primo capitolo. La conclusione approfondisce i possibili raporti e legami tra Baruffi e Corrado Ricci i cui interventi attorno alla questione della tutela e della salvaguardia del patrimonio storico, artistico, e paesaggistico italiano furono fondamentali per la nascita di una coscienza artistica e ambientale comune e per il conseguente sviluppo di leggi ad hoc. Numerose furono infatti le occasioni d’incontro tra Baruffi e Ricci. Qesti fu socio onorario del Comitato per Bologna Storico Artistica, nonché, quando era già Direttore Generale delle Belle Arti, presidente della storica mostra “Bologna che fu”. Sia Ricci che Baruffi fecero inoltre parte di quelle iniziative volte alla difesa e alla valorizzazione del paesaggio naturale, inteso anche in un ottica di promozione turistica, che videro la nascita proprio in Emilia Romagna: nel 1889 nasce l’Associazione Pro Montibus et silvis, del 1906 è l’Associazione nazionale per i paesaggi e monumenti pittoreschi, del 1912 è la Lega Nazionale per la protezione dei monumenti naturali. Queste iniziative si concretizzarono con la fondazione a Milano nel 1913 del Comitato Nazionale per la difesa del paesaggio e i monumenti italici, costituitosi presso la sede del Touring Club Italiano. Quelle occasioni d’incontro, come pure gli scritti di Ricci, trovarono certamente un terreno fertile in Baruffi conservatore, che nella formazione delle Collezioni, come pure nelle sua attività di “promotore culturale”, ci appare oggi guidato dalle teorie e dall’esempio pratico dei due numi tutelari: Alfonso Rubbiani e Corrado Ricci. La ricerca di documentazione all’interno di archivi e biblioteche cittadine, ha infine rivelato che il ruolo svolto da Baruffi come “operatore culturale” non fu quello di semplice sodale, ma di vero protagonista della scena bolognese. Soprattutto a partire dal secondo decennio del Novecento, quando fors’anche a seguito della morte del “maestro” Rubbiani, egli divenne uno tra i personaggi più impegnati in iniziative di tutela e promozione del patrimonio artistico cittadino, antico e moderno che fosse, intese a condizionare la progettualità politica e culturale della città. In tale contesto si può ben arguire il ruolo che avrebbero assunto le Collezioni storico artistiche numismatiche, popolaresche, della Cassa di Risparmio, cui Baruffi dedicò tutta la sua carriera successiva.

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Negli ultimi decenni la Politica Agricola Comune (PAC) è stata sottoposta a diverse revisioni, più o meno programmate, che ne hanno modificato gli obiettivi operativi e gli strumenti per perseguirli. In letteratura economica agraria sono state eseguite diverse ricerche che affrontano analisi ex-ante sui possibili impatti delle riforme politiche, in particolare al disaccoppiamento, riguardo all’allocazione dei terreni alle diverse colture e all’adozione di tecniche di coltivazione più efficienti. Ma tale argomento, nonostante sia di grande importanza, non è stato finora affrontato come altri temi del mondo agricolo. Le principali lacune si riscontrano infatti nella carenza di analisi ex-ante, di modelli che includano le preferenze e le aspettative degli agricoltori. Questo studio valuta le scelte di investimento in terreno di un’azienda agricola di fronte a possibili scenari PAC post-2013, in condizioni di incertezza circa le specifiche condizioni in cui ciascuno scenario verrebbe a verificarsi. L’obiettivo è di ottenere indicazioni utili in termini di comprensione delle scelte di investimento dell’agricoltore in presenza di incertezza sul futuro. L’elemento maggiormente innovativo della ricerca consiste nell’applicazione di un approccio real options e nell’interazione tra la presenza di diversi scenari sul futuro del settore agricolo post-2013, e la componente di incertezza che incide e gravita su di essi. La metodologia adottata nel seguente lavoro si basa sulla modellizzazione di un’azienda agricola, in cui viene simulato il comportamento dell’azienda agricola in reazione alle riforme della PAC e alla variazione dei prezzi dei prodotti in presenza di incertezza. Mediante un modello di Real Option viene valutata la scelta della tempistica ottimale per investire nell’acquisto di terreno (caratterizzato da incertezza e irreversibilità). Dai risultati emerge come in presenza di incertezza all’agricoltore convenga rimandare la decisione a dopo il 2013 e in base alle maggiori informazioni disponibili eseguire l’investimento solo in presenza di condizioni favorevoli. La variazione dei prezzi dei prodotti influenza le scelte più dell’incertezza dei contributi PAC. Il Real Option sembra interpretare meglio il comportamento dell’agricoltore rispetto all’approccio classico del Net Present Value.

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Nelle attuali organizzazioni sanitarie non è raro trovare operatori sanitari i quali ritengono che la relazione con il paziente consista nell'avere adeguate competenze tecniche inerenti la professione e nell'applicarle con attenzione e diligenza. Peraltro si tende ad invocare il “fattore umano”, ma si lamenta poi che l’operatore si rapporti col paziente in modo asettico e spersonalizzato. Da un punto di vista scientifico il termine “relazione” in psicologia si riferisce essenzialmente ai significati impliciti e quasi sempre non consapevoli veicolati da qualunque relazione: dipende pertanto dalla struttura psichica dei due interlocutori investendo in particolare la sfera dell’affettività e procede per processi comunicativi che travalicano il linguaggio verbale e con esso le intenzioni razionali e coscienti. La relazione interpersonale quindi rientra nel più ampio quadro dei processi di comunicazione: sono questi o meglio i relativi veicoli comunicazionali, che ci dicono della qualità delle relazioni e non viceversa e cioè che i processi comunicazionali vengano regolati in funzione della relazione che si vuole avere (Imbasciati, Margiotta, 2005). Molti studi in materia hanno dimostrato come, oltre alle competenze tecnicamente caratterizzanti la figura dell’infermiere, altre competenze, di natura squisitamente relazionale, giochino un ruolo fondamentale nel processo di ospedalizzazione e nella massimizzazione dell’aderenza al trattamento da parte del paziente, la cui non osservanza è spesso causa di fallimenti terapeutici e origine di aumentati costi sanitari e sociali. Questo aspetto è però spesso messo in discussione a favore di un maggiore accento sugli aspetti tecnico professionali. Da un “modello delle competenze” inteso tecnicisticamente prende origine infatti un protocollo di assistenza infermieristica basato sull’applicazione sistematica del problem solving method: un protocollo preciso (diagnosi e pianificazione) guida l’interazione professionale fra infermiere e la persona assistita. A lato di questa procedura il processo di assistenza infermieristica riconosce però anche un versante relazionale, spesso a torto detto umanistico riferendosi alla soggettività dei protagonisti interagenti: il professionista e il beneficiario dell’assistenza intesi nella loro globalità bio-fisiologica, psicologica e socio culturale. Nel pensiero infermieristico il significato della parola relazione viene però in genere tradotto come corrispondenza continua infermiere-paziente, basata sulle dimensioni personali del bisogno di assistenza infermieristica e caratterizzata da un modo di procedere dialogico e personalizzato centrato però sugli aspetti assistenziali, in cui dall’incontro degli interlocutori si determinerebbe la natura delle cure da fornire ed i mezzi con cui metterle in opera (Colliere, 1992; Motta, 2000). Nell’orientamento infermieristico viene affermata dunque la presenza di una relazione. Ma di che relazione si tratta? Quali sono le capacità necessarie per avere una buona relazione? E cosa si intende per “bisogni personali”? Innanzitutto occorre stabilire cosa sia la buona relazione. La buona o cattiva relazione è il prodotto della modalità con cui l’operatore entra comunque in interazione con il proprio paziente ed è modulata essenzialmente dalle capacità che la sua struttura, consapevole o no, mette in campo. DISEGNO DELLA LA RICERCA – 1° STUDIO Obiettivo del primo studio della presente ricerca, è un’osservazione delle capacità relazionali rilevabili nel rapporto infermiere/paziente, rapporto che si presume essere un caring. Si è voluto fissare l’attenzione principalmente su quelle dimensioni che possono costituire le capacità relazionali dell’infermiere. Questo basandoci anche su un confronto con le aspettative di relazione del paziente e cercando di esplorare quali collegamenti vi siano tra le une e le altre. La relazione e soprattutto la buona relazione non la si può stabilire con la buona volontà, né con la cosiddetta sensibilità umana, ma necessita di capacità che non tutti hanno e che per essere acquisite necessitano di un tipo di formazione che incida sulle strutture profonde della personalità. E’ possibile ipotizzare che la personalità e le sue dimensioni siano il contenitore e gli elementi di base sui quali fare crescere e sviluppare capacità relazionali mature. Le dimensioni di personalità risultano quindi lo snodo principale da cui la ricerca può produrre i suoi risultati e da cui si è orientata per individuare gli strumenti di misura. La motivazione della nostra scelta dello strumento è da ricercare quindi nel tentativo di esplorare l’incidenza delle dimensioni e sottodimensioni di personalità. Tra queste si è ritenuto importante il costrutto dell’Alessitimia, caratteristico nel possesso e quindi nell’utilizzo, più o meno adeguato, di capacità relazionali nel processo di caring,

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La tesi di Martina Visentin, dal titolo “Processi di morfogenesi delle politiche sociali locali: le sfide della sussidiarietà e della riflessività ”, intende analizzare le pratiche di sussidiarietà relative a due progetti di politica familiare nel contesto veneto. La sussidiarietà è intesa come modalità di lavoro entro queste progettualità, strettamente connessa alla riflessività dei servizi che vengono attuati. La tesi è suddivisa nel segente modo. Nela prima parte si esplora la dimensione teorica del principio di sussidiarietà. Tale contestualizzazione è utile per poter arrivare alla dimensione sociologica del concetto e comprendere la portata innovativa dell'attuazione del principio di sussidiarietà. Nella seconda parte si affronta il tema della trasformazione del welfare italiano attraverso lo sguardo dei servizi alla persona. Nello specifico, si evidenzia che, nella realizzazione di tali servizi, la valorizzazione della capacità riflessiva degli attori in gioco non deve mai essere mai essere data per scontata. Pur nella difficoltà e nella consapevolezza che questo implichi l'attuazione di una radicale revisione delle identità, delle funzioni degli attori in gioco (e la conseguente costruzione e riconoscimento di codici propri) e che tale sviluppo è possibile solo entro un quadro di nuova capacità riflessiva. Nella terza parte viene esposto lo studio di casi: I due studi di caso presentati sono: i) il progetto Politiche Familiari del Comune di Montebelluna (Tv) che ha l'obiettivo di promuovere e valorizzare la piena cittadinanza della famiglia; ii) il progetto 'Famiglie in rete', che prevede in tutto il territorio dell' U.l.s.s. n. 8 di Asolo (Tv) la promozione e la creazione di reti di solidarietà tra famiglie. Attraverso di essi si è voluto comprendere come gli attori in gioco debbano cambiare la loro identità e funzione per lavorare sussidiariamente. Infine, nelle conclusioni, vengono esposti i principali risultati della ricerca. Nel tracciare l'emergere di elementi morfostatici e morfogenetici (Archer 1995) si è tentata una valutazione della bontà dei progetti attraverso un'analisi comparativa dei nodi critici e delle potenzialità dei due casi.

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Studio dell'avvento di nuove realtà produttive energetiche da fonti rinnovabili nel settore del gas naturale. Il settore analizzato risulta quello relativo all'allacciamento di impianti di produzione di biometano alla rete del gas naturale. La finalità è la valutazione degli effetti della generazione distribuita di biometano nel futuro sistema del gas naturale (Smart Grid Gas) in termini di progettazione e conduzione del sistema nel suo complesso.

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L’argomento scelto riguarda l’adozione di standard privati da parte di imprese agro-alimentari e le loro conseguenze sulla gestione globale dell’azienda. In particolare, lo scopo di questo lavoro è quello di valutare le implicazioni dovute all’adozione del BRC Global Standard for Food Safety da parte delle imprese agro-alimentari italiane. La valutazione di tale impatto è basata sulle percezioni dei responsabili aziendali in merito ad aspetti economici, gestionali, commerciali, qualitativi, organizzativi. La ricerca ha seguito due passaggi fondamentali: innanzitutto sono state condotte 7 interviste in profondità con i Responsabili Qualità (RQ) di aziende agro-alimentari italiane certificate BRC Food. Le variabili estrapolate dall’analisi qualitativa del contenuto delle interviste sono state inserite, insieme a quelle rilevate in letteratura, nel questionario creato per la successiva survey. Il questionario è stato inviato tramite e-mail e con supporto telefonico ad un campione di aziende selezionato tramite campionamento random. Dopo un periodo di rilevazione prestabilito, sono stati compilati 192 questionari. L’analisi descrittiva dei dati mostra che i RQ sono in buona parte d’accordo con le affermazioni riguardanti gli elementi d’impatto. Le affermazioni maggiormente condivise riguardano: efficienza del sistema HACCP, efficienza del sistema di rintracciabilità, procedure di controllo, formazione del personale, miglior gestione delle urgenze e non conformità, miglior implementazione e comprensione di altri sistemi di gestione certificati. Attraverso l’analisi ANOVA fra variabili qualitative e quantitative e relativo test F emerge che alcune caratteristiche delle aziende, come l’area geografica, la dimensione aziendale, la categoria di appartenenza e il tipo di situazione nei confronti della ISO 9001 possono influenzare differentemente le opinioni degli intervistati. Successivamente attraverso un’analisi fattoriale sono stati estratti 8 fattori partendo da un numero iniziale di 28 variabili. Sulla base dei fattori è stata applicata la cluster analysis di tipo gerarchico che ha portato alla segmentazione del campione in 5 gruppi diversi. Ogni gruppo è stato interpretato sulla base di un profilo determinato dal posizionamento nei confronti dei vari fattori. I risultati oltre ad essere stati validati attraverso focus group effettuati con ricercatori ed operatori del settore, sono stati supportati anche da una successiva indagine qualitativa condotta presso 4 grandi retailer inglesi. Lo scopo di questa successiva indagine è stato quello di valutare l’esistenza di opinioni divergenti nei confronti dei fornitori che andasse quindi a sostenere l’ipotesi di un problema di asimmetria informativa che nonostante la presenza di standard privati ancora sussiste nelle principali relazioni contrattuali. Ulteriori percorsi di ricerca potrebbero stimare se la valutazione dell’impatto del BRC può aiutare le aziende di trasformazione nell’implementazione di altri standard di qualità e valutare quali variabili possono influenzare invece le percezioni in termini di costi dell’adozione dello standard.