945 resultados para délimitations de genres
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Il seguente studio propone l'esame di una cronaca veneziana del XVI secolo, inedita, dalle origini al 1538/39, che parte della tradizione manoscritta attribuisce al Patriarca di Venezia Giovanni Tiepolo (1619-1631), parte ad Agostino degli Agostini, (1530-1574), un patrizio veneziano il cui nome è legato essenzialmente ad una cronaca dal 421 al 1570. Indipendentemente da chi sia il primitivo autore, la cronaca, di discreto pregio per la storia interna e il funzionamento delle istituzioni veneziane, presenta elementi di spiccata originalità dal punto di vista compositivo e formale che la pongono in una prospettiva storiografica alternativa al dualismo tra la storiografia ufficiale promossa per pubblico decreto e l'iniziativa privata dei diaria del XV-XVI. La cronaca veneziana, abbandonata per formule più sofisticate e innovative di diffusione dell'informazione pubblica, sopravvive, formalmente immutata nella sua arcaicità, rinnovandosi nella tendenza a creare compendi ricchi di documenti e di elenchi, destinati ad aiutare la nobiltà ad orientarsi nel mondo socio-politico contemporaneo. Si consuma così il divorzio fra l'informazione tecnico-politica utile al patriziato nello svolgimento del suo lavoro e la storiografia pubblica che, di fronte alle varie esigenze e ai diversi generi letterari, sceglie ideologicamente di abbracciare il genere delle laus civitatis e della storiografia laudativa ed encomiastica. In questo contesto si inserisce la Cronaca esemplata dal Patriarca Giovanni Tiepolo, chiaro esempio di un tentativo di razionalizzazione dell'informazione in cui le notizie e gli elementi non ritenuti immediatamente utili come le lunghe liste dei 41 elettori, le promissioni ducali, nonchè singoli episodi ed eventi trattati, trovano una collocazione esterna alla cronaca, in quello che Reines definisce l'ormai nascente archivio politico del XVI secolo.
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La dissertazione è uno studio monografico delle cantate dialogiche e delle serenate a più voci e strumenti composte da Händel in Italia negli anni 1706-1710. Insieme ai drammi per musica e agli oratori coevi, le quattro cantate "Aminta e Fillide" HWV 83, "Clori, Tirsi e Fileno" HWV 96, "Il duello amoroso" HWV 82, "Apollo e Dafne" HWV 122 e le due serenate "Aci, Galatea e Polifemo" HWV 72 e "Olinto pastore arcade alle glorie del Tebro" HWV 143 costituiscono le prime importanti affermazioni di Händel come compositore di musica vocale. Le sei composizioni sono state studiate sotto l’aspetto storico-letterario, drammaturgico-musicale e della committenza, con l’obiettivo di individuare intersecazioni fra questi piani. I testi poetici, di cui si è curata l’edizione, sono stati analizzati da un punto di vista storico e stilistico e collocati nel particolare contesto romano del primo Settecento, in cui la proibizione di ogni spettacolo teatrale determinò, sotto la spinta di una raffinata committenza, un ‘drammatizzazione’ dei generi della cantata e della serenata. L’analisi musicale di ciascuna composizione è stata dunque finalizzata a una lettura ‘drammaturgica’, che ha portato alla individuazione dei dispositivi di ascendenza teatrale nella scelte compositive di Händel. Lo studio si conclude con un selettivo confronto con le cantate e le serenate scritte negli stessi anni a Roma da Alessandro Scarlatti.
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La ricerca pone al centro dell’indagine lo studio dell’importanza del cibo nelle cerimonie nuziali dell’Europa occidentale nei secoli V-XI. Il corpus di fonti utilizzate comprende testi di genere diverso: cronache, annali, agiografie, testi legislativi, a cui si è aggiunta un’approfondita analisi delle antiche saghe islandesi. Dopo un'introduzione dedicata in particolare alla questione della pubblicità della celebrazione, la ricerca si muove verso lo studio del matrimonio come “processo” sulla base della ritualità alimentare: i brindisi e i banchetti con cui si sigla l’accordo di fidanzamento e i ripetuti convivi allestiti per celebrare le nozze. Si pone attenzione anche ad alcuni aspetti trasversali, come lo studio del caso della “letteratura del fidanzamento bevuto”, ossia una tradizione di testi letterari in cui il fidanzamento tra i protagonisti viene sempre ratificato con un brindisi; a questo si aggiunge un’analisi di stampo antropologico della "cultura dell’eccesso", tipica dei rituali alimentari nuziali nel Medioevo, in contrasto con la contemporanea "cultura del risparmio". L'analisi si concentra anche sulle reiterate proibizioni al clero, da parte della Chiesa, di partecipare a banchetti e feste nuziali, tratto comune di tutta l’epoca altomedievale. Infine, la parte conclusiva della ricerca è incentrata sulla ricezione altomedievale di due figure bibliche che pongono al centro della narrazione un banchetto nuziale: la parabola delle nozze e il banchetto di Cana. L’insistente presenza di questi due brani nelle parole dei commentatori biblici mostra la straordinaria efficacia del “linguaggio alimentare”, ossia di un codice linguistico basato sul cibo (e su contesti quali l’agricoltura, la pesca, ecc.) come strumento di comunicazione sociale di massa con una valenza antropologica essenzialmente universale.
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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.
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La presente ricerca ha un duplice obiettivo. Primo, individuare i modi in cui lingue e identità culturali diverse sono state rappresentate al cinema. Secondo, identificare le diverse strade imboccate dai professionisti del doppiaggio italiano quando si trovano a confrontarsi con un film in cui si parlano più lingue. La ricerca propone un approccio multidisciplinare che combina i contributi teorici sviluppati nel campo degli studi di traduzione audiovisiva con le modalità di analisi più comunemente utilizzate dalla semiotica del cinema. L'analisi si basa su un campione di 224 film multilingue prodotti dall'inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Duemila. Particolare attenzione viene indirizzata al quadro teorico all'interno del quale viene interpretato il ruolo che il multilinguismo assume al cinema. Vengono identificate tre funzioni principali: conflitto, confusione e resa realistica. Un altro elemento chiave nell'analisi è costituito dal genere cinematografico prevalente a cui è possibile ricondurre ciascuno dei film selezionati. Sono individuati tre generi principali: il film drammatico, la commedia e il thriller. Nel film drammatico il multilinguismo agisce come un veicolo che produce e accentua il conflitto, mentre nella commedia esso di solito diventa un dispositivo comico che crea confusione e umorismo. Nel cinema thriller, invece, il multilinguismo funziona essenzialmente come un veicolo di suspense. Per quanto riguarda le soluzioni traduttive adottate nel doppiaggio italiano del cinema multilingue, sono rilevate tre macro-strategie: la conservazione, la neutralizzazione e la riduzione dell'originale dimensione multilingue. Ciascuna di queste tre strategie è passata a vaglio critico. Se nel primo caso si tratta di un tentativo di riprodurre fedelmente le originali situazioni multilingue rappresentate nel film, negli altri due casi si tratta di soluzioni che risentono fortemente delle specificità del doppiaggio come modalità di traduzione degli audiovisivi (fattori ideologici ed economici, nonché il problema tecnico dell'armonizzazione delle voci per i personaggi bilingue).
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Als charakteristische Besonderheit in der koreanischen Geschichte besitzt der Korea-Krieg eine wichtige Position, so dass er bisher die gesamte Landesstruktur und -geschichte stark beeinflusst hat. Das gilt auch für die koreanische Filmgeschichte und nach dem Korea-Krieg im Jahr 1950 wurde in den Filmen das Thema „Landesteilung“ häufig aufgegriffen und bis heute oft behandelt.rnIn dieser Untersuchung werden solche Filme als Konflikt-Filme bezeichnet, die die Spaltung des Landes und die Beziehungen zu Nordkorea thematisieren, und insgesamt 60 Beispielfilme aus verschiedenen Filmgenres seit dem Ende des Korea-Kriegs bis zur Gegenwart analysiert und unter dem Aspekt beleuchtet, wie diese politischen und gesellschaftlichen Themen über das Verhältnis zwischen Süd- und Nordkorea repräsentiert werden. Mit Hilfe von Beispielfilmen wird versucht, herauszufinden, wie stark und unterschiedlich der Bruderkrieg und die davon abgeleitete Teilung des Landes in südkoreanischen Filmen im Wandel der Geschichte widergespiegelt werden. rnDiese Arbeit setzt sich zuerst mit Kracauers Spiegeltheorie, einer filmsoziologischen Theorie, und der Genretheorie als wichtigen theoretischen Überlegungen auseinander, um zu verdeutlichen, in welchem Bezug Konfliktfilme über die südkoreanische Gesellschaft angesehen werden und welche Rolle sie als Spiegel der Gesellschaft spielen, um gesellschaftliche Stimmungen, Bewusstseinsformen und Wünsche zu verdeutlichen. Dabei werden die kulturellen und gesellschaftlichen sowie filmwirtschaftlichen Aspekte berücksichtigt. rnDie vorliegende Arbeit bietet einen umfangreichen Überblick über den Konfliktfilm im südkoreanischen Kino seit dem Korea-Krieg. Die koreanischen Konflikt-Filme als regional-spezifische Filmkategorie stehen im engen Zusammenhang mit dieser politischen Situation und die Darstellung sowie Thematisierung Nordkoreas werden jeweils durch die verschiedenen Generationen der Filmemacher unterschiedlich präsentiert. Im südkoreanischen Diskurs bilden sie ein eigenes Genre, das alle klassischen und gemischten Filmgenres integriert; im Wandel der Geschichte haben sie sich dabei stetig weiterentwickelt, in engem Zusammenhang mit der Politik der verschiedenen Präsidenten Südkoreas gegenüber Nordkorea. rn
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Die vorliegende kulturwissenschaftlich ausgerichtete Arbeit befasst sich mit der Konstruktion und Inszenierung von Realität, insbesondere im Verhältnis zu Körperdiskursen und Körperpraktiken in Makeover-Sendungen sowie mit deren komplexen politischen und kulturellen Implikationen. Die leitenden Fragen der vorliegenden Arbeit sind: Wie wird der Körper in den ausgewählten Formaten dargestellt? Wie wird er erzählt und mit welchen (Film-)Techniken in Szene gesetzt? Welche expliziten und impliziten Körperbilder liegen den Darstellungen zu Grunde? Welche kulturellen und politischen Normen werden über den Körper konstruiert? Welche Rolle spielt diese Konstruktion des Körpers für die Darstellung von „Realität“ in den entsprechenden Formaten? Was ist der größere gesellschaftliche Zusammenhang dieser Darstellung? rnTrotz der Vielzahl und Komplexität der Darstellungsweisen des Körpers soll anhand verschiedener repräsentativ ausgewählter Reality-TV-Formate eine Annäherung an die heterogene kulturelle sowie politische Tragweite derselben geleistet werden. Hierzu werden insbesondere Formate bevorzugt, die explizit die Transformation des Körpers thematisieren. Dies kann durch kosmetische, d.h. nicht-operative Veränderungen (Kleidung, Make-up, Frisur), Fitness und Ernährung bis hin zu medizinischen Eingriffen wie etwa plastischer Chirurgie erfolgen.rnAls erstes wird der Untersuchungsgegenstand genauer eingegrenzt, wobei sich zeigt, dass sich exakte Grenzziehungen aufgrund des schwer greifbaren Reality-TV-Genres und der transmedialen Eigenschaft des Makeover-Fensehtextes als Herausforderung erweisen. Danach werden die kulturwissenschaftlichen Annahmen, die dieser Arbeit zugrunde liegen, ausgeführt. Darüber hinaus wird das revolutionäre Forschungsfeld der Fat Studies eruiert und auch der körpertheoretische Zugang erläutert. Abschließend wird näher auf den filmnarratologischen Zugang, der den Analysen als theoretische, aber auch methodische Grundlage dient, eingegangen. Zudem wird behandelt wie der Körper in den behandelten Makeover-Formaten zunächst erzählbar gemacht und erzählt wird. Die Körper der Teilnehmer werden zunächst in einen ökonomischen Diskurs der Maße und Zahlen überführt, um im weiteren Verlauf die „Transformation“ auch diskursiv dramatisieren zu können. Die über die Ökonomisierung vorbereitete, zumeist als märchenhaft dargestellte, Verwandlung der Teilnehmer, kulminiert immer in der Gegenüberstellung des „Vorher“-Bildes und des „Nachher“-Bildes. Diese Ökonomisierung ist allerdings nur die narrative Grundlage einer viel umfassenderen, in den Sendungen meist implizit vermittelten Selbstregierungstechnologie, der „Gouvernementalität“, die kontrovers im Hinblick auf Vertreter einer Affekttheorie, die die Vermittlung der besagten Gouvernementalität in Zweifel ziehen, diskutiert wird. Die Kernthese der vorliegenden Arbeit, die den Körper als entscheidendes, die „Realität“ der Makeover-Formate affirmierendes Element versteht, ist ferner eng mit dem Begriff der „Authentizität“ verknüpft. „Authentische“ Effekte sind oft das selbsterklärte Ziel der Einsätze des Körpers im Reality-TV und äußern sich in unterschiedlichen Erzähltechniken wie den autobiografischen Elementen der Formate. Die bereits im Genre des Reality-TV angelegte Selbstreflexivität sowohl auf Inhalts- als auch auf Produktionsseite wird abschließend kontextualisiert und bewertet. Letztendlich stellt sich die Frage, welche kulturellen Widerstände und Spielarten trotz der sehr dogmatisch wirkenden Inhalte der Makeover-Serien erhalten bleiben.
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Die Dissertation Gender und Genre in melodramatischen Literaturverfilmungen der Gegenwart untersucht das Medium Film anhand von Todd Haynes’ Far from Heaven (2002), Stephen Daldrys The Hours (2002) und Tom Fords A Single Man (2009) als Quelle des Wissens über gesellschaftlich-normierte Geschlechterrollen und sozialkonstruierte Genderkonzepte. Die Arbeit versteht sich als eine nachhaltige Schnittstellenforschung zwischen Gender-, Literatur-, Film- und Medienwissenschaften und zeigt die Öffnung der Germanistik für den medial geprägten Kulturwandel, welcher den deutschen bzw. den deutschsprachigen Kulturraum betrifft. Gender und Geschlecht destabilisieren die Gesellschaft und die „heterosexuelle Matrix“ durch das individuelle Suchen, Finden, Konstruieren und Anerkennen einer eigenen, individuellen Genderidentität. Dieser Prozess kann unter Zuhilfenahme des Erzählens von Geschlecht im Film verdeutlicht werden, denn die audiovisuelle Fiktion modelliert Wirklichkeitsvorstellungen und das Wirklichkeitsverständnis der Rezipienten. Wobei offen bleibt, ob die Fiktion die Realität oder die Realität die Fiktion imitiert. Denn es gibt nicht nur eine Wahrheit, sondern mehrere, vielleicht unzählige Bedeutungszuschreibungen. Die drei paradigmatischen Literaturverfilmungen wurden jeweils in Bezug zu ihren Literaturvorlagen von Virginia Woolf, Michael Cunningham und Christopher Isherwood gesetzt. Sie können als Beispiele für ein wissendes, postmodernes Pastiche des Themen-Clusters Diskriminierung/Homophobie/Homosexualität/„Rasse“ gelten. Alle drei Filme verhandeln durch gemeinsame, melodramatische Motive (Spiegel, Telefon, Krieg, Familie) die Darstellbarkeit von Emotionen, Begehren, Sehnsüchten, Einsamkeit und dem Verlust der Liebe. Durch Verbindungslinien zu den Melodramen von Douglas Sirk und mittels den Theorien von u.a. Judith Butler, Stanley Cavell, Carolin Emcke, Thomas Elsaesser, Sigmund Freud, Hermann Kappelhoff und Laura Mulvey wurde das Begriffspaar Genre und Gender her-ausgestellt und im zeitgenössischen Geschlechter-Diskurs verortet. Das im Verlauf der Arbeit erarbeitete Wissen zu Gender, Sexualität, Körper und Geschlecht wurde als ein Gender-Genre-Hybrid verstanden und im Genre des queeren bzw. homosexuellen Melodrams (gay melodrama) neu verortet. Die drei Filme sind als ein Wiederbelebungsversuch bzw. ein Erweiterungsversuch des melodramatischen Genres unter dem Genderaspekt anzusehen. Die Analyse und Dekonstruktion feststehender Begriffe im Kontext der Gender- und Gay Studies und dem Queer Cinema lösen produktive Krisen und damit emanzipierte Verfahren aus. Diese müssen immer wieder neu beschrieben werden, damit sie wahrgenommen und verstanden werden. Daher sind die drei melodramatischen Literaturverfilmungen ein fiktionales Dokumentationsmodell gesellschaftlicher Konflikte, welches anhand individueller Schicksale verdeutlicht wird.
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Boris Pasternak’s poemy are acutely self-conscious of their place in the epic tradition. Lieutenant Schmidt (LS) represents one attempt at exploring the parameters of the poema itself as the poet makes a “difficult” transition from “lyric thinking” to “the epic.” In this article I examine this transition against a contemporaneous example in the genre, Tsvetaeva’s Poema of the End (PE). In LS, structural elements of the poema are counterposed to those of PE. While PE amplifies the individual voice, LS muffles what is personal for the sake of the public voice. While PE is atemporal, LS is historical. While PE unfolds on symbolic planes, with elements of plot kept to a bare minimum (a single moment of separation), LS is a plot-driven account based on concrete, documentary material. Finally, while PE is an “overgrown lyric”—representing the “lyric thinking” that Pasternak hopes to transcend— LS is an exploration of the possibilities that a more traditional model of the poema can offer. Although in the present analysis I draw on several theories of poetic genres, this is by no means an exhaustive study of epic versus lyric forms of poetry. Instead, my analysis focuses on those structural and thematic features of the poema that the poets themselves perceived as central to their texts. Pasternak, for his part, develops the structure and thematics of his poema in ways that are inspired by PE, but also, as we will see, in more significant ways, contrast with it.
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In this study I consider the role of poetic description in Pasternak’s ‘Deviat’sot piatyi god’ (‘1905’) in the context of the genre of the poema. Descriptive passages in poetic narratives, as a rule, provide a static setting for a protagonist’s actions. In the absence of any single hero in Pasternak’s poema, topography itself begins to move. I examine the categories of stasis and motion, central to ‘1905’, at the intersection of the visual and the verbal. The idea of reanimating the events of the first Russian revolution twenty years after the fact borders on the ekphrastic in places, where the poet transposes techniques and genres from the visual arts into a verse epic. Finally, I suggest that aesthetic perception itself is the dominant principle in the poema, as opposed to documentary faithfulness, which is traditionally emphasized in the scholarship on this work.
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I began my thesis planning to craft pieces of both fiction and nonfiction. I had very much enjoyed working on a travel essay during the fall semester, but I have always had an inherent interest in writing short stories, so I had hoped to explore both genres, using my previous work from a seminar in fiction and a travel writing class as a springboard. However, in writing “So Very Far Away,” my second nonfiction piece, which I developed from material that I was unableto keep in the essay “Lunch with the Americans,” I discovered that nonfiction was an incredibly freeing genre because the essential ingredients were already present. My personal experiences provided the basic elements of plot, character, and setting, yet I discovered new challenges as I attempted to present these experiences in a way that moved beyond mere memories and reflections and towards a larger meaning that would matter to others as well. I became sointrigued by this process of creating cohesive narratives through the editing and shaping of memories that I decided to focus completely on nonfiction for my thesis work and write a collection of essays about my time abroad.
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The purpose of this thesis was to examine the ways in which the fantasy genre is ideally positioned for discussing social issues, such as invisibility and liminality. Elements associated with invisibility, such as poverty, homelessness, and alienation, were explored within two novels by Neil Gaiman: Neverwhere and American Gods. Gaiman's application of these elements within the fantasy genre were juxtaposed with samples from other genres, including Plato's 'Parable of the Cave' and Jennifer Toth's The Mole People. Another aim was to contrast Gaiman's use of the 'beast in the sewer' metaphor with previous renditions of the myth, demonstrating how fantasy, paradoxically, offers a unique and privileged view of reality.