999 resultados para Cordel, Letteratura popolare, Brasile


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Il progetto di tesi dottorale qui presentato intende proporsi come il proseguimento e l’approfondimento del progetto di ricerca - svoltosi tra il e il 2006 e il 2008 grazie alla collaborazione tra l’Università di Bologna, la Cineteca del Comune e dalla Fondazione Istituto Gramsci Emilia-Romagna - dal titolo Analisi e catalogazione dell’Archivio audiovisivo del PCI dell’Emilia-Romagna di proprietà dell’Istituto Gramsci. La ricerca ha indagato la menzionata collezione che costituiva, in un arco temporale che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, una sorta di cineteca interna alla Federazione del Partito Comunista Italiano di Bologna, gestita da un gruppo di volontari denominato “Gruppo Audiovisivi della Federazione del PCI”. Il fondo, entrato in possesso dell’Istituto Gramsci nel 1993, è composto, oltre che da documenti cartacei, anche e sopratutto da un nutrito numero di film e documentari in grado di raccontare sia la storia dell’associazione (in particolare, delle sue relazioni con le sezioni e i circoli della regione) sia, in una prospettiva più ampia, di ricostruire il particolare rapporto che la sede centrale del partito intratteneva con una delle sue cellule regionali più importanti e rappresentative. Il lavoro svolto sul fondo Gramsci ha suscitato una serie di riflessioni che hanno costituito la base per il progetto della ricerca presentata in queste pagine: prima fra tutte, l’idea di realizzare un censimento, da effettuarsi su base regionale, per verificare quali e quanti audiovisivi di propaganda comunista fossero ancora conservati sul territorio. La ricerca, i cui esiti sono consultabili nell’appendice di questo scritto, si è concentrata prevalentemente sugli archivi e sui principali istituti di ricerca dell’Emilia-Romagna: sono questi i luoghi in cui, di fatto, le federazioni e le sezioni del PCI depositarono (o alle quali donarono) le proprie realizzazioni o le proprie collezioni audiovisive al momento della loro chiusura. Il risultato dell’indagine è un nutrito gruppo di film e documentari, registrati sui supporti più diversi e dalle provenienze più disparate: produzioni locali, regionali, nazionali (inviati dalla sede centrale del partito e dalle istituzioni addette alla propaganda), si mescolano a pellicole provenienti dall’estero - testimoni della rete di contatti, in particolare con i paesi comunisti, che il PCI aveva intessuto nel tempo - e a documenti realizzati all’interno dell’articolato contesto associazionistico italiano, composto sia da organizzazioni nazionali ben strutturate sul territorio 8 sia da entità più sporadiche, nate sull’onda di particolari avvenimenti di natura politica e sociale (per esempio i movimenti giovanili e studenteschi sorti durante il ’68). L’incontro con questa tipologia di documenti - così ricchi di informazioni differenti e capaci, per loro stessa natura, di offrire stimoli e spunti di ricerca assolutamente variegati - ha fatto sorgere una serie di domande di diversa natura, che fanno riferimento non solo all’audiovisivo in quanto tale (inteso in termini di contenuti, modalità espressive e narrative, contesto di produzione) ma anche e soprattutto alla natura e alle potenzialità dell’oggetto indagato, concepito in questo caso come una fonte. In altri termini, la raccolta e la catalogazione del materiale, insieme alle ricerche volte a ricostruirne le modalità produttive, gli argomenti, i tratti ricorrenti nell’ambito della comunicazione propagandistica, ha dato adito a una riflessione di carattere più generale, che guarda al rapporto tra mezzo cinematografico e storiografia e, più in dettaglio, all’utilizzo dell’immagine filmica come fonte per la ricerca. Il tutto inserito nel contesto della nostra epoca e, più in particolare, delle possibilità offerte dai mezzi di comunicazione contemporanei. Di fatti, il percorso di riflessione compiuto in queste pagine intende concludersi con una disamina del rapporto tra cinema e storia alla luce delle novità introdotte dalla tecnologia moderna, basata sui concetti chiave di riuso e di intermedialità. Processi di integrazione e rielaborazione mediale capaci di fornire nuove potenzialità anche ai documenti audiovisivi oggetto dei questa analisi: sia per ciò che riguarda il loro utilizzo come fonte storica, sia per quanto concerne un loro impiego nella didattica e nell’insegnamento - nel rispetto della necessaria interdisciplinarietà richiesta nell’utilizzo di questi documenti - all’interno di una più generale rivoluzione mediale che mette in discussione anche il classico concetto di “archivio”, di “fonte” e di “documento”. Nel tentativo di bilanciare i differenti aspetti che questa ricerca intende prendere in esame, la struttura del volume è stata pensata, in termini generali, come ad un percorso suddiviso in tre tappe: la prima, che guarda al passato, quando gli audiovisivi oggetto della ricerca vennero prodotti e distribuiti; una seconda sezione, che fa riferimento all’oggi, momento della riflessione e dell’analisi; per concludere in una terza area, dedicata alla disamina delle potenzialità di questi documenti alla luce delle nuove tecnologie multimediali. Un viaggio che è anche il percorso “ideale” condotto dal ricercatore: dalla scoperta all’analisi, fino alla rimessa in circolo (anche sotto un’altra forma) degli oggetti indagati, all’interno di un altrettanto ideale universo culturale capace di valorizzare qualsiasi tipo di fonte e documento. All’interno di questa struttura generale, la ricerca è stata compiuta cercando di conciliare diversi piani d’analisi, necessari per un adeguato studio dei documenti rintracciati i quali, come si è detto, si presentano estremamente articolati e sfaccettati. 9 Dal punto di vista dei contenuti, infatti, il corpus documentale presenta praticamente tutta la storia italiana del tentennio considerato: non solo storia del Partito Comunista e delle sue campagne di propaganda, ma anche storia sociale, culturale ed economica, in un percorso di crescita e di evoluzione che, dagli anni Cinquanta, portò la nazione ad assumere lo status di paese moderno. In secondo luogo, questi documenti audiovisivi sono prodotti di propaganda realizzati da un partito politico con il preciso scopo di convincere e coinvolgere le masse (degli iscritti e non). Osservarne le modalità produttive, il contesto di realizzazione e le dinamiche culturali interne alla compagine oggetto della ricerca assume un valore centrale per comprendere al meglio la natura dei documenti stessi. I quali, in ultima istanza, sono anche e soprattutto dei film, realizzati in un preciso contesto storico, che è anche storia della settima arte: più in particolare, di quella cinematografia che si propone come “alternativa” al circuito commerciale, strettamente collegata a quella “cultura di sinistra” sulla quale il PCI (almeno fino alla fine degli anni Sessanta) poté godere di un dominio incontrastato. Nel tentativo di condurre una ricerca che tenesse conto di questi differenti aspetti, il lavoro è stato suddiviso in tre sezioni distinte. La prima (che comprende i capitoli 1 e 2) sarà interamente dedicata alla ricostruzione del panorama storico all’interno del quale questi audiovisivi nacquero e vennero distribuiti. Una ricostruzione che intende osservare, in parallelo, i principali eventi della storia nazionale (siano essi di natura politica, sociale ed economica), la storia interna del Partito Comunista e, non da ultimo, la storia della cinematografia nazionale (interna ed esterna al partito). Questo non solo per fornire il contesto adeguato all’interno del quale inserire i documenti osservati, ma anche per spiegarne i contenuti: questi audiovisivi, infatti, non solo sono testimoni degli eventi salienti della storia politica nazionale, ma raccontano anche delle crisi e dei “boom” economici; della vita quotidiana della popolazione e dei suoi problemi, dell’emigrazione, della sanità e della speculazione edilizia; delle rivendicazioni sociali, del movimento delle donne, delle lotte dei giovani sessantottini. C’è, all’interno di questi materiali, tutta la storia del paese, che è contesto di produzione ma anche soggetto del racconto. Un racconto che, una volta spiegato nei contenuti, va indagato nella forma. In questo senso, il terzo capitolo di questo scritto si concentrerà sul concetto di “propaganda” e nella sua verifica pratica attraverso l’analisi dei documenti reperiti. Si cercherà quindi di realizzare una mappatura dei temi portanti della comunicazione politica comunista osservata nel suo evolversi e, in secondo luogo, di analizzare come questi stessi temi-chiave vengano di volta in volta declinati e 10 rappresentati tramite le immagini in movimento. L’alterità positiva del partito - concetto cardine che rappresenta il nucleo ideologico fondante la struttura stessa del Partito Comunista Italiano - verrà quindi osservato nelle sue variegate forme di rappresentazione, nel suo incarnare, di volta in volta, a seconda dei temi e degli argomenti rilevanti, la possibilità della pace; il buongoverno; la verità (contro la menzogna democristiana); la libertà (contro il bigottismo cattolico); la possibilità di un generale cambiamento. La realizzazione di alcuni percorsi d’analisi tra le pellicole reperite presso gli archivi della regione viene proposto, in questa sede, come l’ideale conclusione di un excursus storico che, all’interno dei capitoli precedenti, ha preso in considerazione la storia della cinematografia nazionale (in particolare del contesto produttivo alternativo a quello commerciale) e, in parallelo, l’analisi della produzione audiovisiva interna al PCI, dove si sono voluti osservare non solo gli enti e le istituzioni che internamente al partito si occupavano della cultura e della propaganda - in una distinzione terminologica non solo formale - ma anche le reti di relazioni e i contatti con il contesto cinematografico di cui si è detto. L’intenzione è duplice: da un lato, per inserire la storia del PCI e dei suoi prodotti di propaganda in un contesto socio-culturale reale, senza considerare queste produzioni - così come la vita stessa del partito - come avulsa da una realtà con la quale necessariamente entrava in contatto; in secondo luogo, per portare avanti un altro tipo di discorso, di carattere più speculativo, esplicitato all’interno del quarto capitolo. Ciò che si è voluto indagare, di fatto, non è solo la natura e i contenti di questi documenti audiovisivi, ma anche il loro ruolo nel sistema di comunicazione e di propaganda di partito, dove quest’ultima è identificata come il punto di contatto tra l’intellighenzia comunista (la cultura alta, legittima) e la cultura popolare (in termini gramsciani, subalterna). Il PCI, in questi termini, viene osservato come un microcosmo in grado di ripropone su scala ridotta le dinamiche e le problematiche tipiche della società moderna. L’analisi della storia della sua relazione con la società (cfr. capitolo 2) viene qui letta alla luce di alcune delle principali teorie della storia del consumi e delle interpretazioni circa l’avvento della società di massa. Lo scopo ultimo è quello di verificare se, con l’affermazione dell’industria culturale moderna si sia effettivamente verificata la rottura delle tradizionali divisioni di classe, della classica distinzione tra cultura alta e bassa, se esiste realmente una zona intermedia - nel caso del partito, identificata nella propaganda - in cui si attui concretamente questo rimescolamento, in cui si realizzi realmente la nascita di una “terza cultura” effettivamente nuova e dal carattere comunitario. Il quinto e ultimo capitolo di questo scritto fa invece riferimento a un altro ordine di problemi e argomenti, di cui in parte si è già detto. La ricerca, in questo caso, si è indirizzata verso una 11 riflessione circa l’oggetto stesso dello studio: l’audiovisivo come fonte. La rassegna delle diverse problematiche scaturite dal rapporto tra cinema e storia è corredata dall’analisi delle principali teorie che hanno permesso l’evoluzione di questa relazione, evidenziando di volta in volta le diverse potenzialità che essa può esprimere le sue possibilità d’impiego all’interno di ambiti di ricerca differenti. Il capitolo si completa con una panoramica circa le attuali possibilità di impiego e di riuso di queste fonti: la rassegna e l’analisi dei portali on-line aperti dai principali archivi storici nazionali (e la relativa messa a disposizione dei documenti); il progetto per la creazione di un “museo multimediale del lavoro” e, a seguire, il progetto didattico dei Learning Objects intendono fornire degli spunti per un futuro, possibile utilizzo di questi documenti audiovisivi, di cui questo scritto ha voluto porre in rilievo il valore e le numerose potenzialità.

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In questa tesi ci occuperemo di fornire un modello MIP di base e di alcune sue varianti, realizzate allo scopo di comprenderne il comportamento ed eventualmente migliorarne l’efficienza. Le diverse varianti sono state costruite agendo in particolar modo sulla definizione di alcuni vincoli, oppure sui bound delle variabili, oppure ancora nell’obbligare il risolutore a focalizzarsi su determinate decisioni o specifiche variabili. Sono stati testati alcuni dei problemi tipici presenti in letteratura e i diversi risultati sono stati opportunamente valutati e confrontati. Tra i riferimenti per tale confronto sono stati considerati anche i risultati ottenibili tramite un modello Constraint Programming, che notoriamente produce risultati apprezzabili in ambito di schedulazione. Un ulteriore scopo della tesi è, infatti, comparare i due approcci Mathematical Programming e Constraint Programming, identificandone quindi i pregi e gli svantaggi e provandone la trasferibilità al modello raffrontato.

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Nella mia tesi di dottorato mi propongo di indagare la metamorfosi del romanzo nella letteratura italiana contemporanea attraverso il lavoro di Paolo Volponi, che può essere descritto come un’«opera mondo», in accordo con la formula critica coniata da Franco Moretti. Volponi intende superare il divario fra l’io e il mondo e ricomporre il corpo come una mediazione umanistica di ragione e sensi. La sua opera può essere definita ‘epica’ perché recupera la tradizione del romanzo cavalleresco e la parodia esercitata su questa tradizione letteraria da Cervantes nel Don Chisciotte. Ma, come l’Ulysses di Joyce, è un’epica «moderna» perché fondata su una totalità disgiunta e sul conflitto dialogico, in una linea che accomuna la moltiplicazione dei punti di vista, propria del romanzo polifonico secondo Bachtin, alla pluralità di prospettive del discorso scientifico. Dopo un primo capitolo teorico, nel secondo e nel terzo capitolo della tesi i romanzi di Volponi vengono studiati in rapporto al filone dell’«epica moderna» e al genere satirico, che ha un suo modello fondativo nell’opera di Giacomo Leopardi. Il quarto capitolo si focalizza sulle ultime raccolte poetiche, che mostrano la tendenza a recuperare il linguaggio formulare e la matrice orale della poesia delle origini, servendosene per rappresentare in funzione contrappuntistica l’universo globale dell’età contemporanea.

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La ricerca verte sull’udinese Michele Leskovic (1905-1979), noto con lo pseudonimo di Escodamè, attivo in campo futurista dal 1920 fino alla fine degli anni Trenta. Il lavoro ricostruisce il periodo futurista di Leskovic utilizzando sia documentazione edita sia inedita rintracciata presso numerose Biblioteche ed Archivi pubblici e privati italiani e presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell’Università di Yale. Tra gli inediti utilizzati, numerosi quelli provenienti dall’archivio privato di Michele Leskovic conservato presso «Casa Lyda Borelli per Operatori ed Artisti dello Spettacolo» di Bologna dove Leskovic visse dal 1970 alla morte insieme alla moglie, l’attrice Camilla Orlandini (1896-1975). Sono qui analizzate tutte le attività svolte dal futurista udinese sia in maniera estemporanea sia continuativa ed approfondita. Particolare attenzione è rivolta alle ricerche condotte in tre campi specifici: la poetica, la poesia ed il teatro, nei quali Leskovic ha raggiunto risultati di indubbio interesse ed originalità. I testi pubblicati da Leskovic da un lato sono stati collazionati con sue stesse carte inedite (spesso abbozzi preparatori) e dall’altro arricchiti nel confronto con le opere di altri membri del movimento futurista e soprattutto con Marinetti, del quale Leskovic risulta essere stato attivo collaboratore.

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La tesi si occupa della traduzione di Measure for Measure di Shakespeare scritta da Cesare Garboli e pubblicata nel 1992 con Einaudi nella collana «Scrittori tradotti da scrittori». La traduzione fu concepita per il Teatro Stabile di Torino diretto da Luca Ronconi, che debuttò al teatro Carignano nel 1992 e venne successivamente ripresa, con alcune varianti, dalla compagnia di Carlo Cecchi nel 1998, per una nuova messinscena al teatro Garibaldi di Palermo. A partire dagli esiti più recenti dei Translation Studies, il lavoro sviluppa uno studio comparato, dal punto di vista linguistico e sotto il profilo ermeneutico, fra la traduzione di Garboli, il testo originale nelle due edizioni Arden e Cambridge e le traduzioni italiane di Measure for Measure pubblicate nel Novecento. La parte finale della tesi è dedicata alle messinscene a Torino e a Palermo: un confronto per evidenziare gli elementi che in entrambe appartengono alla strutturazione del testo tradotto e i caratteri specifici degli universi di finzione raffigurati dai due registi.

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Scopo di questa tesi di dottorato è stabilire se l’obiezione di coscienza in ambito medico sia moralmente giustificabile. Esistono essenzialmente tre tipi di rifiuto motivati dall’obiezione di coscienza (1) rifiuto di informare un paziente relativamente alle opzioni terapeutiche come ad esempio l’uso di un contraccettivo di emergenza o l’interruzione volontaria di gravidanza (2) rifiuto di rinviare un paziente che chiede un particolare intervento (o terapia) presso un collega non obiettore (3) rifiuto di svolgere in prima persona una certa attività richiesta dal paziente Per rispondere a questo interrogativo si è svolta un’analisi filosofico-morale dei principali argomenti utilizzati dalla letteratura su questo tema per giustificare o per negare un diritto morale all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari. Il diritto degli operatori sanitari all’integrità morale e a non essere complici di attività ritenute immorali dev’essere infatti confrontato con il diritto dei pazienti ad avere un’assistenza sanitaria efficiente, a poter compiere scelte autonome riguardo alla propria salute e ad essere informati relativamente a tutte le opzioni terapeutiche disponibili. Nel corso dell’intero lavoro è stato dimostrato come suddetti diritti dei pazienti sono facilmente e frequentemente violati a causa dell’incidenza dell’obiezione di coscienza in ambito medico. L’analisi condotta nel corso del lavoro di tesi si concentra fondamentalmente su quattro importanti aspetti del problema quali diritto all’integrità morale dell’ operatore sanitario, obblighi professionali, cooperazione al male e laicità dello stato. Alla fine del lavoro di analisi si è giunti alla conclusione che: le obiezioni di tipo (1) e (2) non sono mai moralmente giustificabili perché comportano sempre una violazione dei diritti fondamentali del paziente. Le obiezioni di coscienza di tipo (3) sono moralmente accettabili solo quando non impongono un peso eccessivo al paziente, vale a dire quando il rinvio presso un collega non obiettore è veloce, sicuro e agevole. Tuttavia le condizioni ideali in cui vengono rispettati i criteri minimi di ammissibilità dell’obiezione di coscienza di tipo (3) non si verificano quasi mai nella realtà dei fatti (per ragioni ampiamente spiegate nel corso del lavoro), per cui tali obiezioni risultano in pratica solo raramente accettabili da un punto d vista morale.

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L’interazione che abbiamo con l’ambiente che ci circonda dipende sia da diverse tipologie di stimoli esterni che percepiamo (tattili, visivi, acustici, ecc.) sia dalla loro elaborazione per opera del nostro sistema nervoso. A volte però, l’integrazione e l’elaborazione di tali input possono causare effetti d’illusione. Ciò si presenta, ad esempio, nella percezione tattile. Infatti, la percezione di distanze tattili varia al variare della regione corporea considerata. Il concetto che distanze sulla cute siano frequentemente erroneamente percepite, è stato scoperto circa un secolo fa da Weber. In particolare, una determinata distanza fisica, è percepita maggiore su parti del corpo che presentano una più alta densità di meccanocettori rispetto a distanze applicate su parti del corpo con inferiore densità. Oltre a questa illusione, un importante fenomeno osservato in vivo è rappresentato dal fatto che la percezione della distanza tattile dipende dall’orientazione degli stimoli applicati sulla cute. In sostanza, la distanza percepita su una regione cutanea varia al variare dell’orientazione degli stimoli applicati. Recentemente, Longo e Haggard (Longo & Haggard, J.Exp.Psychol. Hum Percept Perform 37: 720-726, 2011), allo scopo di investigare come sia rappresentato il nostro corpo all’interno del nostro cervello, hanno messo a confronto distanze tattili a diverse orientazioni sulla mano deducendo che la distanza fra due stimoli puntuali è percepita maggiore se applicata trasversalmente sulla mano anziché longitudinalmente. Tale illusione è nota con il nome di Illusione Tattile Orientazione-Dipendente e diversi risultati riportati in letteratura dimostrano che tale illusione dipende dalla distanza che intercorre fra i due stimoli puntuali sulla cute. Infatti, Green riporta in un suo articolo (Green, Percpept Pshycophys 31, 315-323, 1982) il fatto che maggiore sia la distanza applicata e maggiore risulterà l’effetto illusivo che si presenta. L’illusione di Weber e l’illusione tattile orientazione-dipendente sono spiegate in letteratura considerando differenze riguardanti la densità di recettori, gli effetti di magnificazione corticale a livello della corteccia primaria somatosensoriale (regioni della corteccia somatosensoriale, di dimensioni differenti, sono adibite a diverse regioni corporee) e differenze nella dimensione e forma dei campi recettivi. Tuttavia tali effetti di illusione risultano molto meno rilevanti rispetto a quelli che ci si aspetta semplicemente considerando i meccanismi fisiologici, elencati in precedenza, che li causano. Ciò suggerisce che l’informazione tattile elaborata a livello della corteccia primaria somatosensoriale, riceva successivi step di elaborazione in aree corticali di più alto livello. Esse agiscono allo scopo di ridurre il divario fra distanza percepita trasversalmente e distanza percepita longitudinalmente, rendendole più simili tra loro. Tale processo assume il nome di “Rescaling Process”. I meccanismi neurali che operano nel cervello allo scopo di garantire Rescaling Process restano ancora largamente sconosciuti. Perciò, lo scopo del mio progetto di tesi è stato quello di realizzare un modello di rete neurale che simulasse gli aspetti riguardanti la percezione tattile, l’illusione orientazione-dipendente e il processo di rescaling avanzando possibili ipotesi circa i meccanismi neurali che concorrono alla loro realizzazione. Il modello computazionale si compone di due diversi layers neurali che processano l’informazione tattile. Uno di questi rappresenta un’area corticale di più basso livello (chiamata Area1) nella quale una prima e distorta rappresentazione tattile è realizzata. Per questo, tale layer potrebbe rappresentare un’area della corteccia primaria somatosensoriale, dove la rappresentazione della distanza tattile è significativamente distorta a causa dell’anisotropia dei campi recettivi e della magnificazione corticale. Il secondo layer (chiamato Area2) rappresenta un’area di più alto livello che riceve le informazioni tattili dal primo e ne riduce la loro distorsione mediante Rescaling Process. Questo layer potrebbe rappresentare aree corticali superiori (ad esempio la corteccia parietale o quella temporale) adibite anch’esse alla percezione di distanze tattili ed implicate nel Rescaling Process. Nel modello, i neuroni in Area1 ricevono informazioni dagli stimoli esterni (applicati sulla cute) inviando quindi informazioni ai neuroni in Area2 mediante sinapsi Feed-forward eccitatorie. Di fatto, neuroni appartenenti ad uno stesso layer comunicano fra loro attraverso sinapsi laterali aventi una forma a cappello Messicano. E’ importante affermare che la rete neurale implementata è principalmente un modello concettuale che non si preme di fornire un’accurata riproduzione delle strutture fisiologiche ed anatomiche. Per questo occorre considerare un livello astratto di implementazione senza specificare un’esatta corrispondenza tra layers nel modello e regioni anatomiche presenti nel cervello. Tuttavia, i meccanismi inclusi nel modello sono biologicamente plausibili. Dunque la rete neurale può essere utile per una migliore comprensione dei molteplici meccanismi agenti nel nostro cervello, allo scopo di elaborare diversi input tattili. Infatti, il modello è in grado di riprodurre diversi risultati riportati negli articoli di Green e Longo & Haggard.

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La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.

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A causa della limitata estensione del campo di vista del sistema, con un microscopio ottico tradizionale non è possibile acquisire una singola immagine completamente a fuoco se l’oggetto è caratterizzato da una profondità non trascurabile. Fin dagli anni ’70, il problema dell’estensione della profondità di fuoco è stato ampiamente trattato in letteratura e molti metodi sono stati proposti per superare questo limite. Tuttavia, è molto difficile riuscire a decretare quale metodo risulti essere il migliore in una specifica applicazione, a causa della mancanza di una metrica validata e adatta ad essere utilizzata anche in casi reali, dove generalmente non si ha a disposizione un’immagine di riferimento da considerare come “la verità” (ground truth). L’Universal Quality Index (UQI) è ampiamente utilizzato in letteratura per valutare la qualità dei risultati in processi di elaborazione di immagini. Tuttavia, per poter calcolare questo indice è necessaria una ground truth. In effetti, sono state proposte in letteratura alcune estensioni dell’UQI per valutare il risultato dei metodi di fusione anche senza immagine di riferimento, ma nessuna analisi esaustiva è stata proposta per dimostrare la loro equivalenza con l’UQI standard nel valutare la qualità di un’immagine. In questo lavoro di Tesi, partendo dai limiti dei metodi attualmente utilizzati per l'estensione della profondità di campo di un microscopio, ed esposti in letteratura, per prima cosa è stato proposto un nuovo metodo, basato su approccio spaziale e fondato su analisi locale del segnale appositamente filtrato. Attraverso l’uso di sequenze di immagini sintetiche, delle quali si conosce la ground truth, è stato dimostrato, utilizzando metriche comuni in image processing, che il metodo proposto è in grado di superare le performance dei metodi allo stato dell'arte. In seguito, attraverso una serie di esperimenti dedicati, è stato provato che metriche proposte e ampiamente utilizzate in letteratura come estensione dell'UQI per valutare la qualità delle immagini prodotte da processi di fusione, sebbene dichiarate essere sue estensioni, non sono in grado di effettuare una valutazione quale quella che farebbe l'UQI standard. E’ quindi stato proposto e validato un nuovo approccio di valutazione che si è dimostrato in grado di classificare i metodi di fusione testati così come farebbe l’UQI standard, ma senza richiedere un’immagine di riferimento. Infine, utilizzando sequenze di immagini reali acquisite a differenti profondità di fuoco e l’approccio di valutazione validato, è stato dimostrato che il metodo proposto per l’estensione della profondità di campo risulta sempre migliore, o almeno equivalente, ai metodi allo stato dell’arte.

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L’oggetto della mia ricerca è la società multiculturale e il livello di sviluppo sociale delle comunità minoritarie in Macedonia, rispetto all’attuazione delle politiche e i programmi europei per la stabilizzazione democratica. L’indagine condotta nella mia tesi si è sviluppata esaminando i risultati ottenuti dai programmi CARDS, attuati per soddisfare gli obblighi stabiliti nell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione e per l’implementazione dell’Accordo Quadro di Ohrid. Uno dei valori democratici, su cui l’UE è particolarmente attenta, ed al quale ha riservato un posto primario nei programmi CARDS, è la tutela dei diritti delle minoranze ossia il rispetto delle differenze culturali, linguistiche e religiose. L’obiettivo della mia indagine è stato quello di valutare l’impatto delle politiche europee sulla normativa macedone, concernente i diritti delle comunità minoritarie, ovvero il loro effetto sul consolidamento della società multiculturale e sullo status sociale delle comunità minoritarie in Macedonia. A tale scopo, in primo luogo sono stati esaminati gli emendamenti costituzionali e le modifiche legislative introdotti in seguito alla stipulazione dell’Accordo Quadro di Ohrid. L’analisi è stata incentrata nel verificare se la normativa macedone rientra nei parametri della normativa europea. I risultati ottenuti dimostrano quale è il tipo di multiculturalismo che promuove e garantisce la costituzione macedone. Attraverso l’analisi dei rapporti preparati dalla Commissione europea, relativi all’implementazione del Processo di Stabilizzazione e Associazione, è stato dimostrato come le politiche e i programmi europei hanno inciso sul consolidamento della società multiculturale. Analizzando invece i risultati dai rapporti relativi all’implementazione delle disposizioni dell’Accordo Quadro di Ohrid è stato valutato l’impatto che le politiche europee hanno avuto sullo sviluppo sociale delle comunità minoritarie in Macedonia. Per la valutazione di questo ultimo, sono state prese in considerazione il livello di partecipazione politica delle comunità minoritarie, la realizzazione delle richieste e delle questioni legate alla loro particolarità, l’ambito normativo regolato dal diritto di con-decisione, la rappresentanza delle comunità minoritarie nella sfera pubblica, il livello dell’accesso di istruirsi nella propria lingua e quindi il livello di istruzione e l’ambito e la libertà di usare la propria lingua nel settore pubblico. I concetti principali di questa ricerca sono: cooperazione, democrazia, multiculturalismo e sviluppo. Il termine cooperazione usato in questa ricerca si riferisce ai rapporti di cooperazione instaurati tra l’Unione Europea e la Macedonia nell’ambito dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione e dell’Accordo Quadro di Ohrid, ossia il sostegno dell’UE per la stabilizzazione democratica della Macedonia. Riferendosi a questa ultima, si fa riferimento al livello di garanzia di libera partecipazione dei cittadini, in ogni segmento della vita politica, sociale ed economica, senza discriminazioni etniche, linguistiche e religiose. Il termine multiculturalismo si riferisce alla società multiculturale ed è legato alla questione della politica della differenza, ossia del riconoscimento delle differenze culturali, che discendono dall’appartenenza ad una minoranza etnica e linguistica. Il multiculturalismo in questa ricerca viene analizzato, riferendosi alla multiculturalità della società macedone e ai diritti che la Costituzione macedone garantisce alle comunità minoritarie in Macedonia. Infine, per lo sviluppo in questa ricerca si fa riferimento allo sviluppo sociale delle comunità minoritarie, inteso e misurato tramite una seri di indicatori relativi all’occupazione (crescita di capitale sociale), all’educazione (capitale umano e qualifica di alta istruzione), alla partecipazione politica (occupazione dei posti principali nelle istituzione governative e della amministrazione pubblica), alla diffusione della cultura (uso e mantenimento della lingua e delle tradizioni) ecc. Prendendo in considerazione i principali concetti di questa tesi, il quadro teorico della ricerca sviluppa i nodi cruciali del dibattito sullo sviluppo e la democrazia, sul nesso tra democrazia e multiculturalismo e tra multiculturalismo e sviluppo. Attenendosi alle varie tesi, la ricerca avrà lo scopo di rilevare come si conciliano la società multiculturale macedone ed il modello democratico vigente. In questo contesto sarà fatto riferimento alle tesi fanno favoriscono la necessità di iniziare con la democrazia per poter innescare e sostenere il processo di sviluppo, alla tesi che sostiene la necessità di riconoscimento obbligatorio dei diritti collettivi nella società multiculturale, ossia dell’etnosviluppo delle comunità minoritarie. La ricerca è stata condotta tramite i seguenti metodi: - Il metodo descrittivo sarà usato per descrivere cosa è accaduto nel periodo di interesse di ricerca, riguardo i cambiamenti di natura sociale e politica delle minoranze in Macedonia. - Il metodo comparativo sarà applicato nella comparazione dell'efficacia delle leggi relative ai diritti delle minoranze e del loro status di sviluppo sociale e politico, prima e dopo l'attuazione e implementazione delle riforme europee. - Il metodo qualitativo sarà applicato per l’analisi di documenti, della legislatura e dei rapporti europei e nazionali. Le fonti usate in questa ricerca principalmente si basano su: - analisi di documenti e rapporti governativi, rapporti elaborati dalla Commissione Europea, dall’OSCE, dagli organi governativi e dalle organizzazioni non governative. - analisi di letteratura accademica, focalizzata sui problemi che sono oggetto di questa ricerca. - analisi di documenti pubblicati, come la gazzetta ufficiale, leggi costituzionali e atti legislativi, strategie nazionali e statistiche ufficiali. - analisi dei dati ottenuti da interviste e questionari.

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Negli ultimi decenni la Politica Agricola Comune (PAC) è stata sottoposta a diverse revisioni, più o meno programmate, che ne hanno modificato gli obiettivi operativi e gli strumenti per perseguirli. In letteratura economica agraria sono state eseguite diverse ricerche che affrontano analisi ex-ante sui possibili impatti delle riforme politiche, in particolare al disaccoppiamento, riguardo all’allocazione dei terreni alle diverse colture e all’adozione di tecniche di coltivazione più efficienti. Ma tale argomento, nonostante sia di grande importanza, non è stato finora affrontato come altri temi del mondo agricolo. Le principali lacune si riscontrano infatti nella carenza di analisi ex-ante, di modelli che includano le preferenze e le aspettative degli agricoltori. Questo studio valuta le scelte di investimento in terreno di un’azienda agricola di fronte a possibili scenari PAC post-2013, in condizioni di incertezza circa le specifiche condizioni in cui ciascuno scenario verrebbe a verificarsi. L’obiettivo è di ottenere indicazioni utili in termini di comprensione delle scelte di investimento dell’agricoltore in presenza di incertezza sul futuro. L’elemento maggiormente innovativo della ricerca consiste nell’applicazione di un approccio real options e nell’interazione tra la presenza di diversi scenari sul futuro del settore agricolo post-2013, e la componente di incertezza che incide e gravita su di essi. La metodologia adottata nel seguente lavoro si basa sulla modellizzazione di un’azienda agricola, in cui viene simulato il comportamento dell’azienda agricola in reazione alle riforme della PAC e alla variazione dei prezzi dei prodotti in presenza di incertezza. Mediante un modello di Real Option viene valutata la scelta della tempistica ottimale per investire nell’acquisto di terreno (caratterizzato da incertezza e irreversibilità). Dai risultati emerge come in presenza di incertezza all’agricoltore convenga rimandare la decisione a dopo il 2013 e in base alle maggiori informazioni disponibili eseguire l’investimento solo in presenza di condizioni favorevoli. La variazione dei prezzi dei prodotti influenza le scelte più dell’incertezza dei contributi PAC. Il Real Option sembra interpretare meglio il comportamento dell’agricoltore rispetto all’approccio classico del Net Present Value.