977 resultados para sversamenti, rilasci, mare, olio, petrolio, idrocarburi, rischio, contaminazione ambientale


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Obiettivo Valutare l’ipotesi secondo cui la movimentazione manuale di carichi possa essere un fattore di rischio per il di distacco di retina. Metodi Si è condotto uno studio caso-controllo ospedaliero multicentrico, a Bologna, (reparto di Oculistica del policlinico S. Orsola Malpighi, Prof. Campos), e a Brescia (reparto di oculistica “Spedali Civili” Prof. Semeraro). I casi sono 104 pazienti operati per distacco di retina. I controlli sono 173 pazienti reclutati tra l’utenza degli ambulatori del medesimo reparto di provenienza dei casi. Sia i casi che i controlli (all’oscuro dall’ipotesi in studio) sono stati sottoposti ad un’intervista, attraverso un questionario strutturato concernente caratteristiche individuali, patologie pregresse e fattori di rischio professionali (e non) relativi al distacco di retina. I dati relativi alla movimentazione manuale di carichi sono stati utilizzati per creare un “indice di sollevamento cumulativo―ICS” (peso del carico sollevato x numero di sollevamenti/ora x numero di anni di sollevamento). Sono stati calcolati mediante un modello di regressione logistica unconditional (aggiustato per età e sesso) gli Odds Ratio (OR) relativi all’associazione tra distacco di retina e vari fattori di rischio, tra cui la movimentazione manuale di carichi. Risultati Oltre alla chirurgia oculare e alla miopia (fattori di rischio noti), si evidenzia un trend positivo tra l’aumento dell’ICS e il rischio di distacco della retina. Il rischio maggiore si osserva per la categoria di sollevamento severo (OR 3.6, IC 95%, 1.5–9.0). Conclusione I risultati, mostrano un maggiore rischio di sviluppare distacco di retina per coloro che svolgono attività lavorative che comportino la movimentazione manuale di carichi e, a conferma di quanto riportato in letteratura, anche per i soggetti miopi e per coloro che sono stati sottoposti ad intervento di cataratta. Si rende quindi evidente l’importanza degli interventi di prevenzione in soggetti addetti alla movimentazione manuale di carichi, in particolare se miopi.

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L’applicazione della citogenetica convenzionale e molecolare può identificare: Ph-negatività, traslocazioni t(9;22) varianti e alterazioni citogenetiche addizionali (ACA) al cromsoma Ph in pazienti con LMC alla diagnosi. Prima dell’introduzione della terapia con Imatinib, esse mostravano un impatto prognostico negativo o non chiaro. Nel nostro studio, 6 casi di LMC Ph- erano trattati con Imatinib. La FISH identificava 4 casi con riarrangiamento BCR/ABL sul der(9q), 1 sul der(22q) e 1 su entrambi i derivativi. Quattro pazienti (66,7%) raggiungevano la RCgC, 2 fallivano il trattamento e 1 sottoposto a TMO. A causa dello scarso numero di casi, non era possibile nessuna correlazione con la prognosi. Nell’ambito di studi prospettici multicentrici del GIMEMA-WP, abbiamo valutato: traslocazioni varianti e ACA. Dei 559 pazienti arruolati, 30(5%) mostravano traslocazioni varianti, 24 valutabili in FISH: 18(75%) mostravano meccanismo 1-step, 4(16,7%) meccanismo 2-step e 2(8,3%) meccanismo complesso. Abbiamo confermato che le varianti non influenzano la risposta e la sopravvivenza dei pazienti trattati con Imatinib. Dei 378 pazienti valutabili alla diagnosi con citogenetica convenzionale, 21(5,6%) mostravano ACA: 9(43%) avevano la perdita del cromosoma Y, 3(14%) trisomia 8, 2(10%) trisomia 19, 6(28%) altre singole anomalie e 1 cariotipo complesso. La presenza di ACA influenzava la risposta: le RCgC e RMolM erano significativamente più basse rispetto al gruppo senza ACA e le curve di sopravvivenza EFS e FFS non erano significativamente diverse. Le curve di PFS e OS erano sovrapponibili nei due gruppi, per il basso numero di eventi avversi oppure perché alcuni raggiungevano la risposta con TKI di seconda generazione. Le anomalie “major route” mostravano decorso clinico peggiore, ma non è stato possibile determinare l’impatto prognostico in relazione al tipo di alterazione. Pertanto, le ACAs alla diagnosi rivestono un ruolo negativo nella prognosi dei pazienti trattati con Imatinib, che quindi rappresentano una categoria più a rischio per la risposta.

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La ricerca sulle cellule staminali apre nuove prospettive per approcci di terapia cellulare. Molta attenzione è concentrata sulle cellule staminali isolate da membrane fetali, per la facilità di recupero del materiale di partenza, le limitate implicazioni etiche e le caratteristiche delle popolazioni di cellule staminali residenti. In particolare a livello dell’epitelio amniotico si concentra una popolazione di cellule (hAECs) con interessanti caratteristiche di staminalità, pluripotenza e immunomodulazione. Restano però una serie di limiti prima di arrivare ad un’applicazione clinica: l’uso di siero di origine animale nei terreni di coltura e le limitate conoscenze legate alla reazione immunitaria in vivo. La prima parte di questo lavoro è focalizzata sulle caratteristiche delle hAECs coltivate in un terreno privo di siero, in confronto a un terreno di coltura classico. Lo studio è concentrato sull’analisi delle caratteristiche biologiche, immunomodulatorie e differenziative delle hAECs. L’interesse verso le caratteristiche immunomodulatorie è legato alla possibilità che l’uso di un terreno serum free riduca il rischio di rigetto dopo trapianto in vivo. La maggior parte degli studi in vivo con cellule isolate da membrane fetali sono stati realizzati con cellule di derivazione umana in trapianti xenogenici, ma poco si sa circa la sopravvivenza di queste cellule in trapianti allogenici, come nel caso di trapianti di cellule di derivazione murina in modelli di topo. La seconda parte dello studio è focalizzata sulla caratterizzazione delle cellule derivate da membrane fetali di topo (mFMSC). Le caratteristiche biologiche, differenziative e immunomodulatorie in vitro e in vivo delle mFMSC sono state confrontate con i fibroblasti embrionali di topo. In particolare è stata analizzata la risposta immunitaria a trapianti di mFMSC nel sistema nervoso centrale (CNS) in modelli murini immunocompetenti.

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In seguito ad una disamina del materiale presente in letteratura, ci siamo chiesti se i numerosi investimenti pubblicitari, promozionali, di marketing e, per dirla in una parola sola “intangibili”, generassero un aumento del valore dell’impresa nel contesto valutativo oppure se dessero origine esclusivamente ad aumenti di fatturato. L’obiettivo più ambito consiste nel capitalizzare gli investimenti su attività intangibili come la costruzione del marchio, l’utilizzo di brevetti, le operazioni rivolte alla soddisfazione del cliente e tutto quanto si possa definire immateriale. Eppure coesistono nel mare magnum della stessa azienda. Fino a quando non si potrà inserire criteri di valutazione d’azienda delle performance di marketing non ci potrà essere crescita in quanto, le risorse, sono utilizzate senza un criterio di ritorno di investimento.

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L’elaborato ha avuto ad oggetto l’analisi delle sofisticate soluzioni normative proposte dall’ordinamento nazionale in relazione all’evoluzione della finanza di progetto. In particolare, è stata condotto un dettagliato studio delle fasi che compongono il project financing, nonché dei soggetti che, a diverso titolo e ragione, vi partecipano. L’elaborato contiene, poi, recenti esempi concreti di project financing nelle infrastrutture primarie (autostrade) tra cui il progetto di costruzione e la successiva gestione dell’autostrada regionale Medio Padana veneta, dell’autostrada regionale Cispadana, e dell’autostrada “Nogara-mare”. L’ultimo parte della tesi è stata infine incentrata sull’analisi delle più recenti pronunce giurisprudenziali in materia di project financing. In particolare, si ha avuto modo di analizzare il fenomeno dello jus poenitendi dell’amministrazione aggiudicatrice, nonché, più in generale gli eventi che possono negativamente incidere sulla finanza di progetto (mancata aggiudicazione, risoluzione del contratto di gestione, ecc.).

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Tra i componenti naturali biologicamente attivi, e con cui è possibile arricchire il latte, notevole importanza rivestono gli acidi grassi Omega3 e i CLA. I ruoli benefici svolti da questi particolari lipidi si manifestano soprattutto nella regolazione dei processi infiammatori, nella prevenzione del diabete e delle malattie cardiovascolari; è inoltre dimostrato come i CLA abbiano attività anticancerogena e ipocolesterolemica, stimolino il sistema immunitario e prevengano l’insorgenza del diabete e delle malattie croniche non trasmissibili. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di individuare, in condizioni sperimentali controllate e nelle comuni realtà di allevamento, le possibili strategie alimentari atte ad aumentare le concentrazioni di Omega-3 e CLA del latte vaccino, senza penalizzare i titoli di grasso del latte. I lavori sperimentali effettuati possono essere distinti in 3 fasi: una prima fase in cui l’oggetto principale delle ricerche svolte è stato l’incremento in acidi grassi Omega3 del latte, una seconda fase in cui l’obiettivo si è allargato anche all’incremento delle concentrazioni in CLA, e una terza fase che ha avuto come scopo quello di incrementare i livelli di Omega3 e CLA del latte senza penalizzare i titoli di grasso. Le strategie alimentari più efficaci si sono basate sulla modificazione degli apporti lipidici della razione attraverso la supplementazione con seme di soia o relativo olio, semi di lino o relativo olio, olii di pesce e acido stearico. Le ricerche svolte hanno evidenziato come, attraverso opportune ed accurate modulazioni degli apporti lipidici delle razioni, sia di fatto possibile innalzare i contenuti di acidi grassi della serie Omega3 e CLA nel latte vaccino, senza penalizzare i titoli del grasso del latte.

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La ricerca esamina il ruolo delle imprese che svolgono attività di sicurezza privata in Italia (oggi definita anche "sussidiaria" o "complementare") in relazione allo sviluppo delle recenti politiche sociali che prevedono il coinvolgimento di privati nella gestione della sicurezza in una prospettiva di community safety. Nel 2008/2009 le politiche pubbliche di sicurezza legate al controllo del territorio hanno prodotto norme con nuovi poteri “di polizia” concessi agli amministratori locali e la previsione di associazione di cittadini per la segnalare eventi dannosi alla sicurezza urbana (“ronde”). Nello stesso periodo è iniziata un’importante riforma del settore della sicurezza privata, ancora in fase di attuazione, che definisce le attività svolte dalle imprese di security, individua le caratteristiche delle imprese e fissa i parametri per la formazione del personale. Il quadro teorico del lavoro esamina i concetti di sicurezza/insicurezza urbana e di società del rischio alla luce delle teorie criminologiche legate alla prevenzione situazionale e sociale e alla community policing. La ricerca sul campo si basa sull’analisi del contenuto di diverse interviste in profondità con esponenti del mondo della sicurezza privata (imprenditori, dirigenti, studiosi). Le interviste hanno fatto emergere che il ruolo della sicurezza privata in Italia risulta fortemente problematico; anche la riforma in corso sulla normativa del settore è considerata con scarso entusiasmo a causa delle difficoltà della congiuntura economica che rischia di compromettere seriamente la crescita. Il mercato della sicurezza in Italia è frastagliato e scarsamente controllato; manca un’azione di coordinamento fra le diverse anime della sicurezza (vigilanza privata, investigazione, facility/security management); persiste una condizione di subalternità e di assenza di collaborazione con il settore pubblico che rende la sicurezza privata relegata in un ruolo marginale, lontano dalle logiche di sussidiarietà.

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La prematurità rappresenta un fattore di rischio per la qualità delle interazioni precoci e la sintomatologia materna, soprattutto in caso di nascita VLBW (peso ≤ 1500 grammi) ed ELBW (≤1000 grammi). Scopo dello studio è valutare a 3 e 9 mesi di età corretta le modalità interattive delle diadi madre-bambino e lo stato affettivo materno in due campioni di prematuri, ELBW e VLBW, confrontandoli con un gruppo di bambini nati a termine (GC). Un campione di 119 diadi madre-bambino, di cui 71 nati prematuri (30 VLBW e 21 ELBW) e 68 a termine, sono stati valutati all'età di 3 e 9 mesi. Durante gli assessment, è avvenuta la videoregistrazione dell’interazione madre-bambino, codificata mediante le Global Rating Scales (a 3 mesi) ed il CARE Index Infant (a 9 mesi), e la valutazione della sintomatologia materna, attraverso Edinburgh Postnatal Depression Scale, Penn State Worry Questionnaire, Social Interaction and Anxiety Scale, Social Phobia Scale, Parenting Stress Index-Short Form, Questionari italiani del Temperamento. A 3 mesi, le madri di ELBW appaiono più demanding e meno sensibili rispetto a quelle di VLBW; più intrusive rispetto a quelle di GC. Tali madri, inoltre, sono significativamente meno sensibili di quelle del GC anche a 9 mesi. In entrambi gli assessment, tali madri presentano livelli significativamente maggiori di depressione, ansia generalizzata e stress, rispetto a quelle di entrambi gli altri gruppi. Non emergono differenze rispetto all'ansia sociale nè alla percezione del temperamento. Le analisi della correlazione hanno evidenziato specifiche relazioni tra la sintomatologia materna e i pattern interattivi nei tre gruppi. La nascita pretermine rappresenta un fattore di rischio solo per le madri di ELBW, che presentano difficoltà interattive ed elevata sintomatologia; quelle dei VLBW, infatti, tendono a presentare pattern interattivi affini a quelle del GC, mostrando adeguata sensibilità e bassi livelli di depressione, ansia e stress.

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Il presente lavoro è strutturato in quattro parti analizzando e comparando le pubblicazioni del settore scientifico italiano, anglofono e tedesco di riferimento. Nel primo capitolo della tesi viene proposta una riflessione sulle parole che ruotano attorno al tema dei DSA e della disabilità. Nel secondo capitolo vengono presentati, a partire dalla letteratura scientifica di riferimento, gli indicatori di rischio che segnalano possibili disturbi specifici di apprendimento e le caratteristiche di apprendimento dei DSA mettendo in luce potenzialità e talenti spesso intrinseci. Nel terzo capitolo viene vagliata la normativa di riferimento, in particolare la recente Legge 170/2010 e le relative Linee Guida. Nel quarto capitolo, partendo dal tema della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (da ora in poi TIC) nel mondo della scuola, sono ampiamente trattati i principali strumenti compensativi (sintesi vocale, libri digitali, mappe concettuali, Lavagna Interattiva Multimediale) e le misure dispensative adottabili. Nel quinto capitolo viene analizzato in tutte le sue parti il Piano Didattico Personalizzato (da ora in poi PDP) e viene proposto un possibile modello di PDP pubblicato sul sito dell'Ufficio per l’Ambito Territoriale di Bologna. Nel sesto capitolo della tesi viene presentato il Progetto Regionale ProDSA. Il Progetto, rivolto a studenti, con diagnosi di DSA, delle scuole secondarie di primo grado e del primo biennio delle secondarie di secondo grado dell’Emilia-Romagna, ha visto, grazie a un finanziamento della Regione, la consegna in comodato d'uso gratuito di tecnologie compensative agli alunni che hanno aderito. La sezione empirica del presente lavoro indaga l’uso reale che è stato fatto degli strumenti proposti in comodato d’uso e le motivazioni legate alla scelta di non utilizzarli in classe. Nel settimo capitolo vengono proposti strumenti progettati per rispondere concretamente alle criticità emerse dall'analisi dei dati e per sensibilizzare il mondo della scuola sulle caratteristiche dei DSA.

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La sintomatologia ansiosa materna nel periodo prenatale risulta influire negativamente non sullo stato materno ma anche sul successivo sviluppo infantile, Tuttavia, sono limitati gli studi che hanno considerato lo specifico contributo dei disturbi d’ansia nel periodo prenatale. L’obiettivo generale dello studio è quello di indagare nel primo periodo post partum la relazione tra psicopatologia ansiosa materna e: temperamento e sviluppo neonatale, qualità del caregiving materno e dei pattern interattivi madre-bambino. 138 donne sono state intervistate utilizzando SCID-I (First et al., 1997) durante il terzo trimestre di gravidanza. 31 donne (22,5%) presentano disturbo d’ansia nel periodo prenatale. A 1 mese post partum il comportamento del neonato è stato valutato mediante NBAS (Brazelton, Nugent, 1995), mentre le madri hanno compilato MBAS (Brazelton, Nugent, 1995). A 3 mesi postpartum, una sequenza interattiva madre-bambino è stata videoregistrata e codificata utilizzando GRS (Murray et al., 1996). La procedura dello Stranger Episode (Murray et al., 2007) è stata utilizzata per osservare i pattern interattivi materni e infantili nell’interazione con una persona estranea. I neonati di madri con disturbo d’ansia manifestano alle NBAS minori capacità a livello di organizzazione di stati comportamentali, minori capacità attentive e di autoregolazione. Le madri ansiose si percepiscono significativamente meno sicure nell’occuparsi di loro, valutando i propri figli maggiormente instabili e irregolari. Nell’interazione face to face, esse mostrano comportamenti significativamente meno sensibilI, risultando meno coinvolte attivamente con il proprio bambino. Durante lo Stranger Episode, le madri con fobia sociale presentano maggiori livelli di ansia e incoraggiando in modo significativamente inferiore l’interazione del bambino con l’estraneo. I risultati sottolineano l’importanza di valutare in epoca prenatale la psicopatologia ansiosa materna. Le evidenze confermano la rilevanza che può assumere un modello multifattoriale di rischio in cui i disturbi d’ansia prenatali e la qualità del caregiving materno possono agire in modo sinergico nell’influire sugli esiti infantili.

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Paracentrotus lividus è un echinoderma bentonico marino appartenente alla classe Echinoidea, comune in tutto il Mar Mediterraneo e lungo le coste atlantiche dalla Scozia al Marocco. Questa specie è estremamente importante dal punto di vista ecologico in quanto specie chiave nella strutturazione della comunità bentonica macroalgale. Inoltre in tempi recenti il mercato delle sue gonadi ha subito una forte espansione rendendolo una specie di interesse economico in numerosi paesi europei. Il crescente prelievo sta gradualmente portando al depauperamento della risorsa, per questo motivo il riccio di mare è oggetto di numerosi studi e programmi a fini conservazionistici. Una maggiore conoscenza del ciclo riproduttivo della specie potrebbe risultare utile per una migliore gestione della risorsa. Pertanto, questo studio si propone di indagare sulla biologia di P. lividus in due aree distinte della Sardegna: Su Pallosu, nella Penisola del Sinis Sardegna centro-occidentale, e nell’Area Marina Protetta di Tavolara – Punta Coda Cavallo, Sardegna nordorientale, al fine di far luce sulle dinamiche del ciclo riproduttivo. Le informazioni bibliografiche a riguardo evidenziano l’influenza dei fattori ambientali quali fotoperiodo, idrodinamismo, temperatura e tipologia di pascolo sull’andamento del ciclo biologico e il momento di spawning. Diversi autori hanno osservato in Mar Mediterraneo sia un unico ciclo riproduttivo che due eventi riproduttivi annuali a conferma dell’ampia variabilità dell’andamento gonadico. Nel presente lavoro al fine di mettere in relazione le caratteristiche dell’habitat con il ciclo riproduttivo delle popolazioni in oggetto è stato analizzato l’andamento dell’Indice Gonadosomatico (IGS) su individui di diverse taglie/età, come rapporto fra il peso delle gonadi e il peso dell’individuo; inoltre a conferma dello stadio di maturazione è stata effettuata l’analisi istologica delle gonadi su campioni fissati e inclusi in paraffina, sezionati a 7μm e colorati con ematossilina-eosina prima di essere osservati al microscopio ottico. Mediante analisi d’immagine di foto subacquee utilizzando il programma Seascape è stata caratterizzata la componente macroalgale bentonica e la componente abiotica degli habitat (sabbia e roccia non vegetata) con particolare attenzione al calcolo della percentuale di ricoprimento delle specie vegetali. Inoltre i siti sono stati caratterizzati rispetto all’esposizione dei venti dominanti con elaborazione dei dati del periodo di campionamento per direzione, frequenza e intensità.

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Il termine biochar definisce il prodotto solido derivante dalla pirolisi di un qualsiasi materiale organico, con lo specifico scopo di essere applicato nei suoli sia per fini agronomici che di gestione ambientale. Un suo utilizzo in maniera "responsabile" richiede però una piena comprensione delle sue proprietà e dei meccanismi che controllano la sua attività nel terreno, che dipendono dalla biomassa di partenza e dalle condizioni di sintesi tramite pirolisi. Infatti le condizioni di pirolisi, in particolare la temperatura di processo e il tempo di residenza, determinano biochar con caratteristiche differenti. In questo lavoro di tesi sono stati prodotti biochar da due diverse tipologie di biomassa residuale ampiamente disponibili (stocchi di mais e pollina). Per ciascuna biomassa sono state scelte tre condizioni di pirolisi (400°C x 20 minuti, 500°C x 10 minuti e 600°C x 5 minuti). Sui biochar ottenuti sono state effettuate le seguenti determinazioni: analisi elementare, Pirolisi‐GC‐MS, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), acidi grassi volatili (VFA), azoto ammoniacale (N‐NH4 +), pH, conduttività elettrica e ritenzione idrica. Infine i biochar sintetizzati sono stati utilizzati per fare due test di germinazione per valutare l'effetto sulla formazione delle prime strutture di crescita delle plantule, tramite test di tossicità brevi con piastre Petri. Il primo test è stato condotto a concentrazione crescente di miscele acqua/biochar (2, 5, 40 e 100 g/L sulla base delle quantità di biochar utilizzate come ammendante nel suolo), sulla germinazione seguendo la metodologia normata dalla ISO 11269:2012. I semi utilizzati nel primo test sono stati quelli del crescione (Lepidium sativum L.) come specie dicotiledone, e del sorgo (Sorghum saccharatum M.) come monocotiledone. Il secondo saggio di tossicità eseguito è stato quello descritto dalla normativa in materia UNI 11357, valutando l'eventuale effetto di tossicità alla massima concentrazione delle varie tipologie di biochar, utilizzando come specie dicotiledoni il cetriolo (Cucumis sativus L.) ed il crescione (Lepidium sativum L.), come monocotiledone il sorgo (Sorghum saccharatum M.). Per i biochar da stocchi di mais, rappresentativi di biomasse erbacee e con diverso grado di carbonizzazione, non si osservano effetti apprezzabili alle condizioni di uso agricolo. Nel caso dei biochar da pollina si osservano invece inibizioni alla germinazione sin dalle concentrazioni più basse. In particolare, quello pirolizzato a 400°C mostra un potenziale effetto tossico più marcato, probabilmente associato ad un contenuto di IPA e VFA superiore a quello degli altri biochar.

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Affrontare il tema del conferimento di azienda, così come esaminare ogni aspetto inerente, più in generale, l'azienda, può apparire estremamente arduo e complicato, stante il rischio di ripetere, in modo quasi scontato, "cose già dette" nel corso degli anni, prendendo le mosse da contributi noti ed arcinoti, soprattutto con riferimento alla disciplina dell'imprenditore commerciale, ossia alla prima tematica che viene presa in considerazione da parte del neofita del diritto commerciale. Tuttavia, a ben vedere, l'esaustività e completezza di tali studi non impedisce di affrontare, nell'attualità, alcuni aspetti che, anche grazie ai continui interventi del legislatore, presentano elementi degni di approfondimento. In tale ottica, quindi, è stato impostato il presente lavoro di ricerca. Così, ad un primo capitolo prevalentemente compilativo e volto ad individuare, nell'ordinamento giuridico, tutte le disposizioni che possono assumere rilevanza nell'inquadramento della disciplina del conferimento di azienda, nonchè le nozioni base di tale operazione, ne seguono altri due che si caratterizzano, rispettivamente: a) l'uno (il secondo capitolo), quale concreta individuazione delle modalità di esecuzione dell'operazione di conferimento di azienda, dalla decisione di procedere in tal senso, alla concreta esecuzione dell'apporto; b) l'altro (il terzo capitolo), quale esame di alcuni aspetti problematici che emergono a seguito dell'esecuzione dell'apporto, sia con riferimento agli effetti prodotti nei rapporti ricompresi nell'oggetto dell'apporto, sia con riferimento al ruolo dei diversi soggetti che, direttamente e/o indirettamente, ne subiscono i riflessi. In entrambi i capitoli (due e tre), peraltro, si affrontano non solo aspetti connessi alla disciplina dell'impresa ancora in bonis, ma anche, data l'attualità degli interventi operati dal legislatore nell'ambito della risoluzione della crisi dell'impresa, le questioni inerenti l'utilizzo di tale operazione quale forma di liquidazione dell'attivo. Si chiude l'elaborato con alcune riflessioni inerenti le forme di reazione agli abusi che, sovente, caratterizzano l'apporto dell'azienda.

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Oggetto della ricerca è la rilevanza nell’ambito del diritto penale del principio di precauzione. Quest’ultimo deve la sua diffusione e popolarità al fatto di presentarsi come criterio guida al problema del rischio e dell’incertezza. L’esigenza di adottare scelte normative in condizioni di incertezza scientifica è infatti oggi ineludibile. Si cercherà in primo luogo di circoscrivere l’oggetto dell’indagine analizzando il rilievo che il principio di precauzione ha a livello legislativo e giurisprudenziale. Quindi si analizzeranno le problematiche che il ricorso allo stesso suscita con riferimento alla struttura classica del reato e legate al contesto di incertezza nel quale viene invocato. Tali problematiche si riferiscono alla possibilità o meno di dare rilevanza al modello del reato di pericolo, alla ricostruzione del nesso causale e all’influenza che il principio di precauzione può determinare nell’accertamento dell’elemento soggettivo delle colpa. Si concluderà l’analisi analizzando le diverse posizioni assunte dalla dottrina italiana circa l’opportunità o meno dell’intervento penale in contesti di incertezza scientifica, individuando, in caso di risposta affermativa, le modalità di intervento.

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Obiettivo: capire la relazione che intercorre tra le coliche del cavallo e le parassitosi intestinali, quindi capire l’effettiva rilevanza clinica delle infezioni parassitarie. Tipo di studio: studio clinico-chirurgico e parassitologico. Metodi: in questo studio sono stati presi in esame 92 cavalli afferiti presso il servizio SARGA del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie durante gli anni 2009-2011. 27 di questi soggetti sono stati sottoposti a laparotomia esplorativa per colica, 22 avevano una colica che si è risolta con terapia medica, sono stati 43 i cavalli afferiti presso il servizio per patologie diverse dall’addome acuto. I cavalli da cui è stato possibile prelevare un’adeguato quantitativo di feci (# 86) sono stati sottoposti ad esami coprologici, qualitativi e quantitativi. I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi statistica descrittiva, al test del Chi quadrato e al test di Kuskall-Wallis rispettivamente per le prevalenze e i dati quantitativi, oltre ad una regressione logistica per evidenziare i fattori di rischio. Dai cavalli sottoposti a celiotomia è stato prelevato il contenuto intestinale per la raccolta dei parassiti adulti. Risultati: la prevalenza e l’abbondanza degli strongili è risultata significativamente minore nei cavalli sottoposti a chirurgia addominale rispetto al totale della popolazione presa in esame. Differenze significative di prevalenza sono state evidenziate anche tra i cavalli in colica medica e chirurgica. L’unico fattore di rischio evidenziato dall’analisi di regressione logistica è rappresentato dall’età per le sole coliche trattate chirurgicamente. Né strongili né ascaridi sembrano aumentare il rischio di colica. La probabilità di decesso aumenta significativamente in caso di colica chirurgica ma non è influenzata in alcun modo dalle infezioni parassitarie.