751 resultados para biomasse sarmenti valorizzazione energetica


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El estudio se centra en el sector residencial de la ciudad de Cuenca, Ecuador. El objetivo es determinar hasta donde se puede reducir el consumo de energía a la vez que se obtengan óptimas condiciones de confort, estableciendo un indicador de eficiencia energética. Para ello se determina la demanda de energía eléctrica y los factores principales de consumo, mediante una metodología de investigación mixta tanto cualitativa como cuantitativa, pues el consumo energético se ve influenciado por diferentes elementos como la eficiencia de los equipos, diseño y hábitos de uso de los habitantes, entre otros. Se realizan encuestas a una muestra de 280 hogares del sector residencial de Cuenca y por otro lado se mide el consumo y calidad lumínica del ambiente interior de 6 viviendas mediante equipos, simulaciones y encuestas. Posteriormente se analizan los resultados obtenidos y se los compara con los estándares de eficiencia nacional e internacional, se proponen estrategias básicas para la reducción del consumo de energía eléctrica y finalmente el estudio define una clasificación de indicadores de consumo mínimo.

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Le fer est un micronutriment important pour la croissance et le développement des plantes. Il agit comme cofacteur pour plusieurs enzymes et il est important pour des processus tels que la photosynthèse et la respiration. Souvent, le Fe dans le sol n’est pas bio-disponible pour la plante. Les plantes ont développé des stratégies pour solubiliser le Fe du sol pour le rendre disponible et assimilable pour elles. Il y a deux stratégies, la première est caractéristique des dicotylédones et la seconde est caractéristique des monocotylédones. Le modèle utilisé dans cette étude est une culture cellulaire de Solanum tuberosum. Une partie de la recherche effectuée a permis la mesure d’activité et d’expression relative de certaines enzymes impliquées dans le métabolisme énergétique et la fourniture de précurseurs pour la synthèse d’ADN : la Nucléoside diphosphate kinase, la Ribonucléotide reductase, la Glucose 6-phosphate déshydrogénase et la 6-Phosphogluconate déshydrogénase dans les cellules en présence ou en absence de Fe. Chez certains organismes, la déficience en Fe est associée à une perte de croissance qui est souvent liée à une diminution de la synthèse d’ADN. Chez les cultures de cellules de S. tuberosum, les résultats indiquent que la différence de biomasse observée entre les traitements n’est pas due à une variation de l’activité ou l’expression relative d’une de ces enzymes. En effet, aucune variation significative n’a été détectée entre les traitements (+/- Fe) pour l’activité ni l’expression relative de ces enzymes. Une autre partie de la recherche a permis d’évaluer l’activité des voies métaboliques impliquées dans la stratégie 1 utilisée par S. tuberosum. Cette stratégie consomme des métabolites énergétiques: de l’ATP pour solubiliser le Fe et du pouvoir réducteur (NAD(P)H), pour réduire le Fe3+ en Fe2+. Des études de flux métaboliques ont été faites afin d’étudier les remaniements du métabolisme carboné en déficience en Fe chez S. tuberosum. Ces études ont démontré une baisse du régime dans les différentes voies du métabolisme énergétique dans les cellules déficientes en Fe, notamment dans le flux glycolytique et le flux de C à travers la phosphoenolpyruvate carboxylase. En déficience de Fe il y aurait donc une dépression du métabolisme chez S. tuberosum qui permettrait à la cellule de ralentir son métabolisme pour maintenir sa vitalité. En plus des flux, les niveaux de pyridines nucléotides ont été mesurés puisque ceux-ci servent à réduire le Fe dans la stratégie 1. Les résultats démontrent des niveaux élevés des formes réduites de ces métabolites en déficience de Fe. L’ensemble des résultats obtenus indiquent qu’en déficience de Fe, il y a une baisse du métabolisme permettant à la cellule de s’adapter et survivre au stress.

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Questo lavoro è incentrato sull'analisi e la simulazione di un ciclo Rankine a fluido organico (ORC) per la produzione di energia da calore a bassa entalpia. Il lavoro è stato svolto in collaborazione con l'università di Gent, in Belgio, in particolare grazie al Prof. De Peape e all' Ing. Steven Lecompte; il lavoro in Italia è stato coordinato dal Prof. De Pascale. L'obiettivo principale della tesi è stata la creazione un modello computazionale in grado di descrivere le prestazioni dell'impianto a carico parziale. Ogni elemento dell'impianto è stato analizzato e modellizzato secondo un approccio di simulazione originale in Matlab. I componenti ottenuti sono stati poi combinati a formare la simulazione dell'intero sistema; questa è in grado di prevedere la potenza prodotta ed il rendimento del ciclo al variare delle condizioni esterne. I risultati ottenuti dalle simulazioni sono stati poi confrontati con i dati sperimentali raccolti sull'impianto di prova dell'Università. Questo confronto dimostra un buon accordo dei risultati previsti con quelli misurati. L'errore relativo massimo ottenuto per la potenza elettrica è sotto il 7%, così come quello sul rendimento; Gli errori relativi a pressione ed entalpie sono in genere sotto il 5%. Il modello può perciò dirsi validato e rappresenta un valido strumento di analisi per comprendere la risposta ai carichi parziali anche al di fuori del range di calibrazione. Il modello è stato infine utilizzato per costruire delle mappe del carico parziale e analizzare l'influenza delle variabili del ciclo. Ulteriori applicazioni delle mappe prodotte sono proposte a fine del lavoro.

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Con lo sviluppo di sorgenti capaci di sostenere scariche di non equilibrio a pressione atmosferica è nato un notevole interesse per le applicazioni biomediche del plasma, data la generazione nella scarica di una varietà di agenti efficaci in più ambiti. I plasmi di questo tipo, caratterizzati principalmente da una temperatura macroscopica vicina a quella ambiente, sono infatti già utilizzati, ad esempio, per la sterilizzazione, per il trattamento di polimeri per migliorarne la biocompatibilità, e per l’accelerazione del processo di coagulazione del sangue. In questo lavoro verrà presentata un’altra possibilità applicativa, sempre nel settore della plasma medicine, ovvero l’utilizzo dei plasmi per il trattamento di cellule cancerose, che sta avendo un particolare successo a causa dei risultati ottenuti dai vari gruppi di ricerca che sottintendono un suo possibile futuro nel trattamento di neoplasie. Verrà presentata una breve introduzione alla fisica del plasma, mostrando alcuni parametri che caratterizzano questo stato della materia, concentrandosi in particolare sui plasmi non termici o di non equilibrio, per poi passare al processo di ionizzazione del gas. Nel secondo capitolo sono approfondite due sorgenti per la generazione di plasmi non termici, la scarica a barriera dielettrica e il plasma jet. Il terzo capitolo fornisce una preliminare spiegazione degli agenti generati nella scarica e il rapporto che hanno con la materia con cui interagiscono. L’ultimo capitolo è il fulcro della ricerca, e comprende risultati ottenuti negli ultimi anni da vari gruppi di ricerca di molte nazionalità, e una breve parte riguardante la sperimentazione originale svolta anche in mia presenza dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, rappresentato principalmente dal professor Carlo Angelo Borghi e dal professor Gabriele Neretti.

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Il mio elaborato si pone come obiettivo il miglioramento di una macchina di condizionamento atta al funzionamento a temperature inferiori allo standard nazionale (circa -20°C, -253,15 K). Il lavoro si basa sullo studio di un sistema innovativo di sbrinamento per pompe di calore ad alta efficienza che necessiti nel minor modo possibile di manutenzione, sia di facile installazione e permetta alla macchina di mantenere il rendimento intorno a valori accettabili. Dopo aver portato avanti un'analisi energetica del sistema, attraverso lo studio di diverse possibilità di sbrinamento, l'elaborato verifica che l'installazione del sistema progettato porti ad un effettivo vantaggio anche dal punto di vista economico.

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L'analisi di questa tesi si basa sui dati ottenuti contattando direttamente le aziende produttrici e/o di progettazione e riguarda due settori energetici: la cogenerazione e il solare fotovoltaico. Nel primo si sono studiate 60 unità complete di cogenerazione il cui studio si è basato sulla costruzione di grafici che mettono in relazione le potenze uscenti con il prezzo. Si è mostrato così la forte presenza di un fenomeno di economia di scala e la diversa ripartizione della potenza prodotta. Per unità di piccola-media potenza predomina la produzione di energia termica, la quale diminuisce la sua quota percentuale all’aumentare della taglia. Nel settore del solare fotovoltaico l’analisi è stata più diversificata e articolata. Si sono analizzati 70 pannelli di cui 35 monocristallini, 14 europei e 21 asiatici, e 35 policristallini, 26 europei e 9 asiatici, per i quali si sono graficati gli andamenti di resa, potenza specifica e costo specifico. I pannelli monocristallini, intrinsecamente più efficienti grazie al maggior grado di purezza, presentano un andamento crescente dei costi piuttosto ripido anche se non proporzionale con l’aumento delle prestazioni. Tra i pannelli policristallini invece si evidenzia l’assenza di un andamento nettamente crescente delle prestazioni all’aumentare dei costi. Confrontando i moduli divisi in base alla macro-regione di produzione si nota che l’Asia produce i pannelli al Si monocristallino più efficienti e più costosi mentre pannelli al Si policristallino più economici, ma con prestazioni in linea con quelli europei.Con i dati raccolti si è potuta svolgere anche una ristretta analisi sui pannelli al film sottile. Quelli che utilizzano il Si amorfo presentano prestazioni così basse da non permettere loro una vera affermazione sul mercato. Quest’ultima si presume che sarà invece possibile per pannelli basati su diversi materiali semiconduttori che presentano buoni livelli di prestazioni, ma prezzi ancora troppo elevati.

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In questo lavoro si analizza il rendimento isoentropico di diversi espansori adottati all’interno di sistemi micro-ORC (Organic Rankine Cycle). Si parte da una descrizione generale dei sistemi ORC, mettendone in evidenza le principali caratteristiche, il layout tipico, le differenze rispetto ad un ciclo Rankine tradizionale, e gli ambiti di utilizzo. Si procede ad una trattazione teorica del rendimento isoentropico del compressore e dell’espansore, specificando le ipotesi adottate nei calcoli e mettendo in luce la relazione tra rendimento isoentropico e politropico nell’uno e nell’altro apparato. Si passa poi alla descrizione delle quattro principali tipologie di espansori presenti in letteratura: scroll, screw, vane e piston, e si prosegue con l'analisi nel dettaglio della letteratura relativa alla valutazione dell’efficienza di questi quando utilizzati all’interno di un sistema micro-ORC. Infine, dopo aver descritto il sistema ORC del laboratorio di via Terracini del DIN, illustrandone layout, componenti principali, potenza scambiata all’interno dei componenti e modalità di calcolo adottata per la valutazione del rendimento isoentropico dell’espansore e del sistema complessivo, si confrontano i dati di efficienza di questo con quelli reperiti in letteratura. Il confronto del rendimento, dell'espansore e complessivo, del sistema del DIN, 33.8% e 1,818% rispettivamente, con quelli degli altri sistemi, è risultato di difficilmente valutazione a causa delle condizioni di forte off-design del sistema stesso. Dalla ricerca è inoltre emerso che i fluidi più utilizzati nella sperimentazione, e dunque capaci di migliori prestazioni, sono R245fa, R134a e R123. Per quel che riguarda infine gli espansori, nel range di potenza di 1-10 kW, lo scroll risulta essere il migliore.

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La proliferazione di batteri in liquido è una problematica che riguarda anche le acque di fiumi e mari. In questo progetto di tesi sperimentale si indagherà un trattamento plasma assistito diretto di acqua sintetica riprodotta in laboratorio con l’obiettivo di ottenere un effetto battericida sul liquido contaminato. L’acqua trattata verrà analizzata chimicamente, in particolare si andranno a misurare i TRO (Total Residual Oxidant, composti dell’ossigeno derivanti dalla parziale ozonizzazione dell’acqua) che dovranno essere presenti in quantità minori di 0,1 mg/l. Il dispositivo utilizzato per i test biologici è una sorgente di tipologia DBD (Dielectric Barrier Discharge) indiretto. Gli elettrodi della sorgente sono separati dal solo strato di materiale dielettrico e uno di questi è composto da una rete metallica in acciaio inossidabile. Il plasma si forma tra le maglie della rete e induce la formazione di specie reattive, radiazioni UV, particelle cariche, campi elettromagnetici e calore. Ciò che raggiunge la soluzione contaminata è l’afterglow del plasma, ovvero tutte le specie reattive a lunga vita prodotte dalla ionizzazione dell’aria e dalle radiazioni UV. La sorgente è stata dapprima caratterizzata elettricamente studiando le forme d’onda di tensione e corrente a determinate condizioni operative. Il liquido da trattare è contaminato con il batterio Escherichia coli. è emerso che in tutti i casi testati i livelli degli ossidanti sono entro il limite prestabilito di 0,1 mg/l. Il trattamento plasma in soli 10 secondi è responsabile di una decontaminazione parziale del batterio E. coli. Da ulteriori studi si potranno trovare delle condizioni tali da inattivare totalmente la carica batterica presente date le grandi potenzialità di questo trattamento.

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Nell' elaborato vengono descritti gli studi conseguiti sia a livello internazionale che nazionale riguardanti la sostenibilità e i consumi energetici dell' ambiente costruito, passando dai problemi di occupazione, crescita economica e riduzione di emissioni di gas ad effetto serra, proseguendo poi con gli obiettivi da adottare in termini anche di circular economy e industria 4.0 per arrivare ad un unico grande scenario, ovvero quello della Riqualificazione Energetica degli Edifici.

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Le metodologie per la raccolta delle idee e delle opinioni si sono evolute a pari passo con il progresso tecnologico: dalla semplice comunicazione orale si è passati alla diffusione cartacea, fino a che l'introduzione e l'evoluzione di internet non hanno portato alla digitalizzazione e informatizzazione del processo. Tale progresso ha reso possibile l'abbattimento di ogni barriera fisica: se in precedenza la diffusione di un sondaggio era limitata dall'effettiva possibilità di distribuzione del sondaggio stesso, lo sviluppo della rete globale ha esteso tale possibilità (virtualmente) a tutto il mondo. Nonostante sia un miglioramento non indifferente, è importante notare come la valorizzazione della diffusione di un sondaggio abbia inevitabilmente portato a trascurarne le proprietà e i vantaggi intrinsechi legati alla sua diffusione prettamente locale. Ad esempio, un sondaggio che mira a valutare la soddisfazione degli utenti riguardo alla recente introduzione di una nuova linea di laptop ottiene un guadagno enorme dall'informatizzazione, e dunque delocalizzazione, del processo di raccolta dati; dall'altro lato, un sondaggio che ha come scopo la valutazione dell'impatto sui cittadini di un recente rinnovamento degli impianti di illuminazione stradale ha un guadagno pressoché nullo. L'idea alla base di QR-VEY è la ricerca di un ponte tra le metodologie classiche e quelle moderne, in modo da poter sfruttare le proprietà di entrambe le soluzioni. Tale ponte è stato identificato nella tecnologia del QR-Code: è possibile utilizzare un generico supporto che presenti proprietà di localizzazione, come un foglio cartaceo, ma anche un proiettore di una conferenza, come base per la visualizzazione di tale codice, ed associare alla scansione dello stesso funzionalità automatizzate di raccolta di dati e opinioni.

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Le fer est un micronutriment important pour la croissance et le développement des plantes. Il agit comme cofacteur pour plusieurs enzymes et il est important pour des processus tels que la photosynthèse et la respiration. Souvent, le Fe dans le sol n’est pas bio-disponible pour la plante. Les plantes ont développé des stratégies pour solubiliser le Fe du sol pour le rendre disponible et assimilable pour elles. Il y a deux stratégies, la première est caractéristique des dicotylédones et la seconde est caractéristique des monocotylédones. Le modèle utilisé dans cette étude est une culture cellulaire de Solanum tuberosum. Une partie de la recherche effectuée a permis la mesure d’activité et d’expression relative de certaines enzymes impliquées dans le métabolisme énergétique et la fourniture de précurseurs pour la synthèse d’ADN : la Nucléoside diphosphate kinase, la Ribonucléotide reductase, la Glucose 6-phosphate déshydrogénase et la 6-Phosphogluconate déshydrogénase dans les cellules en présence ou en absence de Fe. Chez certains organismes, la déficience en Fe est associée à une perte de croissance qui est souvent liée à une diminution de la synthèse d’ADN. Chez les cultures de cellules de S. tuberosum, les résultats indiquent que la différence de biomasse observée entre les traitements n’est pas due à une variation de l’activité ou l’expression relative d’une de ces enzymes. En effet, aucune variation significative n’a été détectée entre les traitements (+/- Fe) pour l’activité ni l’expression relative de ces enzymes. Une autre partie de la recherche a permis d’évaluer l’activité des voies métaboliques impliquées dans la stratégie 1 utilisée par S. tuberosum. Cette stratégie consomme des métabolites énergétiques: de l’ATP pour solubiliser le Fe et du pouvoir réducteur (NAD(P)H), pour réduire le Fe3+ en Fe2+. Des études de flux métaboliques ont été faites afin d’étudier les remaniements du métabolisme carboné en déficience en Fe chez S. tuberosum. Ces études ont démontré une baisse du régime dans les différentes voies du métabolisme énergétique dans les cellules déficientes en Fe, notamment dans le flux glycolytique et le flux de C à travers la phosphoenolpyruvate carboxylase. En déficience de Fe il y aurait donc une dépression du métabolisme chez S. tuberosum qui permettrait à la cellule de ralentir son métabolisme pour maintenir sa vitalité. En plus des flux, les niveaux de pyridines nucléotides ont été mesurés puisque ceux-ci servent à réduire le Fe dans la stratégie 1. Les résultats démontrent des niveaux élevés des formes réduites de ces métabolites en déficience de Fe. L’ensemble des résultats obtenus indiquent qu’en déficience de Fe, il y a une baisse du métabolisme permettant à la cellule de s’adapter et survivre au stress.

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La présence des contaminants organiques dans l’environnement est une problématique aux enjeux aussi bien scientifiques que politiques. Le caractère diffus et continu (différentes et multiples sources) de cette contamination ne permet pas à ces molécules biologiquement actives d’être soumises à une législation. Ces molécules, pouvant être très récalcitrantes, ne sont pas systématiquement éliminées par les systèmes de traitement des eaux conventionnels. Actuellement, de nouveaux procédés biotechnologiques basés sur des enzymes extracellulaires (e.g. Laccase) ou des champignons lignivores permettent l’élimination des composés les plus récalcitrants. Notre compréhension des mécanismes impliqués dans cette élimination reste incomplète. En effet, la biosorption et l’activité des enzymes extracellulaire sont les mécanismes les plus souvent mis en avant pour expliquer l’efficacité des procédés d’élimination fongique, mais ne sont pas capables d’expliquer les performances obtenues pour certains composés pharmaceutiques. Ces lacunes dans nos connaissances sur les mécanismes responsables de l’élimination fongique des contaminants organiques sont un frein à la pleine exploitation de ces procédés de traitement. De plus, il est forcé d’admettre qu’un grand nombre de travaux portant sur l’élimination fongique de contaminants organiques ont été réalisés dans des conditions de hautes concentrations, qui peuvent être peu représentatives des matrices environnementales. Ainsi, les effets observés à plus forte concentration peuvent etre le résultat dû au stress de l’organisme au contact des contaminants (toxicités). Cette thèse adresse deux questions ; ainsi quelle est l’influence des concentrations traces sur de tels procédés ? Et comment expliquer l’élimination de certains contaminants organiques lors des traitements fongiques ? Afin d’apporter des éléments de réponse sur les mécanismes mis en jeux lors de l’élimination fongique, les travaux présentés ici ont été réalisés sur un modèle de champignon lignivore connu pour ses propriétés en bioremediation. Dans un premier temps, un développement analytique permettant la quantification d’une sélection de contaminants organiques à l’état de traces a été réalisé. Cette méthode a permis d’effectuer des analyses de ces molécules à partir d’un seul échantillon environnemental de faible biomasse et à partir d’une seule injection instrumentale. Les résultats de cette thèse démontrent que l’élimination fongique de contaminants organiques résulte de mécanismes plus complexes que précédemment décrits. Notamment, la dégradation est fortement dépendante d’une étape initiale d’internalisation du contaminant par l’organisme ciblé et de la dégradation intracellulaire. Les mécanismes impliqués peuvent ainsi donnés lieux à des réactions de conjugaison intracellulaire des molecules (glucuronide, glutathione). Les résultats démontrent également que ces procédés d’élimination fongique sont efficaces sur une large gamme de concentration en contaminants organiques. Cependant, les faibles concentrations modifient les propriétés physico-chimiques et biologiques de l’organisme testé (i.e. un changement de la morphologie et du profil de la production enzymatique). La réponse biologique n’étant pas directement proportionnelle a l’exposition en contaminant. Cette étude a permis d’accroitre notre compréhension des mécanismes impliqués dans la dégradation fongique de contaminants organiques. Ceci ouvre la voie à de nouvelles études portant sur les interactions entre processus intra — et extracellulaires. Cette thèse contribue également à l’amélioration des connaissances en offrant des outils de compréhension nécessaire à l’optimisation et au développement du potentiel de ces procédés biotechnologiques (ciblage et role des enzymes réeellement impliquées dans les réactions de biocatalyse).

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Résumé : Au Canada, près de 80% des émissions totales, soit 692 Mt eq. CO[indice inférieur 2], des gaz à effet de serre (GES) sont produits par les émissions de dioxyde de carbone (CO[indice inférieur 2]) provenant de l’utilisation de matières fossiles non renouvelables. Après la Conférence des Nations Unies sur les changements climatiques, COP21 (Paris, France), plusieurs pays ont pour objectif de réduire leurs émissions de GES. Dans cette optique, les microalgues pourraient être utilisées pour capter le CO[indice inférieur 2] industriel et le transformer en biomasse composée principalement de lipides, de glucides et de protéines. De plus, la culture des microalgues n’utilise pas de terre arable contrairement à plusieurs plantes oléagineuses destinées à la production de biocarburants. Bien que les microalgues puissent être transformées en plusieurs biocarburants tels le bioéthanol (notamment par fermentation des glucides) ou le biométhane (par digestion anaérobie), la transformation des lipides en biodiesel pourrait permettre de réduire la consommation de diesel produit à partir de pétrole. Cependant, les coûts reliés à la production de biodiesel à partir de microalgues demeurent élevés pour une commercialisation à court terme en partie parce que les microalgues sont cultivées en phase aqueuse contrairement à plusieurs plantes oléagineuses, ce qui augmente le coût de récolte de la biomasse et de l’extraction des lipides. Malgré le fait que plusieurs techniques de récupération des lipides des microalgues n’utilisant pas de solvant organique sont mentionnées dans la littérature scientifique, la plupart des méthodes testées en laboratoire utilisent généralement des solvants organiques. Les lipides extraits peuvent être transestérifiés en biodiesel en présence d’un alcool tel que le méthanol et d’un catalyseur (catalyses homogène ou hétérogène). Pour la commercialisation du biodiesel à partir de microalgues, le respect des normes ASTM en vigueur est un point essentiel. Lors des essais en laboratoire, il a été démontré que l’extraction des lipides en phase aqueuse était possible afin d’obtenir un rendement maximal en lipides de 36% (m/m, base sèche) en utilisant un prétraitement consistant en une ébullition de la phase aqueuse contenant les microalgues et une extraction par des solvants organiques. Pour l’estérification, en utilisant une résine échangeuse de cations (Amberlyst-15), une conversion des acides gras libres de 84% a été obtenue à partir des lipides de la microalgue Chlorella protothecoïdes dans les conditions suivantes : température : 120°C, pression autogène, temps de réaction : 60 min, ratio méthanol/lipides: 0.57 mL/g et 2.5% (m/m) Amberlyst-15 par rapport aux lipides. En utilisant ces conditions avec une catalyse homogène (acide sulfurique) et une seconde étape alcaline avec de l’hydroxyde de potassium (température : 60°C ; temps de réaction : 22.2 min; ratio catalyseur microalgue : 2.48% (m/m); ratio méthanol par rapport aux lipides des microalgues : 31.4%), un rendement en esters méthyliques d’acides gras (EMAG) de 33% (g EMAG/g lipides) a été obtenu à partir des lipides de la microalgue Scenedesmus Obliquus. Les résultats démontrent que du biodiesel peut être produit à partir de microalgues. Cependant, basé sur les présents résultats, il sera necessaire de mener d’autre recherche pour prouver que les microalgues sont une matière première d’avenir pour la production de biodiesel.

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L'industrie du ciment est l'une des principales sources d'émission de dioxyde de carbone. L'industrie mondiale du ciment contribue à environ 7% des émissions de gaz à effet de serre dans l'atmosphère. Afin d'aborder les effets environnementaux associés à la fabrication de ciment exploitant en permanence les ressources naturelles, il est nécessaire de développer des liants alternatifs pour fabriquer du béton durable. Ainsi, de nombreux sous-produits industriels ont été utilisés pour remplacer partiellement le ciment dans le béton afin de générer plus d'économie et de durabilité. La performance d'un additif de ciment est dans la cinétique d'hydratation et de la synergie entre les additions et de ciment Portland. Dans ce projet, deux sous-produits industriels sont étudiés comme des matériaux cimentaires alternatifs: le résidu de silice amorphe (RSA) et les cendres des boues de désencrage. Le RSA est un sous-produit de la production de magnésium provenant de l'Alliance Magnésium des villes d'Asbestos et Thedford Mines, et les cendres des boues de désencrage est un sous-produit de la combustion des boues de désencrage, l'écorce et les résidus de bois dans le système à lit fluidisé de l'usine de Brompton située près de Sherbrooke, Québec, Canada. Récemment, les cendres des boues de désencrage ont été utilisées comme des matériaux cimentaires alternatifs. L'utilisation de ces cendres comme matériau cimentaire dans la fabrication du béton conduit à réduire la qualité des bétons. Ces problèmes sont causés par des produits d'hydratation perturbateurs des cendres volantes de la biomasse quand ces cendres sont partiellement mélangées avec du ciment dans la fabrication du béton. Le processus de pré-mouillage de la cendre de boue de désencrage avant la fabrication du béton réduit les produits d'hydratation perturbateurs et par conséquent les propriétés mécaniques du béton sont améliorées. Les approches pour étudier la cendre de boue de désencrage dans ce projet sont : 1) caractérisation de cette cendre volante régulière et pré-humidifiée, 2) l'étude de la performance du mortier et du béton incorporant cette cendre volante régulière et pré-humidifiée. Le RSA est un nouveau sous-produit industriel. La haute teneur en silice amorphe en RSA est un excellent potentiel en tant que matériau cimentaire dans le béton. Dans ce projet, l'évaluation des RSA comme matériaux cimentaires alternatifs compose trois étapes. Tout d'abord, la caractérisation par la détermination des propriétés minéralogiques, physiques et chimiques des RSA, ensuite, l'optimisation du taux de remplacement du ciment par le RSA dans le mortier, et enfin l'évaluation du RSA en remplacement partiel du ciment dans différents types de béton dans le système binaire et ternaire. Cette étude a révélé que le béton de haute performance (BHP) incorporant le RSA a montré des propriétés mécaniques et la durabilité, similaire du contrôle. Le RSA a amélioré les propriétés des mécaniques et la durabilité du béton ordinaire (BO). Le béton autoplaçant (BAP) incorporant le RSA est stable, homogène et a montré de bonnes propriétés mécaniques et la durabilité. Le RSA avait une bonne synergie en combinaison de liant ternaire avec d'autres matériaux cimentaires supplémentaires. Cette étude a montré que le RSA peut être utilisé comme nouveaux matériaux cimentaires dans le béton.

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Les concentrations de métaux lourds retrouvées dans les sols augmentent considérablement depuis la révolution industrielle et s’accumulent quotidiennement dans la biosphère. Ces composés métalliques persisteront pendant plusieurs années au niveau des différents écosystèmes affectés et voyageront dans les chaînes alimentaires par bioaccumulation. Les activités humaines, telle que l’industrie minière contribuent activement à cette problématique environnementale. En effet, l’excavation minière perturbe la roche-mère et favorise l’oxydation des métaux lourds sulfurés qui, lentement, produiront de l’acide sulfurique. Cette acidification peut mobiliser les éléments métalliques stables en condition neutre ou alcaline. Ces phénomènes induisent la formation du drainage minier acide (DMA) qui peut contaminer les cours d’eau ou les nappes phréatiques à proximité. Plusieurs mines sont situées en Abitibi-Témiscamingue en raison de l’abondance de divers minerais dans la roche mère tels que l’or. Une importante quantité de déchets industriels est produite lors de l’excavation du minerai, dont les résidus miniers entreposés dans des bassins de rétention extérieurs. Ces bassins prennent de l’expansion quotidiennement autour du site minier substituant la place de la végétation saine et des territoires. Une mise en végétation des sites miniers du Québec est exigée depuis 1995 afin de redonner une apparence naturelle aux sites et limiter le phénomène d’érosion. Depuis 2013, un plan de réaménagement et de restauration des sites exploités est obligatoire selon la loi sur les mines. Ces bassins seront donc ciblés pour effectuer des essais de revégétalisation par l’entremise de plantes actinorhiziennes. Les plantes actinorhiziennes sont des végétaux robustes pouvant coloniser nombreux habitats perturbés et hostiles. L’aulne est une plante actinorhizienne pouvant établir une relation symbiotique avec l’actinobactérie fixatrice d’azote du genre Frankia. La symbiose actinorhizienne est une interaction équitablement profitable entre la plante et la bactérie. Cette symbiose repose sur la capacité de la bactérie à transformer, au niveau des nodules, l’azote atmosphérique en ammonium assimilable grâce à une enzyme spécifique, la nitrogénase. Lorsque la symbiose est bien établie, elle donnera un avantage significatif aux plantes pour leur développement et leur croissance, et ce, même dans un substrat pauvre en nutriments ou contaminé. En effet, la symbiose actinorhizienne permet d’améliorer la structure physicochimique d’un sol et de l’enrichir en azote grâce à la fixation de l’azote atmosphérique. Dans la région de l’Abitibi-Témiscamingue, la mine Doyon est une mine d’or qui détient des sols acidogènes contenant des traces non négligeables de métaux lourds. Ce projet de recherche en microbiologie environnementale avait comme objectif principal d’évaluer la capacité des aulnes rugueux et des aulnes crispés à coloniser des résidus miniers acidogènes aurifères (concentrations différentes de 0 %, 35 %, 65 % et 100 %) avec ou sans l’aide de Frankia. La dispersion des contaminants par les feuilles a aussi été étudiée afin d’évaluer le risque environnemental de l’utilisation des aulnes sur le terrain à des fins de revégétalisation. Les objectifs préliminaires avaient comme but d’évaluer la résistance, de manière individuelle, de la souche ACN10a du genre Frankia (par extrait aqueux) puis des espèces d’aulne aux résidus miniers non stérilisés. Par le fait même, la microflore des résidus miniers a été étudiée dans le but d’isoler des espèces symbiotiques d’endophytes écoadaptées aux conditions arides du site minier Doyon. Concernant les objectifs préliminaires, les résultats ont démontré que la souche ACN10a résiste bien jusqu’à 35 % d’extrait aqueux de résidus miniers de la mine Doyon. Pour les concentrations supérieures à 50 %, Frankia (souche ACN10a) a démontré une respiration cellulaire et des concentrations protéiques décroissantes en raison de la présence d’éléments toxiques biodisponibles dans l’extrait aqueux. Par ailleurs, les aulnes rugueux et crispés ont démontré une tolérance jusqu’à la concentration de 35 % de résidus miniers non stérilisés sans la présence de Frankia. Par la suite, les résultats d’isolement n’ont pas démontré la capacité des aulnes à recruter des bactéries symbiotiques à partir des résidus miniers de la mine Doyon. Concernant l’objectif principal, les résultats ont démontré que l’aulne rugueux résiste mieux que l’aulne crispé jusqu’aux concentrations de 35 % de résidus miniers lorsqu’inoculés en manifestant une meilleure biomasse sèche totale, une plus grande concentration de chlorophylle dans les feuilles et un plus grand nombre spécifique de nodules. L’établissement symbiotique a été affecté par la présence des résidus miniers acidogène révélant que le nombre de site d’infection racinaire diminuait en fonction des concentrations de résidus miniers croissantes (0 %, 35 %, 65 % et 100 %). Ensuite, une analyse des éléments chimiques des feuilles a démontré que le transfert des métaux lourds des résidus miniers vers les feuilles était minime. Les plantes révélant de hautes teneurs en métaux lourds dans leurs feuilles ont développé par le fait même, une faible biomasse aérienne limitant ainsi la dispersion de contaminants lors de la perte des feuilles à l’automne. Le modèle expérimental aulne-Frankia possédait un seuil de tolérance visible à la concentration de 35 % de résidus miniers acidogènes aurifères de la mine Doyon. De plus, la présence de la symbiose actinorhizienne a modulé la distribution de certains éléments chimiques dans les feuilles en comparaison avec les aulnes non-inoculés (molybdène, nickel). Puis, une similarité a été notée dans la composition chimique des feuilles d’aulnes inoculés s’étant développés dans 0 % (témoin positif) et 35 % de résidus miniers.