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Resumo:
Questa ricerca analizza le implicazioni derivanti dall’introduzione della procedura di co-decisione come procedura legislativa ordinaria nel processo di riforma della politica agricola comune. La diversa distribuzione dei poteri tra le istituzioni europee modifica gli assetti istituzionali e fornisce al Parlamento il ruolo di colegislatore in materia agricola. La forma assunta dalla nuova politica agricola europea scaturisce dalla configurazione dei poteri di contrattazione che ciascun attore ha mostrato nella sede dei triloghi negoziali. La ricerca tenta di verificare la accuratezza predittiva di diversi modelli di contrattazione legislativa attraverso il confronto e la verifica degli errori di predizione sui risultati finali di alcune questioni salienti della riforma della Politica Agricola Comune e allo stesso tempo, cerca di identificare il peso del potere del Parlamento europeo in veste di co-legislatore nel processo di riforma della PAC post-2013.
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La ricerca punta a ricostruire il complesso e travagliato processo decisionale che porta alla realizzazione del quarto centro siderurgico di Taranto. Il grande stabilimento viene progettato nel 1955, approda sui tavoli del comitato di Presidenza della Finsider nel settembre del 1956 e dopo quasi quattro anni di dibattiti e dietrofront ottiene il via libera dal consiglio dei Ministri il 9 giugno del 1959. La prima pietra del centro verrà posta il 10 luglio del 1960, il primo settore (un tubificio) inaugurato nel 1961, mentre il resto del complesso entrerà in funzione nel 1964. Ispiratore del centro è Pasquale Saraceno e gli uomini dell'associazione Svimez, convinti sostenitori dell'industrializzazione dell'Italia Meridionale. Il progetto sostenuto apertamente dalla Democrazia Cristiana a partire dal 1956 e in seguito da tutte le forze politiche, viene convintamente osteggiato dall'Impresa Pubblica, Finsider in testa, che vede messa a repentaglio l'autonomia imprenditoriale del gruppo e i propri equilibri economici. Il centro meridionale è considerato strategicamente penalizzante ed economicamente sconveniente, dato che i maggiori centri industriali italiani del tempo si trovano nell'Italia Settentrionale (quindi una localizzazione meridionale comporterebbe un aggravio di costi per le operazioni di trasporto dell'acciaio). L'Impresa pubblica opterebbe su una politica imprenditoriale più prudente, incentrata sul potenziamento graduale dei centri già esistenti. Non così la Politica decisa ad attuare una svolta in grado di realizzare evidenti progressi nell'economia meridionale. La nostra ricerca ha cercato di ricostruire l'impegno e le manovre dei principali partiti politici e parallelamente le strategie e le ragioni dell'Impresa pubblica tenendo anche conto del grande dibattito sorto sulla stampa nazionale tra favorevoli e contrari al progetto e al coinvolgimento dell'opinione pubblica meridionale in particolare pugliese. La ricerca si divide in tre parti (dedicate alle origini del progetto (1954-1955), gli sviluppi della vicenda (1957-1958), il via libera al centro (1959-1960) e si articola in sei capitoli (Meridione e industrializzazione: verso il quarto centro siderurgico; La siderurgia italiana verso il boom: il progetto del IV centro a ciclo integrale; La polemica Iri – Dc: uno scontro istituzionale; Il Pci e il centro siderurgico di Taranto; La vicenda Vado Ligure e la posizione dell'impresa privata; L'approvazione del progetto). La tesi cerca di mettere a fuoco la posizione della Politica (Dc e Pci su tutti), della Tecnica (Iri e Finsider ma anche progetti e impegno dei privati, quali la Fiat e la Falck) e della società civile (soprattutto quella tarantina dedicando una certa attenzione al mondo cattolico). La ricerca si è svolta su più livelli. Nel primo anno si è compiuta un'approfondito studio presso l'archivio dell'Iri (conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato a Roma), della Dc (Istituto Sturzo, Roma), del Pci (Istituto Gramsci Roma). Il secondo ha permesso di soffermarsi sulle vicende di Taranto (Archivio dell'Arcidiocesi, Archivio del Comune, Biblioteca Comunale). Il terzo è stato focalizzato ancora su vicende politiche e finanziarie (Archivio Storico Banca d'Italia, Archivio Giulio Andreotti, Archivio storico del Senato, tutti con sede a Roma). L'esame dei verbali dei Comitati esecutivi della Finsider per gli anni 1954 -1959 rivela una chiara direzione: la Finsider studia con grande rigore la situazione del mercato italiano, delle varie aziende e dei centri produttivi del Gruppo. Un rigore finalizzato alla chiusura dei centri ritenuti antiquati e poco funzionali e al potenziamento di quelli più moderni e dalle dimensioni imponenti. Un'azione tesa ad incrementare la produzione, essere competitivi sul mercato internazionale e salvaguardare il vero faro dell'azienda in quegli anni: l'economicità. Cioè ottenere il più possibile tutelando gli equilibri finanziari del Gruppo. E' per questo che per ben due anni, i funzionari dell'azienda avanzano progetti complementari, come quello del piccolo centro di Apuania, ma il Comitato esecutivo pur considerando l'investimento indispensabile e conveniente, decide di rinviarne la realizzazione. Gli elementi più rilevanti sono emersi per l'anno 1957. E' noto come il centro siderurgico meridionale fosse messo a rischio da un altro progetto avanzato dalla Fiat, decisa a realizzare un proprio stabilimento nell'Italia settentrionale, a Vado Ligure. Il centro avrebbe dovuto rifornire di acciaio gli stabilimenti della casa automobilistica rendendola indipendente dall'Industria di Stato. Nel caso si fosse realizzato il centro di Vado (al quale la Fiat rinuncerà nel 1957) sarebbe risultato impossibile realizzarne un altro nel Meridione (a quel punto la produzione avrebbe superato i consumi). Dai dati esaminati emerge una trattativa finora inedita che vede il coinvolgimento della Finsider e di privati stranieri.
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In Scrittori classici italiani di economia politica. Milano, 1804. 22 cm. [v.18-19] Parte moderna, v.11: v.12, p. [5]-166.
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In Scrittori classici italiani di economia politica. Milano, 1803. 22 cm. [v. 14-16] Parte moderna, v. 7-8; v. 9, p. [5]-228.
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In Scrittori, classici italiani di economia politica. Milano, 1804. 22 cm. [v. 31] Parte moderna, v. 24, p. [5]-111.
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In Scrittori classici italiani di economia politica. Milano, 1804. 22 cm. [v. 24] Parte moderna, v. 17, p. [5]-189.
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In Scrittori classici italiani di economia politica. Milano, 1804. 22 cm. [v. 32] Parte moderna, v. 25, p. [5]-258.
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O objectivo principal desta tese é analisar a evolução das ideias e proposições teóricas da obra de John Maynard Keynes, enfatizando as suas propostas de politica económica com influência na ordem económica internacional. A hipótese primordial deste trabalho, numa abordagem pós-Keynesiana, é a defesa da mudança do pensamento económico de Keynes, de uma visão marshalliana compatível com o capitalismo do laissez-faire, para uma análise teórica inovadora dos problemas do capitalismo pós-grande depressão, nos anos 1930; The Economics of John Maynard Keynes ABSTRACT: The main objective of this article is to analyze the evolution of the ideas and theoretical propositions of the of the work of John Maynard Keynes. The underlying hypothesis of this work, in a post Keynesian approach, is the defence of change of economic thought of Keynes, a vision marshallian compatible with laissez-faire capitalism, for an innovative theoretical analysis of the problems of capitalism pós-great depression, in the years 1930.
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Este artigo baseia-se em Resende, MFC e Teixeira, JR., “Competitividade, Vulnerabilidade Externa e Importações Totais e de Bens de Capital no Brasil: 1978/2000”, Seminário Interno da DISET. Aborda os aspectos da indústria de bens de capital brasileira, bem como a estimativa das funções de demanda de importação total e de bens de capital.
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This interview (translated and published in Portuguese) was commissioned and conducted by the editors of the Brazilian Guide to Cultural Production 2010-2011 (Edicoes SESC SP, 2010). It covers a range of topics including definitions of the Creative Industries; the value of innovation and creativity in business and education; QUT's Creative Industries Faculty; and the relationship between creative industries and the arts.
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Bitcoin is a distributed digital currency which has attracted a substantial number of users. We perform an in-depth investigation to understand what made Bitcoin so successful, while decades of research on cryptographic e-cash has not lead to a large-scale deployment. We ask also how Bitcoin could become a good candidate for a long-lived stable currency. In doing so, we identify several issues and attacks of Bitcoin, and propose suitable techniques to address them.
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A Bitcoin wallet is a set of private keys known to a user and which allow that user to spend any Bitcoin associated with those keys. In a hierarchical deterministic (HD) wallet, child private keys are generated pseudorandomly from a master private key, and the corresponding child public keys can be generated by anyone with knowledge of the master public key. These wallets have several interesting applications including Internet retail, trustless audit, and a treasurer allocating funds among departments. A specification of HD wallets has even been accepted as Bitcoin standard BIP32. Unfortunately, in all existing HD wallets---including BIP32 wallets---an attacker can easily recover the master private key given the master public key and any child private key. This vulnerability precludes use cases such as a combined treasurer-auditor, and some in the Bitcoin community have suspected that this vulnerability cannot be avoided. We propose a new HD wallet that is not subject to this vulnerability. Our HD wallet can tolerate the leakage of up to m private keys with a master public key size of O(m). We prove that breaking our HD wallet is at least as hard as the so-called "one more" discrete logarithm problem.
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Desde 1988, como parte de las medidas adoptadas por la Política Agraria Común (PAC) de la UE, se ha aplicado la retirada de tierras de la producción, diseñada inicialmente como una medida con carácter estabilizador estructural. El tema de retirada de tierras es de vigente actualidad, pues la UE ha optado por el sistema, como una medida coyuntural y voluntaria, a partir de 1992, para limitar los excedentes de producción agrícola. En los cuatro años de aplicación del régimen plurianual de 1988, de retiradas de tierras de la producción, en España, la Comunidad de Aragall es la que ha presentado mayor número de solicitudes para retirar superficies de la producción (41,7% del total seguida por Castilla Leal (21,1 %) y Castilla-Mancha (18,5 %). El principal destino solicitado para las 41 592 ha de tierras retiradas de la producción, por los productores en Aragón, fue el barbecho, es decir el sistema tradicional de producción (cereal-barbecho), dada la carencia de acciones que vincularán el programa de retirada de tierras con otras alternativas. tales como los programas de reforestación o siembra de cultivos no alimenticios. La superficie retirada de la producción representó el 4,93 % de la superficie de cereales en Aragón, y está muy por debajo de la media de los países con mayor superficie retirada, como son Holanda, Italia y Alemania con un 16,79 %, 12,75% y 7,85% respectivamente, con respecto a la superficie de cereales, sin embargo es semejante a la media comunitaria (4,39 %) y superior a la media española (0,86 %). Las provincias de Huesca (21 966 ha) y Zaragoza (11 491 ha), presentaron mayor número de solicitudes de hectáreas acogidas, 53 % y 42 % respectivamente. Hay que tener en cuenta que, en ambas provincias, se siembra el 81 %de los cereales de Aragón y que en la provincia de Truel solo se aplicó la medida en dos de sus seis comarcas . La superficie retirada correspondió a la vez al 23 % del total de la superficie de las 795 explotaciones acogidas a la medida. A pesar de ser la Comunidad Autónoma con el mayor porcentaje de solicitudes para retirar tierras, no se acogieron las tierras en regadío más productivas (solo el 18% del área total retirada, 3.389 ha), mientras que las tierras menos productivas o de secano, y por lo tanto con mayor riesgo de pérdidas económicas durante la cosecha, representaron el 92% de la superficie retirada (38 203 ha), de las cuales el 38 % (14 362 ha) correspondió a zonas desfavorecidas y el 62 % (23 841 ha) a zonas de secano no desfavorecidas. Una de las causas de esta situación fue la baja cuantía de las ayudas destinadas a la retirada de tierras, de tal manera que solo resultó atractivo para los productores con explotaciones situadas en zonas marginales. En 1992 a través de las declaraciones efectuadas por los agricultores aragoneses, para la petición de pagos compensatorios, en la aplicación de las nuevas medidas establecidas por la PAC, se ha visto reflejada la información referente al total del superficie retirada en el programa quinquenal de 1988, hasta la campaña agrícola 1992/93. Para el caso de Aragón los agricultores declararon un total de 30 579 ha de barbecho (28 016 ha en cultivos de secano y 2 562 ha en cultivo de regadío) pertenecientes al programa de retirada de tierras de 1988, muy por debajo de las superficies correspondientes a las solicitudes aprobadas (41 592 ha). Con la reforma de la PAC de 1992, se prevé una disminución progresiva y •severa de los precios de intervención de los cultivos herbáceos, con el fin de aproximarlos a los precios mundiales, para compensar las pérdidas de renta por parte de los agricultores se ha establecido un conjunto de ayudas. Estas ayudas tienen diferentes modalidades dependiendo de la consideración de pequeño o mediano y gran agricultor (con un límite entre ambos grupos de 92 t de producción). Los agricultores cuyas explotaciones ‘superan las 92 t de producción están sujetos a la condición de retirar como mínimo un 15% o un 20% de la superficie de cultivos, según escojan el sistema rotacional o no, respectivamente, y hasta un máximo voluntario del 50% de la superficie de cultivos herbáceos a partir de 1994. La superficie basa regional para los cultivos herbáceos de secano, exceptuando el maíz, aprobada por la UE para Aragón, ha sido de 724 000 hectáreas. Esta superficie ha sido superada en un 0,8% en Aragón, para la campaña 1992/93. A la vez el Estado español ha legislado sobre los barbechos tradicionales que se practican en los cultivos de secano, estableciendo índices comarcales, para así evitar que los productores abandonen esta práctica para incrementar las superficies subvenciónales. Hay que destacar el alto porcentaje (57 % sobre la superficie de cereales) que representan los tres tipos de barbechos existentes (barbecho tradicional y barbechos por retirada de tierras, de 1988 y 1992) en los secanos aragoneses, determinando primordialmente por el barbecho tradicional. El 15% de la superficie de tierras retiradas en el sistema rotacional en Aragon, establecida por la Reforma de la PAC en 1992, ha sido de 73 732 ha, por lo que el 78% de la superficie de cereales de secano corresponde a explotaciones con una producción superior a 92 t por lo que con ambos sistemas de retiradas de tierras, se obtendrá prácticamente resultados iguales en Jo referente a la disminución de la producción. Se realiza también un análisis económico de la variación de los ingresos del agricultor, según se acoja o no a la condición de pequeño agricultor, tal como define el programa de retirada de tierras, en el contexto de la PAC de 1992, mediante el cálculo de la superficie umbral. Es decir, la superficie bajo la cual se obtiene el mismo margen bruto por unidad de superficie para los dos sistemas (simplificado y general) de declaración de ayudas y pagos y pagos compensatorios. A efectos de cálculo se utiliza el margen bruto resultante de la diferencia, entre los ingresos obtenidos por el valor de la producción y las ayudas y pagos compensatorios, menos los costos directos pagados en los cultivos de secano en Aragón, considerando que este margen bruto es el que determina la posición competitiva del productor frente al mercado. Para las explotaciones cuyas superficies sean inferiores a la superficie umbral, se obtienen un mayor margen bruto por unidad de superficie realizando la declaración de ayudas en el sistema simplificado que en el sistema general. Una explotación con las características definidas como la una explotación tipo de la comunidad de Aragón (rendimiento medio 1 953 kg/ha), rendimiento regional de referencia 1,8 t/ha y costos medios directos pagados por hectárea de cultivo, con un 75% de cebada y un 25 % de teigo, de 33 275 pts/ha), que siembre cereales de secano, no es rentable retirar tierras de la producción -acogerse al sistema general- para recibir a cambio los pagos y ayudas compensatorios a la producción, cuando la superficie de cultivo no excede las 52,95 ha,49,84 ha y 50,33 ha en las campañas de siembra 1992/93 a 1994/95, respectivamente. Una explotación en la que supera las 92 t de producción, cuando se incrementa el margen bruto por unidad de superficie y disminuyen los rendimientos de referencia regionales, es menos rentable retirar tierras de la producción para recibir las ayudas establecidas por la PAC, a medida que se incrementa la superficie de cultivo de la explotación.
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Resumen: El Informe de Economía e Instituciones cuenta con tres columnas que abordan cuestiones teóricas y de política económica relacionadas con la temática de la economía y las instituciones. En la primera columna, Analizando la crisis del Banco Central, el autor realiza un análisis en dos dimensiones: económico e institucional, de esta cuestión. En primer lugar destaca la importancia del objetivo de estabilidad monetaria entendido de forma integral, lo que implica evitar tanto la inflación como la delación por sus negativas consecuencias económicas y sociales (pobreza y desempleo). Resalta, luego, la independencia institucional del Banco Central como característica fundamental para lograr el objetivo antedicho. En la segunda columna, ¿La política económica argentina: un problema de “reglas versus discrecionalidad”?, el autor hace referencia a la importancia del debate sobre la profesionalización de la política para una democracia sana. Destaca la relevancia de la alternancia como clave de una política económica orientada al Bien Común. Por otro lado destaca la representatividad en un contexto de igualdad de oportunidades como la solución a una alternancia cíclica del sistema político. En la tercera columna, Lecciones del modelo chileno de pensiones, el autor presenta los diferentes incentivos de un sistema privado de jubilaciones y pensiones usando como ejemplo el caso de Chile. Con respecto a la Argentina, parte de la indisciplina fiscal como problema subyacente de nuestro sistema previsional. En este sentido, argumenta su escepticismo con respecto al actual sistema público e indica que el desequilibrio fiscal fue la causa principal del colapso de la reforma de 1994.
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Resumen: En este trabajo se analizan aspectos relacionados con la eficiencia del Impuesto al Valor Agregado (IVA) en la economía argentina. Se comienza revisando la estructura tributaria de la Argentina, comparándola con la vigente en naciones desarrolladas. Luego se procede a realizar estimaciones de evasión-elusión en el IVA, para el período 1997-2005. Los efectos del Monotributo sobre la base imponible del IVA y su recaudación potencial no son menores y son objeto de análisis en las estimaciones de evasión-elusión. Por su parte, el impuesto a las Ganancias, junto al impuesto a los Ingresos Brutos y los impuestos al trabajo generan incentivos a la evasión “en cadena” junto con el IVA, que llevan a reflexionar acerca de la relación cercana entre IVA y el impuesto a las Ganancias, y su impacto sobre las decisiones de evasión. Se concluye con recomendaciones acerca del IVA y de otros impuestos. Se propone la eliminación del Monotributo para potenciar el efecto recaudatorio del IVA, y la reducción de la alícuota del impuesto a las Ganancias de empresas, reinvertidas o totales, lo que tendría impactos finales favorables en los ingresos fiscales totales.