86 resultados para Temporalité


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Cet étude et thème de dissertation est devenue nécessaire a partir des inquiétudes d éducateur et des pratiques pédagogiques développées aux classes d éducation physique au tour nocturne à l École Municipale Prof. Veríssimo de Melo, dont les élèves sont des jeunes et adultes que habitent au quartier Felipe Camarão. Ces jeunes cohabitent avec le stigmate de la violence que est toujours présente dans cette communauté, située a la région ouest de Natal. On peut trouvé parmi les élèves y matriculés des trajectoires de vie interrompues par facteurs de risque comme criminalité, des adolescentes enceintes et drogues. Ces faits interférent directement avec les procès d intégration sociale et augmentent la violence, reproduisant les cycles de pauvreté et ainsi, limitant les possibilités d ascension sociale. Les résultats des procédées pédagogiques utilisées pendant les classes ont montré la nécessité d approfondir cet étude problématisant cette réalité et, incitant par les pratiques corporelles et discussion, la réflexion sur des thèmes comme facteurs de risque, temporalité, projets de vie et auto-connaissance. En profitant de l intérêt de ces jeunes pour la langage cinématographique comme une façon de mettre en ouvre ces réflexions et rapportant leur connaissance formel avec le savoir et expériences du groupe on a décidé de produire un film court de 15 minutes sur le quartier, idéalisé et produit collectivement. Pour ça, ont a réalisé 10 classes-ateliers avec les élèves qui ont été connus comme « le groupe du cinéma ». Les ateliers pédagogiques qui sont ici, au même temps, référence de recherche et procédée pédagogique, réaffirment la notion de résilience: la capacité de l individu de transformer un obstacle, une adversité ou même une tragédie personnel dans une situation positive ou comme un renfort de ce que nous avons de meilleur. Dans ce sens, cet étude peut aider les professeurs de toutes les matières, que travaillent a l école publique et que se trouvent dans ce contexte, considéré vulnérable, surtout le professeur d éducation physique. Ce travail peut aussi devenir une référence pour aborder des concepts et valeurs que nos aideront à renouveler cette vision de monde étroite et déterministe, responsable pour la reproduction des cycles de pauvreté et violence. Cet étude a été fondée sur des auteurs comme Edgar Morin, Bóris Cyrulnik et Conceição Almeida parmi d autres

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En redonnant vie au problème de la transformation des formes tout au long de l'itinéraire de la pensée de Sartre - de la "philosophie pure" à la "monographie historique concrète" -, cette étude essaie de reconstituer quelques moments du processus de gestation de la synthèse sartrienne entre Philosophie, Roman et Révolution. La "monographie historique concrète" aurait-elle chez Sartre la fonction de succédané pour la "Philosophie Traditionnelle" et pour le "Roman Traditionnel"? Ce qui semble conduire l'itinéraire sartrien - de L'être et le néant à L'idiot de la famille -, c'est la recherche d'une forme philosophique, littéraire et historique qui présuppose, sous-jacente, une Théorie du Roman indissolublement liée à une Théorie de la Révolution, plus précisément, à une théorie de la temporalité révolutionnaire qui recèle en elle-même la marque décisive de l'expérience politique de la Guerre, de Occupation et de la Résistance.

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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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Il presente elaborato ha per oggetto la tematica del Sé, in particolar modo il Sé corporeo. Il primo capitolo illustrerà la cornice teorica degli studi sul riconoscimento del Sé corporeo, affrontando come avviene l’elaborazione del proprio corpo e del proprio volto rispetto alle parti corporee delle altre persone. Il secondo capitolo descriverà uno studio su soggetti sani che indaga l’eccitabilità della corteccia motoria nei processi di riconoscimento sé/altro. I risultati mostrano un incremento dell’eccitabilità corticospinale dell’emisfero destro in seguito alla presentazione di stimoli propri (mano e cellulare), a 600 e 900 ms dopo la presentazione dello stimolo, fornendo informazioni sulla specializzazione emisferica substrati neurali e sulla temporalità dei processi che sottendono all’elaborazione del sé. Il terzo capitolo indagherà il contributo del movimento nel riconoscimento del Sé corporeo in soggetti sani ed in pazienti con lesione cerebrale destra. Le evidenze mostrano come i pazienti, che avevano perso la facilitazione nell’elaborare le parti del proprio corpo statiche, presentano tale facilitazione in seguito alla presentazione di parti del proprio corpo in movimento. Il quarto capitolo si occuperà dello sviluppo del sé corporeo in bambini con sviluppo atipico, affetti da autismo, con riferimento al riconoscimento di posture emotive proprie ed altrui. Questo studio mostra come alcuni processi legati al sé possono essere preservati anche in bambini affetti da autismo. Inoltre i dati mostrano che il riconoscimento del sé corporeo è modulato dalle emozioni espresse dalle posture corporee sia in bambini con sviluppo tipico che in bambini affetti da autismo. Il quinto capitolo sarà dedicato al ruolo dei gesti nel riconoscimento del corpo proprio ed altrui. I dati di questo studio evidenziano come il contenuto comunicativo dei gesti possa facilitare l’elaborazione di parti del corpo altrui. Nella discussione generale i risultati dei diversi studi verranno considerati all’interno della loro cornice teorica.

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Il presente studio discute il concetto di “finzione teorica” di Michel de Certeau quale momento di raccordo tra letteratura e storiografia. La concezione dell’altro e dell’assente propria della mistica e il modello di temporalità della psicoanalisi sono riconosciute come matrici del suo pensiero.

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Bergson critica a la tradición filosófica el hecho de haber pensado el tiempo espacialmente, el hecho de atribuirle las notas del espacio: la homogeneidad, la divisibilidad y la simultaneidad. A través de un análisis de las concepciones de la temporalidad de Kant y Husserl, intentaremos limitar las críticas de Bergson para sugerir que la originalidad de la noción de durée no consiste en sus notas intrínsecas (la heterogeneidad, la continuidad y la sucesión), ni en la paradójica alianza que se pueda dar entre ellas (como lo revela la crítica de Bachelard), sino en la posición extrínseca de la noción en relación a las otras nociones del sistema.

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Bergson critica a la tradición filosófica el hecho de haber pensado el tiempo espacialmente, el hecho de atribuirle las notas del espacio: la homogeneidad, la divisibilidad y la simultaneidad. A través de un análisis de las concepciones de la temporalidad de Kant y Husserl, intentaremos limitar las críticas de Bergson para sugerir que la originalidad de la noción de durée no consiste en sus notas intrínsecas (la heterogeneidad, la continuidad y la sucesión), ni en la paradójica alianza que se pueda dar entre ellas (como lo revela la crítica de Bachelard), sino en la posición extrínseca de la noción en relación a las otras nociones del sistema.

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Bergson critica a la tradición filosófica el hecho de haber pensado el tiempo espacialmente, el hecho de atribuirle las notas del espacio: la homogeneidad, la divisibilidad y la simultaneidad. A través de un análisis de las concepciones de la temporalidad de Kant y Husserl, intentaremos limitar las críticas de Bergson para sugerir que la originalidad de la noción de durée no consiste en sus notas intrínsecas (la heterogeneidad, la continuidad y la sucesión), ni en la paradójica alianza que se pueda dar entre ellas (como lo revela la crítica de Bachelard), sino en la posición extrínseca de la noción en relación a las otras nociones del sistema.

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La fusion entre la logique et la dynamique déclenche chez G. W. Leibniz une réforme de la notion de substance qui altère profondément le rapport entre le Je et le temps. Prototype de la substantialité, miroir de Dieu et expression du Tout créé, le Je dirait beaucoup, notamment Être, Un, Même: la persistance d’un « sujet » logique, d’un « je ne sais quoi » de métaphysique et d’un « personnage » moral. Sous l’angle de la temporalité, le Je véhicule tous les temps possibles et réels, passés et futurs. Il est question donc d’une communauté poly- et pan-chronique qui propose une sorte de synchronie de la diversité temporelle dans la notion complète et dans la force primitive qui semblent ainsi s’incliner vers ou se déplier de l’Eternel.

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L'obiettivo di questa tesi è quello di sviluppare una analisi dell'idea dell'immortalità dell'anima dalle Enneadi di Plotino attraverso la comprensione del discorso dell'anima come eterno, e unità-pluralità ricerca di semplicità con la Uno sulla temporalità del corpo multiple. Per fare ciò, abbiamo iniziato cercando di analizzare brevemente le plotinianas ipostasi (l'Uno, lo spirito e l'anima) per stabilire meglio le basi del pensiero di Plotino quando si discute l'idea dell'anima e la sua immortalità. Cerchiamo di esaminare il pensiero epistéme di Plotino e la sua dialettica, al fine di sviluppare una comprensione del rapporto tra materia e forma sensibile e intelligibile. In questo modo, si sviluppa nelle Enneadi di Plotino il ruolo fondamentale del Logos e il Logoi nella formazione dell'anima. Analizziamo anche la processione (Proódos) e ritorno (Epistrophé) le implicazioni degli aspetti dell'eternità sulla purificazione dell'anima nella temporalità del corpo. Cerchiamo in ultima analisi, l'idea dell'immortalità dell'anima dalla conoscenza stessa immortalità sulla semplicità di Colui, cioè, l'ultima volta che la ricerca della conoscenza di sé dalla dimenticanza di sé per è solo con l'Uno: il "Elimina ogni cosa" (Aphele pánta).

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Mémoire numérisé par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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La notion de chez-soi est porteuse d’un imaginaire foisonnant et génère un grand intérêt dans notre culture et société. Bien qu’elle soit une considération importante pour la plupart d’entre nous, l’architecte occupe une position privilégiée qui lui permette d’agir sur le chez-soi de manière significative et tangible. La présente recherche explore le concept du chez-soi tel qu’étudié par les architectes et non-architectes de manière à comprendre son impact sur la création du lieu et sur la construction des environnements domestiques en Amérique du nord. Un regard porté sur les connotations entre espace et lieu, à travers la temporalité, les comportements et les perspectives sociales, supporte l’épistémologie du chez-soi comme un élément important des théories et pratiques de design contemporain. Le démantèlement hypothétique d’un espace en ses composantes suppose que les dispositifs architecturaux peuvent être modelés de manière à ce qu’ils opèrent un transfert depuis la maison, en tant qu’élément physique, vers le domaine psychologique du chez-soi. Afin d’élargir la maniabilité des éléments constitutifs du bâtiment et de son environnement, six thèmes sont appliqués à trois champs de données. Les six thèmes, qui incluent l’entre-deux, la limite, la voie, le nœud, le détail et la représentation, illustrent des moments architecturaux déterminants, potentiellement présents à l’intérieur et à l’extérieur du projet domestique et qui transforment les comportements physiques et psychiques. Depuis la pratique normalisée du logement social et abordable au Canada, une analyse de photographies de maisons abordables existantes, du discours critique sur cette typologie et de projets de recherche-création conduits par des étudiants en architecture, révèle le caractère opérationnel de la notion de chez-soi et consolide les valeurs de communauté et de frontière. L’objectif premier de la recherche est d’avancer la production de connaissances en architecture par l’exploration de la notion de chez­soi dans l’enseignement, la recherche et le design. L’approche fonctionnaliste vis-à-vis le < penser > en design, place l’usager au centre de l’environnement domestique, soutient la proposition que le chez­soi donne sens et utilité au logement, et renforce la responsabilité éthique de l’architecte à faire de cette notion une partie intégrante de la réalité quotidienne.