980 resultados para Mirandola, centro, culturale, museo, giardini, centro, storico, limite, castel, Pico, spazi, pubblici


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Oggetto della tesi di laurea è la riqualificazione energetica e funzionale dell’ex asilo Santarelli a Forlì. Il complesso sorge su un area al margine del tracciato delle mura storiche della città dove erano collocati gli orti medievali. Promosso dalla collettività e da numerosi enti caritatevoli come primo asilo laico della città, l’edificio venne progettato nel 1934 dall’ing Guido Savini, secondo i caratteri stilistici e compositivi dell’architettura razionalista e inaugurato da donna Rachele Mussolini nel 1937. L’edificio, di proprietà dell’O.A.S.I. A.S.P., ha svolto la sua attività educativa fino alla sua chiusura avvenuta a giugno 2012, a causa degli gli elevati costi di gestione e per l’inidoneità della struttura alle attuali necessità. L’amministrazione comunale ha manifestato l’intenzione di recuperare l’immobile, soggetto al parere della soprintendenza, prevedendo di ospitare nuove funzioni didattiche, a conferma della sua destinazione storica, ma organizzate in base alle esigenze attuali, secondo il principio dell’economicità. Dalle analisi urbane è emerso che il quartiere dispone di servizi quali il museo San Domenico, la casa di riposo e il parco Franco Agosto, ma che al contempo la sua posizione marginale e la struttura della viabilità lo rendono un punto di passaggio automobilistico tra la periferia e il centro storico. Per la formulazione di un programma funzionale si è condotta un’indagine sia sugli attuali servizi didattici che gli indirizzi di sviluppo sociale offerti dall’amministrazione, ha fatto emergere una carenza degli spazi verdi all’interno delle scuole e la presenza di un programma di sviluppo degli orti urbani nelle aree di proprietà comunali. Al fine di rispondere alle esigenze della pubblica amministrazione si è deciso di formulare una proposta di intervento su due livelli. Il primo mediante una ridefinizione fisica del rapporto tra l’edificio, il quartiere e il sistema della mobilità. Il secondo attraverso una proposta funzionale che potesse coinvolgere non solo gli studenti ma tutta la cittadinanza. Per la ridefinizione del rapporto tra l’edificio e il quartiere si è deciso di eliminare l’isolamento dell’edificio imposto dalla recinzione esistente, mediante la 8 realizzazione di nuovi varchi di accesso. Diventa così possibile proporre un nuovo percorso pedonale inserito all’interno dell’area verde dell’edificio. In prossimità dell’accesso su via Val Verde, è stato realizzato un ambiente filtro a relazione tra la città e il verde privato.Per migliorare l’accessibilità, favorire il coinvolgimento del pubblico e promuovere l’interazione con le aree verdi circostanti, si sono definiti dei concetti chiave: chiusura, connessione tra le preesistenze, varco, permeabilità visiva, organicità. La tensostruttura, caratteristica per sua flessibilità, leggerezza e trasparenza, è stato l’elemento scelto per rispondere alle esigenze, permettendo al contempo di distinguere l’intervento dalle preesistenze. Il nuovo programma funzionale suddivide l’edificio in tre zone autonome, così da affiancare alla didattica, una zona pubblica per offrire uno spazio a disposizione della comunità e una commerciale per garantire una quota di risorse finanziarie alla gestione dell’immobile. Nello specifico, la didattica è stata specializzata per l‘insegnamento dell’orticultura, al fine di promuovere l’educazione della sostenibilità ambientale, la valorizzazione degli spazi verdi e la promozione dei prodotti del territorio. L’ispirazione scaturisce dal primo orto didattico nato in America a metà degli anni ‘90 ad opera dello chef Alice Waters, precursore degli attuali sviluppi didattici e sociali all’interno delle scuole. Il recupero di alcune funzioni originali ha favorito la tripartizione dell’edificio, inoltre la disponibilità di più accessi esistenti ha garantito la possibilità di rendere autonoma le tre zone. Le aule sono state collegate direttamente con l’esterno ed il problema del dislivello con il giardino, è stato risolto realizzando un porticato coperto, che dilata lo spazio didattico sull’esterno. Il solarium, nonostante fosse abbandonato da anni, grazie alla sua posizione privilegiata per l’osservazione del parco e della città è stato recuperando inserendolo come nuovo punto di sosta nel sistema dei percorsi pubblici. Per questo è stato necessario progettare un corpo scale esterno per rendere accessibile ed autonomo l’ambiente. L’ultimo aspetto affrontato è l’intervento di retrofit energetico, pensato in varie fasi per essere il meno invasivo possibile sull’immobile, prevede l’installazione di un sistema di ventilazione meccanica, un isolamento termico interno di 10cm in lana di roccia montata 9 meccanicamente e la sostituzione di tutti gli infissi non originali con soluzioni più performanti. Per raggiungere la classe A è stato necessario intervenire anche sugli impianti, introducendo un sistema autonomo per la zona commerciale e la sostituzione di tutti i terminali radianti. Considerando l’elevato fabbisogno di energia primaria si è integrata una parte questa mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili quali fotovoltaico e solare termico. patrimonio storico, adattandolo alle nuove necessità e dimostrando come sia possibile la trasformazione di un edificio fortemente energivoro in una con ridotto fabbisogno energetico senza stravolgere la struttura e aggiungendo qualità e valore.

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Oggetto di questa tesi di Laurea è la progettazione di un insediamento sostenibile a Bertinoro (FC), in un’area a sud-ovest del centro urbano, in una posizione strategica per l’arrivo e l’accesso alla città alta. Coerentemente con le indicazioni dell’Amministrazione Comunale, l’intervento comprende la realizzazione di edifici terziari e residenziali, di un parcheggio di attestazione per il borgo di Bertinoro, e la riqualificazione dell’area verde ai piedi delle mura storiche. La progettazione ha adottato un approccio integrato dal punto di vista compositivo e costruttivo, mostrando particolare attenzione ai temi ambientali, assunti come determinanti per ambire ad elevati livelli di benessere per gli abitanti e per i fruitori del nuovo polo urbano. Il progetto affronta due scenari: uno a scala urbana e uno a scala architettonica. Alla scala urbana si è scelto di valorizzare e potenziare il sistema di percorsi pedonali esistenti che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio come risorsa primaria. La definizione delle strategie urbane è stata prioritaria, tenendo in considerazione una gestione sostenibile del territorio. Intervenendo in un luogo caratterizzato da forti pendii – sia naturali sia, in parte, anche artificiali- che rendono difficile la mobilità, la tesi si è posta come obiettivo la riduzione dei flussi veicolari all’interno del centro storico, garantendo nel contempo la completa accessibilità di quest’ultimo attraverso nuovi percorsi di risalita nel verde, che possano incentivare la mobilità pedonale. Questo ha portato ad un studio dei percorsi pedonali di Bertinoro e ad una ricerca sui vari tipi di parcheggio, finalizzata alla definizione della soluzione più adeguata per il luogo. Alla scala architettonica, per assicurare l’integrazione del nuovo intervento con il contesto locale e il territorio, il progetto ha condotto un’approfondita analisi del sito, affrontando lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si è affiancata l'analisi degli aspetti relativi al clima, funzionali alla scelta dell’esposizione e sagoma volumetrica degli edifici. La complessità del progetto è stata quella di dare uguale importanza a dati oggettivi e quantificabili, come orientamento, apporti solari, impianti, senza tralasciare i valori storico-paesaggistici di questi luoghi. La sfida è stata quindi quella di progettare un insediamento urbano con requisiti energetici aventi un impatto ambientale sostenibile. La complessità del progetto è stata quella di dare uguale importanza a dati oggettivi e quantificabili, come orientamento, apporti solari, impianti, senza tralasciare i valori storico-paesaggistici, risorsa fondamentale per questi luoghi. La sfida è stata quindi quella di progettare un insediamento dotato di prestazioni energetiche sensibilmente più elevate rispetto alle soglie stabilite dalla normativa e di riuscire ad integrare nel contesto, con il minor impatto ambientale e percettivo, l’intero insediamento urbano. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, come la pietra e l’intonaco, e di attenuare l’impatto visivo del costruito con l’impiego di coperture verdi che possono restituire, in quota, il suolo occupato dai volumi edificati. Il titolo “la nuova porta urbana” sintetizza l’idea del nostro progetto; un progetto che non si limita all’area d’intervento ma guarda ben oltre cercando un rapporto con la città storica e un legame con essa diventando un nuovo polo funzionale e un nuovo accesso per Bertinoro. Durante tutto il processo progettuale si è operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico, puntando ad un progetto che possa essere definito sostenibile a tutte le sue scale: urbana e architettonica. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche rappresenta la premessa per la formazione di una città più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.

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Ferrara è tra le città con le quali Piero Bottoni (1903-1973) ha istaurato un rapporto proficuo e duraturo che gli permise di elaborare molti progetti e che fu costante lungo quasi tutta la parabola professionale dell’autore milanese. Giunto nella città estense nei primi anni Trenta, vi lavorò nei tre decenni successivi elaborando progetti che spaziavano dalla scala dell’arredamento d’interni fino a quella urbana; i diciannove progetti studiati, tutti situati all’interno del centro storico della città, hanno come tema comune la relazione tra nuova architettura e città esistente. Osservando un ampio spettro di interventi che abbracciava la progettazione sull'esistente come quella del nuovo, Bottoni propone una visione dell'architettura senza suddivisioni disciplinari intendendo il restauro e la costruzione del nuovo come parti di un processo progettuale unitario. Sullo sfondo di questa vicenda, la cultura ferrarese tra le due guerre e nel Dopoguerra si caratterizza per il continuo tentativo di rendere attuale la propria storia rinascimentale effettuando operazioni di riscoperta che con continuità, a discapito dei cambiamenti politici, contraddistinguono le esperienze culturali condotte nel corso del Novecento. Con la contemporanea presenza durante gli anni Cinquanta e Sessanta di Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato, Samonà, Bassani e Ragghianti, tutti impegnati nella costruzione dell’immagine storiografica della Ferrara rinascimentale, i caratteri di questa stagione culturale si fondono con i temi centrali del dibattito architettonico italiano e con quello per la salvaguardia dei centri storici. L’analisi dell’opera ferrarese di Piero Bottoni è così l’occasione per mostrare da un lato un carattere peculiare della sua architettura e, dall’altro, di studiare un contesto cultuale provinciale al fine di mostrare i punti di contatto tra le personalità presenti a Ferrara in quegli anni, di osservarne le reciproche influenze e di distinguere gli scambi avvenuti tra i principali centri della cultura architettonica italiana e un ambito geografico solo apparentemente secondario.

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L’oggetto di questa tesi di laurea è un intervento di riqualificazione delle Ex Officine Meccaniche Reggiane, un’area industriale, sita a Reggio Emilia, che nel corso degli anni ha subìto una graduale dismissione, sino allo stato attuale di completo abbandono. Il tema riveste un’importanza focale nelle città moderne, affette da un elevato livello di migrazione e riorganizzazione dell’industria, che trasforma vaste aree di produzione in vuoti urbani di difficile gestione. I problemi fondamentali sono infatti la notevole dimensione degli stabilimenti abbandonati e la loro posizione, un tempo strategica, ma che ora risulta critica per una lettura unitaria della città e delle sue connessioni. L’area in oggetto, dedicata nel corso degli anni a diversi tipi di produzione, tra le quali quelle ferroviaria e dell’aviazione, è locata in prossimità del centro storico di Reggio Emilia, separati solamente dalla linea ferroviaria storica con cui si interfaccia direttamente. L’espansione della città ha portato ad inglobare lo stabilimento, che risulta quindi chiuso in se stesso e fortemente vincolante per le connessioni della città. Gli scopi dell’intervento sono quindi quelli di generare connessioni tra le parti di città circostanti e di permettere il riappropriamento dell’area alla popolazione. Per raggiungere tali scopi è stato necessario aprire il forte limite perimetrale esistente ed individuare nuovi percorsi di attraversamento, ma anche nuove funzioni ed attrattività da inserire. Vista la frammentazione dell’area in una serie di edifici, lo studio si è poi concentrato su un edificio tipo, allo scopo di individuare un’ipotesi di intervento più dettagliata. Le strategie degli interventi sono il risultato di interazione tra le necessità di mantenere le strutture ed il carattere dell’area, di introdurre funzioni attrattive e di ottenere adeguati livelli di comfort ambientale e prestazioni energetiche.

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La tesis está centrada en el patrimonio industrial, y trata de ahondar en los temas enunciados en el título, Criterios de restauración, intervención y revitalización del patrimonio industrial (capítulo 1). La fábrica de gas de San Paolo en Roma (capítulo 2): En el primer capítulo, se profundiza en los criterios institucionalizados de actuación en el patrimonio, pero también se habla sobre la singularidad, los valores originales, estratificados en cada construcción y su contexto. Ello resume la intención de la doctoranda al entender la necesidad del análisis de cada obra en modo profundo, concreto y abierto a novedosos acercamientos, antes de su transformación. Al hablar de intervención frente a restauración, se aborda la conocida polémica que plantea el modo de acercarse al legado histórico. Parece necesario enunciar cómo se consideran en el trabajo estos términos. Mientras la restauración (como diría Cesare Brandi, constituye el momento metodológico del reconocimiento de la obra de arte en su consistencia física y en su doble polaridad estética e histórica, en orden a su transmisión al futuro) es una acción más restrictiva, que implica atención suma a la recuperación y conservación de los valores significativos y únicos del bien, en comunicación con un (posible) equipo interdisciplinar; por intervención se entiende aquí un desarrollo más personal y libre por parte del proyectista, en el que se produce un proceso dialéctico entre la preexistencia y el posicionamiento crítico adoptado a la hora de dar un obligado nuevo uso a ese bien. Es decir, el contraste está en el diferente reconocimiento de la materialidad física y sus significados. En torno a la restauración/intervención, se analizan las perspectivas de actuación en España e Italia, contrastando factores como la formación del arquitecto o el entorno laboral-cultural, y utilizando el método analítico comparativo de casos. Habría un tercer concepto: el de revitalización del patrimonio industrial, Éste hace referencia a su transformación, a sus usos más comunes y compatibles, a la redimensión artística que ha experimentado la arquitectura industrial gracias al arte contemporáneo y a su relación con la Modernidad. Por último, se enuncia en el título el caso de estudio, la Fábrica, que ocupa el segundo capítulo. Se trata de un enorme conjunto industrial singular semi abandonado en el confín del centro histórico, cuyo protagonista es un gran gasómetro, que la autora ha tenido la oportunidad de descubrir en su estancia en la Ciudad Eterna. Este barrio constituyó el primer y único sector industrial de la Roma moderna a inicios del siglo XX. Por varias causas históricas y voluntad política, la ciudad prácticamente no tuvo más desarrollo industrial que el área mencionada, donde se implantaron servicios y actividades de gran transformación (Matadero, Mercados Generales, Almacenes Fluviales, Central Montemartini o esta fábrica). A partir de 1920, se empezó a construir un tejido productivo que la llevó de la situación de posguerra al milagro económico. Frente al mito de la Roma monumental o de la Roma cotidiana, aparece el aspecto industrial como mito de la contemporaneidad. Sin embargo, esta ciudad es demasiado antigua como para convertirse en moderna, y su proceso industrial en contraste con su larga historia resulta breve. La inmediata relación de la fase industrial romana con el resultado de este desarrollo viene identificada con las instalaciones señaladas, más significativas por su excepcionalidad que por la duración del momento irrepetible que representan. Su presencia física perdura a pesar de su abandono, aisladas tras su muro perimetral y casi desconocidas. Esto las hace apetecibles para la especulación inmobiliaria y resultan un caso de estudio ideal para realizar un Plan de Intervención Global, en el que determinar una serie de intervenciones necesarias, usos compatibles y directrices para la ordenación del conjunto, coherentes con los conceptos manejados en el primer capítulo. ABSTRACT The thesis focuses on industrial heritage, delving into the topics listed in its title, Criteria for the restoration, intervention and revitalisation of industrial heritage (chapter 1). The San Paolo gas factory in Rome (chapter 2): Chapter one elaborates on the official criteria to take action on heritage, but also deals with the singularity and original values unique to each construction and its context. This underlines the PhD candidate’s intentions by understanding the need for an in-depth and specific analysis, open to novel approaches to each site before its transformation. When speaking of intervention, as opposed to restoration, we address the well-known controversy that stems from the different ways of approaching historical heritage. It seems necessary to explain how these terms are interpreted in this piece of work. Whereas restoration (as Cesare Brandi would say, constitutes the methodological moment in which the work of art is appreciated in its material form and in its historical and aesthetic duality, with a view to transmitting it to the future) is a more restrictive action, demanding the utmost attention to the recovery and preservation of the piece of heritage’s defining and exceptional values, (ideally) in communication with a interdisciplinary team. By intervention, we hereby understand a more personal and free procedure carried out by the designer in which a dialectical process takes place between preexistence and the critical stance taken in order to give that good a much needed new use. That is, contrast lies in the different recognition of physical materiality and its meanings. As for the restoration/intervention dilemma, the different courses of action followed in Spain and Italy will be analysed, contrasting the architects’ training, the labourcultural environment and taking an analytical comparative case study method. There is a third concept: the revitalisation of industrial heritage, which refers to its transformation, its most common and compatible uses, the artistic redimensioning that industrial architecture has experienced thanks to contemporary art, and its relationship with Modernity. Lastly, the title refers to the case study, i.e., the analysis of the Factory, which makes up chapter 2. It is an enormous and semiabandoned peerless industrial complex on the edge of the historical city centre whose main landmark is a huge gasometer, which the author had the chance to discover during her stay in the Eternal City. This district made up the first and only industrial sector in the modern Rome of the early 20th century. Due to a number of reasons, both historical and political, barely no further industrial development took place in the city beyond the mentioned area, where processing services and activities were set up (Slaughterhouse, General Markets, Riverside Warehouses, Montemartini Power Plant or the said factory). In the 1920s began the construction of the productive fabric that raised the city from its postwar plight to the economic miracle. As opposed to the myth of monumental Rome and daily-life Rome, this industrial Rome rose as contemporaneity’s myth. However, this city is too ancient to become modern, and its industrial process strikes us as brief when confronted with its long history. The close relationship between Rome’s industrial stage and the consequences of this development is best represented by the aforementioned facilities, more relevant due to their uniqueness than the length of the once-in-a-lifetime moment they represent. Their physical presence lives on despite abandonment and isolation, as they stand vastly unknown behind their perimeter walls. This renders them appealing to property speculators, becoming an ideal case study for the creation of a Global Intervention Plan in which to determine a series of necessary actions, compatible uses and directives, all of them consistent with the concepts dealt with in chapter 1. RIASSUNTO La tesi è focalizzata sul patrimonio industriale e cerca di approfondire le tematiche contenute nel titolo, Criteri di restauro, intervento e rivitalizzazione del patrimonio industriale (capitolo 1). La Fabbrica del gas di San Paolo a Roma (capitolo 2): Nel primo capitolo vengono presi in esame i criteri istituzionalizzati di attuazione nel patrimonio, ma si parla anche della unicità, i valori originali, stratificati in ogni costruzione ed il suo contesto. Questo riassume l’intenzione della dottoranda di capire la necessità dell’analisi di ogni opera in modo profondo, concreto e aperto a nuovi approcci, prima della sua trasformazione. Nel parlare di intervento versus restauro, si affronta la famosa polemica che considera il modo di avicinarsi all’eredità storica. Appare necessario precisare come questi termini sono considerati in questo lavoro. Mentre il restauro (come direbbe Cesare Brandi, costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione nel futuro) è un’azione più restrittiva, e quindi implica massima attenzione al recupero e conservazione dei valori significativi ed unici del bene, in comunicazione con una (eventuale) squadra interdisciplinare; per intervento si intende qui un processo più personale e libero del progettista, nel quale si produce uno sviluppo dialettico tra la preesistenza e la posizione critica adottata quando si deve dare un nuovo uso di quel bene. Vale a dire che il contrasto risiede nel diverso riconoscimento della materialità fisica e i loro significati. Intorno al restauro / intervento, si analizzano le prospettive di attuazione in Spagna e Italia, contrastando diversi fattori come la formazione dell’architetto o l’ambiente lavorativo-culturale, ed impiegando il metodo analitico comparativo dei casi. Ci sarebbe un terzo concetto: quello della rivitalizzazione del patrimonio industriale. Questo fa riferimento alla sua trasformazione, ai suoi usi più comuni e compatibili, al ridimensionamento artistico vissuto dall’archeologia industriale grazie all’arte contemporanea ed al suo rapporto con la Modernità. In ultimo, si enuncia nel titolo il caso di studio, ovvero l’analisi della Fabbrica, che occupa il secondo capitolo. Si tratta di un enorme complesso industriale semi-abbandonato al confine con il centro storico, il cui protagonista è un grande gasometro, che l’autrice ha avuto modo di scoprire durante il suo soggiorno nella Città Eterna. Questo quartiere costituì il primo e unico moderno settore industriale della Roma moderna all’inizio del Novecento. Per diverse ragioni storiche e volontà politiche, la città praticamente non ha subito ulteriore sviluppo industriale oltre l’area citata, dove si impiantarono servizi e attività di grande trasformazione (Mattatoio, Mercati Generali, Magazzini Generali, Centrale Montemartini o questa fabbrica). Dal 1920, si inizió a costruire un tessuto prodottivo che portò la città dalla situazione post-bellica al miracolo economico. Di fronte al mito della Roma monumentale o della Roma quotidiana, appare questa Roma industriale come mito della contemporaneità. Tuttavia, questa città è troppo antica per diventare moderna, ed il suo processo industriale in contrasto con la sua lunga storia risulta breve. Il rapporto diretto della fase industriale romana con il risultato di questo sviluppo viene identificato con gli impianti segnalati, più significativi per la loro unicità che per la durata del momento irripetibile che rappresentano. La loro presenza fisica perdura nonostante l’abbandono, isolati dietro il loro muro di cinta e quasi sconosciuti. Questo li rende auspicabile per la speculazione immobiliare e sono un caso ideale per eseguire un Piano di Intervento Globale, che determini una serie di interventi necessari, usi compatibili e linee guida per la pianificazione del tutto, in linea con i concetti utilizzati nel primo capitolo.

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Este trabajo se soporta sobre una base conformada por dos conceptos, que constituyen el horizonte contextual de la investigación: Derecho Administrativo y Comunidad de integración. Es claro que al hablar de una Comunidad de integración específica como la Comunidad Andina (CAN), incide de forma directa en la actividad del derecho administrativo.Ha sido necesario que los países que conforman los grupos de integración económica cedan parte de sus competencias para crear un ordenamiento jurídico de orden supranacional, el cual modifica la dinámica social de las relaciones comerciales y afecta la estructura de la administración pública, haciendo que el derecho administrativo no se limite a interactuar solo con derecho nacional. Esta mutua dependencia de las políticas internas y las regionales se realiza, entonces, cada vez que existe participación y compromiso de los Estados frente a las decisiones, de carácter vinculante o no. En esa medida surge el problema de investigación tendiente a esclarecer cómo ha sido la adopción de las decisiones e interpretaciones, emanadas de los mecanismos oficiales del Derecho Comunitario Andino, en el ordenamiento jurídico colombiano. La existencia de varios puntos de vista con respecto a la obligatoriedad o no de dicha adopción, moldea un tema de suficiente amplitud y profundidad para ser estudiado en un trabajo de investigación.

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Il tema della Logistica Urbana è un argomento complesso che coinvolge diverse discipline. Infatti, non è possibile affrontare la distribuzione delle merci da un solo punto di vista. Da un lato, infatti, manifesta l’esigenza della città e della società in generale di migliorare la qualità della vita anche attraverso azioni di contenimento del traffico, dell’inquinamento e degli sprechi energetici. A questo riguardo, è utile ricordare che il trasporto merci su gomma costituisce uno dei maggiori fattori di impatto su ambiente, sicurezza stradale e congestione della viabilità urbana. Dall’altro lato vi sono le esigenze di sviluppo economico e di crescita del territorio dalle quali non è possibile prescindere. In questa chiave, le applicazioni inerenti la logistica urbana si rivolgono alla ricerca di soluzioni bilanciate che possano arrecare benefici sociali ed economici al territorio anche attraverso progetti concertati tra i diversi attori coinvolti. Alla base di tali proposte di pratiche e progetti, si pone il concetto di esternalità inteso come l’insieme dei costi esterni sostenuti dalla società imputabili al trasporto, in particolare al trasporto merci su gomma. La valutazione di questi costi, che rappresentano spesso una misurazione qualitativa, è un argomento delicato in quanto, come è facile immaginare, non può essere frutto di misure dirette, ma deve essere dedotto attraverso meccanismi inferenziali. Tuttavia una corretta definizione delle esternalità definisce un importante punto di partenza per qualsiasi approccio al problema della Logistica Urbana. Tra gli altri fattori determinanti che sono stati esplorati con maggiore dettaglio nel testo integrale della tesi, va qui accennata l’importanza assunta dal cosiddetto Supply Chain Management nell’attuale assetto organizzativo industriale. Da esso dipendono approvvigionamenti di materie prime e consegne dei prodotti finiti, ma non solo. Il sistema stesso della distribuzione fa oggi parte di quei servizi che si integrano con la qualità del prodotto e dell’immagine della Azienda. L’importanza di questo settore è accentuata dal fatto che le evoluzioni del commercio e l’appiattimento dei differenziali tra i sistemi di produzione hanno portato agli estremi la competizione. In questa ottica, minimi vantaggi in termini di servizio e di qualità si traducono in enormi vantaggi in termini di competitività e di acquisizione di mercato. A questo si aggiunge una nuova logica di taglio dei costi che porta a ridurre le giacenze di magazzino accorciando la pipeline di produzione ai minimi termini in tutte le fasi di filiera. Naturalmente questo si traduce, al punto vendita in una quasi totale assenza di magazzino. Tecnicamente, il nuovo modello di approvvigionamento viene chiamato just-in-time. La ricerca che è stata sviluppata in questi tre anni di Dottorato, sotto la supervisione del Prof. Piero Secondini, ha portato ad un approfondimento di questi aspetti in una chiave di lettura ad ampio spettro. La ricerca si è quindi articolata in 5 fasi: 1. Ricognizione della letteratura italiana e straniera in materia di logistica e di logistica urbana; 2. Studio delle pratiche nazionali ed europee 3. Analisi delle esperienze realizzate e delle problematiche operative legate ai progetti sostenuti dalla Regione Emilia Romagna 4. Il caso di studio di Reggio Emilia e redazione di più proposte progettuali 5. Valutazione dei risultati e conclusioni Come prima cosa si è quindi studiata la letteratura in materia di Logistica Urbana a livello nazionale. Data la relativamente recente datazione dei primi approcci nazionali ed europei al problema, non erano presenti molti testi in lingua italiana. Per contro, la letteratura straniera si riferisce generalmente a sistemi urbani di dimensione e configurazione non confrontabili con le realtà nazionali. Ad esempio, una delle nazioni che hanno affrontato per prime tale tematica e sviluppato un certo numero di soluzioni è stata il Giappone. Naturalmente, città come Tokyo e Kyoto sono notevolmente diverse dalle città europee ed hanno necessità ed esigenze assai diverse. Pertanto, soluzioni tecnologiche e organizzative applicate in questi contesti sono per la maggior parte inattuabili nei contesti del vecchio continente. Le fonti che hanno costituito maggiore riferimento per lo sviluppo del costrutto teorico della tesi, quindi, sono state i saggi che la Regione Emilia Romagna ha prodotto in occasione dello sviluppo del progetto City Ports di cui la Regione stessa era coordinatore di numerosi partners nazionali ed europei. In ragione di questo progetto di ricerca internazionale, l’Emilia Romagna ha incluso il trattamento della logistica delle merci negli “Accordi di Programma per il miglioramento della qualità dell’aria” con le province ed i capoluoghi. In Questo modo si è posta l’attenzione sulla sensibilizzazione delle Pubbliche Amministrazioni locali verso la mobilità sostenibile anche nell’ambito di distribuzione urbana delle merci. Si noti infatti che l’impatto sulle esternalità dei veicoli leggeri per il trasporto merci, quelli cioè che si occupano del cosiddetto “ultimo miglio” sono di due ordini di grandezza superiori rispetto a quelli dei veicoli passeggeri. Nella seconda fase, la partecipazione a convegni di ambito regionale e nazionale ha permesso di arricchire le conoscenze delle best-practice attuate in Italia per lo sviluppo di strumenti finalizzati ad condividere i costi esterni della mobilità delle merci con gli operatori logistici. In questi contesti è stato possibile verificare la disponibilità di tre linee di azione sulle quali, all’interno del testo della tesi si farà riferimento molto spesso: - linea tecnologica; - linea amministrativa; - linea economico/finanziaria. Nel discutere di questa tematica, all’interno di questi contesti misti in cui partecipavano esponenti della cultura accademica, delle pubbliche amministrazioni e degli operatori, ci si è potuti confrontare con la complessità che il tema assume. La terza fase ha costituito la preparazione fondamentale allo studio del caso di studio. Come detto sopra, la Regione Emilia Romagna, all’interno degli Accordi di Programma con le Province, ha deliberato lo stanziamento di co-finanziamenti per lo sviluppo di progetti, integrati con le pratiche della mobilità, inerenti la distribuzione delle merci in città. Inizialmente, per tutti i capoluoghi di provincia, la misura 5.2 degli A.d.P. prevedeva la costruzione di un Centro di Distribuzione Urbana e l’individuazione di un gestore dei servizi resi dallo stesso. Successive considerazioni hanno poi portato a modifiche della misura lasciando una maggiore elasticità alle amministrazioni locali. Tramite una esperienza di ricerca parallela e compatibile con quella del Dottorato finanziata da un assegno di ricerca sostenuto dall’Azienda Consorziale Trasporti di Reggio Emilia, si è potuto partecipare a riunioni e seminari presentati dalla Regione Emilia Romagna in cui si è potuto prendere conoscenza delle proposte progettuali di tutte le province. L’esperienza di Reggio Emilia costituisce il caso di studio della tesi di Dottorato. Le molteplici problematiche che si sono affrontate si sono protratte per tempi lunghi che hanno visto anche modifiche consistenti nell’assetto della giunta e del consiglio comunali. Il fatto ha evidenziato l’ennesimo aspetto problematico legato al mantenimento del patrimonio conoscitivo acquisito, delle metodiche adottate e di mantenimento della coerenza dell’impostazione – in termini di finalità ed obiettivi – da parte dell’Amministrazione Pubblica. Essendo numerosi gli attori coinvolti, in un progetto di logistica urbana è determinante per la realizzazione e la riuscita del progetto che ogni fattore sia allineato e ben informato dell’evoluzione del progetto. In termini di programmazione economica e di pianificazione degli interventi, inoltre, la pubblica amministrazione deve essere estremamente coordinata internamente. Naturalmente, questi sono fattori determinanti per ogni progetto che riguarda le trasformazioni urbane e lo sviluppo delle città. In particolare, i diversi settori (assessorati) coinvolti su questa tematica, fanno o possno fare entrare in situazioni critiche e rischiose la solidità politica dello schieramento di maggioranza. Basti pensare che la distribuzione delle merci in città coinvolge gli assessorati della mobilità, del commercio, del centro storico, dell’ambiente, delle attività produttive. In funzione poi delle filiere che si ritiene di coinvolgere, anche la salute e la sicurezza posso partecipare al tavolo in quanto coinvolte rispettivamente nella distribuzione delle categorie merceologiche dei farmaci e nella security dei valori e della safety dei trasporti. L’esperienza di Reggio Emilia è stata una opportunità preziosissima da molteplici punti di vista. Innanzitutto ha dato modo di affrontare in termini pratici il problema, di constatare le difficoltà obiettive, ad esempio nella concertazione tra gli attori coinvolti, di verificare gli aspetti convergenti su questo tema. Non ultimo in termini di importanza, la relazione tra la sostenibilità economica del progetto in relazione alle esigenze degli operatori commerciali e produttivi che ne configurano gli spazi di azione. Le conclusioni del lavoro sono molteplici. Da quelle già accennate relative alla individuazione delle criticità e dei rischi a quelle dei punti di forza delle diverse soluzioni. Si sono affrontate, all’interno del testo, le problematiche più evidenti cercando di darne una lettura costruttiva. Si sono evidenziate anche le situazioni da evitare nel percorso di concertazione e si è proposto, in tal proposito, un assetto organizzativo efficiente. Si è presentato inoltre un modello di costruzione del progetto sulla base anche di una valutazione economica dei risultati per quanto riguarda il Business Plan del gestore in rapporto con gli investimenti della P.A.. Si sono descritti diversi modelli di ordinanza comunale per la regolamentazione della circolazione dei mezzi leggeri per la distribuzione delle merci in centro storico con una valutazione comparativa di meriti ed impatti negativi delle stesse. Sono inoltre state valutate alcune combinazioni di rapporto tra il risparmio in termini di costi esterni ed i possibili interventi economico finanziario. Infine si è analizzato il metodo City Ports evidenziando punti di forza e di debolezza emersi nelle esperienze applicative studiate.

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Il 6 aprile 2009 una scossa sismica del sesto grado della scala Richter ha colpito la città dell'Aquila e i centri urbani limitrofi, provocando ingenti danni e la quasi totale distruzione del centro storico aquilano. Il sisma ha provocato più di 300 vittime e 65000 sfollati sistemati in tendopoli, alberghi e moduli abitativi provvisori. Risolta l'emergenza dei primi mesi ci si trova ad affrontare il problema della ricostruzione vera e propria della città, la quale non può prescindere dalle decisioni sul futuro del centro storico. La parte "intra moenia" dell'Aquila è il centro nevralgico della città, qui si trovano i caratteri identitari di essa, i quali si perdono appena oltrepassata la cinta muraria. Il tessuto che parte dalle porte urbiche e prosegue verso la periferia è infatti frammentario e disorganizzato. Scopo principale del progetto è quello di fornire un'idea concreta per la ricostruzione del quartiere di Santa croce, una parte di centro storico ad oggi priva di identità e quasi interamente distrutta dal sisma. Accanto alle necessità di ricostruire alloggi e servizi, si pone l'obiettivo di fondare un nuovo quartiere che riprenda i tracciati storici e completi questa parte della città con una nuova identità legata al passato della stessa.

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Nel tentativo di rispondere alle esigenze valutate in seguito all’analisi del centro storico in base a differenti profili investigativi, si è formulato un programma di intervento con obiettivi e strategie codificate. In modo particolare viene privilegiata l’indagine effettuata a livello sociale sulla popolazione del centro storico, ambito di ricerca necessario per una buona premessa per un progetto che ha come oggetto l’abitare. Da queste considerazioni nasce l’idea del progetto dove il tema della residenza si inserisce in un contesto urbano in stretta relazione con il tessuto storico della città di Forlì. L’individuazione dell’area di progetto, situata in una posizione di confine tra due realtà differenti, il centro storico e la circonvallazione che lo racchiude, suggerisce la necessità di stabilire attraverso collegamenti perdonali e ciclabili fra l’area in esame e la periferia esterna una configurazione dinamica, dove il vuoto urbano che si presenta è lo scenario ideale per ristabilire una porta moderna alla città, ricomponendo la leggibilità tra la sfera naturale e quella insediativa. Alla scala urbana l’obiettivo è quello di stabilire il ruolo di centralità dell’area, nel suo insieme, restituendo ai fatti urbani della città le funzioni di interesse pubblico generale. La zona oggetto di discussione è un nodo urbano in cui coesistono manufatti di pregio architettonico e storico come quello della Filanda in oggetto e dell’Ex Complesso conventuale della Ripa, in grado di essere potenziali contenitori di funzioni pubbliche di alto livello, e aree verdi da riqualificare, con forte propensione all’uso pubblico, come gli Orti di via Curte. Sotto questo profilo deve essere valutata anche la tematica del rapporto con l’architettura antica, tenendo in considerazione l’effetto di impatto che i nuovi interventi avranno sull’esistente. È dunque il sito di progetto che detta le metodologie di approccio legate alla necessità di un intervento sostenibile e non invasivo. Partendo da queste considerazioni si sviluppano le tematiche legate alla flessibilità e alle sue coniugazioni. La società contemporanea che ci impone ogni giorno modelli di vita sempre nuovi e la necessità di movimento e trasformazione, ci mette di fronte più che mai al bisogno di progettare spazi non rigidi, ma aperti alle molteplici possibilità d’uso e ai cambiamenti nel tempo. La flessibilità viene dunque concepita in relazione ai concetti di complessità e sostenibilità. Se da una parte è necessario riconoscere la molteplicità dei modi d’uso con i quali l’oggetto dovrà confrontarsi ed assumere il carattere aleatorio di qualsiasi previsione relativa ai modelli di comportamento dell’utenza, dall’altra occorre cogliere all’interno del progetto della residenza flessibile la possibilità di pervenire a un costruire capace di riconfigurarsi di volta in volta, adattandosi alle differenti condizioni d’uso, senza dover procedere a drastiche modifiche che impongono la dismissione di materiali e componenti. Il sistema della stratificazione a secco può essere quello che attualmente meglio risponde, per qualità ed economicità, ai concetti della biologia dell’abitare e della casa intelligente, nozioni che acquisiscono sempre più importanza all’interno di una nuova concezione della progettazione. Si sceglie dunque di riportare la Filanda, quanto possibile, alla riconfigurazione originaria, prima che la corte interna fosse completamente saturata di depositi e magazzini come ci si presenta oggi e di concepire una nuova configurazione di quello che diventa un isolato urbano integrato nel tessuto storico, e nodo strutturante per un’area più vasta. Lavorando sulla residenza occorre mettere in primo piano il protagonista dell’architettura che si va a progettare: l’uomo. Per questo la scala urbana e la dimensione umana devono essere concepite parallelamente e la progettazione della cellula di base che si struttura secondo le modalità premesse di flessibilità e sostenibilità si sovrappone all’obiettivo di individuare all’interno del vuoto urbano, una nuova densità, dove il dialogo tra pubblico e privato sia il presupposto per lo sviluppo di un piano integrato e dinamico.

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Nell'aprile 2009 la città dell'Aquila e le zone limitrofe sono state interessate da uno sciame sismico che ha raggiunto l'apice della sua intensità durante la notte del 6 aprile, facendo registrare ai sismografi il sesto grado della scala Richter. Le conseguenze del sisma sono state devastanti, numerose le vittime e gli sfollati; ingenti i danni alla città. Molti edifici, in particolare nel centro storico, sono stati interessati da numerosi crolli o da danni spesso irreversibili, la situazione post-calamità ha quindi posto il grande problema della ricostruzione di una città consolidata. Partendo da questi presupposti il progetto si pone come obiettivo di fornire una proposta concreta per la ricostruzione dell'area di centro storico compresa fra la zona della ex chiesa di Santa Croce e il viale Duca Degli Abruzzi, tentando di ricostruire e riqualificare il tessuto che si affaccia su via Roma; Decumano della città storica. La necessità di ricostruire una parte così significativa della città ha condotto a delle riflessioni sulla natura stessa del luogo e della sua evoluzione. Si sono così potuti mettere a fuoco un certo numero di problemi urbanistici e architettonici che dal primo dopoguerra ad oggi hanno via via cambiato i caratteri fondamentali dell'area di progetto come dell'intera città; sviluppando quest'ultima in maniera piuttosto inorganica e contaminando la struttura originaria del centro storico. Il progetto vuole quindi cogliere l'occasione per riorganizzare parte del tessuto, rifacendosi ai principi generatori e ai caratteri della forma originaria dell'Aquila. Gli edifici progettati perseguono obiettivi molteplici e a volte discordanti ad esempio l' ottima qualità dell'abitare e l'economicità sono due importanti caratteristiche che si è cercato di unire tramite tecnologie votate all'efficienza energetica, alla semplificazione del cantiere e alla semiprefabbricazione. Tali strumenti tecnologici sono molto utili a razionalizzare e ottimizzare il processo costruttivo, in linea con quelle che sono le esigenze della produzione contemporanea; soprattutto in ambito residenziale.

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Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.

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Oggetto di questa tesi di Laurea è la progettazione di un quartiere residenziale sostenibile a Bertinoro (FC) richiesto dell’Amministrazione Comunale, orientata anche verso la realizzazione di un parcheggio di attestazione multipiano per il borgo e di una risalita meccanizzata al centro. L’area d’intervento costituisce infatti una posizione strategica per l’arrivo e gli accessi alla città alta. Il progetto quindi affronta due scenari: uno a scala urbana e uno a scala architettonica. Fondamentale è stata la definizione delle strategie urbane: consapevoli dell’importanza di una gestione sostenibile del territorio, questa tesi ha cercato di affrontare le problematiche relative alla mobilità del luogo, caratterizzato da forti pendii, ponendosi come obiettivo l’eliminazione di flussi veicolari nel centro storico e nel contempo la completa accessibilità di quest’ultimo attraverso nuovi sistemi meccanizzati di risalita che incentivino la mobilità pedonale. Ciò ha portato ad un studio dei percorsi di Bertinoro e ad una ricerca sulle varie tipologie sia di parcheggio multipiano che di risalita finalizzata alla definizione della soluzione più efficiente e adeguata per il luogo. A scala architettonica la complessità del progetto è stata quella di dare uguale importanza a dati oggettivi e quantificabili, come orientamento, apporti solari, impianti, senza tralasciare i valori storico-paesaggistici, risorsa fondamentale per quest'area. La sfida è stata quindi quella di progettare un quartiere con dei requisiti energetici che vadano ben oltre i confini determinati dalla normativa e di riuscire ad integrare nel contesto, con il minor impatto ambientale e percettivo, l’intero insediamento, compreso il parcheggio multipiano e la risalita. Il titolo “declivi” sintetizza in questo senso la strategia adottata ovvero tutto il progetto nasce da un attento confronto con le caratteristiche topografiche del luogo cercando di ripristinarle dove sono venute a mancare in una logica non di aggiunta del costruito ma di “crescita” dal suolo. La chiave di lettura è stata in particolare l’idea del terrazzamento e degli affacci sul paesaggio. Durante tutto il processo progettuale si è dunque operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico puntando ad un progetto che possa essere definito sostenibile a tutte le sue scale: urbanistica e architettonica.

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Questa tesi propone una riflessione critica sulle pratiche della pianificazione urbanistica attraverso l’analisi di un significativo caso di studio, costituito dalla Darsena di Città a Ravenna. Questo approccio di ricerca è dal nostro punto di vista una conseguenza della difficoltà di governare le attuali problematiche di sviluppo dello spazio urbano attraverso gli strumenti tradizionali della pianificazione e dell’urbanistica. La tesi ha lo scopo di far emergere temi di dibattito attuale sulle aree di sviluppo urbano, in particolare la complessità dei compiti decisionali riguardanti aree oggetto di interventi di rigenerazione urbana. La definizione “area di sviluppo urbano” si pone come prodotto di un’attiva collaborazione tra Stato, mercato e società civile e costituisce dal nostro punto di vista una vera “questione sociale”. Prenderemo come riferimento il caso della Darsena di Città di Ravenna, oggetto della sperimentazione urbanistica degli ultimi trenta anni, sul quale diversi “stili” e strumenti di pianificazione si sono confrontati, nell’intento di guidare un processo di riqualificazione che ha portato ad oggi a risultati concreti assai limitati. Attraverso gli strumenti consultabili e un rapido sopralluogo infatti, possiamo intuire immediatamente come la realizzazione di interventi sull’area si limiti a casi localizzati come la riqualificazione della raffineria Almagià, la nuova sede dell’autorità portuale e l’ex molino Pineta, oltre agli interventi residenziali riconducibili all’edificio progettato dall’architetto Cino Zucchi e ai nuovi isolati attorno alla parte centrale di via Trieste. Le problematiche di fondo che hanno creato conflitti sono molte, dall’elevata divisione proprietaria alla cesura del comparto con il centro storico data dalla barriera ferroviaria, alla questione relativa al risanamento delle acque e dei suoli, solo per citare le più evidenti. Siamo quindi interessati a capire il problema dal punto di vista del processo di pianificazione per poi concentrare la nostra riflessione su possibili soluzioni che possano risolvere i conflitti che sembrano all’oggi non trovare una risposta condivisa. Per meglio comprendere come rapportarci al caso specifico si è cercato di analizzare alcuni aspetti teorici fondanti del “procedimento archetipico” di pianificazione urbana in contrapposizione con metodi di pianificazione “non convenzionali”. Come lo studio dei primi ci ha permesso di capire come si è arrivati all’attuale situazione di stallo nella trasformazione urbana della Darsena di Città, i secondi ci hanno aiutato a comprendere per quali ragioni i piani urbanistici di tipo “tradizionale” pensati per la Darsena di Città non sono stati portati a realizzazione. Consci che i fattori in gioco sono molteplici abbiamo deciso di affrontare questa tesi attraverso un approccio aperto al dialogo con le reali problematiche presenti sul territorio, credendo che la pianificazione debba relazionarsi con il contesto per essere in grado di proporre e finalizzare i suoi obiettivi. Conseguenza di questo è per noi il fatto che una sensibile metodologia di pianificazione debba confrontarsi sia con i processi istituzionali sia con le dinamiche e i valori socio-culturali locali. In generale gerarchie di potere e decisioni centralizzate tendono a prevalere su pratiche decisionali di tipo collaborativo; questa tesi si è proposta quindi l’obiettivo di ragionare sulle une e sulle altre in un contesto reale per raggiungere uno schema di pianificazione condiviso. La pianificazione urbanistica è da noi intesa come una previsione al futuro di pratiche di accordo e decisione finalizzate a raggiungere un obiettivo comune, da questo punto di vista il processo è parte essenziale della stessa pianificazione. Il tema è attuale in un contesto in cui l’urbanistica si è sempre confrontata in prevalenza con i temi della razionalizzazione della crescita, e con concetti da tempo in crisi che vanno oggi rimessi in discussione rispetto alle attuali istanze di trasformazione “sostenibile” delle città e dei territori. Potremmo riassumere le nostre riflessioni sull’urbanistica ed i nostri intenti rispetto al piano della Darsena di Città di Ravenna attraverso una definizione di Rem Koolhaas: l’urbanistica è la disciplina che genera potenziale, crea opportunità e causa eventi, mentre l’architettura è tradizionalmente la disciplina che manipola questo potenziale, sfrutta le possibilità e circoscrive. Il percorso di ragionamento descritto in questa tesi intende presentare attraverso alcune questioni significative l’evoluzione dello spazio urbano e delle pratiche di pianificazione, arrivando a formulare un “progetto tentativo” sul territorio della Darsena di Città.

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L'obbiettivo della presente tesi curricolare è la lettura di alcuni progetti, realizzati negli anni di studi, nel tentativo di rintracciare un percorso evolutivo della personale formazione universitaria. I lavori esposti sono per lo più progetti inseriti in un contesto urbano che cercano di dialogare con il luogo e la città. Lo studio della città infatti costituisce presupposto essenziale per la fase compositiva del progetto. I lavori esposti sono stati svolti nei laboratori di progetazione, di urbanistica e di sintesi finale. Nel primo progetto ci si è confrontati con l'analisi e il ridisegno della villa Planchar di Giò Ponti a Caracas. Nel secondo si è affrontato per la prima volta la progettazione di una piccola unità residenziale. Nel progetto per Cesenatico si è affrontato il tema della residenza su scala urbana. Il quarto progetto riguarda la riqualificazione urbanistica dell'area nord di Cesena. I progetti per l'ampliamento dela biblioteca Malatestiana e per il Foro Annonario si confrontano con il contesto urbano consolidato del centro antico di Cesena. Il progetto del palazzo digiustizia si inserisce in un area a ridosso del centro storico che non ha una chiara identità urbana. L'ultimo progetto, svolto nel Laboratorio di Sintesi Finale, si inserisce nel bastione dei Cappuccini all'interno della cinta muraria di Pesaro.

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Il mio percorso universitario presso la Facoltà di Architettura di Cesena ha inizio nell’anno accademico 2006-2007. Il titolo della tesi “Conoscere per conservare3, conservare per conoscere” sintetizza l’importanza di offrire una spiegazione della tematica della conoscenza e della sua necessità, la quale risulta essere indispensabile per ottenere un buon progetto di restauro. Progettare un edificio senza conoscerlo appare una scelta ingiustificabile, è tuttavia necessario che la raccolta di dati analitici non sia fine a se stessa e solo finalizzata a donare una facciata di rispettabilità all’architetto e alle sue operazioni progettuali. A partire da questa riflessione si arriva inevitabilmente a parlare di “ricerca della metodologia del restauro” e delle tecniche con il quale questo deve venire affrontato in termini di “piccolo restauro” (ossia restauro delle superfici). Nonostante infatti ogni cantiere di restauro abbia una sua particolare storia è comunque necessario un metodo chiaro e ordinato, di procedure collaudate e di tecniche ben sperimentate. Alla luce di tali osservazioni i temi di seguito proposti sono occasione di una riflessione nel contempo teorica e pratica, con particolare riferimento al restauro e alla conservazione delle superfici; gli edifici scelti appartengono a temi molto differenti l’uno dell’altro e per entrambi verrà proposta una ipotesi di conservazione e restauro delle superfici. Il primo, Palazzo Guidi, è un palazzo settecentesco sito all’interno del centro storico della città di Cesena; il secondo, la Rocca Malatestiana, costruita a partire dal 1100 dalla famiglia dei Malatesta trova la sua ubicazione in cima a una roccia nella alta Valmarecchia. Il progetto per la conservazione ed il restauro di Palazzo Guidi risulta essere la sintesi degli apprendimenti ricevuti nei precedenti anni accademici in due diverse discipline quali: “Rilievo architettonico” e “Laboratorio di restauro architettonico”. Per quanto concerne la Rocca Malatestiana il tema proposto nasce invece a partire dal progetto del “LSF. Archeologia e progetto di architettura” il quale è stato maggiormente approfondito riguardo le tematiche del restauro con la collaborazione del Prof. Arch. Andrea Ugolini e con l’ausilio del corso di “Conservazione e trattamento dei materiali” seguito presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna.