961 resultados para Gruppi di Lie, Varietà Differenziabili, Algebre di Lie.
Resumo:
La tesi si pone l’obiettivo di approfondire i restauri operati nel corso del tempo sulla fortezza di San Leo a seguito del sisma del 1786 ed affronta il delicato e complesso tema delle finiture delle superfici architettoniche esterne. La ricerca si è sviluppata a partire dall’analisi storico-critica delle vicende relative alla fortezza e alla città di San Leo, approfondendo le caratteristiche dell’architettura militare di transizione di Francesco di Giorgio Martini dal momento della sua fondazione nel Montefeltro, al fine di ricostruire la possibile sequenza delle fasi costruttive, anche attraverso la comparazione con altri esempi di fortificazioni sul territorio. L’analisi comparata delle fonti dirette e indirette, delle tracce murarie attraverso un accurato rilievo geometrico del complesso monumentale ottenuto con l’ausilio di molteplici tecniche di misura (topografiche, dirette, fotogrammetriche) opportunamente integrate in un unico sistema di riferimento, e il rilievo critico con tavole tematiche sulle superfici architettoniche, ha permesso di osservare sotto una nuova luce il singolare progetto di restauro elaborato da Giuseppe Valadier per la fortezza di San Leo. Esso rappresenta un’anticipazione della disciplina, maturata nell’ambiente colto romano dell’epoca, e fondata sulla presa di coscienza dei valori del manufatto architettonico. Si è provveduto a catalogare e descrivere più di 150 fonti documentarie, in gran parte inedite, collocate in un arco temporale che va dal Cinquecento, al periodo Moderno e Contemporaneo con le perizie del Genio Civile e della Soprintendenza. Sono state inoltre ordinate cronologicamente e descritte almeno 50 rappresentazioni iconografiche e cartografiche storiche. L’approccio analitico multidisciplinare, e la raccolta di informazioni storico-documentali, è stato completato da un’ultima fase di analisi, utile a determinare la stratificazione e la cronologia degli interventi. Sono state condotte indagini fisiche e chimiche su campioni, prelevati in loco durante il mese di novembre del 2008 sotto l’egida della Soprintendenza, al fine di determinare la formulazione e la microstuttura dei materiali, con particolare attenzione ai materiali lapidei, agli intonaci e alle coloriture, limitando le indagini a quelle strettamente necessarie. Le indagini strumentali sono state effettuate presso il Laboratorio di Scienza e Tecnologia dei Materiali (LASTM) del Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali (DICAM) dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Scuola di Ingegneria e Architettura, seguendo procedure sviluppate dai gruppi di lavoro presso la struttura. Al fine di determinare la composizione chimica dei materiali sono state eseguite calcimetrie e diffrattometrie a raggi x, mentre per quanto riguarda la struttura e la microstruttura sono state eseguite delle analisi granulometriche. L’interpretazione dei dati, ottenuti dalla lettura organica delle fonti, ha permesso di inquadrare i differenti trattamenti superficiali esterni in relazione all’epoca di realizzazione.
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Lo studio condotto in questa tesi ha lo scopo di esplorare possibili soluzioni alternative per aumentare la vita in esercizio di componenti per un contatto tribologico da strisciamento in motori idraulici. In particolare, per limitare l’usura e ridurre l’attrito fra i corpi a contatto, è stata presa in considerazione la deposizione di rivestimenti in carbonio amorfo idrogenato, appartenenti alla famiglia dei rivestimenti DLC (Diamond-Like Carbon), prodotti con tecnologia PACVD (Plasma Assisted Chemical Vapour Deposition), grazie alla collaborazione con la ditta STS srl presso la quale sono state prodotte ed in parte caratterizzate diverse tipologie di strati sottili a base carbonio-carbonio. Questa scelta è stata motivata dal fatto che i rivestimenti DLC combinano basso attrito ed alta resistenza ad usura, dato che l’elevata durezza (e resistenza ad usura) è data dalla presenza di un’elevata frazione di C ibridati sp3 (con struttura simil-diamante) fra loro interconnessi, mentre la tendenza al basso attrito contro la maggior parte degli antagonisti deriva dalla struttura lamellare (quindi a basso sforzo di taglio), tipica del C sp2 (simil-grafite), che permette lo scorrimento fra i piani basali. Nel corso del presente lavoro sono quindi stati presi in esame due gruppi di rivestimenti DLC, differenziati in base alla tipologia di interstrato impiegato per moderare le tensioni residue e migliorare l’adesione (CrN singolo strato o WC/C multistrato), depositati su acciaio 20MnV6 sottoposto preliminarmente a cementazione gassosa per ottenere una adeguata capacità di supporto del carico. Gli strati in esame sono stati caratterizzati dal punto di vista microstrutturale e meccanico (con prove sia di adesione e con prove di nanoindentazione). Successivamente, i materiali rivestiti sono stati sottoposti a prove tribologiche di laboratorio (block-on-ring) in condizioni di strisciamento non lubrificato, per effettuare una valutazione comparativa fra i rivestimenti ed identificare i meccanismi di usura prevalenti nelle diverse coppie tribologiche.
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Scopo di questo lavoro di tesi è la caratterizzazione della risposta di una partita di dosimetri a termoluminescenza LiF:Mg,Cu,P (GR200A) a fasci X di energie e intensità variabili. In questo elaborato è presentata la teoria che sta alla base degli strumenti e delle procedure utilizzate, cioè nozioni basilari di radiologia e dosimetria assieme ad una breve trattazione riguardante i dosimetri a termoluminescenza; sono descritti gli strumenti e le attrezzature impiegate, quali il sistema di acquisizione To.Le.Do , il tubo a raggi X presente all'interno del Centro di Coordinamento delle Attività di Fisica Medica e la camera di confronto utilizzata per la taratura. Tramite l'analisi dei dati raccolti sono stati definiti, all'interno della partita, gruppi differenti di dosimetri con risposte uniformi entro livelli di confidenza differenti. Questi gruppi di dosimetri saranno utilizzati dall'U. O. di Fisica Sanitaria dell'Università di Bologna per scopi diversi, in particolare per valutazioni di dosi personali e valutazioni di dosi ambientali in locali sottoposti a controlli di radioprotezione.
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Il presente lavoro si inserisce nell’ambito del progetto Language Toolkit, portato avanti dalla Camera di Commercio di Forlì-Cesena e dalla Scuola di Lingue, Letterature, Traduzione e Interpretazione di Forlì. Il progetto coinvolge gli studenti della Scuola e le piccole-medie aziende del territorio provinciale e ha due obiettivi principali: creare occasioni di contatto tra il mondo accademico e quello professionale e favorire l’internazionalizzazione delle aziende del territorio. L’azienda con cui si è collaborato è la Pieri s.r.l. di Pievesestina di Cesena, attiva nel settore di confezionamento e movimentazione di carichi pallettizzati. Ci si è occupati principalmente di sistematizzare la terminologia aziendale in ottica trilingue (italiano - inglese - francese), partendo dall’analisi della documentazione aziendale. Sono stati individuati due gruppi di destinatari: i dipendenti dell’azienda e i traduttori esterni a cui essa ricorre saltuariamente. Viste le esigenze molto diverse dei due gruppi, sono stati elaborati due termbase con caratteristiche distinte, volte a renderli massimamente funzionali rispetto agli scopi. Dopo un breve inquadramento della situazione di partenza focalizzato sul progetto, l’azienda e i materiali di lavoro (capitolo 1), sono state fornite le basi teoriche (capitolo 2) che hanno guidato l’attività pratica di documentazione e di estrazione terminologica (capitolo 3). Sono stati presentati i due database terminologici costruiti, motivando le scelte compiute per differenziare le schede terminologiche in funzione dei destinatari (capitolo 4). Infine, si è tentato di valutare le risorse costruite attraverso la loro applicazione pratica in due attività: l’analisi della versione francese del manuale di istruzioni di una delle macchine Pieri e la traduzione verso il francese di alcune offerte commerciali, svolta utilizzando il programma di traduzione assistita SDL Trados Studio (capitolo 5).
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Gli squali bianchi sono tra i più importanti predatori dei Pinnipedi (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). La loro principale strategia di caccia consiste nel pattugliare le acque circostanti ad una colonia di otarie e nell’attaccarle quando queste sono in movimento, mentre si allontanano o avvicinano all’isola (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). Tuttavia, la strategia e la dinamica della predazione osservate anche in relazione al ciclo riproduttivo della preda e le tattiche comportamentali messe in atto dalla preda per ridurre la probabilità di predazione, e quindi diminuire la sua mortalità, sono ancora poco conosciute. Con questo studio, effettuato nell’area di Seal Island all’interno della baia di Mossel Bay in Sud Africa, abbiamo cercato di definire proprio questi punti ancora poco conosciuti. Per studiare la strategia e le dinamica di predazione dello squalo bianco abbiamo utilizzato il sistema di monitoraggio acustico, in modo da poter approfondire le conoscenze sui loro movimenti e quindi sulle loro abitudini. Per dare un maggiore supporto ai dati ottenuti con la telemetria acustica abbiamo effettuato anche un monitoraggio visivo attraverso l’attrazione (chumming) e l’identificazione fotografica degli squali bianchi. Per comprendere invece i loro movimenti e le tattiche comportamentali messi in atto dalle otarie orsine del capo per ridurre la probabilità di predazione nella baia di Mossel Bay, abbiamo utilizzato il monitoraggio visivo di 24 ore, effettuato almeno una volta al mese, dalla barca nell’area di Seal Island. Anche se gli squali bianchi sono sempre presenti intorno all’isola i dati ottenuti suggeriscono che la maggior presenza di squali/h si verifica da Maggio a Settembre che coincide con l’ultima fase di svezzamento dei cuccioli delle otarie del capo, cioè quando questi iniziano a foraggiare lontano dall'isola per la prima volta; durante il sunrise (alba) durante il sunset (tramonto) quando il livello di luce ambientale è bassa e soprattutto quando la presenza delle prede in acqua è maggiore. Quindi possiamo affermare che gli squali bianchi a Seal Island prendono delle decisioni che vanno ad ottimizzare la loro probabilità di catturare una preda. I risultati preliminari del nostro studio indicano anche che il numero di gruppi di otarie in partenza dall'isola di notte sono di gran lunga maggiori di quelle che partono durante il giorno, forse questo potrebbe riflettere una diminuzione del rischio di predazione; per beneficiare di una vigilanza condivisa, le otarie tendono in media a formare gruppi di 3-5 o 6-9 individui quando si allontanano dall’isola e questo probabilmente le rende meno vulnerabili e più attente dall’essere predate. Successivamente ritornano all’isola da sole o in piccoli gruppi di 2 o 3 individui. I gruppi più piccoli probabilmente riflettono la difficoltà delle singole otarie a riunirsi in gruppi coordinati all'interno della baia.
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Nella tesi si è studiata una macchina automatica per l'industria farmaceutica: l'Adapta 100, un'opercolatrice (macchina riempi-capsule) prodotta da IMA SpA. Gli scopi della tesi erano chiarire il flusso di potenza dei vari assi e valutare un possibile risparmio energetico. La macchina infatti ha diversi motori: uno, collegato all'asse master, che comanda i gruppi non rimovibili e gli altri che comandano i gruppi di dosaggio. Tali motori in generale, per qualche tratto del ciclo della macchina, potranno lavorare come generatori, anche considerando il solo funzionamento a regime: si avrà cioè, in qualche istante, che le forze esterne tendono ad accelerare il motore, che così assorbe energia meccanica e produce energia elettrica. Attualmente tale energia viene dissipata in apposite resistenze collegate ai motori; ci si è chiesti se non si potesse invece immagazzinare l'energia prodotta, ad esempio per usarla in caso di black-out, per frenare delicatamente la macchina senza che gli assi perdano la fase. Un'alternativa è quella di ridistribuire la potenza generata istante per istante collegando i motori a un comune bus DC. Prima però è necessario conoscere gli andamenti di coppia e velocità di ciascun motore: per questo ci si è ricondotti al modello della macchina a 1 gdl, riducendo tutte le coppie e le inerzie all'asse motore. Si sono studiati i due assi più importanti in termini di coppie e potenze di picco: questi sono l'asse master e l'asse di dosaggio della polvere farmaceutica. Il modello è stato concretamente implementato con degli script MATLAB. Il modello risulta flessibile, per considerare le varie modalità di funzionamento della macchina, e considera i principali termini di coppia, inclusi attriti (inseriti sotto forma di rendimenti) e forze esterne di lavorazione. Tra queste è particolarmente importante la forza di compattazione della polvere, che è stata modellata con la formula di Kawakita, nota dalla letteratura.
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Le tecniche di imaging al seno per la rilevazione di tumori stanno interessando un notevole numero di gruppi di ricerca in campo biomedico soprattutto negli ultimi anni. In particolare si cercano metodologie innovative in quanto le attuali tecniche già sviluppate e utilizzate in campo clinico, mammografia a raggi X e risonanza magnetica (MRI), presentano alcuni limiti. Questa tesi si focalizzerà in particolare su una di queste tecniche emergenti: l’imaging a microonde (MWI). Questo metodo infatti, limita notevolmente i costi, evita disagi per la paziente come la compressione del seno, penetra in modo ottimale nei tessuti e non li ionizza. La MWI si basa sulle diverse proprietà dielettriche, permittività e conduttività, dei vari tessuti che costituiscono la mammella, in particolare tra tessuto sano e maligno. Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare tali proprietà dielettriche, le diversità che i vari tessuti presentano e come tutto ciò venga sfruttato per ottenere l’imaging della mammella. In particolare questo lavoro si propone di riportare e analizzare i principali studi sui tessuti biologici della mammella compiuti nel corso degli anni riguardo queste proprietà dielettriche e i rispettivi risultati ottenuti. Si tratteranno inoltre i mezzi di accoppiamento: soluzioni in cui è immerso l’assetto antenne-oggetto che minimizzano la riflessione del segnale sulla pelle e assicurano una migliore qualità di immagine.
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Nel campo della Ricerca Operativa e dei problemi di ottimizzazione viene presentato un problema, denominato Bus Touring Problem (BTP), che modella una problematica riguardante il carico e l’instradamento di veicoli nella presenza di di vincoli temporali e topologici sui percorsi. Nel BTP, ci si pone il problema di stabilire una serie di rotte per la visita di punti di interesse dislocati geograficamente da parte di un insieme di comitive turistiche, ciascuna delle quali stabilisce preferenze riguardo le visite. Per gli spostamenti sono disponibili un numero limitato di mezzi di trasporto, in generale eterogenei, e di capacitá limitata. Le visite devono essere effettuate rispettando finestre temporali che indicano i periodi di apertura dei punti di interesse; per questi, inoltre, é specificato un numero massimo di visite ammesse. L’obiettivo é di organizzare il carico dei mezzi di trasporto e le rotte intraprese in modo da massimizzare la soddisfazione complessiva dei gruppi di turisti nel rispetto dei vincoli imposti. Viene presentato un algoritmo euristico basato su Tabu Search appositamente ideato e progettato per la risoluzione del BTP. Vengono presentati gli esperimenti effettuati riguardo la messa appunto dei parametri dell'algoritmo su un insieme di problemi di benchmark. Vengono presentati risultati estesi riguardo le soluzioni dei problemi. Infine, vengono presentate considerazioni ed indicazioni di sviluppo futuro in materia.
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Tesi rivolta allo studio del comportamento di Google Inc. nel campo delle lobby, in America ed in Europa: quanto investe nell'attività di lobbying, quali leggi vuole far approvare, perché è interessata a quel disegno di legge, differenze tra lobby americane ed europee e difficoltà incontrate in Europa.
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Nell'ambito dell'industria di processo, si definisce "effetto domino" la propagazione di un evento incidentale primario dovuta all’accadimento di uno o più incidenti secondari innescati dall’evento primario, con amplificazione dell’area di danno. Un incidente con effetto domino vede infatti la presenza iniziale di uno scenario incidentale primario, solitamente causato dal rilascio di sostanze pericolose e/o dal rilascio di energia tali da determinare effetti dannosi in grado di innescare successivamente degli eventi incidentali secondari, che determinino un'intensificazione delle conseguenze dell'evento iniziale. Gli incidenti con effetto domino possono avere conseguenze all'interno dello stabilimento in cui ha origine lo scenario incidentale primario o all'esterno, eventualmente coinvolgendo, stabilimenti limitrofi: nel primo caso si parla di effetto domino intra-stabilimento, nel secondo di effetto domino inter-stabilimento. Gli ultimi decenni hanno visto un forte aumento della domanda di prodotti dell'industria chimica e dunque del numero di impianti di processo, talvolta raggruppati nei cosiddetti "chemical clusters", ossia aree ad elevata concentrazione di stabilimenti chimici. In queste zone il rischio di effetto domino inter-stabilimento è particolarmente alto, a causa della stretta vicinanza di installazioni che contengono elevati quantitativi di sostanze pericolose in condizioni operative pericolose. È proprio questa consapevolezza, purtroppo confermata dal verificarsi di diversi incidenti con effetto domino, che ha determinato negli ultimi anni un significativo aumento delle ricerche relative all'effetto domino e anche una sua maggiore considerazione nell'ambito della normativa. A riguardo di quest'ultimo aspetto occorre citare la Direttiva Europea 2012/18/UE (comunemente denominata Direttiva Seveso III) e il suo recepimento nella normativa italiana, il Decreto Legislativo del 26 giugno 2015, "Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, entrato in vigore il 29 luglio 2015: questo decreto infatti dedica ampio spazio all'effetto domino e introduce nuovi adempimenti per gli stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante presenti sul territorio nazionale. In particolare, l'Allegato E del D. Lgs. 105/2015 propone una metodologia per individuare i Gruppi domino definitivi, ovvero i gruppi di stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante tra i quali è possibile il verificarsi di incidenti con effetto domino inter-stabilimento. Nel presente lavoro di tesi, svolto presso ARPAE (Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia) dell'Emilia Romagna, è stata effettuata, secondo la metodologia proposta dall'Allegato E del D. Lgs. 105/2015, la valutazione dell'effetto domino inter-stabilimento per gli stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante presenti in Emilia Romagna, al fine di individuare i Gruppi domino definitivi e di valutare l'aggravio delle conseguenze fisiche degli eventi incidentali primari origine di effetto domino.
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I Social Network sono una fonte di informazioni di natura spontanea, non guidata, provviste di posizione spaziale e prodotte in tempo reale. Il Social Sensing si basa sull'idea che gruppi di persone possano fornire informazioni, su eventi che accadono nelle loro vicinanze, simili a quelle ottenibili da sensori. La letteratura in merito all’utilizzo dei Social Media per il rilevamento di eventi catastrofici mostra una struttura comune: acquisizione, filtraggio e classificazione dei dati. La piattaforma usata, nella maggior parte dei lavori e da noi, è Twitter. Proponiamo un sistema di rilevamento di eventi per l’Emilia Romagna, tramite l’analisi di tweet geolocalizzati. Per l’acquisizione dei dati abbiamo utilizzato le Twitter API. Abbiamo effettuato due passaggi per il filtraggio dei tweet. Primo, selezione degli account di provenienza dei tweet, se non sono personali è improbabile che siano usati per dare informazioni e non vanno tenuti in considerazione. Secondo, il contenuto dei tweet, vengono scartati se presentano termini scurrili, parole come “buon giorno” e un numero di tag, riferiti ad altri utenti, superiore a quattro. La rilevazione di un valore anomalo rispetto all'insieme delle osservazioni che stiamo considerando (outlier), è il primo indice di un evento eccezionale. Per l’analisi siamo ricorsi all’outlier detection come indice di rilevamento di un evento. Fatta questa prima analisi si controlla che ci sia un effettivo picco di tweet in una zona della regione. Durante il periodo di attività non sono accaduti eventi straordinari, abbiamo quindi simulato un avvenimento per testare l'efficacia del nostro sistema. La maggior difficoltà è che i dati geolocalizzati sono in numero molto esiguo, è quindi difficile l'identificazione dei picchi. Per migliorare il sistema si propone: il passaggio a streaming dei tweet e un aumento della velocità di filtraggio; la automatizzazione dei filtri; l'implementazione di un modulo finale che operi a livello del testo.
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La diagnosi di neoplasia epiteliale maligna polmonare è legata tradizionalmente alla distinzione tra carcinoma a piccole cellule (small-cell lung cancer, SCLC) e carcinoma non-a piccole cellule del polmone (non-small-cell lung cancer, NSCLC). Nell’ambito del NSCLC attualmente è importante di-stinguere l’esatto istotipo (adenocarcinoma, carcinoma squamocellulare e carcinoma neuroendocrino) perchè l’approccio terapeutico cambia a seconda dell’istotipo del tumore e la chemioterapia si dimostra molto spesso inefficace. Attualmente alcuni nuovi farmaci a bersaglio molecolare per il gene EGFR, come Erlotinib e Gefitinib, sono utilizzati per i pazienti refrattari al trattamento chemioterapico tradizionale, che non hanno risposto a uno o più cicli di chemioterapia o che siano progrediti dopo questa. I test per la rilevazione di specifiche mutazioni nel gene EGFR permettono di utilizzare al meglio questi nuovi farmaci, applicandoli anche nella prima linea di trattamento sui pazienti che hanno una maggiore probabilità di risposta alla terapia. Sfortunatamente, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo quando trattati con farmaci anti-EGFR. Di conseguenza, l'individuazione di biomarcatori predittivi di risposta alla terapia sarebbe di notevole importanza per aumentare l'efficacia dei questi farmaci a target molecolare e trattare con farmaci diversi i pazienti che con elevata probabilità non risponderebbero ad essi. I miRNAs sono piccole molecole di RNA endogene, a singolo filamento di 20-22 nucleotidi che svolgono diverse funzioni, una delle più importanti è la regolazione dell’espressione genica. I miRNAs possono determinare una repressione dell'espressione genica in due modi: 1-legandosi a sequenze target di mRNA, causando così un silenziamento del gene (mancata traduzione in proteina), 2- causando la degradazione dello specifico mRNA. Lo scopo della ricerca era di individuare biomarcatori capaci di identificare precocemente i soggetti in grado di rispondere alla terapia con Erlotinib, aumentando così l'efficacia del farmaco ed evitan-do/riducendo possibili fenomeni di tossicità e il trattamento di pazienti che probabilmente non ri-sponderebbero alla terapia offrendo loro altre opzioni prima possibile. In particolare, il lavoro si è fo-calizzato sul determinare se esistesse una correlazione tra la risposta all'Erlotinib ed i livelli di espressione di miRNAs coinvolti nella via di segnalazione di EGFR in campioni di NSCLC prima dell’inizio della terapia. Sono stati identificati 7 microRNA coinvolti nel pathway di EGFR: miR-7, -21, 128b, 133a, -133b, 146a, 146b. Sono stati analizzati i livelli di espressione dei miRNA mediante Real-Time q-PCR in campioni di NSCLC in una coorte di pazienti con NSCLC metastatico trattati con Erlotinib dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2014 in 2°-3° linea dopo fallimento di almeno un ciclo di chemioterapia. I pazienti sottoposti a trattamento con erlotinib per almeno 6 mesi senza presentare progressione alla malattia sono stati definiti “responders” (n=8), gli altri “non-responders” (n=25). I risultati hanno mostrato che miR-7, -133b e -146a potrebbero essere coinvolti nella risposta al trat-tamento con Erlotinib. Le indagini funzionali sono state quindi concentrate su miR-133b, che ha mo-strato la maggiore espressione differenziale tra i due gruppi di pazienti. E 'stata quindi studiata la capacità di miR-133b di regolare l'espressione di EGFR in due linee di cellule del cancro del polmone (A549 e H1299). Sono stati determinati gli effetti di miR-133b sulla crescita cellulare. E’ stato anche analizzato il rapporto tra miR-133b e sensibilità a Erlotinib nelle cellule NSCLC. L'aumento di espressione di miR-133b ha portato ad una down-regolazione del recettore di EGF e del pathway di EGFR relativo alla linea cellulare A549. La linea cellulare H1299 era meno sensibili al miR-133b up-regulation, probabilmente a causa dell'esistenza di possibili meccanismi di resistenza e/o di com-pensazione. La combinazione di miR-133b ed Erlotinib ha aumentato l'efficacia del trattamento solo nella linea cellulare A549. Nel complesso, questi risultati indicano che miR-133b potrebbe aumentare / ripristinare la sensibilità di Erlotinib in una frazione di pazienti.
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Clusterina (CLU) è una proteina ubiquitaria, presente nella maggior parte dei fluidi corporei e implicata in svariati processi fisiologici. Dalla sua scoperta fino ad oggi, CLU è risultata essere una proteina enigmatica, la cui funzione non è ancora stata compresa appieno. Il gene codifica per 3 varianti trascrizionali identificate nel database NCBI con i codici: NM_001831 (CLU 1 in questo lavoro di tesi), NR_038335 (CLU 2 in questo lavoro di tesi) e NR_045494 (CLU 3 in questo lavoro di tesi). Tutte le varianti sono trascritte come pre-mRNA contenenti 9 esoni e 8 introni e si differenziano per l’esone 1, la cui sequenza è unica e caratteristica di ogni variante. Sebbene in NCBI sia annotato che le varianti CLU 2 e CLU 3 non sono codificanti, tramite analisi bioinformatica è stato predetto che da tutti e tre i trascritti possono generarsi proteine di differente lunghezza e localizzazione cellulare. Tra tutte le forme proteiche ipotizzate, l’unica a essere stata isolata e sequenziata è quella tradotta dall’AUG presente sull’esone 2 che dà origine a una proteina di 449 aminoacidi. Il processo di maturazione prevede la formazione di un precursore citoplasmatico (psCLU) che subisce modificazioni post-traduzionali tra cui formazione di ponti disolfuro, glicosilazioni, taglio in due catene denominate β e α prima di essere secreta come eterodimero βα (sCLU) nell’ambiente extracellulare, dove esercita la sua funzione di chaperone ATP-indipendente. Oltre alla forma extracellulare, è possibile osservare una forma intracellulare con localizzazione citosolica la cui funzione non è stata ancora completamente chiarita. Questo lavoro di tesi si è prefissato lo scopo di incrementare le conoscenze in merito ai trascritti CLU 1 e CLU 2 e alla loro regolazione, oltre ad approfondire il ruolo della forma citosolica della proteina in relazione al signaling di NF-kB che svolge un ruolo importante nel processo di sviluppo e metastatizzazione del tumore. Nella prima parte, uno screening di differenti linee cellulari, quali cellule epiteliali di prostata e di mammella, sia normali sia tumorali, fibroblasti di origine polmonare e linfociti di tumore non-Hodgkin, ha permesso di caratterizzare i trascritti CLU 1 e CLU 2. Dall’analisi è emerso che la sequenza di CLU 1 è più corta al 5’ rispetto a quella depositata in NCBI con l’identificativo NM_001831 e il primo AUG disponibile per l’inizio della traduzione è localizzato sull’esone 2. È stato dimostrato che CLU 2, al contrario di quanto riportato in NCBI, è tradotto in proteina a partire dall’AUG presente sull’esone 2, allo stesso modo in cui viene tradotto CLU 1. Inoltre, è stato osservato che i livelli d’espressione dei trascritti variano notevolmente tra le diverse linee cellulari e nelle cellule epiteliali CLU 2 è espressa sempre a bassi livelli. In queste cellule, l’espressione di CLU 2 è silenziata per via epigenetica e la somministrazione di farmaci capaci di rendere la cromatina più accessibile, quali tricostatina A e 5-aza-2’-deossicitidina, è in grado di incrementarne l’espressione. Nella seconda parte, un’analisi bioinformatica seguita da saggi di attività in vitro in cellule epiteliali prostatiche trattate con farmaci epigenetici, hanno permesso di identificare, per la prima volta in uomo, una seconda regione regolatrice denominata P2, capace di controllare l’espressione di CLU 2. Rispetto a P1, il classico promotore di CLU già ampiamente studiato da altri gruppi di ricerca, P2 è un promotore debole, privo di TATA box, che nelle cellule epiteliali prostatiche è silente in condizioni basali e la cui attività incrementa in seguito alla somministrazione di farmaci epigenetici capaci di alterare le modificazioni post-traduzionali delle code istoniche nell’intorno di P2. Ne consegue un rilassamento della cromatina e un successivo aumento di trascrizione di CLU 2. La presenza di un’isola CpG differentemente metilata nell’intorno di P1 spiegherebbe, almeno in parte, i differenti livelli di espressione di CLU che si osservano tra le diverse linee cellulari. Nella terza parte, l’analisi del pathway di NF-kB in un modello sperimentale di tumore prostatico in cui CLU è stata silenziata o sovraespressa, ha permesso di capire come la forma citosolica di CLU abbia un ruolo inibitorio nei confronti dell’attività del fattore trascrizionale NF-kB. CLU inibisce la fosforilazione e l’attivazione di p65, il membro più rappresentativo della famiglia NF-kB, con conseguente riduzione della trascrizione di alcuni geni da esso regolati e coinvolti nel rimodellamento della matrice extracellulare, quali l’urochinasi attivatrice del plasminogeno, la catepsina B e la metallo proteinasi 9. È stato dimostrato che tale inibizione non è dovuta a un’interazione fisica diretta tra CLU e p65, per cui si suppone che CLU interagisca con uno dei componenti più a monte della via di segnalazione responsabile della fosforilazione ed attivazione di p65.
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Elemento centrale della presente tesi dottorale è il costrutto di perspective taking, definibile come l’abilità, emergente nei bambini intorno a 4-5 anni, di assumere la prospettiva altrui secondo tre differenti dimensioni: emotiva, cognitiva e percettiva (Bonino, Lo Coco, Tani, 1998; Moll e Meltzoff, 2011). Dalla letteratura emerge come il perspective taking, in quanto abilità di comprensione sociale, rivesta un ruolo adattivo e sia fondamentale per lo sviluppo, non solo intellettivo, ma anche per la formazione di adeguate capacità relazionali e sociali (Jenkins e Astington, 2000; Weil et al., 2011). Sulla base di tali considerazioni, alcuni ricercatori si sono interrogati sulla possibilità di insegnare questa abilità, elaborando specifiche e differenti procedure di intervento finalizzate ad incrementare l’abilità di perspective taking sia in bambini a sviluppo normativo (Cigala e Mori, 2015), sia in gruppi di bambini a sviluppo atipico (Fisher e Happé, 2005; Heagle e Rehfeldt, 2006; Paynter e Peterson, 2012). A partire da una prospettiva teorica socio-costruzionista, secondo cui l’acquisizione del perspective taking si configura come un’impresa di co-costruzione continua, all’interno di interazioni quotidiane con figure significative per il bambino, si è deciso di analizzare il perspective taking non solo in relazione a variabili individuali (genere, età del bambino, regolazione emotiva, abilità sociali) ma anche e soprattutto a variabili contestuali quali le caratteristiche del contesto familiare (caratteristiche disposizionali e stili genitoriali di socializzazione emotiva, presenza di fratelli). Sono stati in particolare indagati un contesto familiare normativo ed uno caratterizzato da maltrattamento psicologico, contrassegnato dalla reiterazione di comportamenti inadeguati (critiche svalutanti, denigrazione, umiliazione, minacce verbali, indifferenza) nei confronti del minore, che convogliano sul bambino l’idea di non essere amato e di avere poco valore. Con i termini “a sviluppo tipico” si intendono i bambini per i quali non sussista una diagnosi clinica e con quelli di “famiglie normative” ci si riferisce a nuclei per i quali non ci siano state segnalazioni da parte dei Servizi Educativi e Sociali di riferimento, indipendentemente dalle caratteristiche della composizione del nucleo familiare (nucleare, estesa, multipla, ricostituita o ricomposta). Tale studio rientra in un ampio progetto di ricerca e formazione che ha coinvolto più di 250 prescolari frequentanti 8 scuole dell’infanzia e 15 comunità terapeutiche e di accoglienza mamma-bambino, situate in differenti province del Nord Italia. Il gruppo dei partecipanti alla ricerca si è composto di 256 bambini in età prescolare, compresa quindi tra 3 e 5 anni (M=54,39; DS=5,705): 128 maschi (M=54,08; DS=5,551) e 128 femmine (M=54,70; DS=5,860). In particolare, 213 bambini appartenevano a famiglie normative e 43 a nuclei familiari caratterizzati dalla presenza di maltrattamento psicologico. Oltre ai bambini, la ricerca ha previsto il coinvolgimento di 155 coppie di genitori, 43 madri ospitate in comunità, 18 insegnanti e 30 operatori. Obiettivo centrale è stato l’indagine della possibilità di poter promuovere il perspective taking in bambini di età prescolare a sviluppo tipico appartenenti a due differenti tipologie di contesto familiare (normativo e psicologicamente maltrattante), attraverso l’applicazione di uno specifico percorso di training di natura “ecologica” all’interno della scuola dell’infanzia e della comunità, assimilabile a quelli di tipo evidence based. In particolare è stata prevista una procedura quasi sperimentale di tipo pre-test, training, post-test e follow-up. Dopo una preliminare valutazione dello sviluppo del perspective taking nelle sue tre componenti, in bambini appartenenti ad entrambi i contesti, si è voluto verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra questa abilità ed alcune capacità socio-emotive dei bambini, con particolare riferimento alla disposizione prosociale, rilevate nel contesto scolastico attraverso differenti metodologie (osservazioni dirette non partecipanti, questionari self report compilati dalle insegnanti). Inoltre, data l’importanza del contesto familiare per lo sviluppo di tale abilità, la ricerca ha avuto lo scopo di verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra le abilità di perspective taking mostrate dai bambini e gli stili di socializzazione emotiva delle figure familiari, caratteristiche di entrambi i contesti (maltrattante e non maltrattante). È stato inoltre previsto uno studio di confronto tra i due campioni rispetto alle dimensioni indagate. I risultati ottenuti sono stati particolarmente interessanti. Innanzitutto, le esperienze di training hanno determinato, in entrambi i contesti, miglioramenti nell’abilità dei prescolari di mettersi nei panni altrui. Tale training ha inoltre dimostrato effetti positivi sulla competenza sociale dei bambini, che, a seguito del percorso, hanno manifestato un incremento dei comportamenti prosociali ed una diminuzione di quelli aggressivi. Per lo studio in contesto normativo, è stato inoltre dimostrato un mantenimento delle abilità acquisite a seguito del training attraverso un follow-up a distanza di 4 mesi dal termine dell’intervento. Il positivo esito di tale percorso sembra quindi rappresentare un’importante risorsa per i prescolari, soprattutto in caso di situazioni in cui l’abilità di perspective taking risulti deficitaria. Il confronto dei due gruppi a seguito del training ha evidenziato come non siano emerse differenze significative, rispetto al perspective taking, ad eccezione della dimensione emotiva, in cui le prestazioni dei prescolari maltrattati sono risultate inferiori, come già evidenziato prima del training. Tali risultati non giungono però inaspettati, poiché, sebbene il percorso abbia agito significativamente sull’abilità di comprensione delle emozioni altrui di questi bambini, non si configura come sufficiente a ristrutturare così profondamente le problematiche presentate. Interessanti sono stati altresì i risultati ottenuti dall’analisi degli stili di socializzazione emotiva, dei genitori (madri e padri) dei prescolari non maltrattati e delle mamme dei bambini residenti in comunità. In particolare è emerso come, stili accettanti e di tipo coaching nei confronti delle emozioni negative dei bambini, siano positivamente correlati con il perspective taking dei figli, e come all’opposto, stili rifiutanti rispetto alle espressioni emotive negative dei propri bambini, mostrino correlazioni negative con le abilità di perspective taking dei figli. Oltre ad interessi di ordine teorico e metodologico, è possibile quindi affermare come, il presente lavoro di tesi, sia stato guidato da fini applicativi, affinché la ricerca scientifica possa tradursi in pratiche educative quotidiane da applicare ai contesti di vita significativi per i bambini.
Resumo:
Questo progetto di tesi è parte di un programma più ampio chiamato TIME (Tecnologia Integrata per Mobilità Elettrica) sviluppato tra diversi gruppi di ricerca afferenti al settore meccanico, termofluidodinamico e informatico. TIME si pone l'obiettivo di migliorare la qualità dei componenti di un sistema powertrain presenti oggi sul mercato progettando un sistema general purpose adatto ad essere installato su veicoli di prima fornitura ma soprattutto su retrofit, quindi permettendo il ricondizionamento di veicoli con motore a combustione esistenti ma troppo datati. Lo studio svolto si pone l'obiettivo di identificare tutti gli aspetti di innovazione tecnologica che possono essere installati all'interno del sistema di interazione uomo-macchina. All'interno di questo progetto sarà effettuata una pianificazione di tutto il lavoro del gruppo di ricerca CIRI-ICT, partendo dallo studio normativo ed ergonomico delle interfacce dei veicoli analizzando tutti gli elementi di innovazione che potranno far parte del sistema TIME e quindi programmare tutte le attività previste al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati, documentando opportunamente tutto il processo. Nello specifico saranno analizzate e definite le tecniche da utilizzare per poi procedere alla progettazione e implementazione di un primo sistema sperimentale di Machine Learning e Gamification con lo scopo di predire lo stato della batteria in base allo stile di guida dell'utente e incentivare quest'ultimo tramite sistemi di Gamification installati sul cruscotto ad una guida più consapevole dei consumi. Questo sistema sarà testato su dati simulati con l'obiettivo di avere un prodotto configurabile da installare sul veicolo.