1000 resultados para Dispositivo prove di trazione


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Il problema del rumore derivante dai volumi di traffico sempre crescente richiede la ricerca di svariate soluzioni, tra cui l'installazione di barriere di sicurezza e antirumore, definite anche integrate. La tesi, svolta in collaborazione con Piacentini Ingegneri srl, dopo un primo inquadramento del problema dei livelli di rumore eccessivi e dei limiti imposti da normativa, descrive le possibili soluzioni trovate nel tempo e in corso di ricerca. Vengono dunque descritte nel dettaglio le barriere integrate, specialmente quelle trovate nei tratti autostradali di Genova e Milano nel corso del tirocinio svolto presso Piacentini Ingegneri srl. È stata eseguita una modellazione FEM delle barriere Integauto-s e diverse prove sperimentali sui new jersey e sulle opere di supporto alle barriere (pull-out, carotaggi, prove a trazione, ecc). Dai certificati delle prove si ricavano i parametri di resistenza degli elementi (barriera e cordoli di sostegno) grazie ai quali, in aggiunta alla documentazione originale fornita da Autostrade per l'Italia, si raggiunge il Livello di Conoscenza accurato, il massimo possibile: LC3. Ciò è indispensabile per rispettare la procedura per il rialzamento delle barriere integrate concordate tra le 2 società sopracitate. Quindi, si procede con le verifiche delle barriere e delle opere di supporto alle barriere (cordolo su terreno, cordolo con micropali o pali, cordolo su opera d'arte esistente, pile da ponte). L'intera tesi è finalizzata alla definizione delle altezze delle barriere integrate, in quanto per motivi di sicurezza erano state abbassate. I calcoli strutturali, la modellazione FEM e le prove condotte hanno portato alla conoscenza massima possibile delle seguenti barriere: Integauto-s, NJBP C1.2 Martellona, e NJBP Ecotecnica (trovate nei tratti autostradali oggetto di rialzamento).

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Il lavoro di tesi si è posto l'obiettivo di studiare il comportamento fluidodinamico di un reattore agitato meccanicamente, scale-down di un digestore anaerobico per la produzione di biogas, attraverso tecniche di diagnostica ottica. Le tecniche utilizzate sono state la Particle Image Velocimetry, PIV, e la Planar Laser Induced Fluorescence, PLIF. Le prove sono iniziate utilizzando acqua all’interno del reattore e sono proseguite utilizzando una soluzione di acqua e Carbometilcellulosa (CMC) a concentrazione di CMC progressivamente crescente per aumentare la viscosità apparente della soluzione non newtoniana con lo scopo di simulare il più realisticamente possibile la viscosità del contenuto reale del digestore. Tutte le diverse soluzioni sono state indagate per diverse velocità e diversi sensi di rotazione. Le prove di diagnostica ottica sono state progressivamente affiancate da prove al reometro di campioni di soluzione per il calcolo della viscosità apparente. La PIV ha fornito la misura del campo di moto di un piano, è stato scelto di analizzare un piano verticale. Il metodo di diagnostica ottica ho previsto l’utilizzo di quattro componenti: una sezione per il test otticamente trasparente contenente la soluzione inseminata con piccole particelle di tracciante (particelle di argento e vetro cavo) che seguono il flusso, una sorgente di illuminazione pulsata (laser), un dispositivo di registrazione (una telecamera digitale ad alta definizione) ed un software per la cross-correlazione delle immagini acquisite (DynamicStudio). La PLIF è stata implementata per lo studio del tempo caratteristico di miscelazione nel reattore. La strumentazione utilizzata è stata la stessa della PIV con un tracciante diverso a base di Rodhamina-6G. Lo studio ha riguardato il tempo necessario all’omogeneizzazione del tracciante mediante un’analisi del coefficiente di variazione, CoV, delle immagini acquisite.

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L’attività di ricerca svolta in questa tesi ha riguardato gli aspetti microstrutturali, le proprietà meccaniche e l’ottimizzazione del trattamento termico di un acciaio inossidabile indurente per precipitazione processato mediante tecnologia additiva Laser Powder Bed Fusion (L-PBF). I provini, realizzati presso il competence center Bi-REX (Bologna) e lavorati presso il laboratorio di Metallurgia del DIN, sono stati oggetto di vari trattamenti termici sperimentali in cui è stata fatta variare la temperatura e la durata di mantenimento in forno, al fine di identificare la combinazione ottimale di temperatura e tempo sia per la fase di solubilizzazione che di invecchiamento. Nello specifico, la scelta dei parametri di solubilizzazione e invecchiamento è stata fatta solo sulla base dei trend di durezza. Da queste attività sono stati scelti i parametri di trattamento che garantissero elevata durezza, prossima alla massima ottenibile, senza durate di invecchiamento eccessive. L'esito della sperimentazione ha permesso di ridurre sensibilmente temperatura e durata di solubilizzazione rispetto al trattamento benchmark senza penalizzazione della durezza risultante. Dopodiché è stata eseguita una caratterizzazione microstrutturale e meccanica dell’acciaio, in termini di durezza, trazione e resilienza, per confrontare il trattamento termico ottimizzato con la condizione As-Built (AB) e con il trattamento termico standard indicato dal produttore. L’elevata durezza misurata dopo invecchiamento si deve alla presenza di precipitati di rinforzo in grado di ostacolare il moto delle dislocazioni. Le prove meccaniche hanno confermato l’ottenimento di elevata resistenza a snervamento e a trazione, superiore al benchmark, ma di un basso allungamento a rottura e bassissima resilienza a causa di difetti quali porosità, mancate fusioni e spattering. Infine, lo studio delle superfici di frattura ha permesso di analizzare i meccanismi di rottura dei campioni di trazione e resilienza.

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L'elaborato analizza il funzionamento di un integrated boost converter, operante come sistema di interfaccia per la ricarica di un veicolo elettrico operante a 800V con la colonnina di ricarica a 400V. Il convertitore utilizza le fasi dell'azionamento di trazione come induttanze di filtro. Mediante un’analisi agli elementi finiti sono stati estratti i parametri del motore elettrico di un veicolo stradale operante a 800V. Il funzionamento del convertitore è studiato in ciascuna delle configurazioni proposte in ambiente Simulink. Poi, sono state individuate le posizioni che permettono il funzionamento ottimale del sistema ed infine sono state eseguite le prove a banco per verificare le previsioni dei modelli matematici dell'integrated boost converter. Si è quindi ottenuta una configurazione dell'azionamento a bordo del veicolo che permette il trasferimento di energia tra batteria e colonnina di ricarica a tensione inferiore, seppur siano richiesti sviluppi futuri per poter avere una ricarica completa della batteria.

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Esercizi di esame per i corsi di Fisica Generale. I compiti di esame contengono esercizi sorteggiati da questa lista, nell'ultima versione disponibile sul Web 15 giorni prima della data di esame. I punteggi riportati a fianco dei quesiti/esercizi sono calcolati dinamicamente sulla base dei precedenti risultati nelle prove di esame, in modo da rendere il secondo terzile della distribuzione dei voti sul singolo esercizio pari a 3/3. In altre parole il punteggio assegnato al singolo quesito/esercizio è tale da assicurare che un terzo degli studenti che hanno affrontato l'esercizio ottenga la massima valutazione. Il punteggio degli esercizi riportato sul file è indicativo. Esso si modifica dinamicamente a ogni esame, in modo che a ogni esame diviene una valutazione più precisa della difficoltà dell'esercizio (all'aumentare della statistica sperimentale l'errore di misura diminuisce).

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Quesiti di esame per i corsi di Fisica Generale. I compiti di esame contengono quesiti sorteggiati da questa lista, nell'ultima versione disponibile sul Web 15 giorni prima della data di esame. I punteggi riportati a fianco dei quesiti/esercizi sono calcolati dinamicamente sulla base dei precedenti risultati nelle prove di esame, in modo da rendere il secondo terzile della distribuzione dei voti sul singolo esercizio pari a 3/3. In altre parole il punteggio assegnato al singolo quesito/esercizio è tale da assicurare che un terzo degli studenti che hanno affrontato l'esercizio ottenga la massima valutazione. Il punteggio degli esercizi riportato sul file è indicativo. Esso si modifica dinamicamente a ogni esame, in modo che a ogni esame diviene una valutazione più precisa della difficoltà dell'esercizio (all'aumentare della statistica sperimentale l'errore di misura diminuisce).

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Esercizi di esame per i corsi di Fisica Generale. I compiti di esame contengono esercizi sorteggiati da questa lista, nell'ultima versione disponibile sul Web 15 giorni prima della data di esame. I punteggi riportati a fianco dei quesiti/esercizi sono calcolati dinamicamente sulla base dei precedenti risultati nelle prove di esame, in modo da rendere il secondo terzile della distribuzione dei voti sul singolo esercizio pari a 3/3. In altre parole il punteggio assegnato al singolo quesito/esercizio è tale da assicurare che un terzo degli studenti che hanno affrontato l'esercizio ottenga la massima valutazione. Il punteggio degli esercizi riportato sul file è indicativo. Esso si modifica dinamicamente a ogni esame, in modo che a ogni esame diviene una valutazione più precisa della difficoltà dell'esercizio (all'aumentare della statistica sperimentale l'errore di misura diminuisce).

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Quesiti di esame per i corsi di Fisica Generale. I compiti di esame contengono quesiti sorteggiati da questa lista, nell'ultima versione disponibile sul Web 15 giorni prima della data di esame. I punteggi riportati a fianco dei quesiti/esercizi sono calcolati dinamicamente sulla base dei precedenti risultati nelle prove di esame, in modo da rendere il secondo terzile della distribuzione dei voti sul singolo esercizio pari a 3/3. In altre parole il punteggio assegnato al singolo quesito/esercizio è tale da assicurare che un terzo degli studenti che hanno affrontato l'esercizio ottenga la massima valutazione. Il punteggio degli esercizi riportato sul file è indicativo. Esso si modifica dinamicamente a ogni esame, in modo che a ogni esame diviene una valutazione più precisa della difficoltà dell'esercizio (all'aumentare della statistica sperimentale l'errore di misura diminuisce).

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Il traffico veicolare è la principale fonte antropogenica di NOx, idrocarburi (HC) e CO e, dato che la sostituzione dei motori a combustione interna con sistemi alternativi appare ancora lontana nel tempo, lo sviluppo di sistemi in grado di limitare al massimo le emissioni di questi mezzi di trasporto riveste un’importanza fondamentale. Sfortunatamente non esiste un rapporto ottimale aria/combustibile che permetta di avere basse emissioni, mentre la massima potenza ottenibile dal motore corrisponde alle condizioni di elevata formazione di CO e HC. Gli attuali sistemi di abbattimento permettono il controllo delle emissioni da sorgenti mobili tramite una centralina che collega il sistema di iniezione del motore e la concentrazione di ossigeno del sistema catalitico (posto nella marmitta) in modo da controllare il rapporto aria/combustibile (Fig. 1). Le marmitte catalitiche per motori a benzina utilizzano catalizzatori “three way” a base di Pt/Rh supportati su ossidi (allumina, zirconia e ceria), che, dovendo operare con un rapporto quasi stechiometrico combustibile/comburente, comportano una minore efficienza del motore e consumi maggiori del 20-30% rispetto alla combustione in eccesso di ossigeno. Inoltre, questa tecnologia non può essere utilizzata nei motori diesel, che lavorano in eccesso di ossigeno ed utilizzano carburanti con un tenore di zolfo relativamente elevato. In questi ultimi anni è cresciuto l’interesse per il controllo delle emissioni di NOx da fonti veicolari, con particolare attenzione alla riduzione catalitica in presenza di un eccesso di ossigeno, cioè in condizioni di combustione magra. Uno sviluppo recente è rappresentato dai catalizzatori tipo “Toyota” che sono basati sul concetto di accumulo e riduzione (storage/reduction), nei quali l’NO viene ossidato ed accumulato sul catalizzatore come nitrato in condizioni di eccesso di ossigeno. Modificando poi per brevi periodi di tempo le condizioni di alimentazione da ossidanti (aria/combustibile > 14,7 p/p) a riducenti (aria/combustibile < 14,7 p/p) il nitrato immagazzinato viene ridotto a N2 e H2O. Questi catalizzatori sono però molto sensibili alla presenza di zolfo e non possono essere utilizzati con i carburanti diesel attualmente in commercio. Obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di ottimizzare e migliorare la comprensione del meccanismo di reazione dei catalizzatori “storage-reduction” per l’abbattimento degli NOx nelle emissioni di autoveicoli in presenza di un eccesso di ossigeno. In particolare lo studio è stato focalizzato dapprima sulle proprietà del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, in funzione del tipo di precursore e sulle proprietà e composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). Lo studio è stato inizialmente focalizzato sulle proprietà dei precursori del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, sulla composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). E’ stata effettuata una dettagliata caratterizzazione chimico-fisica dei materiali preparati tramite analisi a raggi X (XRD), area superficiale, porosimetria, analisi di dispersione metallica, analisi in riduzione e/o ossidazione in programmata di temperatura (TPR-O), che ha permesso una migliore comprensione delle proprietà dei catalizzatori. Vista la complessità delle miscele gassose reali, sono state utilizzate, nelle prove catalitiche di laboratorio, alcune miscele più semplici, che tuttavia potessero rappresentare in maniera significativa le condizioni reali di esercizio. Il comportamento dei catalizzatori è stato studiato utilizzando differenti miscele sintetiche, con composizioni che permettessero di comprendere meglio il meccanismo. L’intervallo di temperatura in cui si è operato è compreso tra 200-450°C. Al fine di migliorare i catalizzatori, per aumentarne la resistenza alla disattivazione da zolfo, sono state effettuate prove alimentando in continuo SO2 per verificare la resistenza alla disattivazione in funzione della composizione del catalizzatore. I principali risultati conseguiti possono essere così riassunti: A. Caratteristiche Fisiche. Dall’analisi XRD si osserva che l’impregnazione con Pt(NH3)2(NO2)2 o con la sospensione nanoparticellare in DEG, non modifica le proprietà chimico-fisiche del supporto, con l’eccezione del campione con sospensione nanoparticellare impregnata su ossido misto per il quale si è osservata sia la segregazione del Pt, sia la presenza di composti carboniosi sulla superficie. Viceversa l’impregnazione con Ba porta ad una significativa diminuzione dell’area superficiale e della porosità. B. Caratteristiche Chimiche. L’analisi di dispersione metallica, tramite il chemiassorbimento di H2, mostra per i catalizzatori impregnati con Pt nanoparticellare, una bassa dispersione metallica e di conseguenza elevate dimensioni delle particelle di Pt. I campioni impregnati con Pt(NH3)2(NO2)2 presentano una migliore dispersione. Infine dalle analisi TPR-O si è osservato che: Maggiore è la dispersione del metallo nobile maggiore è la sua interazione con il supporto, L’aumento della temperatura di riduzione del PtOx è proporzionale alla quantità dei metalli alcalino terrosi, C. Precursore Metallo Nobile. Nelle prove di attività catalitica, con cicli ossidanti e riducenti continui in presenza ed in assenza di CO2, i catalizzatori con Pt nanoparticellare mostrano una minore attività catalitica, specie in presenza di un competitore come la CO2. Al contrario i catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 presentano un’ottima attività catalitica, stabile nel tempo, e sono meno influenzabili dalla presenza di CO2. D. Resistenza all’avvelenamento da SO2. Il catalizzatore di riferimento, 17Ba1Pt/γAl2O3, mostra un effetto di avvelenamento con formazione di solfati più stabili che sul sistema Ba-Mg; difatti il campione non recupera i valori iniziali di attività se non dopo molti cicli di rigenerazione e temperature superiori ai 300°C. Per questi catalizzatori l’avvelenamento da SO2 sembra essere di tipo reversibile, anche se a temperature e condizioni più favorevoli per il 1.5Mg8.5Ba-1Pt/γAl2O3. E. Capacità di Accumulo e Rigenerabilità. Tramite questo tipo di prova è stato possibile ipotizzare e verificare il meccanismo della riduzione. I catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 hanno mostrato un’elevata capacità di accumulo. Questa è maggiore per il campione bimetallico (Ba-Mg) a T < 300°C, mentre per il riferimento è maggiore per T > 300°C. Per ambedue i catalizzatori è evidente la formazione di ammoniaca, che potrebbe essere utilizzata come un indice che la riduzione dei nitrati accumulati è arrivata al termine e che il tempo ottimale per la riduzione è stato raggiunto o superato. Per evitare la formazione di NH3, sul catalizzatore di riferimento, è stata variata la concentrazione del riducente e la temperatura in modo da permettere alle specie adsorbite sulla superficie e nel bulk di poter raggiungere il Pt prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo. La presenza di CO2 riduce fortemente la formazione di NH3; probabilmente perché la CO2, occupando i siti degli elementi alcalino-terrosi lontani dal Pt, impedisce ai nitriti/nitrati o all’H2 attivato di percorrere “elevate” distanze prima di reagire, aumentando così le possibilità di una riduzione più breve e più selettiva. F. Tempo di Riduzione. Si è migliorata la comprensione del ruolo svolto dalla concentrazione dell’agente riducente e dell’effetto della durata della fase riducente. Una durata troppo breve porta, nel lungo periodo, alla saturazione dei siti attivi, un eccesso alla formazione di NH3 Attraverso queste ultime prove è stato possibile formulare un meccanismo di reazione, in particolare della fase riducente. G. Meccanismo di Riduzione. La mobilità dei reagenti, nitriti/nitrati o H2 attivato è un elemento fondamentale nel meccanismo della riduzione. La vicinanza tra i siti di accumulo e quelli redox è determinante per il tipo di prodotti che si possono ottenere. La diminuzione della concentrazione del riducente o l’aumento della temperatura concede maggiore tempo o energia alle specie adsorbite sulla superficie o nel bulk per migrare e reagire prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo.

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Lo studio del processo produttivo del riciclo di materiali provenienti da attività di C&D in un impianto di nuova realizzazione, presentato in questa tesi di laurea,è così articolato: nel primo capitolo si analizza la complicata evoluzione della normativa in materia di rifiuti (non solo da C&D) su scala europea e nazionale accennando i provvedimenti legislativi su scala regionale, con particolare riferimento alla Regione Veneto. Si esamineranno, pertanto, le direttive e le decisioni della Comunità Europea che hanno ispirato, a partire dal 1975, i provvedimenti legislativi nazionali, tra cui vale la pena di ricordare il “Decreto Ronchi”, emanato nel febbraio del 1997, l’attuale D.Lgs. 3/4/2006 n.152, e i Decreti Ministeriali di riferimento per la materia di studio, ovvero il D.M. 5/2/1998, riguardante l’individuazione dei rifiuti per cui è possibile procedere al loro trattamento in regime semplificato e l’ancora poco attuato D.M.8/5/2003 n.203, riferito all’utilizzo di materiale riciclato nelle Pubbliche Amministrazioni. Il secondo capitolo definisce, invece, le caratteristiche principali dei rifiuti da C&D, appartenenti alla categoria dei rifiuti inerti, e delinea le odierne problematiche inerenti a tali materiali. A conferma di queste, nella seconda parte del capitolo, sono presentati alcuni dati che fotografano oggettivamente gli scenari attuali in Europa e in Italia in riferimento alla produzione, al recupero e allo smaltimento di questa categoria di rifiuti. In seguito, il terzo capitolo inizia a definire gli aspetti relativi alla realizzazione di un impianto di studio per il riciclo di rifiuti da C&D. In esso si evidenziano le procedure amministrative, gli adempimenti burocratici e in generale tutti gli aspetti inerenti alla gestione dei rifiuti da C&D per l’esecuzione delle attività di recupero e smaltimento previste dal D.Lgs. n.152/2006, così come modificato dal recentissimo D.Lgs. n.4/2008. Il quarto capitolo definisce i termini per poter considerare i rifiuti da C&D trattati in impianto come MPS. L’attenzione è riposta sulla Direttiva 89/106/CEE, che impone obbligatoriamente, dal 01/06/2004, la marcatura CE per tutti i prodotti da costruzione e, quindi, anche per gli aggregati riciclati. Pertanto, in questo capitolo, vengono definite le prove richieste obbligatoriamente dal D.M 11/4/2007 in accordo con la norma europea UNI EN 13242 recante “Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l'impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade" ed, in conclusione, viene studiata la Circolare n.5205/2005 che dovrebbe dare attuazione nel settore edile, stradale e ambientale al D.M. n.203/2003. Successivamente, il quinto capitolo delinea le caratteristiche principali degli impianti di trattamento per il recupero dei rifiuti da C&D, delineando le principali differenze tra gli impianti fissi e i mobili ed esaminando le diverse fasi del ciclo produttivo, anche in relazione ad un impianto di studio situato nella provincia di Verona. Infine, il sesto capitolo riassume i risultati delle prove di marcatura CE per gli aggregati riciclati prodotti nell’impianto descritto. Tali prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Strade della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bologna.

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In questo studio vengono riportati i risultati di prove di fatica oligociclica eseguiti su provini dello stesso materiale ottenuti con uguali processi tecnologici ma provenienti da differenti colate di metallo. Il materiale in questione è un acciaio di elevata qualità frequentemente utilizzato per la realizzazione di cappe per turboalternatori. Obiettivo dello studio è stato ricavare i coefficienti necessari per tracciare le curve di fatica del materiale, non ancora presenti in letteratura, ed infine indagare la bontà del risultato ottenuto con un’analisi statistica delle curve e dei risultati ottenuti. Nella prima parte è descritto l’attuale stato dell’arte e la situazione in cui si colloca il presente studio. Nella seconda parte viene fornita una descrizione dettagliata del materiale studiato, delle condizioni nelle quali sono state eseguite le prove e delle attrezzature utilizzate a tale scopo. Si conclude esponendo i risultati ottenuti, comprensivi dei confronti e delle considerazioni derivate dalle analisi statistiche eseguite.

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La necessità di sincronizzare i propri dati si presenta in una moltitudine di situazioni, infatti il numero di dispositivi informatici a nostra disposizione è in continua crescita e, all' aumentare del loro numero, cresce l' esigenza di mantenere aggiornate le multiple copie dei dati in essi memorizzati. Vi sono diversi fattori che complicano tale situazione, tra questi la varietà sempre maggiore dei sistemi operativi utilizzati nei diversi dispositivi, si parla di Microsoft Windows, delle tante distribuzioni Linux, di Mac OS X, di Solaris o di altri sistemi operativi UNIX, senza contare i sistemi operativi più orientati al settore mobile come Android. Ogni sistema operativo ha inoltre un modo particolare di gestire i dati, si pensi alla differente gestione dei permessi dei file o alla sensibilità alle maiuscole. Bisogna anche considerare che se gli aggiornamenti dei dati avvenissero soltanto su di uno di questi dispositivi sarebbe richiesta una semplice copia dei dati aggiornati sugli altri dispositivi, ma che non è sempre possibile utilizzare tale approccio. Infatti i dati vengono spesso aggiornati in maniera indipendente in più di un dispositivo, magari nello stesso momento, è pertanto necessario che le applicazioni che si occupano di sincronizzare tali dati riconoscano le situazioni di conflitto, nelle quali gli stessi dati sono stati aggiornati in più di una copia ed in maniera differente, e permettano di risolverle, uniformando lo stato delle repliche. Considerando l' importanza e il valore che possono avere i dati, sia a livello lavorativo che personale, è necessario che tali applicazioni possano garantirne la sicurezza, evitando in ogni caso un loro danneggiamento, perchè sempre più spesso il valore di un dispositivo dipende più dai dati in esso contenuti che dal costo dello hardware. In questa tesi verranno illustrate alcune idee alternative su come possa aver luogo la condivisione e la sincronizzazione di dati tra sistemi operativi diversi, sia nel caso in cui siano installati nello stesso dispositivo che tra dispositivi differenti. La prima parte della tesi descriverà nel dettaglio l' applicativo Unison. Tale applicazione, consente di mantenere sincronizzate tra di loro repliche dei dati, memorizzate in diversi dispositivi che possono anche eseguire sistemi operativi differenti. Unison funziona a livello utente, analizzando separatamente lo stato delle repliche al momento dell' esecuzione, senza cioè mantenere traccia delle operazioni che sono state effettuate sui dati per modificarli dal loro stato precedente a quello attuale. Unison permette la sincronizzazione anche quando i dati siano stati modificati in maniera indipendente su più di un dispositivo, occupandosi di risolvere gli eventuali conflitti che possono verificarsi rispettando la volontà dell' utente. Verranno messe in evidenza le strategie utilizzate dai suoi ideatori per garantire la sicurezza dei dati ad esso affidati e come queste abbiano effetto nelle più diverse condizioni. Verrà poi fornita un' analisi dettagiata di come possa essere utilizzata l' applicazione, fornendo una descrizione accurata delle funzionalità e vari esempi per renderne più chiaro il funzionamento. Nella seconda parte della tesi si descriverà invece come condividere file system tra sistemi operativi diversi all' interno della stessa macchina, si tratta di un approccio diametralmente opposto al precedente, in cui al posto di avere una singola copia dei dati, si manteneva una replica per ogni dispositivo coinvolto. Concentrando l' attenzione sui sistemi operativi Linux e Microsoft Windows verranno descritti approfonditamente gli strumenti utilizzati e illustrate le caratteristiche tecniche sottostanti.

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Abstract. This thesis presents a discussion on a few specific topics regarding the low velocity impact behaviour of laminated composites. These topics were chosen because of their significance as well as the relatively limited attention received so far by the scientific community. The first issue considered is the comparison between the effects induced by a low velocity impact and by a quasi-static indentation experimental test. An analysis of both test conditions is presented, based on the results of experiments carried out on carbon fibre laminates and on numerical computations by a finite element model. It is shown that both quasi-static and dynamic tests led to qualitatively similar failure patterns; three characteristic contact force thresholds, corresponding to the main steps of damage progression, were identified and found to be equal for impact and indentation. On the other hand, an equal energy absorption resulted in a larger delaminated area in quasi-static than in dynamic tests, while the maximum displacement of the impactor (or indentor) was higher in the case of impact, suggesting a probably more severe fibre damage than in indentation. Secondly, the effect of different specimen dimensions and boundary conditions on its impact response was examined. Experimental testing showed that the relationships of delaminated area with two significant impact parameters, the absorbed energy and the maximum contact force, did not depend on the in-plane dimensions and on the support condition of the coupons. The possibility of predicting, by means of a simplified numerical computation, the occurrence of delaminations during a specific impact event is also discussed. A study about the compressive behaviour of impact damaged laminates is also presented. Unlike most of the contributions available about this subject, the results of compression after impact tests on thin laminates are described in which the global specimen buckling was not prevented. Two different quasi-isotropic stacking sequences, as well as two specimen geometries, were considered. It is shown that in the case of rectangular coupons the lay-up can significantly affect the damage induced by impact. Different buckling shapes were observed in laminates with different stacking sequences, in agreement with the results of numerical analysis. In addition, the experiments showed that impact damage can alter the buckling mode of the laminates in certain situations, whereas it did not affect the compressive strength in every case, depending on the buckling shape. Some considerations about the significance of the test method employed are also proposed. Finally, a comprehensive study is presented regarding the influence of pre-existing in-plane loads on the impact response of laminates. Impact events in several conditions, including both tensile and compressive preloads, both uniaxial and biaxial, were analysed by means of numerical finite element simulations; the case of laminates impacted in postbuckling conditions was also considered. The study focused on how the effect of preload varies with the span-to-thickness ratio of the specimen, which was found to be a key parameter. It is shown that a tensile preload has the strongest effect on the peak stresses at low span-to-thickness ratios, leading to a reduction of the minimum impact energy required to initiate damage, whereas this effect tends to disappear as the span-to-thickness ratio increases. On the other hand, a compression preload exhibits the most detrimental effects at medium span-to-thickness ratios, at which the laminate compressive strength and the critical instability load are close to each other, while the influence of preload can be negligible for thin plates or even beneficial for very thick plates. The possibility to obtain a better explanation of the experimental results described in the literature, in view of the present findings, is highlighted. Throughout the thesis the capabilities and limitations of the finite element model, which was implemented in an in-house program, are discussed. The program did not include any damage model of the material. It is shown that, although this kind of analysis can yield accurate results as long as damage has little effect on the overall mechanical properties of a laminate, it can be helpful in explaining some phenomena and also in distinguishing between what can be modelled without taking into account the material degradation and what requires an appropriate simulation of damage. Sommario. Questa tesi presenta una discussione su alcune tematiche specifiche riguardanti il comportamento dei compositi laminati soggetti ad impatto a bassa velocità. Tali tematiche sono state scelte per la loro importanza, oltre che per l’attenzione relativamente limitata ricevuta finora dalla comunità scientifica. La prima delle problematiche considerate è il confronto fra gli effetti prodotti da una prova sperimentale di impatto a bassa velocità e da una prova di indentazione quasi statica. Viene presentata un’analisi di entrambe le condizioni di prova, basata sui risultati di esperimenti condotti su laminati in fibra di carbonio e su calcoli numerici svolti con un modello ad elementi finiti. È mostrato che sia le prove quasi statiche sia quelle dinamiche portano a un danneggiamento con caratteristiche qualitativamente simili; tre valori di soglia caratteristici della forza di contatto, corrispondenti alle fasi principali di progressione del danno, sono stati individuati e stimati uguali per impatto e indentazione. D’altro canto lo stesso assorbimento di energia ha portato ad un’area delaminata maggiore nelle prove statiche rispetto a quelle dinamiche, mentre il massimo spostamento dell’impattatore (o indentatore) è risultato maggiore nel caso dell’impatto, indicando la probabilità di un danneggiamento delle fibre più severo rispetto al caso dell’indentazione. In secondo luogo è stato esaminato l’effetto di diverse dimensioni del provino e diverse condizioni al contorno sulla sua risposta all’impatto. Le prove sperimentali hanno mostrato che le relazioni fra l’area delaminata e due parametri di impatto significativi, l’energia assorbita e la massima forza di contatto, non dipendono dalle dimensioni nel piano dei provini e dalle loro condizioni di supporto. Viene anche discussa la possibilità di prevedere, per mezzo di un calcolo numerico semplificato, il verificarsi di delaminazioni durante un determinato caso di impatto. È presentato anche uno studio sul comportamento a compressione di laminati danneggiati da impatto. Diversamente della maggior parte della letteratura disponibile su questo argomento, vengono qui descritti i risultati di prove di compressione dopo impatto su laminati sottili durante le quali l’instabilità elastica globale dei provini non è stata impedita. Sono state considerate due differenti sequenze di laminazione quasi isotrope, oltre a due geometrie per i provini. Viene mostrato come nel caso di provini rettangolari la sequenza di laminazione possa influenzare sensibilmente il danno prodotto dall’impatto. Due diversi tipi di deformate in condizioni di instabilità sono stati osservati per laminati con diversa laminazione, in accordo con i risultati dell’analisi numerica. Gli esperimenti hanno mostrato inoltre che in certe situazioni il danno da impatto può alterare la deformata che il laminato assume in seguito ad instabilità; d’altra parte tale danno non ha sempre influenzato la resistenza a compressione, a seconda della deformata. Vengono proposte anche alcune considerazioni sulla significatività del metodo di prova utilizzato. Infine viene presentato uno studio esaustivo riguardo all’influenza di carichi membranali preesistenti sulla risposta all’impatto dei laminati. Sono stati analizzati con simulazioni numeriche ad elementi finiti casi di impatto in diverse condizioni di precarico, sia di trazione sia di compressione, sia monoassiali sia biassiali; è stato preso in considerazione anche il caso di laminati impattati in condizioni di postbuckling. Lo studio si è concentrato in particolare sulla dipendenza degli effetti del precarico dal rapporto larghezza-spessore del provino, che si è rivelato un parametro fondamentale. Viene illustrato che un precarico di trazione ha l’effetto più marcato sulle massime tensioni per bassi rapporti larghezza-spessore, portando ad una riduzione della minima energia di impatto necessaria per innescare il danneggiamento, mentre questo effetto tende a scomparire all’aumentare di tale rapporto. Il precarico di compressione evidenzia invece gli effetti più deleteri a rapporti larghezza-spessore intermedi, ai quali la resistenza a compressione del laminato e il suo carico critico di instabilità sono paragonabili, mentre l’influenza del precarico può essere trascurabile per piastre sottili o addirittura benefica per piastre molto spesse. Viene evidenziata la possibilità di trovare una spiegazione più soddisfacente dei risultati sperimentali riportati in letteratura, alla luce del presente contributo. Nel corso della tesi vengono anche discussi le potenzialità ed i limiti del modello ad elementi finiti utilizzato, che è stato implementato in un programma scritto in proprio. Il programma non comprende alcuna modellazione del danneggiamento del materiale. Viene però spiegato come, nonostante questo tipo di analisi possa portare a risultati accurati soltanto finché il danno ha scarsi effetti sulle proprietà meccaniche d’insieme del laminato, esso possa essere utile per spiegare alcuni fenomeni, oltre che per distinguere fra ciò che si può riprodurre senza tenere conto del degrado del materiale e ciò che invece richiede una simulazione adeguata del danneggiamento.