74 resultados para Damasco


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

INTRODUZIONE. Presentazione della ricerca e del metedo seguito per realizzarla. CAPITOLO PRIMO. Il contesto storico, politico e sociale di riferimento. - Storia della Siria, - La Siria politica e il conflitto israelo-palestinese - La società siriana: multiculturalismo, tradizione, islam. - Teatro e letteratura in Siria, e nel Bilad AlSham. CAPITOLO SECONDO. I testi. Traduzione integrale di due opere teatrali di Sa’d Allah Wannus. Breve presentazione. - “ Riti di segni e trasformazioni.”, (tukus al-isharat wa-l-tahawwulat), 1994. Il dramma si svolge nella Damasco del XIX secolo, dove un affare di morale e buon costume è il punto di partenza per la metamorfosi dei suoi protagonisti, mettendo a nudo le riflessioni, i desideri più intimi, le contraddizioni e le angosce di una società in crisi. Interessante l’analisi delle figure femminili di questa piece, le loro scelte, il loro ruolo nella società e soprattutto la presa di coscienza delle loro posizioni. - “ I giorni ubriachi.” , (Alayyam Almakhmura), 1997. Il ritratto di una famiglia siriana degli anni trenta. Due genitori, quattro figli, e un nipote che a distanza di anni decide di ripercorrere e raccontarci le loro storie.Una madre che vive tormentata dal suo spettro e che decide di abbandonare la propria famiglia e i propri figli per seguire un altro uomo. Un padre che tiene con violenza le redini delle proprie relazioni, e che rifiuta l’occidente in tutte le sue forme per restare aggrappato alle proprie tradizioni. Un figlio che sceglie l’ordine e la carriera militare, e che, incapace di risolvere il suo rapporto di dipendenza dalla madre, e di risolvere il conflitto tra la legge e un affetto quasi morboso, sceglie di suicidarsi. Un figlio che sceglie la via della perdizione, delle droghe, del furto e degli affari illegali, e che va incontro al successo e alla ricchezza... CAPITOLO TERZO. Biografia di Sa’d Allah Wannus, presentazione delle sue opere principali. Sa’d Allah Wannus (1941 – 1997) è sicuramente uno dei principali protagonisti nell’ambito del teatro arabo contemporaneo. Scrittore, critico, drammaturgo, riformatore, uomo impegnato politicamente, e infine essere umano nella lotta tra la vita e la morte (muore a 56 anni per tumore, dopo un lungo periodo di degenza). Mio intento è quello di analizzare l’opera di quest’autore, attraverso i suoi numerosi scritti e piece teatrali (purtroppo al giorno d’oggi ancora quasi interamente non tradotte dall’arabo), fino ad arrivare, attraverso queste, ad una lettura della società araba contemporanea, e al ruolo che il teatro assume al suo interno. Vita e opere di Sa’ad Allah Wannus. Nasce in Siria nel 1941 in un piccolo villaggio vicino alla città di Tartous, sulla costa mediterranea. Dopo aver terminato gli studi superiori, nel 1959, parte per Il Cairo (Egitto), per studiare giornalismo e letteratura. Rientra a Damasco nel 1964, lavorando al tempo stesso come funzionario al ministero della cultura e come redattore o giornalista in alcune riviste e quotidiani siriani. Nel 1966 parte per Parigi, dove studierà con Jean-Louis Barrault, e dove farà la conoscenza delle tendenze del teatro contemporaneo. Ha l’occasione di incontrare scrittori e critici importanti come Jean Genet e Bernard Dort, nonché di conoscere le teorie sul teatro di Brech e di Piscator, dai quali sarà chiaramente influenzato. In questi anni, e soprattutto in seguito agli avvenimenti del Maggio 1968, si sviluppa in modo determinante la sua coscienza politica, e sono questi gli anni in cui compone alcune tra le sue piece più importanti, come: Serata di gala per il 5 giugno (haflat samar min ajl khamsa huzayran) nel 1968, L’elefante, oh re del tempo! (al-fil, ya malik al-zaman!) 1969, Le avventure della testa del Mamelucco Jaber (Meghamarat ra’s al-mamluk Jabiir) 1970, Una serata con Abu-Khalil al- Qabbani (Sahra ma’a Abi Khalil Al-Qabbani) 1972, Il re è il re (al-malik uwa al-malik) 1977. Parallelamente porta avanti una intensa attività artistica e intellettuale. Soggiorna di nuovo in Francia e a Weimar, per portare a termine la sua formazione teatrale, fonda il Festival di teatro di Damasco, traduce e mette in scena numerosi spettacoli, scrive e pubblica numerosi articoli e una importante serie di studi sul teatro, intitolata: Manifesto per un nuovo teatro arabo (bayanat limasrah ‘arabi jadid) (1970). Scrive in numerose riviste e giornali e fonda la rivista La vita teatrale (al-hayyat al-masrahiyya), del quale sarà capo redattore. La visita del presidente egiziano Anouar Sadat a Gerusalemme nel 1977 e gli accordi di Camp David l’anno seguente, lo gettano in una profonda depressione. E’ l’inizio di un lungo periodo di silenzio e di smarrimento. Ritornerà a scrivere solamente nel 1989, con l’inizio della prima Intifada palestinese, scrive allora una piece teatrale intitolata Lo stupro (al-ightisab), dove presenta un’analisi della struttura dell’elite al potere in Israele. Questo testo apre una nuova epoca creativa, durante la quale Wannus compone alcuni testi molto importanti, nonostante la malattia e il cancro che gli viene diagnosticato nel 1992. Tra questi le pieces Miniature storiche (munamnamat tarakhiyya), nel 1993, e Rituali per una metamorfosi (tukus al-isharat wa-l-tahawwulat), nel 1994 e A proposito della memoria e della morte (‘an al-dhakira wa-l-mawt) nel 1996, una sua ultima opera in cui sono raccolti dei racconti, drammi brevi e una lunga meditazione sulla malattia e la morte. Nel 1997 l’UNESCO gli chiede di redigere il messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro, che si tiene ogni anno il 27 marzo. Nel 1997, poche settimane prima della sua scomparsa, realizza insieme ad Omar Almiralay il film documentario Il y a tant de choses a reconter, una intervista in cui Wannus parla della sua opera, e del conflitto Israelo-Palestinese. Muore a 56 anni, il 15 maggio 1997, per un’amara coincidenza proprio il giorno anniversario della creazione di Israele. Wannus drammaturgo engagè: l’importanza del conflitto israelo palestinese nella sua opera. Un’analisi dell’influenza e dell’importanza che le opere di Wannus hanno avuto nel seno della società araba, e soprattutto il suo impegno costante nell’uso del teatro come mezzo per la presa di coscienza del pubblico dei problemi della società contemporanea. Punto cardine dell’opera di Wannus, il conflitto israelo palestinese, e il tentativo costante in alcune sue opere di analizzarne le cause, le strutture, le parti, i giochi di potere. E’ il simbolo di tutta la generazione di Wannus, e delle successive. Analisi delle illusioni e dei miti che la società araba ripropone e che Wannus ha cercato più volte di mettere a nudo. La lotta contro le ipocrisie dei governi, e il tentativo di far prendere coscienza alla società araba del suo ruolo, e delle conseguenze delle sue azioni. L’individuo, la famiglia, la società ... il teatro. Distruggere le apparenze per mettere a nudo l’essere umano nella sua fragilità. CONCLUSIONI. APPENDICE: Intervista con Marie Elias BIBLIOGRAFIA.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Vorlage d. Digitalisats aus d. Besitz d. Theol. Hochschule St. Georgen

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

En este capítulo se reflexiona sobre la evolución en el siglo XIX de lo que en Italia solían llamar scienza delle construzioni. En dos palabras: se trata de la aplicación de modelos de cálculo basados en la mecánica racional para determinar la seguridad de las construcciones. En este sentido, el XIX ofrece un cambio radical respecto al panorama de siglos anteriores, en los que lo fundamental era la experiencia constructiva y el proceso lento; lento tanto en la formación de técnicos como en la materialización de obras, donde la falta de herramientas de cálculo para prever comportamientos condujo en ocasiones al uso de modelos físicos a escala reducida para demostrar la seguridad de las construcciones o la factibilidad de su proceso edilicio. El capítulo se refiere exclusivamente a modelos abstractos (ni siquiera a los ensayos de laboratorio que pusieron de manifiesto nuevos fenómenos), a pesar de lo cual conviene arrancar con cuatro ejemplos reales, uno por cada cuarto de siglo que pongan de manifiesto los cambios de enfoques producidos en la construcción El primero es una celebrada estructura de madera cuya seguridad fue comprobada mediante ensayos sobre elementos a escala real. Insuperable en la elegancia de su diseño, el segundo, el viaducto de las Cabrillas (1851), fue proyectado y construido en piedra por Lucio del Valle en la cuesta de Contreras. El tercer ejemplo podría ser un puente colgante o «colgado», como se denominaban en la época, de los numerosos que se construyeron en España en la segunda mitad de siglo, pero, por su envergadura y tipología, se ha decidido escoger un caso más tardío: el viaducto del Salado, en la línea de ferrocarril Linares-Almería, proyecto de José Olano (1897) llevado a cabo por la compañía Fives-Lille. El proceso de lanzamiento por empuje hasta entroncar con el túnel del estribo izquierdo fue presenciado en enero de 1899 por un grupo de alumnos de la Escuela de Caminos encabezados por su director, Rogelio Inchaurrandieta, y diferentes profesores, entre los que se encontraban Serafín Freart, encargado de Mecánica Aplicada, y Luis Gaztelu, profesor de Puentes. Con sus pilas de alrededor de 110 m de altura y sus vanos de otro tanto, es un buen ejemplo de lo que] avier Mantero la llama «la gran invención de todo el siglo XIX: la viga en celosía, invención de tanta o mayor trascendencia que la bóveda de piedra para el arco" (Manterola, 2006. Aunque las cerchas de bronce del Panteón de Roma, debidas a Apolodoro de Damasco, o los esquemas de Palladio y las cubiertas de inglesias góticas son precursores de esta tipología (Mainstone, 1975), está laro que sólo en el siglo XIX el cálculo permitió racionalizar los diseños y alcanzar la simplicidad y efectividad que Manterola reconoce como invención. Finalmente, se hace referencia al puente de Golbardo en Santander, uno de los primeros de hormigón armado en España (1900). Este material llegará a su pleno desarrollo en el siglo XX, no sin vencer la desconfianza de sucesivas generaciones. En resumen, a los materiales clásicos, madera y piedra, se añaden en el siglo XIX los hierros y aceros, así como finalmente, el hormigón. Ello motiva una reconsideración de la tipología, de las ideas sobre seguridad estructural, sobre los métodos constructivos y sobre el cálculo que produce la gran eclosión en la representación abstracta del comportamiento de las construcciones, lo cual sólo es posible gracias al progreso de las ciencias. En este capítulo se intentará, en un primer apartado, resumir la experiencia teórica hasta que Coulomb escribe su magistral ensayo. A continuación se tratarán someramente las diferentes líneas de trabajo generadas en países extranjeros y, finalmente, se dará una visión personal de los esfuerzos llevados a cabo en España, que, aún disponiendo de centros docentes perfectamente conectados con lo que sucedía en el extranjero, no fue capaz de generar ninguna aportación original al debate internacional.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La escalera de caracol es uno de los elementos que mejor define la evolución de la construcción pétrea a lo largo de nuestra historia moderna. El movimiento helicoidal de las piezas de una escalera muestra, con frecuencia, el virtuosismo que alcanzaron los maestros del arte de la cantería y la plasticidad, expresividad y ligereza de sus obras. A pesar de su origen exclusivamente utilitario y de su ubicación secundaria, se convertirán en signo de maestría y en elementos protagonistas del espacio que recorren y de la composición de los edificios, como es el caso de las grande vis de los Châteaux franceses del XVI como Blois, Chateaudun o Chambord o los schlosses alemanes como el de Hartenfels en Torgau. Este protagonismo queda patente en los tratados y manuscritos de cantería, elaborados fundamentalmente en España y Francia, a partir del siglo XVI que recogen un gran número de variantes de escaleras de caracol entre sus folios. Breve historia de la escalera de Caracol Los ejemplos más antiguos conocidos de escaleras de caracol en Occidente provienen de los primeros siglos de nuestra era y están asociados a construcciones de tipo conmemorativo, funerario o civil, romanas. Destaca de entre ellas la columna trajana, construida en el 113 por Apolodoro de Damasco en los Foros de Roma. Esta columna, conservada en la actualidad, fue profusamente representada por los tratados de arquitectura desde el Renacimento como el de Serlio, Caramuel, Piranesi, Rondelet y, más recientemente, Canina. Choisy describe en El arte de construir en Bizancio un grupo de escaleras de caracol cubiertas por bóvedas helicoidales y construidas entre el siglo IV y VIII; a esta misma época pertenecen otras escaleras con bóvedas aparejadas de forma desigual con sillarejos y sillares de pequeño tamaño sin reglas de traba claras, pensadas al igual que las de Choisy para ser revestidas con un mortero. Herederas de estas bóvedas de la antigüedad son las escaleras de caracol de la Edad Media. Así las describe Viollet le Duc: “compuestas por un machón construido en cantería, con caja perimetral circular, bóveda helicoidal construida en piedra sin aparejar, que se apoya en el machón y sobre el paramento circular interior. Estas bóvedas soportan los peldaños en los que las aristas son trazadas siguiendo los radios del círculo”. En esta misma época, siglos XI y XII, se construyen un grupo de escaleras de caracol abovedadas en piedra de cantería vista: las de la torre oeste de Notre Dame des Doms en Avignon, las de la tour de Roi, de Évêque y Bermonde de los Chateaux de Uzés, las gemelas de las torres de la Catedral Saint Théodorit de Uzés y la conocida escalera del transepto de la Abadía de Saint Gilles. Ésta última dará el nombre a uno de los modelos estereotómicos de mayor complejidad del art du trait o arte de la cantería: la vis Saint Gilles, que aparece en la mayoría de los textos dedicados al corte de piedras en España y Francia. La perfección y dificultad de su trazado hizo que, durante siglos, esta escalera de caracol fuera lugar de peregrinación de canteros y se convirtiera en el arquetipo de un modelo representado con profusión en los tratados hasta el siglo XIX. A partir del siglo XIII, será el husillo el tipo de escalera curva que dará respuesta a las intenciones de la arquitectura a la “moderna” o gótica. Estas escaleras con machón central se generalizarán, insertándose en un complejo sistema de circulaciones de servicio, que conectaban por completo, en horizontal y vertical, los edificios. Estos pasadizos horizontales y estas conexiones verticales, hábilmente incorporadas en el espesor de contrafuertes, machones, esquinas, etc, serán una innovación específicamente gótica, como señala Fitchen. La pieza de peldaño, que se fabrica casi “en serie” reflejará fielmente el espíritu racional y funcionalista de la arquitectura gótica. Inicialmente los peldaños serán prismáticos, sin labrar por su cara interior; después, éstos darán paso a escaleras más amables con los helicoides reglados formando su intradós. Insertos en construcciones góticas y en convivencia con husillos, encontramos algunos ejemplos de escaleras abovedadas en el siglo XIII y XIV. Estamos hablando de la escalera de la torre este del Castillo de Maniace en Siracusa, Sicilia y la escalera de la torre norte del transepto de la Catedral de Barcelona. En ambos casos, los caracoles se pueden relacionar con el tipo vis de Saint Gilles, pero incorporan invariantes de la construcción gótica que les hace mantener una relación tipológica y constructiva con los husillos elaborados en la misma época. En la segunda mitad del siglo XV aparecen, vinculadas al ámbito mediterráneo, un conjunto de escaleras en las que el machón central se desplaza transformándose en una moldura perimetral y dejando su lugar a un espacio hueco que permite el paso de la luz. Los tratados manuscritos de cantería que circulan en el XVI y XVII por España recogen el modelo con su denominación: caracol de Mallorca. Varios autores han mantenido la tesis de que el nombre proviene de la escalera situada en la torre noroeste de la Lonja de Palma de Mallorca. Los Manuscritos y tratados de Cantería y las escaleras de caracol Coincidiendo con la apertura intelectual que propicia el Renacimiento se publican algunos tratados de arquitectura que contienen capítulos dedicados al corte de las piedras. El primero de ellos es Le premier tome de l’Architecture de Philibert de L’Orme, publicado en 1567 en Francia. En España tenemos constancia de la existencia de numerosos cuadernos profesionales que circulaban entre los canteros. Varias copias de estos manuscritos han llegado hasta nuestros días. Los más completos son sin duda, las dos copias que se conservan del tratado de arquitectura de Alonso de Vandelvira, una en la Biblioteca Nacional y otra en la Biblioteca de la Escuela de Arquitectura de la Universidad Politécnica de Madrid y el manuscrito titulado Cerramientos y trazas de Montea de Ginés Martínez de Aranda. Todas estas colecciones de aparejos, con excepción de la atribuida a Pedro de Albiz, presentan trazas de escaleras de caracol. En los siglos XVII y XVIII los textos en España más interesantes para nuestras investigaciones son, como en el XVI, manuscritos que no llegaron a ver la imprenta. Entre ellos destacan De l’art del picapedrer de Joseph Gelabert y el Cuaderno de Arquitectura de Juan de Portor y Castro. Estos dos textos, que contienen varios aparejos de caracoles, están claramente vinculados con la práctica constructiva a diferencia de los textos impresos del XVIII, como los del Padre Tosca o el de Juan García Berruguilla, que dedican algunos capítulos a cortes de Cantería entre los que incluyen trazas de escaleras, pero desde un punto de vista más teórico. Podemos agrupar las trazas recogidas en los manuscritos y tratados en cinco grandes grupos: el caracol de husillo, el caracol de Mallorca, los caracoles abovedados, los caracoles exentos y los caracoles dobles. El husillo, de procedencia gótica, permanece en la mayoría de nuestros textos con diferentes denominaciones: caracol de husillo, caracol de nabo redondo o caracol macho. Se seguirá construyendo con frecuencia durante todo el periodo de la Edad Moderna. Los ejemplares más bellos presentan el intradós labrado formando un helicoide cilíndrico recto como es el caso del husillo del Monasterio de la Vid o el de la Catedral de Salamanca o un helicoide axial recto como en el de la Capilla de la Comunión en la Catedral de Santiago de Compostela. La diferencia estriba en la unión del intradós y el machón central: una amable tangencia en el primer caso o un encuentro marcado por una hélice en el segundo. El segundo tipo de caracol presente en casi todos los autores es el caracol de Mallorca. Vandelvira, Martínez de Aranda, y posteriormente Portor y Castro lo estudian con detenimiento. Gelabert, a mediados del siglo XVII, nos recordará su origen mediterráneo al presentar el que denomina Caracol de ojo abierto. El Caracol de Mallorca también estará presente en colecciones de aparejos como las atribuidas a Alonso de Guardia y Juan de Aguirre, ambas depositadas en la Biblioteca Nacional y en las compilaciones técnicas del siglo XVIII, de fuerte influencia francesa, aunque en este caso ya sin conservar su apelación original. El Caracol que dicen de Mallorca se extiende por todo el territorio peninsular de la mano de los principales maestros de la cantería. Los helicoides labrados con exquisita exactitud, acompañados de armoniosas molduras, servirán de acceso a espacios más representativos como bibliotecas, archivos, salas, etc. Es la escalera de la luz, como nos recuerda su apelación francesa, vis a jour. Precisamente en Francia, coincidiendo con el renacimiento de la arquitectura clásica se realizan una serie de escaleras de caracol abovedadas, en vis de Saint Gilles. Los tratados franceses, comenzando por De L’Orme, y siguiendo por, Jousse, Derand, Milliet Dechales, De la Hire, De la Rue, Frezier, Rondelet, Adhémar o Leroy, entre otros, recogen en sus escritos el modelo y coinciden en reconocer la dificultad de su trazado y el prestigio que adquirían los canteros al elaborar este tipo de escaleras. El modelo llega nuestras tierras en un momento histórico de productivo intercambio cultural y profesional entre Francia y España. Vandelvira, Martínez de Aranda y Portor y Castro analizan en sus tratados la “vía de San Gil”. En la provincia de Cádiz, en la Iglesia Mayor de Medina Sidonia, se construirá el más perfecto de los caracoles abovedados de la España renacentista. También en la provincia de Cádiz y vinculadas, posiblemente, a los mismos maestros encontramos un curioso grupo de escaleras abovedadas con generatriz circular horizontal. A pesar del extenso catálogo de escaleras presentes en la tratadística española, no aparece ninguna que muestre una mínima relación con ellas. Desde el punto de vista de la geometría, estamos ante uno de los tipos de escaleras que describe Choisy en El arte de construir en Bizancio. Se trata de escaleras abovedadas construidas por hojas y lechos horizontales. Los caracoles abovedados tendrán también su versión poligonal: la vis Saint Gilles quarré o el caracol de emperadores cuadrado en su versión vandelviresca. Las soluciones que dibujan los tratados son de planta cuadrada, pero la ejecución será poligonal en los raros ejemplos construidos, que se encuentran exclusivamente en Francia. Su geometría es compleja: el intradós es una superficie reglada alabeada denominada cilindroide; su trazado requiere una habilidad extrema y al ser un tanto innecesaria desde el punto de vista funcional, fue muy poco construida. Otro tipo de escalera habitual es la que Vandelvira y Martínez de Aranda denominan en sus tratados “caracol exento”. Se trata de una escalera volada alrededor de un pilar, sin apoyo en una caja perimetral y que, por lo tanto, debe trabajar en ménsula. Su función fue servir de acceso a espacios de reducidas dimensiones como púlpitos, órganos o coros. Encontramos ejemplos de estos caracoles exentos en el púlpito de la catedral de Viena y en España, en la subida al coro de la Iglesia arciprestal de Morella en Valencia. El largo repertorio de escaleras de caracol prosigue en los tratados y en las múltiples soluciones que encontramos en arquitecturas civiles y religiosas en toda Europa. Hasta varios caracoles en una sola caja: dobles e incluso triples. Dobles como el conocido de Chambord, o el doble husillo del Convento de Santo Domingo en Valencia, rematado por un caracol de Mallorca; triples como la triple escalera del Convento de Santo Domingo de Bonaval en Santiago de Compostela. La tratadística española recogerá dos tipos de caracoles dobles, el ya comentado en una sola caja, en versiones con y sin machón central, definidos por Martínez de Aranda, Juan de Aguirre, Alonso de Guardia y Joseph Gelabert y el caracol doble formado por dos cajas diferentes y coaxiales. Vandelvira lo define como Caracol de Emperadores. Será el único tipo de caracol que recoja Cristobal de Rojas en su Teoría y Práctica de Fortificación. No hay duda que las escaleras de caracol han formado parte de un privilegiado grupo de elementos constructivos en constante evolución e investigación a lo largo de la historia de la arquitectura en piedra. Desde el cantero más humilde hasta los grandes maestros catedralicios las construyeron y, en muchos casos, crearon modelos nuevos en los pergaminos de sus propias colecciones o directamente sobre la piedra. Estos modelos casi experimentales sirvieron para encontrar trabajo o demostrar un grado de profesionalidad a sus autores, que les hiciera, al mismo tiempo, ganarse el respeto de sus compañeros. Gracias a esto, se inició un proceso ese proceso de investigación y evolución que produjo una diversidad en los tipos, sin precedentes en otros elementos similares, y la transferencia de procedimientos dentro del arte de la cantería. Los grandes autores del mundo de la piedra propusieron multitud de tipos y variantes, sin embargo, el modelo de estereotomía tradicionalmente considerado más complejo y más admirado es un caracol de reducidas dimensiones construido en el siglo XII: la Vis de Saint Gilles. Posiblemente ahí es donde reside la grandeza de este arte.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

A pesquisa tem por objetivo trabalhar o evento da Revolta de Jeú, em conjunto com a Estela de Dã, tendo como ponto de partida para tal, a exegese da perícope de 2 Reis 10-28,36. A história Deuteronomista apresenta o ato da Revolta de Jeú como sendo um feito demasiadamente importante, na restauração do culto a Javé em Israel, a partir de um contexto onde o culto a outras divindades, em Israel Norte, estava em pleno curso. No entanto, a partir da análise conjunta da Estela de Dã, que tem como provável autor o rei Hazael de Damasco, somos desafiados a ler esta história pelas entrelinhas não contempladas pelo texto, que apontam para uma participação ativa de Hazael, nos desfechos referentes a Revolta de Jeú, como sendo o responsável direto que proporcionou a subida de Jeú ao trono em Israel, clarificando desta forma este importante período na história Bíblica. Para tal análise, observar-se-á três distintos tópicos, ligados diretamente ao tema proposto: (1) A Revolta de Jeú e a Redação Deuteronomista, a partir do estudo exegético da perícope de 2 Reis 10,28-36, onde estão descritas informações pontuais sobre período em que Jeú reinou em Israel; (2) Jeú e a Estela de Dã, a partir da apresentação e análise do conteúdo da Estela de Dã, tratando diretamente dos desdobramentos da guerra em Ramote de Gileade, de onde se dá o ponto de partida à Revolta de Jeú; e por fim (3) O Império da Síria, onde a partir da continuidade da análise do conteúdo da Estela de Dã, demonstraremos a significância deste reino, além de apontamentos diretamente ligados ao reinado de Hazael, personagem mui relevante no evento da Revolta de Jeú.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Each tragedy has a special title-page and separate pagination.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

The dwarf somaclonal variant is a major problem affecting micropropagation of the banana cultivar Williams (Musa spp. AAA; subgroup Cavendish). This problem arises from genetic changes that occur during the tissue culture process. Early identification of this problem is difficult and propagators must wait until plants are ex vitro in order to visualise the dwarfism phenotype. In this study, we have improved a SCAR-based molecular diagnostic technique, developed by Damasco et al. [Acta Hortic. 461 (1997) 157], for the early identification of dwarf off-types. We have included a positive internal control in a multiplex PCR and adapted the technique for use with small amounts of fresh in vitro leaf material as PCR template. The control product is a 500 bp fragment from 18S rRNA and is amplified in all tissues irrespective of phenotype. The use of small in vitro leaf material removing the need for genomic DNA extraction. (C) 2004 Elsevier B.V. All rights reserved.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

The acclimatization and ex vitro establishment of tissue cultured coconut plantlets regenerated either from zygotic or somatic embryos could result to serious losses. Although high germination rates can be achieved in vitro, the survival of zygotic embryo derived plantlets in soil is very low (0-30%). Hence, treatments that could promote development of good quality seedlings having well-developed shoot and root is needed to increase seedling survival ex vitro. The effect of physical, chemical and light quality treatments on germination and growth of coconut embryos and tissue-cultured seedlings respectively, was investigated. The germination of coconut embryos was promoted when placed in a liquid Euwens (Y3) medium and incubated using a roller drum. Gibberellic acid (GA3) significantly affected growth of seedlings as it promoted shoot elongation, shoot and root expansion, and fresh and dry weight increase. However, GA3 did not significantly affect germination. In addition, the blue, red and yellow light significantly affected growth of seedlings as it promoted leaf and shoot elongation, fresh and dry weight increase, and root and leaf production. These conditions could be used to improve the growth and survival ex vitro of tissue cultured coconuts.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

A pesquisa tem por objetivo trabalhar o evento da Revolta de Jeú, em conjunto com a Estela de Dã, tendo como ponto de partida para tal, a exegese da perícope de 2 Reis 10-28,36. A história Deuteronomista apresenta o ato da Revolta de Jeú como sendo um feito demasiadamente importante, na restauração do culto a Javé em Israel, a partir de um contexto onde o culto a outras divindades, em Israel Norte, estava em pleno curso. No entanto, a partir da análise conjunta da Estela de Dã, que tem como provável autor o rei Hazael de Damasco, somos desafiados a ler esta história pelas entrelinhas não contempladas pelo texto, que apontam para uma participação ativa de Hazael, nos desfechos referentes a Revolta de Jeú, como sendo o responsável direto que proporcionou a subida de Jeú ao trono em Israel, clarificando desta forma este importante período na história Bíblica. Para tal análise, observar-se-á três distintos tópicos, ligados diretamente ao tema proposto: (1) A Revolta de Jeú e a Redação Deuteronomista, a partir do estudo exegético da perícope de 2 Reis 10,28-36, onde estão descritas informações pontuais sobre período em que Jeú reinou em Israel; (2) Jeú e a Estela de Dã, a partir da apresentação e análise do conteúdo da Estela de Dã, tratando diretamente dos desdobramentos da guerra em Ramote de Gileade, de onde se dá o ponto de partida à Revolta de Jeú; e por fim (3) O Império da Síria, onde a partir da continuidade da análise do conteúdo da Estela de Dã, demonstraremos a significância deste reino, além de apontamentos diretamente ligados ao reinado de Hazael, personagem mui relevante no evento da Revolta de Jeú.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

A partir del hallazgo de un tipo particular de envases: ungüentarios y perfumarios en una nueva tumba en el territorio de Arados/Amrit, observamos cómo se incrementa la presencia de estos envases en tumbas de incineración e inhumación durante el primer milenio antes de Cristo en la cuenca mediterránea. Hemos elaborado una serie de análisis y discusiones sobre su distribución, cronología, significado y uso social, tratando de establecer una periodización de sus usos y una contextualización cultural y social dentro del ritual funerario y del uso de determinadas materias primas empleadas para su elaboración.