1000 resultados para CROSS-CONTAMINATION
Resumo:
Clostridium perfringens is an anaerobic Gram-positive bacterium known as common pathogen for humans, for domestic and wildlife animals. Although infections caused by C. perfringens type C and A in swine are well studied, just a few reports describe the genetic relationship among strains in the epidemiological chain of swine clostridioses, as well as the presence of the microorganism in the slaughterhouses. The aim of the present study was to isolate C. perfringens from feces and carcasses from swine slaughterhouses, characterize the strains in relation to the presence of enterotoxin, alpha, beta, epsilon, iota and beta-2 toxins genes, using polymerase chain reaction (PCR) and comparing strains by means of Pulsed field gel electrophoresis (PFGE). Clostridium perfringens isolation frequencies in carcasses and finishing pig intestines were of 58.8% in both types of samples. According to the polymerase chain reaction assay, only alfa toxin was detected, being all isolates also negative to enterotoxin and beta2 toxin. Through PFGE technique, the strains were characterized in 35 pulsotypes. In only one pulsotype, the isolate from carcass sample was grouped with fecal isolate of the same animal, suggesting that the risk of cross-contamination was low. Despite the high prevalence of C. perfringens in swine carcasses from the slaughterhouses assessed, the risk of food poisoning to Brazilian pork consumers is low, since all strains were negative to cpe-gene, codifying enterotoxin.
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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.
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L'epatite E è una malattia umana con caratteristiche di epatite acuta, causata da un ssRNA virus (HEV). Nel 1997, HEV è stato identificato per la prima volta nei suini (SwHEV). In seguito, diverse evidenze, tra cui la vicinanza genetica tra ceppi umani e suini, suggerirono la trasmissione zoonotica del virus. Nella presente tesi, l’identificazione di SwHEV è stata condotta mediante ricerca di porzioni di genoma virale attraverso RT-PCR. Dal 2011 al 2013, sono stati analizzati 343 campioni fecali (da 19 allevamenti) e 70 bili (da 2 macelli) prelevati da altrettanti suini, in diverse Regioni italiane. E’ stato inoltre condotto uno studio retrospettivo su 78 feci (da 3 allevamenti) raccolte nel 2000. Il virus è stato identificato nel 24,5% e 19,2% delle feci raccolte rispettivamente nel 2011-2013 e nel 2000. Nessuna bile è risultata positiva. Mediante sequenziamento del genoma intero di uno dei virus identificati, è stata condotta l’analisi filogenetica per valutarne il grado di correlazione con alti ceppi suini e umani. La presenza di HEV è stata valutata lungo la filiera di produzione suina, dal macello al punto vendita. Trentaquattro campioni di feci, fegato e muscolo sono stati raccolti in un macello da altrettanti suini sani (età:6-7 mesi). Quattordici feci e 2 fegati, sono risultati positivi per HEV. Sono state prelevate 129 salsicce sia allo stabilimento di trasformazione sia alla vendita, ma nessuna è risultata positiva. La presenza di HEV è stata valutata anche nelle salsicce di fegato, fresche e secche, acquistate presso una macelleria. Il genoma virale è stato rilevato nel 22,2% delle salsicce fresche e nel 4,3 % di quelle secche ma la vitalità del virus non è stata dimostrata. In conclusione, lo studio condotto ha confermato l’ampia circolazione di HEV nei suini e la possibile contaminazione dei prodotti carnei derivati, confermando la necessità di una continua sorveglianza.
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La prima parte del nostro studio riguarda la tecnica LAMP (Loop-mediated isothermal amplification), una tecnica di amplificazione isotermica recentemente inventata (Notomi et al., 2000). Essa presenta notevoli vantaggi rispetto alle tradizionali PCR: non necessita di strumentazioni sofisticate come i termociclatori, può essere eseguita da personale non specializzato, è una tecnica altamente sensibile e specifica ed è molto tollerante agli inibitori. Tutte queste caratteristiche fanno sì che essa possa essere utilizzata al di fuori dei laboratori diagnostici, come POCT (Point of care testing), con il vantaggio di non dover gestire la spedizione del campione e di avere in tempi molto brevi risultati paragonabili a quelli ottenuti con la tradizionale PCR. Sono state prese in considerazione malattie infettive sostenute da batteri che richiedono tempi molto lunghi per la coltivazione o che non sono addirittura coltivabili. Sono stati disegnati dei saggi per la diagnosi di patologie virali che necessitano di diagnosi tempestiva. Altri test messi a punto riguardano malattie genetiche del cane e due batteri d’interesse agro-alimentare. Tutte le prove sono state condotte con tecnica real-time per diminuire il rischio di cross-contaminazione pur riuscendo a comprendere in maniera approfondita l’andamento delle reazioni. Infine è stato messo a punto un metodo di visualizzazione colorimetrico utilizzabile con tutti i saggi messi a punto, che svincola completamente la reazione LAMP dall’esecuzione in un laboratorio specializzato. Il secondo capitolo riguarda lo studio dal punto di vista molecolare di un soggetto che presenza totale assenza di attività mieloperossidasica all’analisi di citochimica automatica (ADVIA® 2120 Hematology System). Lo studio è stato condotto attraverso amplificazione e confronto dei prodotti di PCR ottenuti sul soggetto patologico e su due soggetti con fenotipo wild-type. Si è poi provveduto al sequenziamento dei prodotti di PCR su sequenziatore automatico al fine di ricercare la mutazione responsabile della carenza di MPO nel soggetto indicato.
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To obtain genetic information about Campylobacter jejuni and Campylobacter coli from broilers and carcasses at slaughterhouses, we analyzed and compared 340 isolates that were collected in 2008 from the cecum right after slaughter or from the neck skin after processing. We performed rpoB sequence-based identification, multilocus sequence typing (MLST), and flaB sequence-based typing; we additionally analyzed mutations within the 23S rRNA and gyrA genes that confer resistance to macrolide and quinolone antibiotics, respectively. The rpoB-based identification resulted in a distribution of 72.0% C. jejuni and 28.0% C. coli. The MLST analysis revealed that there were 59 known sequence types (STs) and 6 newly defined STs. Most of the STs were grouped into 4 clonal complexes (CC) that are typical for poultry (CC21, CC45, CC257, and CC828), and these represented 61.8% of all of the investigated isolates. The analysis of 95 isolates from the cecum and from the corresponding carcass neck skin covered 44 different STs, and 54.7% of the pairs had matching genotypes. The data indicate that cross-contamination from various sources during slaughter may occur, although the majority of Campylobacter contamination on carcasses appeared to originate from the slaughtered flock itself. Mutations in the 23S rRNA gene were found in 3.1% of C. coli isolates, although no mutations were found in C. jejuni isolates. Mutations in the gyrA gene were observed in 18.9% of C. jejuni and 26.8% of C. coli isolates, which included two C. coli strains that carried mutations conferring resistance to both classes of antibiotics. A relationship between specific genotypes and antibiotic resistance/susceptibility was observed.
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Five diagnostic techniques performed on skin biopsies (shoulder region) and/or serum were compared for detection of bovine viral diarrhea virus infection in 224 calves 0-3 months of age, 23 calves older than 3 months but younger than 7 months, and 11 cattle older than 7 months. The diagnostic methods used were immunohistochemistry (IHC), 2 commercial antigen ELISAs, 1 commercial antibody ELISA, and real-time RT-PCR. Results of 249 out of 258 skin and serum samples were identical and correlated within the 3 antigen detection methods and the real-time RT-PCR used. Twenty-six of these 249 samples were BVDV-positive with all antigen detection methods and the real-time RT-PCR. Nine out of 258 samples yielding discordant results were additionally examined by RT-PCR, RT-PCR Reamplification (ReA), and antigen ELISA I on serum and by immunohistochemistry on formalin fixed and paraffin-embedded skin biopsies. Virus isolation and genotyping was performed as well on these discordant samples. In 3 cases, transiently infected animals were identified. Two samples positive by real-time RT-PCR were interpreted as false positive and were ascribed to cross-contamination. The antigen ELISA II failed to detect 2 BVDV-positive calves due to the presence of maternal antibodies; the cause of 2 false-positive cases in this ELISA remained undetermined. Only persistently infected animals were identified in skin samples by IHC or antigen ELISA I. The 3 antigen detection methods and the real-time RT-PCR used in parallel had a high correlation rate (96.5%) and similar sensitivity and specificity values.
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OBJECTIVE: The aim of this study was to determine the influence of polyvinyl chloride (PVC) wrapping on the performance of two laser fluorescence devices (LF and LFpen) by assessing tooth occlusal surfaces. BACKGROUND DATA: Protection of their tips may influence LF measurements. To date there are no studies evaluating the influence of this protection on the performance of the LFpen on permanent teeth, or comparing it to the original LF device. MATERIALS AND METHODS: One hundred nineteen permanent molars were assessed by two experienced dentists using the LF and the LFpen devices, both with and without PVC wrapping. The teeth were histologically prepared and assessed for caries extension. RESULTS: The LF values with and without PVC wrapping were significantly different. For both LF devices, the sensitivity and accuracy were lower when the PVC wrapping was used. The specificity was statistically significantly higher for the LFpen with PVC. No difference was found between the areas under the ROC curves with and without PVC wrapping. The ICC showed excellent interexaminer agreement. The Bland and Altman method showed a range between the upper and the lower limits of agreement of 63.4 and 57.8 units for the LF device, and 49.4 and 74.2 for the LFpen device, with and without PVC wrapping, respectively. CONCLUSIONS: We found an influence of the PVC wrapping on the performance of the LF and LFpen devices. However, since its influence on detection of occlusal caries lesions is considered for, the use of one PVC layer is suggested to avoid cross-contamination in clinical practice.
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Cattle are a natural reservoir for Shiga toxigenic Escherichia coli (STEC), however, no data are available on the prevalence and their possible association with organic or conventional farming practices. We have therefore studied the prevalence of STEC and specifically O157:H7 in Swiss dairy cattle by collecting faeces from approximately 500 cows from 60 farms with organic production (OP) and 60 farms with integrated (conventional) production (IP). IP farms were matched to OP farms and were comparable in terms of community, agricultural zone, and number of cows per farm. E. coli were grown overnight in an enrichment medium, followed by DNA isolation and PCR analysis using specific TaqMan assays. STEC were detected in all farms and O157:H7 were present in 25% of OP farms and 17% of IP farms. STEC were detected in 58% and O157:H7 were evidenced in 4.6% of individual faeces. Multivariate statistical analyses of over 250 parameters revealed several risk-factors for the presence of STEC and O157:H7. Risk-factors were mainly related to the potential of cross-contamination of feeds and cross-infection of cows, and age of the animals. In general, no significant differences between the two farm types concerning prevalence or risk for carrying STEC or O157:H7 were observed. Because the incidence of human disease caused by STEC in Switzerland is low, the risk that people to get infected appears to be small despite a relatively high prevalence in cattle. Nevertheless, control and prevention practices are indicated to avoid contamination of animal products.
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A fast and automatic method for radiocarbon analysis of aerosol samples is presented. This type of analysis requires high number of sample measurements of low carbon masses, but accepts precisions lower than for carbon dating analysis. The method is based on online Trapping CO2 and coupling an elemental analyzer with a MICADAS AMS by means of a gas interface. It gives similar results to a previously validated reference method for the same set of samples. This method is fast and automatic and typically provides uncertainties of 1.5–5% for representative aerosol samples. It proves to be robust and reliable and allows for overnight and unattended measurements. A constant and cross contamination correction is included, which indicates a constant contamination of 1.4 ± 0.2 μg C with 70 ± 7 pMC and a cross contamination of (0.2 ± 0.1)% from the previous sample. A Real-time online coupling version of the method was also investigated. It shows promising results for standard materials with slightly higher uncertainties than the Trapping online approach.
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Yersinia enterocolitica 4/O:3 is the most important human pathogenic bioserotype in Europe and the predominant pathogenic bioserotype in slaughter pigs. Although many studies on the virulence of Y. enterocolitica strains have showed a broad spectrum of detectable factors in pigs and humans, an analysis based on a strict comparative approach and serving to verify the virulence capability of porcine Y. enterocolitica as a source for human yersiniosis is lacking. Therefore, in the present study, strains of biotype (BT) 4 isolated from Swiss slaughter pig tonsils and feces and isolates from human clinical cases were compared in terms of their spectrum of virulence-associated genes (yadA, virF, ail, inv, rovA, ymoA, ystA, ystB and myfA). An analysis of the associated antimicrobial susceptibility pattern completed the characterization. All analyzed BT 4 strains showed a nearly similar pattern, comprising the known fundamental virulence-associated genes yadA, virF, ail, inv, rovA, ymoA, ystA and myfA. Only ystB was not detectable among all analyzed isolates. Importantly, neither the source of the isolates (porcine tonsils and feces, humans) nor the serotype (ST) had any influence on the gene pattern. From these findings, it can be concluded that the presence of the full complement of virulence genes necessary for human infection is common among porcine BT 4 strains. Swiss porcine BT 4 strains not only showed antimicrobial susceptibility to chloramphenicol, cefotaxime, ceftazidime, ciprofloxacin, colistin, florfenicol, gentamicin, kanamycin, nalidixic acid, sulfamethoxazole, streptomycin, tetracycline and trimethoprim but also showed 100% antibiotic resistance to ampicillin. The human BT 4 strains revealed comparable results. However, in addition to 100% antibiotic resistance to ampicillin, 2 strains were resistant to chloramphenicol and nalidixic acid. Additionally, 1 of these strains was resistant to sulfamethoxazole. The results demonstrated that Y. enterocolitica BT 4 isolates from porcine tonsils, as well as from feces, show the same virulence-associated gene pattern and antibiotic resistance properties as human isolates from clinical cases, consistent with the etiological role of porcine BT 4 in human yersiniosis. Thus, cross-contamination of carcasses and organs at slaughter with porcine Y. enterocolitica BT 4 strains, either from tonsils or feces, must be prevented to reduce human yersiniosis.
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The intercellular distribution of the enzymes and metabolites of assimilatory sulfate reduction and glutathione synthesis was analyzed in maize (Zea mays L. cv LG 9) leaves. Mesophyll cells and strands of bundle-sheath cells from second leaves of 11-d-old maize seedlings were obtained by two different mechanical-isolation methods. Cross-contamination of cell preparations was determined using ribulose bisphosphate carboxylase (EC 4.1.1.39) and nitrate reductase (EC 1.6.6.1) as marker enzymes for bundle-sheath and mesophyll cells, respectively. ATP sulfurylase (EC 2.7.7.4) and adenosine 5′-phosphosulfate sulfotransferase activities were detected almost exclusively in the bundle-sheath cells, whereas GSH synthetase (EC 6.3.2.3) and cyst(e)ine, γ-glutamylcysteine, and glutathione were located predominantly in the mesophyll cells. Feeding experiments using [35S]sulfate with intact leaves indicated that cyst(e)ine was the transport metabolite of reduced sulfur from bundle-sheath to mesophyll cells. This result was corroborated by tracer experiments, which showed that isolated bundle-sheath strands fed with [35S]sulfate secreted radioactive cyst(e)ine as the sole thiol into the resuspending medium. The results presented in this paper show that assimilatory sulfate reduction is restricted to the bundle-sheath cells, whereas the formation of glutathione takes place predominantly in the mesophyll cells, with cyst(e)ine functioning as a transport metabolite between the two cell types.
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Cross-contamination between cell lines is a longstanding and frequent cause of scientific misrepresentation. Estimates from national testing services indicate that up to 36% of cell lines are of a different origin or species to that claimed. To test a standard method of cell line authentication, 253 human cell lines from banks and research institutes worldwide were analyzed by short tandem repeat profiling. The short tandem repeat profile is a simple numerical code that is reproducible between laboratories, is inexpensive, and can provide an international reference standard for every cell line. If DNA profiling of cell lines is accepted and demanded internationally, scientific misrepresentation because of cross-contamination can be largely eliminated.
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Arcobacter spp. é um micro-organismo Gram negativo que provoca diarreia aquosa e sepse em seres humanos. A. butzleri, A. cryaerophilus e A. skirrowii são espécies patogênicas para humanos. O objetivo deste estudo foi detectar a presença de Arcobacter spp. na carne de aves comercializadas em açougues na cidade de São Paulo, verificando os genes de virulência e o perfil genotípico. Um total de 300 cortes de carne de frango foram submetidos ao cultivo e isolamento sob condições aeróbicas, a 30°C por 72 horas. Colônias suspeitas de Arcobacter spp. foram selecionadas para a detecção molecular pela reacção em cadeia da polimerase (PCR), a fim de determinar as espécies e os genes de virulência. Os resultados revelaram a presença de Arcobacter spp. em 18.3% (55/300) de amostras de carne de aves, sendo identificado como A. butzleri 63,6% (35/55) e A. cryaerophilus 36,3% (20/55). Os genes de virulência pesquisados demonstraram positividade de 100% (55/55) para o ciaB e mviN, seguidos de cj1349 98,1% (54/55), pldA 94,4% (52/55), cadF 72,7% (40/55), tlyA 92,7% (51/55), hecA 49% (27/55), irgA 47,2% (26/55) e hecB 34,5% (19/55). Estas cepas foram submetidas ao AFLP gerando dois dendogramas. Foram identificados 19 perfis genotípicos para A. butzleri e 17 para A. cryaerophilus. Os resultados desta pesquisa apontam a presença de A. butzleri e A. cryaerophilus na fase final da distribuição de carne de frangos nos açougues. A falta de inocuidade dos alimentos de origem animal, bem como a presença de estirpes virulentas representam riscos de Saúde Pública, com especial atenção para a possibilidade de contaminação cruzada gerados por alimentos crus e utensílios de cozinha
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Dados mundiais apontam haver uma associação entre o aumento do comércio de vegetais minimamente processados prontos para o consumo (VPC) e o aumento da ocorrência de surtos de enfermidades transmitidas por alimentos. Durante o processamento industrial de VPC, a desinfecção é a principal etapa de inativação de micro-organismos patogênicos presentes, mas nessa etapa também pode ocorrer contaminação cruzada, com transferência de contaminantes de produtos contaminados para não-contaminados. Neste trabalho, foram coletadas informações sobre as práticas empregadas na etapa de desinfecção em dez importantes indústrias produtoras de VPC no Estado de São Paulo, avaliando-se, em seguida, a influência dessas práticas na qualidade microbiológica dos produtos e na inativação de Salmonella Typhimurium, bem como na ocorrência de contaminação cruzada por este patógeno. Um modelo de avaliação quantitativa de risco microbiológico foi elaborado para estimar o impacto da contaminação cruzada durante a etapa de desinfecção no risco de infecção por Salmonella devido ao consumo de VPC. Observou-se que, em todas as indústrias visitadas, a desinfecção dos vegetais era feita com produtos à base de cloro em concentrações de 50 a 240 mg/L, que resultava em redução de até 1,2 log na carga microbiana dos vegetais que entravam na linha de processamento. Ao avaliar a influência das características da água de processamento (pH, temperatura, concentração de matéria orgânica e concentração de dicloroisocianurato de sódio) e do tempo de contato entre a água clorada e os vegetais na redução de Salmonella, observou-se que a concentração do produto à base de cloro foi o parâmetro que apresentou maior influência (p<0.05). Concentrações de dicloroisocianurato de sódio acima de 10 mg/L foram necessárias para controle da contaminação cruzada durante a etapa de lavagem. O modelo de avaliação de risco construído indicou quantitativamente haver uma relação entre a concentração de dicloroisocianurato de sódio na água de desinfecção e o risco de ocorrência de surtos causados por Salmonella em VPC. Cenários simulando uso de dicloroisocianurato de sódio em concentrações abaixo de 5 mg/L indicaram que mais de 96% dos casos preditos de infecção por Salmonella poderiam ser atribuídos à ocorrência de contaminação cruzada, enquanto que em cenários com concentrações acima de 50 mg/L, casos de infecção devidos à contaminação cruzada não foram preditos. Estes resultados mostram que o controle da qualidade da água e o monitoramento da concentração de sanitizante na etapa de desinfecção são essenciais para evitar a ocorrência de contaminação cruzada e garantir a produção de VPC seguros para o consumo.
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Flavonoids in Australian honeys from five botanical species (Melaleuca, Guioa, Lophostemon, Banksia and Helianthus) have been analyzed in relation to their floral origins. Tea tree (Melaleuca quinquenervia) and heath (Banksia ericifolia) honeys show a common flavonoid profile comprising myricetin (3,5,7,3',4',5'-hexahydroxyflavone), tricetin (5,7,3',4,5'-pentahydroxyflavone), querectin (3,5,7,3',4'-pentahydroxyflavone) and luteolin (5,7,3',4'-tetrahydroxyflavone), which was previously suggested as a floral marker for an Australian Eucalyptus honey (bloodwood or Eucalyptus intermedia honey). These honeys of various floral species can be differentiated by their levels of total flavonoids, being 2.12 mg/100 g for heath honey and 6.35 m/100 g for tea tree honey. In brush box (Lophostemon conferta) honey, the flavonoid profile comprising mainly tricetin, luteolin and quercetin is similar to that of another Eucalyptus honey (yellow box or Eucalyptus melliodora honey). These results indicate that the flavonoid profiles in some of the Australian non-Eucalyptus honeys may contain more or less certain flavonoids from Eucalyptus floral sources because of the diversity and extensive availability of Eucalyptus nectars for honeybee foraging yearly around or a possible cross contamination of the monofloral honeys during collection, transportation and/or storage. Further analyses are required to differentiate and/or verify the botanical sources of the flavonoids that contribute to the flavonoid profiles of these honeys, by restricting honey sampling areas and procedures, employing other complementary analytical methods (e.g. pollen analysis, sugar profile) and using materials (e.g. nectar) directly sourced from the flowering plant for comparative studies. In Australian crow ash (Guioa semiglauca) honey, myricetin, tricetin, quercetin, luteolin and an unknown flavonoid have been found to be the main flavonoids, which is characteristic only to this type of honey, and could thus be used as the floral marker, while in Australian sunflower (Helianthus annuus) honey, the content of total flavonoids is the smallest amount comparing to those in the other honeys analysed in this study. However, the flavonoid quercetin and the flavonoid profile mainly consisting of quercetin, quercetin 3,3'-dimethyl ether (5,7,4'-trihydroxy3,3'-dimethoxyflavone), myricetin and luteolin are characteristic only to this sunflower honey and could thus be used for the authentication.