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Gli squali bianchi sono tra i più importanti predatori dei Pinnipedi (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). La loro principale strategia di caccia consiste nel pattugliare le acque circostanti ad una colonia di otarie e nell’attaccarle quando queste sono in movimento, mentre si allontanano o avvicinano all’isola (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). Tuttavia, la strategia e la dinamica della predazione osservate anche in relazione al ciclo riproduttivo della preda e le tattiche comportamentali messe in atto dalla preda per ridurre la probabilità di predazione, e quindi diminuire la sua mortalità, sono ancora poco conosciute. Con questo studio, effettuato nell’area di Seal Island all’interno della baia di Mossel Bay in Sud Africa, abbiamo cercato di definire proprio questi punti ancora poco conosciuti. Per studiare la strategia e le dinamica di predazione dello squalo bianco abbiamo utilizzato il sistema di monitoraggio acustico, in modo da poter approfondire le conoscenze sui loro movimenti e quindi sulle loro abitudini. Per dare un maggiore supporto ai dati ottenuti con la telemetria acustica abbiamo effettuato anche un monitoraggio visivo attraverso l’attrazione (chumming) e l’identificazione fotografica degli squali bianchi. Per comprendere invece i loro movimenti e le tattiche comportamentali messi in atto dalle otarie orsine del capo per ridurre la probabilità di predazione nella baia di Mossel Bay, abbiamo utilizzato il monitoraggio visivo di 24 ore, effettuato almeno una volta al mese, dalla barca nell’area di Seal Island. Anche se gli squali bianchi sono sempre presenti intorno all’isola i dati ottenuti suggeriscono che la maggior presenza di squali/h si verifica da Maggio a Settembre che coincide con l’ultima fase di svezzamento dei cuccioli delle otarie del capo, cioè quando questi iniziano a foraggiare lontano dall'isola per la prima volta; durante il sunrise (alba) durante il sunset (tramonto) quando il livello di luce ambientale è bassa e soprattutto quando la presenza delle prede in acqua è maggiore. Quindi possiamo affermare che gli squali bianchi a Seal Island prendono delle decisioni che vanno ad ottimizzare la loro probabilità di catturare una preda. I risultati preliminari del nostro studio indicano anche che il numero di gruppi di otarie in partenza dall'isola di notte sono di gran lunga maggiori di quelle che partono durante il giorno, forse questo potrebbe riflettere una diminuzione del rischio di predazione; per beneficiare di una vigilanza condivisa, le otarie tendono in media a formare gruppi di 3-5 o 6-9 individui quando si allontanano dall’isola e questo probabilmente le rende meno vulnerabili e più attente dall’essere predate. Successivamente ritornano all’isola da sole o in piccoli gruppi di 2 o 3 individui. I gruppi più piccoli probabilmente riflettono la difficoltà delle singole otarie a riunirsi in gruppi coordinati all'interno della baia.

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Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di una nuova scuola primaria in Via Bidente, località Villaggio Primo Maggio a Rimini. La tesi parte da un progetto preliminare, elaborato dall’ufficio tecnico del Comune di Rimini, sulla base del quale, nel settembre 2013, è stato indetto un appalto integrato con procedura aperta per l’affidamento sia della progettazione esecutiva che della realizzazione della scuola. L’intervento si era reso necessario poiché la vecchia scuola non era più in grado di far fronte alle esigenze del quartiere, investito da un intenso sviluppo che ne aveva aumentato sensibilmente gli abitanti e quindi la popolazione scolastica. La tesi ha assunto gli obiettivi e i dimensionamenti fissati dal Bando di gara: quindici aule, sei laboratori, palestra, biblioteca, mensa, sala insegnanti, area verde, parcheggio, pista ciclopedonale. Per definire le strategie di progetto da adottare, è stata effettuata un’analisi dell’area dalla quale sono emerse esigenze e criticità del quartiere. A scala urbana la viabilità e la fruibilità del lotto risultano inadeguate, e per correggerle, si è prevista la realizzazione di una nuova pista ciclabile e di un parcheggio. Inoltre professionisti esperti e di comprovata esperienza in materia hanno condotto studi approfonditi ed attente valutazioni di carattere ambientale, riguardanti l’inquinamento elettromagnetico, acustico ed atmosferico. Per limitare l'inquinamento acustico a cui la scuola risulterebbe esposta, è stata prevista la realizzazione di alcuni tratti di barriere fonoassorbenti lungo il perimetro dell’area di progetto al fine di proteggerla dalle fonti di rumore maggiormente impattanti. Al centro delle strategie progettuali c’è il bambino, che diventa il vero committente, ossia il soggetto di cui soddisfare esigenze e desideri. Si è cercato quindi di realizzare un ambiente confortevole e sicuro in cui i bambini si sentano a proprio agio. A scala architettonica si è pensata a una distribuzione degli spazi che permetta di sfruttare a pieno le potenzialità degli ambienti attraverso una collocazione delle funzioni su tre diverse fasce longitudinali: servizi nella zona nord, connettivo e aule a sud. Inoltre è stato studiato uno schema distributivo in linea con le esigenze dei nuovi modelli pedagogici, in particolare: aule e laboratori adattabili, spazi per l’apprendimento di gruppo sia all’interno che all’esterno dell’edificio, i cui spazi di distribuzione sono dimensionati per poter ospitare anche funzioni didattiche. Ogni scelta adottata vuol far si che tutto l’edificio diventi fonte di insegnamento per i bambini, una sorta di paesaggio dell’apprendimento.

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Cette recherche porte sur les pratiques d’intervention des agents de réponse en intervention de crise (RIC), de leur partenaire fixe et des agents en attente de la formation du Service de police de la Ville de Montréal (SPVM) auprès des personnes en crise ou atteintes de troubles mentaux. Les agents RIC sont des patrouilleurs de première ligne qui ont reçu une formation complète sur les principes d’intervention en contexte de crise ou de santé mentale. Ce modèle de réponse spécialisée est une solution proactive qui a pour but d’améliorer l’action policière en situation de crise et de veiller à une meilleure prise en charge de ces personnes par les ressources institutionnelles. La désinstitutionnalisation des soins et des services psychiatriques a eu pour effet une augmentation du nombre de personnes atteintes de troubles mentaux dans la communauté. Par conséquent, cet accroissement a engendré des rapports plus fréquents entre les services policiers et cette clientèle. Les interventions en contexte de crise ou de santé mentale sont particulières et complexes, de même qu’elles requièrent un niveau supérieur de compréhension des crises humaines. Les autorités policières ont admis que ces interventions représentent une part significative de leur travail et que la formation policière traditionnelle ne les prépare pas suffisamment pour intervenir adéquatement auprès de cette population. En réponse à ces considérations et dans l’objectif d’améliorer leur capacité d’agir, les forces policières se sont dotées de modèles de réponse policière spécialisée en intervention de crise. L’approche la plus répandue est l’équipe d’intervention de crise (« crisis intervention team » ou « CIT »), aussi appelée le modèle de Memphis. Il existe plusieurs variantes de ce modèle, mais les composantes principales, c’est-à-dire la formation avancée et la consolidation d’un partenariat avec le système de santé demeurent dans l’ensemble de ces structures. L’objectif de cette recherche consiste à sonder les perceptions des agents RIC, de leur partenaire fixe et des agents en attente de la formation afin de comprendre et de contraster leurs visions et leurs pratiques d’intervention en contexte de crise ou de santé mentale. Chaque groupe a apporté des précisions intéressantes. Nous avons conduit 12 entrevues qualitatives avec des policiers du SPVM. De façon générale, les participants rapportent que leurs pratiques d’intervention auprès des personnes en crise ou atteintes de troubles mentaux sont davantage ancrées dans une perspective de relation d’aide. Ils mentionnent également que la communication, l’écoute et la confiance doivent être privilégiées avant tout autre stratégie dans les situations qui les permettent et que la force doit être employée seulement lorsqu’elle est nécessaire, c’est-à-dire lorsque leur sécurité ou celle d’autrui est en péril ou lorsque la communication n’est pas possible. Puis, ils admettent que le recours à l’expertise des intervenants en santé mentale permet une analyse plus approfondie de la situation et de l’état mental de la personne visée par l’intervention. D’autre part, en ce qui concerne les limites de la formation policière traditionnelle, les candidats ont soulevé qu’il y a un manque de connaissances en matière de santé mentale ainsi qu’une difficulté associée à l’évaluation de l’état de la personne et du besoin de transport ont été soulevés. Sur le plan des apprentissages, les agents RIC disent avoir une compréhension plus globale de la problématique de santé mentale, de meilleures habiletés communicationnelles, une analyse plus approfondie de la situation, de plus grandes connaissances juridiques, une compréhension du fonctionnement des services hospitaliers ainsi qu’une appréciation particulière pour le partage de savoirs et les principes d’endiguement. Ils font part également de l’importance des rapports pour documenter l’évolution de l’état mental d’une personne et ils ajoutent que la dimension temporelle joue un rôle clé dans la résolution définitive de la problématique. Au sujet des partenaires, ils évoquent des retombées similaires. Toutefois, à la suite de la formation, ils reconnaissent davantage l’importance de leur rôle dans la sécurité de leur partenaire et ils y accordent dorénavant une attention marquée lors de ces interventions. Enfin, les agents non formés formulent des attentes relatives au développement d’outils et de compétences, ce qui leur sera rendu dans la formation RIC. Globalement, les agents RIC et les partenaires interviewés ont modifié leurs pratiques pour les arrimer avec la philosophie des interventions en contexte de crise ou de santé mentale. Ils ont également davantage confiance en leurs capacités et habiletés d’intervention auprès des personnes en crise ou atteintes de troubles mentaux grâce aux connaissances acquises dans la formation.

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Cette recherche porte sur les pratiques d’intervention des agents de réponse en intervention de crise (RIC), de leur partenaire fixe et des agents en attente de la formation du Service de police de la Ville de Montréal (SPVM) auprès des personnes en crise ou atteintes de troubles mentaux. Les agents RIC sont des patrouilleurs de première ligne qui ont reçu une formation complète sur les principes d’intervention en contexte de crise ou de santé mentale. Ce modèle de réponse spécialisée est une solution proactive qui a pour but d’améliorer l’action policière en situation de crise et de veiller à une meilleure prise en charge de ces personnes par les ressources institutionnelles. La désinstitutionnalisation des soins et des services psychiatriques a eu pour effet une augmentation du nombre de personnes atteintes de troubles mentaux dans la communauté. Par conséquent, cet accroissement a engendré des rapports plus fréquents entre les services policiers et cette clientèle. Les interventions en contexte de crise ou de santé mentale sont particulières et complexes, de même qu’elles requièrent un niveau supérieur de compréhension des crises humaines. Les autorités policières ont admis que ces interventions représentent une part significative de leur travail et que la formation policière traditionnelle ne les prépare pas suffisamment pour intervenir adéquatement auprès de cette population. En réponse à ces considérations et dans l’objectif d’améliorer leur capacité d’agir, les forces policières se sont dotées de modèles de réponse policière spécialisée en intervention de crise. L’approche la plus répandue est l’équipe d’intervention de crise (« crisis intervention team » ou « CIT »), aussi appelée le modèle de Memphis. Il existe plusieurs variantes de ce modèle, mais les composantes principales, c’est-à-dire la formation avancée et la consolidation d’un partenariat avec le système de santé demeurent dans l’ensemble de ces structures. L’objectif de cette recherche consiste à sonder les perceptions des agents RIC, de leur partenaire fixe et des agents en attente de la formation afin de comprendre et de contraster leurs visions et leurs pratiques d’intervention en contexte de crise ou de santé mentale. Chaque groupe a apporté des précisions intéressantes. Nous avons conduit 12 entrevues qualitatives avec des policiers du SPVM. De façon générale, les participants rapportent que leurs pratiques d’intervention auprès des personnes en crise ou atteintes de troubles mentaux sont davantage ancrées dans une perspective de relation d’aide. Ils mentionnent également que la communication, l’écoute et la confiance doivent être privilégiées avant tout autre stratégie dans les situations qui les permettent et que la force doit être employée seulement lorsqu’elle est nécessaire, c’est-à-dire lorsque leur sécurité ou celle d’autrui est en péril ou lorsque la communication n’est pas possible. Puis, ils admettent que le recours à l’expertise des intervenants en santé mentale permet une analyse plus approfondie de la situation et de l’état mental de la personne visée par l’intervention. D’autre part, en ce qui concerne les limites de la formation policière traditionnelle, les candidats ont soulevé qu’il y a un manque de connaissances en matière de santé mentale ainsi qu’une difficulté associée à l’évaluation de l’état de la personne et du besoin de transport ont été soulevés. Sur le plan des apprentissages, les agents RIC disent avoir une compréhension plus globale de la problématique de santé mentale, de meilleures habiletés communicationnelles, une analyse plus approfondie de la situation, de plus grandes connaissances juridiques, une compréhension du fonctionnement des services hospitaliers ainsi qu’une appréciation particulière pour le partage de savoirs et les principes d’endiguement. Ils font part également de l’importance des rapports pour documenter l’évolution de l’état mental d’une personne et ils ajoutent que la dimension temporelle joue un rôle clé dans la résolution définitive de la problématique. Au sujet des partenaires, ils évoquent des retombées similaires. Toutefois, à la suite de la formation, ils reconnaissent davantage l’importance de leur rôle dans la sécurité de leur partenaire et ils y accordent dorénavant une attention marquée lors de ces interventions. Enfin, les agents non formés formulent des attentes relatives au développement d’outils et de compétences, ce qui leur sera rendu dans la formation RIC. Globalement, les agents RIC et les partenaires interviewés ont modifié leurs pratiques pour les arrimer avec la philosophie des interventions en contexte de crise ou de santé mentale. Ils ont également davantage confiance en leurs capacités et habiletés d’intervention auprès des personnes en crise ou atteintes de troubles mentaux grâce aux connaissances acquises dans la formation.

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Les ressources rares tendent naturellement à la création de marchés et les marchés tendent généralement à s'équilibrer par un mécanisme ou un autre. Le prix nominal est sans contredit le mécanisme d'équilibre le plus courant et le plus étudié par la science économique. Or, lorsque celui-ci est déterminé de façon exogène, d'autres mécanismes entrent en ligne de compte pour équilibrer le marché. Pensons aux files d'attente, dans lesquelles le coût d'opportunité d'attendre physiquement permet de contrôler les excès de demande. Par ailleurs, certaines listes d'attente sont qualifiées d'in abstentia, c'est- à-dire que l'agent économique peut vaquer à toutes ses autres occupations pendant qu'il est dans l'attente de l'obtention du bien ou du service voulu. Ce genre de marché a été particulièrement étudié dans le contexte médical, où on a supposé que c'était la diminution dans le temps de la valeur présente du service obtenu qui permettait de contrôler les surplus de demande. Posé simplement, lorsqu'il y a excès de demande, les délais augmentent, ce qui ferait diminuer la quantité demandée. Dans le cadre de notre étude, nous reprenons cette intuition et l'adaptons au marché des services judiciaires civils québécois. Les différents tarifs sont déterminés de façon exogène par l'administration provinciale et l'offre présente un caractère fixe ou très rigide, ce qui permet de croire que toute augmentation de demande devrait se traduire par une augmentation des délais judiciaires. En nous basant sur un modèle théorique développé dans le cadre des listes d'attente médicales, nous développons un modèle qui illustre de quelle façon les délais peuvent jouer le rôle de prix sur le marché des services judiciaires civils et ainsi permettre à ce dernier de s'équilibrer. Il s'agit à notre avis du premier modèle algébrique de ce genre. Nous disposons de données empiriques pour les districts judiciaires québécois durant la période 1995-2007 qui appuient nos hypothèses initiales. Notre étude revêt en quelque sorte un caractère d'expérience naturelle puisque durant cette période, la compétence maximale de certains tribunaux a été augmentée substantiellement, ce qui s'apparente à un choc de demande permanent. Tout spécialement au niveau des petites créances, le seuil maximal d'éligibilité est passé de 3000 $ à 7000 $ en 2002. À supposer que le marché ne s'équilibre pas par un mécanisme quelconque, le nombre de justiciables dans la liste d'attente devrait avoir augmenté et cette augmentation devrait s'être maintenue durant les années subséquentes, faisant exploser la liste d'attente. Or, ce n'est pas du tout ce qui est observé, d'où la pertinence de fournir une explication sur le fonctionnement du marché des services judiciaires civils. Notre modèle concilie le fait que la demande pour les services judiciaires civils ait augmenté continuellement avec le temps mais que la quantité demandée ait diminué par le fait même. Nous suggérons en effet que la quantité demandée et la quantité offerte sont corrélées négativement avec les délais, ce qui permettrait en bout de ligne d'envisager une diminution constante du nombre de dossiers ouverts à l'équilibre, de pair avec une augmentation des délais.

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L'approche pédagogique, appelée aujourd'hui pédagogie ouverte, a vu le jour en Angleterre, puis s'est diffusée aux États-Unis et au Canada. Elle a cours au Québec depuis les années 1970 grâce à certaines publications et à des rencontres de perfectionnement. Bien qu'un assez large éventail d'enseignants y ait été mis en contact par des sessions, séminaires, conférences et publications, force nous est de reconnaître qu'à ce jour nous n'y avons trouvé aucune recherche empirique permettant d'évaluer en classe du primaire le degré d'implantation de cette approche pédagogique; or, il est important, dans un contexte d'innovation pédagogique, de pouvoir connaître ce degré d'implantation pour orienter le développement, assurer le perfectionnement personnel, porter un diagnostic, évaluer les effets et pour aider pédagogues et administrateurs à faire des choix pertinents, à rendre des décisions valables. Pour répondre à cette attente, notre propos sera donc d'élaborer et d'adapter un instrument d'observation convenant à ce contexte, permettant d'évaluer le degré d'implantation de la pédagogie ouverte dans des classes du primaire. Pour y parvenir, nous suivrons les étapes suivantes: consultation des recherches sur le sujet pour définir l'objet de la pédagogie ouverte et y étudier les instruments d'évaluation existants, adaptation de l'instrument éventuellement retenu, vérification auprès d'experts québécois en pédagogie ouverte, affinement par l'expérimentation dans des classes respectivement à pédagogie ouverte et encyclopédique et par l'étude comparée des résultats. Cette démarche permettra donc d'accéder à un instrument d'évaluation apte à mesurer le degré d'implantation de cette approche pédagogique dans des classes du primaire et à discriminer les classes à pédagogie ou verte de celles à pédagogie encyclopédique.

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L'influence de l'intervention de l'équipe multidisciplinaire de psychogériatrie à domicile sur le bien-être psychologique de la personne âgée. L'organisation des soins de santé a subi plusieurs modifications importantes au cours de la dernière décennie afin de répondre aux besoins engendrés par le vieillissement de la population et de favoriser le maintien à domicile des personnes âgées. Les équipes sous-régionales de psychogériatrie à domicile mises en place en 1986 à Montréal et à Québec sont au coeur de ces modifications. L'existence relativement récente de ce programme a pu contribuer au fait qu'il n'y ait jamais eu d'évaluation auprès des personnes âgées bénéficiaires de ce service. La présente recherche tentera de combler cette lacune. L'objectif visé est de mesurer l'influence de l'intervention de l'équipe sur le bien-être psychologique des sujets. Un plan de recherche quasi expérimental fut élaboré utilisant les clients référés à l'équipe. Selon le plan original il avait été prévu de former un groupe contrôle a posteriori avec les sujets qui n'auraient pas encore reçu l'intervention au post-test, mais ce groupe n'a pu être formé comme souhaité à cause des contraintes rencontrées. L'échantillon par convenance est composé de dix sujets: 6 femmes et 4 hommes âgés entre 61 et 84 ans, bénéficiaires des services à domicile et référés à trois équipes de psychogériatrie à domicile dans la région de Montréal. La grille MUNSH (Memorial University of Newfoundland Scale of Happiness) révisée de Kozma et Stones (1991) fut appliquée à domicile lors d'une entrevue structurée avant et après l'intervention de l'équipe. Les données furent traitées à l'aide de statistiques corrélationnelles et vérificationnelles afin d'établir une relation entre les variables. Les résultats démontrent que l'intervention de l'équipe multidisciplinaire de psychogériatrie à domicile a une influence positive sur le bien-être psychologique de la personne âgée tel que mesuré par la grille MUNSH. Même si statistiquement les résultats des différences au prétest et au post-test permettraient d'établir un lien causal entre l'intervention et l'amélioration du bien-être psychologique de la personne âgée, le fait que le groupe contrôle a posteriori n'a pu être matérialisé a donc apporté des modifications au devis original ne permettant plus de vérifier ce lien causal. La discussion explique les différents facteurs autres que l'intervention ayant pu contribuer à l'amélioration des sujets. Il en ressort toutefois que l'intervention de l'équipe est intensive et spécialisée et que l'intervention en soi semble plus pertinente que sa durée et le délai d'attente.

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Ce mémoire est consacré à l'étude du modèle statistique bivarié duquel sont issues deux variables aléatoires conditionnellement indépendantes de loi de Poisson, dont les taux ne sont pas nécessairement égaux. Tout au long de ce mémoire, l'emphase est mise sur le développement d'un cadre bayésien au problème d'estimation paramétrique pour un tel modèle. Deux thèmes principaux y sont abordés : l'inférence statistique du rapport des deux paramètres d'intensité poissonniens et les densités prédictives. Ces problèmes surviennent notamment dans le contexte d'estimation de l'efficacité d'un vaccin développé par Laurent (Laurent, 2012) de même que Laurent et Legrand (Laurent et Legrand, 2012), ou encore, par celui d'estimation de l'efficacité d'un traitement contre le cancer par Lindley (Lindley, 2002). Alors que, dans ces articles, aucune contrainte paramétrique n'est imposée sur le rapport des deux taux poissonniens, une partie du mémoire abordera également ces thèmes lorsqu'il y a une contrainte restreignant le domaine du rapport sur l'intervalle $[0,1]$. Il sera alors possible d'établir des liens avec un article sur les files d'attente d'Armero et Bayarri (Armero et Bayarri, 1994).

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Les arthroplasties totales de la hanche (ATH) et du genou (ATG) sont souvent offertes aux patients atteints de dégénérescence articulaire sévère. Bien qu’efficace chez la majorité des patients, ces interventions mènent à des résultats sous-optimaux dans de nombreux cas. Il demeure difficile d’identifier les patients à risque de résultats sous-optimaux à l’heure actuelle. L’identification de ces patients avant la chirurgie pourrait permettre d’optimiser la gamme de soins et de services offerts et de possiblement améliorer les résultats de leur chirurgie. Ce mémoire a comme objectifs : 1) de réaliser une revue systématique des déterminants associés à la douleur et aux incapacités fonctionnelles rapportées par les patients à moyen-terme suivant ces deux types d’arthroplastie et 2) de développer des modèles de prédiction clinique permettant l’identification des patients à risque de mauvais résultats en terme de douleur et d’incapacités fonctionnelles suivant l’ATH et l’ATG. Une revue systématique de la littérature identifiant les déterminants de la douleur et de la fonction suivant l’ATH et l’ATG a été réalisée dans quatre bases de données jusqu’en avril 2015 et octobre 2014, respectivement. Afin de développer un algorithme de prédiction pouvant identifier les patients à risque de résultats sous-optimaux, nous avons aussi utilisé des données rétrospectives provenant de 265 patients ayant subi une ATH à l’Hôpital Maisonneuve-Rosemont (HMR) de 2004 à 2010. Finalement, des données prospectives sur 141 patients recrutés au moment de leur inclusion sur une liste d’attente pour une ATG dans trois hôpitaux universitaires à Québec, Canada et suivis jusqu’à six mois après la chirurgie ont permis l’élaboration d’une règle de prédiction clinique permettant l’identification des patients à risque de mauvais résultats en terme de douleur et d’incapacités fonctionnelles. Vingt-deux (22) études d’une qualité méthodologique moyenne à excellente ont été incluses dans la revue. Les principaux déterminants de douleur et d’incapacités fonctionnelles après l’ATH incluaient: le niveau préopératoire de douleur et de fonction, un indice de la masse corporelle plus élevé, des comorbidités médicales plus importantes, un état de santé générale diminué, une scolarité plus faible, une arthrose radiographique moins sévère et la présence d’arthrose à la hanche controlatérale. Trente-quatre (34) études évaluant les déterminants de douleur et d’incapacités fonctionnelles après l’ATG avec une qualité méthodologique moyenne à excellente ont été évaluées et les déterminants suivant ont été identifiés: le niveau préopératoire de douleur et de fonction, des comorbidités médicales plus importantes, un état de santé générale diminué, un plus grands niveau d’anxiété et/ou de symptômes dépressifs, la présence de douleur au dos, plus de pensées catastrophiques ou un faible niveau socioéconomique. Pour la création d’une règle de prédiction clinique, un algorithme préliminaire composé de l’âge, du sexe, de l’indice de masse corporelle ainsi que de trois questions du WOMAC préopératoire a permis l’identification des patients à risque de résultats chirurgicaux sous-optimaux (pire quartile du WOMAC postopératoire et percevant leur hanche opérée comme artificielle avec des limitations fonctionnelles mineures ou majeures) à une durée moyenne ±écart type de 446±171 jours après une ATH avec une sensibilité de 75.0% (95% IC: 59.8 – 85.8), une spécificité de 77.8% (95% IC: 71.9 – 82.7) et un rapport de vraisemblance positif de 3.38 (98% IC: 2.49 – 4.57). Une règle de prédiction clinique formée de cinq items du questionnaire WOMAC préopratoire a permis l’identification des patients en attente d’une ATG à risque de mauvais résultats (pire quintile du WOMAC postopératoire) six mois après l’ATG avec une sensibilité de 82.1 % (95% IC: 66.7 – 95.8), une spécificité de 71.7% (95% IC: 62.8 – 79.8) et un rapport de vraisemblance positif de 2.9 (95% IC: 1.8 – 4.7). Les résultats de ce mémoire ont permis d’identifier, à partir de la littérature, une liste de déterminants de douleur et d’incapacités fonctionnelles après l’ATH et l’ATG avec le plus haut niveau d’évidence à ce jour. De plus, deux modèles de prédiction avec de très bonnes capacités prédictives ont été développés afin d’identifier les patients à risque de mauvais résultats chirurgicaux après l’ATH et l’ATG. L’identification de ces patients avant la chirurgie pourrait permettre d’optimiser leur prise en charge et de possiblement améliorer les résultats de leur chirurgie.

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Les arthroplasties totales de la hanche (ATH) et du genou (ATG) sont souvent offertes aux patients atteints de dégénérescence articulaire sévère. Bien qu’efficace chez la majorité des patients, ces interventions mènent à des résultats sous-optimaux dans de nombreux cas. Il demeure difficile d’identifier les patients à risque de résultats sous-optimaux à l’heure actuelle. L’identification de ces patients avant la chirurgie pourrait permettre d’optimiser la gamme de soins et de services offerts et de possiblement améliorer les résultats de leur chirurgie. Ce mémoire a comme objectifs : 1) de réaliser une revue systématique des déterminants associés à la douleur et aux incapacités fonctionnelles rapportées par les patients à moyen-terme suivant ces deux types d’arthroplastie et 2) de développer des modèles de prédiction clinique permettant l’identification des patients à risque de mauvais résultats en terme de douleur et d’incapacités fonctionnelles suivant l’ATH et l’ATG. Une revue systématique de la littérature identifiant les déterminants de la douleur et de la fonction suivant l’ATH et l’ATG a été réalisée dans quatre bases de données jusqu’en avril 2015 et octobre 2014, respectivement. Afin de développer un algorithme de prédiction pouvant identifier les patients à risque de résultats sous-optimaux, nous avons aussi utilisé des données rétrospectives provenant de 265 patients ayant subi une ATH à l’Hôpital Maisonneuve-Rosemont (HMR) de 2004 à 2010. Finalement, des données prospectives sur 141 patients recrutés au moment de leur inclusion sur une liste d’attente pour une ATG dans trois hôpitaux universitaires à Québec, Canada et suivis jusqu’à six mois après la chirurgie ont permis l’élaboration d’une règle de prédiction clinique permettant l’identification des patients à risque de mauvais résultats en terme de douleur et d’incapacités fonctionnelles. Vingt-deux (22) études d’une qualité méthodologique moyenne à excellente ont été incluses dans la revue. Les principaux déterminants de douleur et d’incapacités fonctionnelles après l’ATH incluaient: le niveau préopératoire de douleur et de fonction, un indice de la masse corporelle plus élevé, des comorbidités médicales plus importantes, un état de santé générale diminué, une scolarité plus faible, une arthrose radiographique moins sévère et la présence d’arthrose à la hanche controlatérale. Trente-quatre (34) études évaluant les déterminants de douleur et d’incapacités fonctionnelles après l’ATG avec une qualité méthodologique moyenne à excellente ont été évaluées et les déterminants suivant ont été identifiés: le niveau préopératoire de douleur et de fonction, des comorbidités médicales plus importantes, un état de santé générale diminué, un plus grands niveau d’anxiété et/ou de symptômes dépressifs, la présence de douleur au dos, plus de pensées catastrophiques ou un faible niveau socioéconomique. Pour la création d’une règle de prédiction clinique, un algorithme préliminaire composé de l’âge, du sexe, de l’indice de masse corporelle ainsi que de trois questions du WOMAC préopératoire a permis l’identification des patients à risque de résultats chirurgicaux sous-optimaux (pire quartile du WOMAC postopératoire et percevant leur hanche opérée comme artificielle avec des limitations fonctionnelles mineures ou majeures) à une durée moyenne ±écart type de 446±171 jours après une ATH avec une sensibilité de 75.0% (95% IC: 59.8 – 85.8), une spécificité de 77.8% (95% IC: 71.9 – 82.7) et un rapport de vraisemblance positif de 3.38 (98% IC: 2.49 – 4.57). Une règle de prédiction clinique formée de cinq items du questionnaire WOMAC préopratoire a permis l’identification des patients en attente d’une ATG à risque de mauvais résultats (pire quintile du WOMAC postopératoire) six mois après l’ATG avec une sensibilité de 82.1 % (95% IC: 66.7 – 95.8), une spécificité de 71.7% (95% IC: 62.8 – 79.8) et un rapport de vraisemblance positif de 2.9 (95% IC: 1.8 – 4.7). Les résultats de ce mémoire ont permis d’identifier, à partir de la littérature, une liste de déterminants de douleur et d’incapacités fonctionnelles après l’ATH et l’ATG avec le plus haut niveau d’évidence à ce jour. De plus, deux modèles de prédiction avec de très bonnes capacités prédictives ont été développés afin d’identifier les patients à risque de mauvais résultats chirurgicaux après l’ATH et l’ATG. L’identification de ces patients avant la chirurgie pourrait permettre d’optimiser leur prise en charge et de possiblement améliorer les résultats de leur chirurgie.