1000 resultados para Ciclo del Selenio
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HP Composites, azienda leader nella produzione di componenti in fibra di carbonio, a seguito della crescita di ordini commissionati dai suoi clienti, ha deciso di affidare a dei fornitori la produzione di alcune commesse, in alcune o in tutte le fasi del loro ciclo. L’elaborato di tesi nasce da un’esperienza di tirocinio nell’ufficio pianificazione di HP Composites, e si pone l’obiettivo di analizzare tutte le attività che, evitando di dedicare risorse alle lavorazioni selezionate, deve compiere per supportare il fornitore; l’analisi è stata effettuata tramite la costruzione di un diagramma di flusso e fornendo un indicazione del tempo richiesto da ogni attività, per poi poi avanzare delle proposte di ottimizzazione. Il ciclo commessa può essere suddiviso in quattro fasi: scelta della commessa e selezione del fornitore, attivazione del fornitore, gestione settimanale dell’evasione degli ordini e gestione del fine commessa. L’ufficio acquisti nel tempo si è specializzato individuando i temi da chiarire prima di attivare la fornitura per evitare l’insorgere di problematiche a produzione già attivata. Per quanto riguarda la gestione settimanale del fornitore, è stato istituito il ruolo del responsabile delle esternalizzazioni, una figura che funga da intermediario con il fornitore e monitori la produzione esterna: questa figura apporta un'alta quantità di interazioni, ma HP valuta maggiori i vantaggi di questa gestione centralizzata. Inoltre nel tempo le attività pianificazione sono state ottimizzate grazie alla stesura di file precompilati da aggiornare. Un’attività fonte di inefficienza è quella dell’emissione dei documenti di trasporto, soprattutto nel caso in cui il compito di consegnare il prodotto al cliente è deputato al fornitore di conto lavoro: HP Composites ha intenzione di implementare un lettore barcode per l’emissione del documento che ridurrebbe i tempi richiesti dall’attività e permetterebbe una gestione del conto lavoro a sistema più corretta.
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AlSi10Mg alloy is one of the most widely used alloys for producing structural components by Laser-based Powder Fusion (L-PBF) technology due to the high mechanical and technological properties. The present work aims to characterize mechanically and tribologically the L-PBF AlSi10Mg alloy subjected to both heat treatment and surface modification cycles. Specifically, the effects of three heat treatments on the tribological and mechanical properties of the alloy were analyzed: T5 (artificial aging at 160 °C for 4 h), T6 rapid solution heat treatment (solution heat treatment at 510 °C for 1h and aging at 160 °C for 6 h), and T6 benchmark (solution heat treatment at 540 °C for 1h and aging at 160 °C for 4 h), the latter used as a benchmark. The study highlighted how the better balance between strength and ductility properties induced by the introduction of heat treatments leads to lower wear resistance and not significant variations in the friction coefficient of the alloy. The tribological and mechanical behavior of the alloy coated with two different coating structures, consisting of (i) chemical Ni (Ni-P) and (ii) Ni-P + DLC, was also evaluated. The goal was the identification of a deposition cycle such as to guarantee the optimization of the mechanical and tribological behavior of the alloy. The Ni-P coating provided good wear resistance but an increase in the coefficient of friction. In contrast, using the DLC top coating resulted in excellent tribological performance in wear resistance and friction coefficient. The samples characterized by the Ni-P + DLC multilayer coating were subsequently subjected to mechanical characterization. The results obtained highlighted problems of adhesion and incipient breaking of the material due to the different mechanical behavior of the coating, considerably reducing the mechanical performance of the alloy coated with Ni-P+DLC multilayer solution compared to the specimens in the un-coated condition.
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Per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica del 2050 stabiliti dal Green Deal europeo, l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche è considerato essenziale e l’attuale crisi energetica ne ha rimarcato l’importanza. Tra queste materie prime, il neodimio risulta essere fondamentale per un ampio numero di applicazioni tecnologiche di interesse crescente come la mobilità elettrica e la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili. La produzione mondiale di neodimio è dominata dalla Cina e l’Italia dipende completamente dalle importazioni per soddisfare la propria domanda. Il riciclo dei prodotti a fine vita potrebbe coprire parte della domanda nazionale di neodimio e ridurre la dipendenza dalle importazioni cinesi. Ma, attualmente, la percentuale di riciclo del metallo è inferiore all’1% globalmente con attività di riciclo spesso inesistenti su scala industriale a livello nazionale. Per dare chiarezza sulla catena del valore di neodimio in Italia e dimostrare le potenzialità del suo riciclo, in questa tesi sono state applicate le metodologie di MFA e di LCA. Un modello dinamico retrospettivo di MFA è stato sviluppato col fine di investigare il ciclo antropogenico del neodimio, identificando e valutando i flussi e le riserve nazionali dal 1995 al 2020. Attraverso un modello di distribuzione dei tempi di vita è stata quantificata la riserva in uso del metallo, che ammonta a 3,3 kt Nd o 56 g Nd pro capite. Un riciclo della riserva in uso potrebbe soddisfare l’attuale domanda di neodimio oltre al 2030. I risultati dell’MFA sono stati integrati con i fattori LCA di caratterizzazione di impatto ambientale, dimostrando che il riciclo potrebbe ridurre più dell’80% delle emissioni di gas serra e della energia richiesta associate alla produzione di neodimio primario. Si prevede che lo studio possa contribuire all’implementazione di politiche e strategie di rafforzamento della catena di approvvigionamento del neodimio.
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La domanda energetica mondiale è cresciuta significativamente negli ultimi decenni e la maggior parte dell’energia attualmente prodotta deriva da combustibili fossili. Una delle sfide attuali è quella di ridurre le emissioni di gas serra generate dalla produzione di energia tramite risorse non rinnovabili. A tal riguardo, la ricerca di nuovi vettori energetici e lo sviluppo di nuovi processi per la produzione di energia da risorse rinnovabili costituiscono alcuni tra gli elementi necessari per raggiungere tale obiettivo. L’idrogeno, allo stato attuale, è considerato uno dei vettori energetici più promettenti; tuttavia presenta degli svantaggi a causa delle sue caratteristiche chimico-fisiche. Infatti esso presenta un ampio campo di infiammabilità, una bassa energia di ignizione, delle dimensioni molecolari piccole al punto da renderne complesso il contenimento; inoltre, la bassa densità del fluido causa dei problemi per quanto riguarda lo stoccaggio ed il trasporto. In questo contesto si inserisce il presente lavoro di tesi, che è stato sviluppato durante un tirocinio svolto presso una società di ingegneria operante nel settore “Oil&gas”. Lo scopo di questo elaborato è quello di valutare la possibilità di convertire una condotta attualmente impiegata per il trasporto di gas naturale a idrogenodotto e studiare la fattibilità della produzione e dello stoccaggio di idrogeno ai fini dell’alimentazione a un turbogeneratore per la produzione di energia elettrica. Dopo il Capitolo 1 avente carattere introduttivo, nel Capitolo 2 viene analizzata la possibilità di convertire a idrogenodotto una condotta attualmente impiegata per il trasporto di gas naturale. Nel Capitolo 3 viene valutata la fattibilità dell’acquisto e stoccaggio o dell’autoproduzione e stoccaggio di idrogeno tramite elettrolisi dell’acqua, ai fini dell’alimentazione a un turbogeneratore. Infine, nel Capitolo 4 vengono riportate le conclusioni delle analisi effettuate.
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El debate sobre la descentralización en Chile ha tomado un nuevo impulso de demandas a través de diversas acciones colectivas regionalistas desarrolladas desde el año 2011, las que han establecido un "nuevo ciclo" marcado por redefiniciones de las relaciones entre Estado y sociedad. Este nuevo periodo se ha caracterizado por un fuerte debate político, el que ha enfrentado a distintas posiciones e intereses en torno a cómo lograr una descentralización que permita un doble virtuosismo: desarrollar grados crecientes de autonomía evitando el caudillismo y la captura de los entes subnacionales por grupos y mafias locales, a la vez que generar un proceso descentralizador que evite la cooptación y control desde el poder central. Problematizando en torno a este último punto, el presente artículo es una investigación descriptiva-exploratoria, con énfasis en lo teórico, que busca identificar dimensiones de éxito de una descentralización no cooptativa, que sirvan como insumo al proceso chileno. Para ello se concluye que los tres pilares fundamentales para alcanzar una descentralización autónoma sin cooptación del poder central son el fortalecimiento y autonomía financiera, la participación y democratización territorial y un proceso de institucionalización.
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El objetivo del trabajo fue lograr la reproducción experimental del ciclo evolutivo de Diphyllobothrium erinaceieuropei Rudolphi 1819 (Cestoda, Pseudophyllidea) con la intervención de Paracyclops fimbriatus y larvas de Bufo arenarum como hospedadores intermediarios y caninos como hospedadores definitivos. Los huevos del parásito se obtuvieron de heces de caninos infectados naturalmente y se conservaron refrigerados en agua. Se incubaron 7 días a 25°C para que desarrollaran los coracidios y se pusieron en recipientes que contenían a los copépodos mencionados. Al cabo de 12 días a 22,6°C (promedio) se hallaron procercoides maduros en ellos y se agregaron 10 renacuajos de Bufo arenarum. Estos se examinaron por disección 22, 23, 61 y 107 días después, hallándose en todos 1 o más plerocercoides (Temperatura promedio: 24,9°C). El día 23, de 6 renacuajos se obtuvieron 49 plerocercoides, de los cuales se administraron 28, por vía oral, a una perra. El día 107, 3 de 11 plerocercoides obtenidos de un renacuajo se le dieron a otra perra por la misma vía. Se hallaron huevos del cestode en las heces del primer canino a partir del día 22 posterior a la infección (p.i.) y a los 30 días p.i., segmentos de estróbila. En el segundo canino se hallaron huevos a los 30 días p.i..
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Esta revisión tiene tres objetivos básicos: a) estimular aún más la investigación de esta prevalente infección humana. b) examinar el arsenal de técnicas diagnósticas disponíbles al momento y, las nuevas pruebas descritas recientemente. c) enfatizar el significado que tiene, el parasitismo por el Trypanosoma (Herpetosoma) rangeli, en las áreas endémicas de la Enfermedad de Chagas distribuidas en las Américas Central y del Sur. Trypanosoma rangeli y Trypanosoma cruzi son parásitos que circulan superponiéndose en muchas áreas de Latinoamérica utilizando prácticamente los mismos triatominos vectores. Una vasta gama de especies de mamíferos han sido encontradas infectadas naturalmente con T. rangeli en diversos países. Se revisa la biología del parasitismo y el ciclo biológico del tripanosoma haciendo énfasis en este último. Infecciones crónicas por T. rangeli en el hombre pueden, serológicamente, ser confundidas con las del T. cruzi. Ambas especies presentan antígenos comunes que provocan las conocidas reacciones serológicas cruzadas. Desafortunadamente, no conocemos la real distribución de las infecciones por el T. rangeli en la mayoría de las áreas mencionadas. Nuevos estudios epidemiológicos son necesarios, para examinar el problema de las infecciones humanas mixtas, por estos tripanosomas.
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Se analizaron cuarenta pares de ovarios de hembras adultas de Peltocephalus dumerilianus (Schweigger 1812), para establecer los cambios morfológicos mensuales producidos durante un año. Se llevaron a cabo exámenes macroscópicos de los oviductos y de los ovarios de especímenes que los habitantes ribereños del municipio de Barcelos, Amazonas, Brasil, utilizaron para su consumo, usando metodológicamente la medida del diámetro y conteo de los folículos ováricos y de los cuerpos lúteos. Los resultados muestran la presencia gradual de folículos acorde con la época reproductiva, resaltando que durante el último tercio del proceso, justo antes de la postura se hacen más evidentes; se analiza la relación existente entre el tamaño de la hembra y la masa ovárica, la cual es estadísticamente significativa (F (10,29)=3,655, p < 0,05). Se hace evidente la existencia de una jerarquía ovario folicular que demuestra que para esta especie solo es posible fisiológicamente una postura por año.
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El trigo es uno de los cultivos más importantes de nuestra provincia que se realizan bajo condiciones de secano y consecuentemente expuesto a sequías temporarias. La deficiencia de agua es la principal causa de caída de los rendimientos reales de nuestra agricultura extensiva, oscilando dichas reducciones en alrededor del 30%. El déficit hídrico genera endógenamente un fuerte incremento en el nivel de especies activas del oxígeno y de oxidaciones de los principales elementos celulares. Consecuentemente, se ha propuesto que la tolerancia frente a dichas condiciones adversas estaría asociada a la capacidad de las plantas, fundamentalmente a nivel foliar, de adecuar el funcionamiento de su sistema de defensa antioxidante de cultivares de trigo con diferentes susceptibilidades frente a condiciones de estrés hídrico, a fin de determinar si dicho sistema antioxidante confiere mayor resistencia a la sequía y, en tal caso, establecer cuáles de sus componentes desempeñan un rol clave. El trabajo abarca las siguientes etapas iniciales: a) estudiar el efecto del estrés oxidativo y las especies activas del oxígeno sobre la actividad, cantidad y estabilidad de SOD y GR en hojas de trigo, cloroplastos y proteína aislada; b) caracterizar los cambios en la actividad del sistema antioxidante, tanto enzimático como no enzimático y correlacionarlos con las variaciones en parámetros hídricos, en variedades de trigo de comportamiento contrastante a la sequía, sometidas a déficit hídrico durante períodos críticos del ciclo de cultivo y c) puesta a punto de las condiciones de regeneración y transformación de trigo con construcciones correspondientes a enzimas antioxidantes. Una vez establecida la relación entre el comportamiento del sistema antioxidante, estrés oxidativo y la tolerancia a estrés hídrico será posible contribuir a la selección y creación, por técnicas de mejoramiento e ingeniería genética, de genotipos de trigo de mejor comportamiento frente a situaciones de sequía.
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Las variaciones en el crecimiento estacional de forraje de alfalfa en secano en la región central de Córdoba se explican por la alta relación entre las precipitaciones y la velocidad de crecimiento. (...) Considerando los rangos de temperatura óptima de crecimiento de alfalfa en la región, es posible el crecimiento de esta especie la mayor parte del año, siempre que se disminuya el déficit hídrico. (...) Se estima que si se dan las condiciones apropiadas de humedad es posible modificar el patrón de crecimiento prolongando el ciclo de utilización desde principio de septiembre hasta principios de julio y aumentando las producciones de verano; de esta manera se logrará un incremento del 30% en la producción de forraje. En los cultivos bajo riego se debe tener en cuenta los efectos negativos del exceso de humedad del suelo, que puede causar una disminución de la producción y persistencia de las pasturas por el efecto combinado de plagas y enfermedades. (...) Los cultivares de alfalfa que se comercializan actualmente poseen resistencia a la mayoría de las enfermedades, pero se desconoce su adaptación al riego y fertilización y su incidencia en la frecuencia e intensidad de enfermedades, plagas y malezas. A los fines de lograr un incremento en la producción y calidad del forraje de alfalfa se plantea como objetivo: Conocer la producción, persistencia y calidad del forraje de alfalfa bajo riego y fertilización y en la incidencia de los mismos sobre la frecuencia de aparición de enfermedades, plagas y malezas.
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Desde tiempos pre-hispánicos hasta nuestros días, el ñandú (Rhea americana) ha sido aprovechado por el hombre para la obtención de carne, cuero, plumas, grasa y huevos. Durante los últimos 50 años se produjo una intensa explotación de esta especie debido a la alta demanda comercial. (...) No obstante, debido a las particulares circunstancias socioeconómicas que atraviesan las distintas explotaciones agrícolas-ganaderas tradicionales argentinas y a las condiciones favorables del mercado tradicionales argentinas y a las condiciones favorables del mercado internacional, existe un creciente interés en desarrollar planes de manejo tendientes a lograr un aprovechamiento sustentable de esta especie. (...) En Argentina, debido a que la cría de ñandúes es una actividad incipiente, es escasa la información sobre las enfermedades que afectan a esta especie y datos sobre los valores normales o anormales de sus parámetros fisiológicos básicos. (...) Otro aspecto relevante para el manejo de especies amenazadas y de criaderos comerciales o experimentales, es la determinación de la viabilidad genética dentro y entre poblaciones. Esto permite implementar acciones destinadas a revertir la pérdida de variabilidad, a reducir el nivel de endogamia (por selección de planteles de cría), o a penalizar el tráfico ilegal de ejemplares. (...) Objetivo General Proporcionar un modelo de manejo de poblaciones de ñandú que asegure la conservación del recurso en el largo plazo y que brinde el marco para un aprovechamiento económicamente rentable y competitivo de este recurso faunístico. Objetivos Específicos 1. Desarrollar experiencias piloto de manejo de poblaciones de ñandú. 2. Verificar y calibrar la estructura y los parámetros que integran el modelo teórico que hemos desarrollado para explicar la dinámica poblacional de esta especie. 3. Definir parámetros clínicos normales y diagnosticar y caracterizar las enfermedades presentes en animales de distinta edad, durante un ciclo anual y bajo diferentes situaciones de manejo. 4. Elaborar y comprobar estrategias de control para las enfermedades halladas. 5. Poner a punto la técnica de estudio de ADN en ñandú y probar su utilidad para la identificación individual y para el análisis de poblaciones bajo manejo.
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El contra-transporte Na-Ca presente en células excitables es un sistema que, reversiblemente, puede introducir Ca de las células en intercambio por Na. La energía requerida para el transporte de Ca en contra de su gradiente electroquímico es provista por el gradiente de Na generado por la actividad de la Na+, K+- ATPasa. Por ello, aunque estos dos mecanismos funcionan independientemente uno del otro, están íntimamente ligados en la gestión integradora de la homeostasis iónica celular. (...) El presente plan consiste en dos subproyectos que estudiarán dos sistemas de transporte de cationes a través de la membrana celular estrechamente ligados entre sí. Estos son el contratransporte Na/Ca y el transporte activo Na/K que a su vez provee de energías (el gradiente de Na) para el funcionamiento del primero. Los estudios enfatizarán la regulación metabólica, su relevancia en la maduración y diferenciación celular y los intermediarios en los ciclos de reacción. (I) Subproyecto de Intercambio Na/Ca: Los objetivos que se persiguen son: (i) avanzar en la propiedades del sitio activador externo para cationes monovalentes (SAECM); (ii) analizar el ciclo de reacción en base a las propiedades del ciclo único tratando de establecer la cinética del sistema de unión de ligandos transportados (secuencial o ping pong); (iii) analizar el/los mecanismos asociados a la estimulación por MgATP. Si la fosforilación por ATP es requerida, identificar las reacciones y estructuras involucradas. Las preparaciones a utilizar incluyen células nerviosas en cultivo, vesículas de esas células y vesículas de cerebro total y de miocardio. (II) Transporte activo Na/K: el propósito es proveer información relevante al debate respecto del mecanismo por el cual K estimula la reacción de intercambio fosforil entre ATP y ADP y revierte la inhibición por Na exterior de la actividad Na-ATPasa, de la deforilación de E2P y del intercambio ATP-ADP. La preparación a utilizar será la Na+, K+- ATPasa purificada; la ubicación topográfica de sitios de interacción se efectuará utilizando la enzima incorporada en liposomas.
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La explotación caprina en amplias regiones de nuestro país y de la provincia de Córdoba constituye, para sectores marginales dedicados a esta explotación una importante fuente de recursos: carne, leche, cueros, entre otros. Las principales dificultades en esta actividad se originan en el desconocimiento de los mecanismos endocrinos que regulan la actividad reproductiva de la cabra. Datos obtenidos en trabajos previos nos han permitido describir el ciclo anual de reproducción en hembras de raza criolla (estación de actividad sexual y de anestro, ciclo estral, etc.). El proyecto que se presenta propone estudiar la participación del sistema serotoninérgico en la descarga preovulatoria de LH y la ovulación. Esto permitirá desarrollar técnicas para mejorar la sincronización y control de la actividad ovulatoria. (...)
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Para ajustar y optimizar la técnica de manejo del sistema siembra directa (SD), propuesto como principal alternativa de cambio para solucionar los graves problemas de erosión y pérdida de productividad, es necesario profundizar y ampliar el conocimiento de la dinámica de los factores que definen su comportamiento. En este caso y en una primera etapa se hará la caracterización de las variables de suelo (físicas y químicas) y planta (rendimiento y tenor de nutrientes en tejido), dentro de la provincia, a escala regional, contrastando sistemas de SD con variada historia cultural, establecidos en dos regiones geomorfológicas diferentes. Se plantean las siguientes hipótesis: 1. La oportuna roturación del horizonte superficial en el sistema de SD es necesaria a fin de revertir el proceso de densificación producido por la ausencia de laboreo. La roturación periódica conduce a otros efectos positivos para la producción, tales como la interrupción del ciclo de malezas, plagas y enfermedades y reciclado de materia orgánica acumulada en el período sin labranza. 2. El momento óptimo de interrupción del ciclo SD debe coincidir con el punto de máxima acumulación de materia orgánica, momento en el que se habrá alcanzado la máxima estabilidad estructural. Los Objetivos Específicos planteados son los siguientes: 1. Medir la evolución de las características químicas y físicas del suelo bajo cultivo en Siembra Directa. 2. Deteminar el rendimiento y sus componentes para las especies utilizadas en siembra directa en cada ciclo de cultivo. 3. Cuantificar la evolución de la cobertura vegetal en superficie y la dinámica del agua en el perfil.
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Casi todas las especies de eucaliptos son rústicas y de gran plasticidad, lo que les permite adaptarse a diversas condiciones de suelo y clima. Poseen la capacidad de producir, dentro de un ciclo relativamente corto, asombrosos volúmenes de madera; de recuperarse de la acción destructiva del fuego, la sequía y el ramoneo mediante mecanismos defensivos, así como de colonizar tierras degradadas por el uso irracional o suelos pobres por las condiciones ambientales limitantes. En Argentina se han introducido cerca de 140 especies, destacándose por la amplia superficie ocupada: E. grandis, E. saligna, E. camaldulensis, E. tereticornis, E. viminales, E. globulus var. globulus, E. cinerea, E. dunnii, entre otros. La producción maderera de algunas especies del género es, sin lugar a dudas, una de las más espectaculares entre todas las especies forestales. En buenas plantaciones es fácil encontrar crecimientos superiores a los 30m3/ha/año. La provincia de Córdoba no ha prestado mayor atención al cultivo de Eucalyptus. Actualmente existen alrededor de 4.215 hectáreas implantadas principalmente con E. vitaminalis, como cortinas rompevientos y macizos. La industrialización de estas especies en la provincia es de poca importancia. Existe, entre los productores y las industrias forestales una permanente inquietud por probar nuevas especies y orígenes que amplíen sus horizontes en un mercado cada vez más competitivo. El género Eucalyptus ofrece especies y orígenes alternativos que pueden adaptarse a distintas condiciones ambientales y diversos requerimientos del mercado. Es necesario identificar cuáles, entre ellos, son los más adecuados para el cultivo en Córdoba. El presente proyecto plantea, como objetivo general: identificar las especies y orígenes de eucaliptos más adecuados para su cultivo en tres regiones ecológicamente diferentes de la provincia de Córdoba.