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Agostino Mitelli (1609-1660) è una figura centrale nella vicenda artistica bolognese. Rinnova profondamente la quadratura, genere in cui opera maggiormente, e diventa il principale riferimento per le generazioni successive. Infatti ha un grande numero di allievi che si fanno interpreti del suo stile e le sue opere continuano ad essere studiate fino a Settecento inoltrato. Nel suo lavoro accorda una grande importanza al mezzo grafico, in cui eccelle e che considera strumento di verifica ed esercizio. Questa predilezione influenza anche i suoi seguaci: dopo la sua morte i suoi disegni diventano molto ricercati e vengono impiegati come repertori di soluzioni di quadratura ed elementi decorativi. Sono essi stessi strumento di studio e infatti ci è pervenuto un grande numero di copie ed esercizi in stile mitelliano. L'analisi sistematica di questo materiale anonimo e poco studiato mi ha permesso di individuare alcune delle personalità di maggiore spicco tra i suoi seguaci, quali Domenico Santi, Giacomo Antonio Mannini e Marc'Antonio Chiarini. Per valutare l'influenza dell'opera di Agostino presso le generazioni successive è centrale anche la produzione calcografica che analizzo a partire dalle quattro serie di elementi di ornato che egli stesso dà alle stampe e che riscuotono molto successo, come provano le numerose ristampe, anche francesi. Dopo la sua morte vengono incise diverse imprese che si riallacciano al suo operato: la prima è quella del figlio Giuseppe Maria Mitelli che pubblica alcuni suoi disegni. Seguono le serie di Santi, Buffagnotti, Mannini, Chiarini e diversi altri che comprendono anche quadratura e veduta e che spesso sono state riassemblate da editori e collezionisti. Anche le fonti affrontano la questione della dipendenza delle successive generazioni dagli stilemi di Agostino Mitelli, oltre a quelle a stampa ho studiato approfonditamente i manoscritti inediti dell'altro figlio di Agostino, Giovanni Mitelli, che forniscono molte nuove notizie.

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La ricerca affronta il rapporto tra il Partito comunista italiano e le organizzazioni della sinistra extraparlamentare nate nel biennio 1968-1969. Sulla base di documentazione d’archivio e fonti a stampa, vengono ricostruite ed analizzate le relazioni tra questi due soggetti nel periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, quando i principali gruppi politici della sinistra extraparlamentare si dotarono di una struttura organizzativa più stabile che segnava una discontinuità con l’esperienza precedente. Nel corso della prima metà degli anni Settanta, i rapporti tra il PCI e queste organizzazioni furono complessi e talvolta contraddittori. Il conflitto si consumò prevalentemente sulla reciproca pretesa di possedere l’esclusiva rappresentanza politica del fermento sociale che attraversava il paese in quegli anni: il PCI rappresentando se stesso come l’unica forza politica capace di mediare tra movimenti sociali e istituzioni; i gruppi della sinistra parlamentare come «avanguardie» di un irrealizzabile progetto «rivoluzionario».

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Lo studio si tratta di mettere in evidenza il cambiamento che ha subito il termine Oriente nel secolo XX in alcuni testi della letteratura italiana contemporanea. L’opera di Edward Said, L’Orientalismo è un testo di riferimento per i nostri studi. Nel quale abbiamo focalizzato l’attenzione su alcuni aspetti salienti: il concetto di orientalismo; l’interesse nei confronti dell’Oriente sul piano politico, scientifico, letterario; l’impossibilità di separare lo studioso dalle circostanze biografiche e sociali. Siamo riusciti, quindi, a stabilire che il cambiamento dell’immagine orientale dipende da tre fattori: lo scrittore (emittente), il soggetto (la fonte) ed il lettore (destinatario), dai quali si origina l’oggetto (il testo). Basandoci su questi tre elementi abbiamo cercato di inquadrare l’interesse letterario per l’Oriente vista da una triplice prospettiva: imperialismo, fascino ed erotismo. Per studiare le prime due prospettive, abbiamo scelto due opere. La prima presenta l’immagine dell’imperialismo, si tratta di Sanya, La moglie egiziana e il Romanzo dell’Oriente Moderno (1927) di Bruno Corra. La seconda prospettiva dove troviamo l’immagine dell’Oriente fascinoso è nello scritto di Annie Vivanti, La terra di Cleopatra (1925). Il punto centrale della tesi si tratta di studiare Annie Messina (1910-1996), è una scrittrice che ha uno stile peculiare ed un approccio tutto suo al tema dell’Oriente. I testi studiati sono : "Il mirto e la rosa" (1982), "Il banchetto dell'emiro" (1997) e "La principessa e il wâlî" (1996), tutti pubblicati dalla casa editrice Sellerio.L’unico pubblicato da Mondadori è "La palma di Rusafa" (1989). L’ultima parte del lavoro abbiamo esposto un profilo storico e socio-religioso della letteratura erotica araba. In cui abbiamo rintracciato le origini dell’immagine erotico dell’Oriente e il tema dell’omosessualità, mettendo a confronto il testo omosessuale di Messina con la letteratura italiana contemporanea.

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Approximately 25% of acute myeloid leukemias (AMLs) carry internal tandem duplications (ITD) of various lengths within the gene encoding the FMS-like tyrosine kinase receptor 3 (FLT3). Although varying duplication sites exist, most of these length mutations affect the protein´s juxtamembrane domain. FLT3-ITDs support leukemic transformation by constitutive phosphorylation resulting in uncontrolled activation, and their presence is associated with worse prognosis. As known form previous work, they represent leukemia- and patient-specific neoantigens that can be recognized by autologous AML-reactive CD8+ T cells (Graf et al., 2007; Graf et al., unpublished). Herein, in patient FL, diagnosed with FLT3-ITD+ AML and in first complete remission after induction chemotherapy, T cells against her leukemia´s individual FLT3-ITD were detected at a frequency up to 1.7x10-3 among peripheral blood CD8+ T lymphocytes. This rather high frequency suggested, that FLT3-ITD-reactive T cells had been expanded in vivo due to the induction of an anti-leukemia response.rnrnCell material from AML patients is limited, and the patients´ anti-leukemia T-cell repertoire might be skewed, e.g. due to complex previous leukemia-host interactions and chemotherapy. Therefore, allogeneic sources, i.e. buffy coats (BCs) from health donors and umbilical cord blood (UCB) donations, were exploited for the presence and the expansion of FLT3-ITD-reactive T-cell populations. BC- and UCB-derived CD8+ T cells, were distributed at 105 cells per well on microtiter plates and, were stimulated with antigen-presenting cells (APCs) transfected with in vitro-transcribed mRNA (IVT-mRNA) encoding selected FTL3-ITDs. APCs were autologous CD8- blood mononuclear cells, monocytes or FastDCs.rnrnBuffy coat lymphocytes from 19 healthy individuals were analyzed for CD8+ T-cell reactivity against three immunogenic FLT3-ITDs previously identified in patients VE, IN and QQ and designated as VE_, IN_ and QQ_FLT3-ITD, respectively. These healthy donors carried at least one of the HLA I alleles known to present an ITD-derived peptide from one of these FLT3-ITDs. Reactivities against single ITDs were observed in 8/19 donors. In 4 donors the frequencies of ITD-reactive T cells were determined and were estimated to be in the range of 1.25x10-6 to 2.83x10-7 CD8+ T cells. These frequencies were 1,000- to 10,000-fold lower than the frequency of autologous FLT3-ITD-reactive T cells observed in patient FL. Restricting HLA I molecules were identified in two donors. In one of them, the recognition of VE_FLT3-ITD was found to be restricted by HLA-C*07:02, which is different from the HLA allele restricting the anti-ITD T cells of patient VE. In another donor, the recognition of IN_FLT3-ITD was restricted by HLA-B*35:01, which also had been observed in patient IN (Graf et al., unpublished). By gradual 3´-fragmentation of the IN_FLT3-ITD cDNA, the 10-mer peptide CPSDNEYFYV was identified as the target of allogeneic T cells against IN_FLT3-ITD. rnLymphocytes in umbilical cord blood predominantly exhibit a naïve phenotype. Seven UCB donations were analyzed for T-cell responses against the FLT3-ITDs of patients VE, IN, QQ, JC and FL irrespective of their HLA phenotype. ITD-reactive responses against all stimulatory FLT3-ITDs were observed in 5/7 UCB donations. The frequencies of T cells against single FLT3-ITDs in CD8+ lymphocytes were estimated to be in the range of 1.8x10-5 to 3.6x10-6, which is nearly 15-fold higher than the frequencies observed in BCs. Restricting HLA I molecules were identified in 4 of these 5 positive UCB donations. They were mostly different from those observed in the respective patients. But in one UCB donation T cells against the JC_FLT3-ITD had exactly the same peptide specificity and HLA restriction as seen before in patient JC (Graf et al., 2007). Analyses of UCB responder lymphocytes led to the identification of the 10-mer peptide YESDNEYFYV, encoded by FL_FLT3-ITD, that was recognized in association with the frequent allele HLA-A*02:01. This peptide was able to stimulate and enrich ITD-reactive T cells from UCB lymphocytes in vitro. Peptide responders not only recognized the peptide, but also COS-7 cells co-transfected with FL_FLT3-ITD and HLA-A*02:01.rnrnIn conclusion, T cells against AML- and individual-specific FLT3-ITDs were successfully generated not only from patient-derived blood, but also from allogeneic sources. Thereby, ITD-reactive T cells were detected more readily and at higher frequencies in umbilical cord blood than in buffy coat lymphocytes. It occurred that peptide specificity and HLA restriction of allogeneic, ITD-reactive T cells were identical to autologous patient-derived T cells. As shown herein, allogeneic, FLT3-ITD-reactive T cells can be used for the identification of FLT3-ITD-encoded peptides, e.g. for future therapeutic vaccination studies. In addition, these T cells or their receptors can be applied to adoptive transfer.

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La definizione di «scrittura dell’interpretazione» comprime in una sola locuzione la descrizione dell’oggetto principale del nostro studio, ovvero il problema della trascrizione musicale, descritta, non tanto come un determinato genere musicale, quanto come una ragione di osmosi e interferenze tra il fatto compositivo e quello interpretativo. Ad una traversata di quel territorio ci si appresta incentrando la trattazione intorno alla figura e all’opera del giovane compositore e direttore Bruno Maderna, autore di diverse trascrizioni della cosiddetta musica antica (dall’Odhecaton A, Monteverdi, Viadana, Frescobaldi, Legrenzi, ed altri ancora). Attraverso gli esempi presentati si intende mostrare come l’approccio maderniano alla trascrizione musicale si giustifichi a partire dalla sua stessa teoria e pratica dell’interpretazione musicale, più che in base a concetti forti definiti sul versante della scrittura, quali ad esempio quelli di analisi e parodia. Pari attenzione si offre al contesto storico degli anni in cui egli gravita, opera e si afferma come musicista (1946-1952 circa), dedicando ampio spazio alle figure di Gian Francesco Malipiero, Angelo Ephrikian e Luigi Nono, autori a loro volta di trascrizioni e revisioni di opere del Cinquecento, del Seicento e del Settecento. Intorno ai loro rapporti viene fornita una documentazione significativa, in buona parte inedita o poco conosciuta dagli studiosi, resa disponibile grazie alle ricerche d’archivio di cui si avvantaggia la nostra trattazione.

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In questo lavoro si è avuta la possibilità di studiare e confrontare i reperti ceramici provenienti da tre recenti scavi condotti nella zona della Romagna dall’Università di Bologna: il monastero di San Severo a Classe (RA), il castello di Rontana (Brisighella-RA) e la pieve di S. Reparata a Terra del Sole (FC). Si tratta di scavi ancora inediti differenti tra loro sia per connotazione distrettuale di appartenenza che per tipologia insediativa La cesura cronologica che si è preso in esame va dal XIII a XV secolo. Il XIII secolo corrisponde a un periodo in cui si assiste ad una riapertura dei trasporti a lunga distanza e si diffonde la tendenza al trasferimento dei saperi tecnici da Oriente verso Occidente, fenomeno che include l’introduzione di nuove tecnologie produttive in campo ceramico come l’ingobbio e la maiolica in diversi centri urbani. Si passa poi attraverso il XIV secolo, momento in cui alcune produzioni, come quella della maiolica, raggiungono la loro massima diffusione, con una diversificazione qualitativa dei prodotti, raggiungendo anche l’ambito rurale, e si assiste alla moltiplicazione dei centri di produzione. Si arriva così al XV secolo periodo in cui iniziano ad affermarsi dei veri e propri centri produttivi “industriali”, rappresentativi anche di una specializzazione regionale dei prodotti di qualità medio-alta. La possibilità di confrontare materiali di siti così differenti tra loro ha dato modo di sottolineare analogie e differenze anche tra città e campagna, in un territorio come quello romagnolo che ancora risente del peso della lunga tradizione antiquaria che ha caratterizzato gli studi fino al secolo scorso.

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This work is focused on the translation of the first half of the novel Pontypool Changes Everything, written by Canadian author and screenplay writer Tony Burgess in 1998 and – quite surprisingly – still unpublished in Italy. Although the book disguises itself as a product for general consumption – more precisely as a tale of zombies – it is clear from the very beginning that the author is not interested in conforming to the conventions of the genre to which his work belongs. On the contrary, he seems to exploit the recent success of zombiea-pocalypse inspired stories to build up a more complex type of narrative. Nonetheless, he writes a story that introduces certain innovative elements in the rather repetitive and seemingly outworn genre, like the idea of a language-borne virus. Burgess, who has a graduate degree in semiotics, was by his own admission “insufferably preoccupied with literary malformations” when he wrote the book. As a matter of fact his narrative tackles issues – albeit superficially and always entertainingly – that seem to stem from the theories which originated in the field of linguistics around the second half of the twentieth century. It goes without saying that translating – as much as reading – such a book is both a difficult and compelling operation. As a translator you are required to constantly shift from one strategy to another, paying great attention to the semantic nuances of the written words whilst keeping in mind what the actual intention of the text is. Together with the book translation, this dissertation offers a brief introduction to the fundamental principles of translation and a detailed analysis of some of the translation problems posed by the novel.