968 resultados para Renaissance
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Starting from an original assumption that Ovid is one of the most influential and studied European mythographers from ancient times till at least the end of the XVII century, my research is about rediscovering Medusa's myth which has been brought to us from Metamorphosis during the period of time between the mid XVI and the last years of the XVII century. The main thread that leads the research trough English, French, Spanish and Italian Literatures gets particularly clarified in the crucial crux that binds the image of Gorgon, the protector of hight mysteries, tightly correlated to the goddess of knowledge, Minerva, and the attraction/dismay for knowing so far considered inaccessible but now perceived as possible (so more attractive than before) thanks to the scientific and geographic discoveries of the Renaissance.
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Il lavoro presentato ha come oggetto la ricostruzione tridimensionale della città di Bologna nella sua fase rinascimentale. Tale lavoro vuole fornire un modello 3D delle architetture e degli spazi urbani utilizzabile sia per scopi di ricerca nell’ambito della storia delle città sia per un uso didattico-divulgativo nel settore del turismo culturale. La base del lavoro è una fonte iconografica di grande importanza: l’affresco raffigurante Bologna risalente al 1575 e situato in Vaticano; questa è una veduta a volo d’uccello di grandi dimensioni dell’intero tessuto urbano bolognese all’interno della terza cerchia di mura. In esso sono rappresentate in maniera particolareggiata le architetture civili e ecclesiastiche, gli spazi ortivi e cortilivi interni agli isolati e alcune importanti strutture urbane presenti in città alla fine del Cinquecento, come l’area portuale e i canali interni alla città, oggi non più visibili. La ricostruzione tridimensionale è stata realizzata tramite Blender, software per la modellazione 3D opensource, attraverso le fasi di modellazione, texturing e creazione materiali (mediante campionamento delle principali cromie presenti nell’affresco), illuminazione e animazione. Una parte della modellazione è stata poi testata all’interno di un GIS per verificare l’utilizzo delle geometrie 3D come elementi collegabili ad altre fonti storiche relative allo sviluppo urbano e quindi sfruttabili per la ricerca storica. Grande attenzione infine è stata data all’uso dei modelli virtuali a scopo didattico-divulgativo e per il turismo culturale. La modellazione è stata utilizzata all’interno di un motore grafico 3D per costruire un ambiente virtuale interattivo nel quale un utente anche non esperto possa muoversi per esplorare gli spazi urbani della Bologna del Cinquecento. In ultimo è stato impostato lo sviluppo di un’applicazione per sistemi mobile (Iphone e Ipad) al fine di fornire uno strumento per la conoscenza della città storica in mobilità, attraverso la comparazione dello stato attuale con quello ricostruito virtualmente.
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Il lavoro è una riflessione sugli sviluppi della nozione di definizione nel recente dibattito sull'analiticità. La rinascita di questa discussione, dopo le critiche di Quine e un conseguente primo abbandono della concezione convenzionalista carnapiana ha come conseguenza una nuova concezione epistemica dell'analiticità. Nella maggior parte dei casi le nuove teorie epistemiche, tra le quali quelle di Bob Hale e Crispin Wright (Implicit Definition and the A priori, 2001) e Paul Boghossian (Analyticity, 1997; Epistemic analyticity, a defence, 2002, Blind reasoning, 2003, Is Meaning Normative ?, 2005) presentano il comune carattere di intendere la conoscenza a priori nella forma di una definizione implicita (Paul Horwich, Stipulation, Meaning, and Apriority, 2001). Ma una seconda linea di obiezioni facenti capo dapprima a Horwich, e in seguito agli stessi Hale e Wright, mettono in evidenza rispettivamente due difficoltà per la definizione corrispondenti alle questioni dell'arroganza epistemica e dell'accettazione (o della stipulazione) di una definizione implicita. Da questo presupposto nascono diversi tentativi di risposta. Da un lato, una concezione della definizione, nella teoria di Hale e Wright, secondo la quale essa appare come un principio di astrazione, dall'altro una nozione della definizione come definizione implicita, che si richiama alla concezione di P. Boghossian. In quest'ultima, la definizione implicita è data nella forma di un condizionale linguistico (EA, 2002; BR, 2003), ottenuto mediante una fattorizzazione della teoria costruita sul modello carnapiano per i termini teorici delle teorie empiriche. Un'analisi attenta del lavoro di Rudolf Carnap (Philosophical foundations of Physics, 1966), mostra che la strategia di scomposizione rappresenta una strada possibile per una nozione di analiticità adeguata ai termini teorici. La strategia carnapiana si colloca, infatti, nell'ambito di un tentativo di elaborazione di una nozione di analiticità che tiene conto degli aspetti induttivi delle teorie empiriche
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Lo scavo della chiesa di Santa MAria Maggiore ha permesso di acquisire nuove importanti informazioni sulla storia della città di Trento, sulla città tardo antica e sul processo di cristianizzazione. Il primo impianto ecclesiastico, datato a dopo la metà del V d. C. secolo, sorge su un precedente impianto termale realizzato intorno al II secolo d. C. ed appare caratterizzato da un forte carattere monumentale. La chiesa, a tre navate, presentava un presbiterio rialzato decorato in una prima fase da un opus sectile poi sostituito nel VI secolo da un mosaico policromo. Sono state rinvenute inoltre, parti consistenti della decorazione architettonica di fine VIII secolo pertinente questo stesso impianto che non subirà importanti modifiche fino alla realizzazione del successivo edificio di culto medievale, meno esteso e dai caratteri decisamente meno monumentali, caratterizzato dalla presenza di un esteso campo cimiteriale rinvenuto a nord della chiesa. A questo impianto ne succede un terzo, probabilmente a due navate, e dalla ricca decorazione pittorica demolito in età tardo rinascimentale per la realizzazione della chiesa attuale.
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Studies of organic fluorescent dyes are experiencing a renaissance related to the increasing demands posed by new microscopy techniques for high resolution and high sensitivity. While in the last decade single molecule equipment and methodology has significantly advanced and in some cases reached theoretical limits (e.g. detectors approaching unity quantum yields) unstable emission from chromophores and photobleaching become more and more the bottleneck of the advancement and spreading of single-molecule fluorescence studies. The main goal of this work was the synthesis of fluorophores that are water-soluble, highly fluorescent in an aqueous environment, have a reactive group for attachment to a biomolecule and posses exceptional photostability. An approach towards highly fluorescent, water-soluble and monofunctional perylene-3,4,9,10-tetracarboxdiimide and terrylene-3,4:11,12-tetra carboxidiimide chromophores was presented. A new synthetic strategy for the desymmetrization of perylenetetracarboximides was elaborated; water-solubility was accomplished by introducing sulfonyl substituents in the phenoxy ring. Two strategies have been followed relying on either non-specific or site specific labeling. For this purpose a series of new water-soluble monofunctional perylene and terrylene dyes, bearing amine or carboxy group were prepared. The reactivity and photophysical properties of these new chromophores were studied in aqueous medium. The most suitable chromophores were further derivatized with amine or thiol reactive groups, suitable for chemical modification of proteins. The performance of the new fluorescent probes was assessed by single molecule enzyme tracking, in this case phospholipase acting on phospholipid supported layers. Phospholipase-1 (PLA-1) was labeled with N-hydroxysuccinimide ester functionalized perylene and terrylene derivatives. The purification of the conjugates was accomplished by novel convenient procedure for the removal of unreacted dye from labeled enzymes, which involves capturing excess dye with a solid support. This novel strategy for purification of bioconjugates allows convenient and fast separation of labeled proteins without the need for performing time consuming chromatographic or electrophoretic purification steps. The outstanding photostability of the dyes and, associated therewith, the extended survival times under strong illumination conditions allow a complete characterization of enzyme action on its natural substrates and even connecting enzyme mobility to catalytic activity. For site-specific attachment of the rylene dyes to proteins the chromophores were functionalized with thioesters or nitrilotriacetic acid groups. This allowed attachment of the emitters to the N-terminus of proteins by native chemical ligation or complexation with His-tagged polypeptides at the N- or C-termini, respectively. The synthesis of a water-soluble perylenebis (dicarboximide) functionalized with a thioester group was presented. This chromophore exhibits an exceptional photostability and a functional unit for site-specific labeling of proteins. The suitability of the fluorophore as a covalent label was demonstrated via native chemical ligation with protein containing N-terminal cystein residue. We exploited also oligohisitidine sequences as recognition elements for site-selective labeling. The synthesis of a new water-soluble perylene chromophore, containing a nitrilotriacetic acid functional group was demonstrated, using solution-phase and solid-phase approaches. This chromophore combines the exceptional photophysical properties of the rylene dyes and a recognition unit for site-specific labeling of proteins. An important feature of the label is the unchanged emission of the dye upon complexation with nickel ions.
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Das Jahr 1989 markiert nicht nur den Beginn entscheidender geopolitischer Veränderungen, sondern gleichzeitig den Ursprung eines bedeutsamen Wandels in der internationalen Entwicklungszusammenarbeit. Mit der viel beachteten Studie ‚Sub-Saharan Africa – From Crisis to Sustainable Growth’ initiierte die Weltbank eine Debatte über die Relevanz institutioneller Faktoren für wirtschaftliche Entwicklung, die in den folgenden Jahren unter dem Titel ‚Good Governance’ erhebliche Bedeutung erlangte. Nahezu alle zentralen Akteure begannen, entsprechende Aspekte in ihrer praktischen Arbeit zu berücksichtigen, und entwickelten eigene Konzepte zu dieser Thematik. Wenn auch mit der Konzentration auf Institutionen als Entwicklungsdeterminanten eine grundlegende Gemeinsamkeit der Ansätze festzustellen ist, unterscheiden sie sich jedoch erheblich im Hinblick auf die Einbeziehung politischer Faktoren, so dass von einem einheitlichen Verständnis von ‚Good Governance’ nicht gesprochen werden kann. Während die meisten bilateralen Akteure sowie DAC und UNDP Demokratie und Menschenrechte explizit als zentrale Bestandteile betrachten, identifiziert die Weltbank einen Kern von Good Governance, der unabhängig von der Herrschaftsform, also sowohl in Demokratien wie auch in Autokratien, verwirklicht werden kann. Die Implikationen dieser Feststellung sind weit reichend. Zunächst erlaubt erst diese Sichtweise der Bank überhaupt, entsprechende Aspekte aufzugreifen, da ihr eine Berücksichtigung politischer Faktoren durch ihre Statuten verboten ist. Bedeutsamer ist allerdings, dass die Behauptung der Trennbarkeit von Good Governance und der Form politischer Herrschaft die Möglichkeit eröffnet, Entwicklung zu erreichen ohne eine demokratische Ordnung zu etablieren, da folglich autokratische Systeme in gleicher Weise wie Demokratien in der Lage sind, die institutionellen Voraussetzungen zu verwirklichen, welche als zentrale Determinanten für wirtschaftlichen Fortschritt identifiziert wurden. Damit entfällt nicht nur ein bedeutsamer Rechtfertigungsgrund für demokratische Herrschaft als solche, sondern rekurrierend auf bestimmte, dieser zu attestierende, entwicklungshemmende Charakteristika können Autokratien nun möglicherweise als überlegene Herrschaftsform verstanden werden, da sie durch jene nicht gekennzeichnet sind. Die Schlussfolgerungen der Weltbank unterstützen somit auch die vor allem im Zusammenhang mit der Erfolgsgeschichte der ostasiatischen Tigerstaaten vertretene Idee der Entwicklungsdiktatur, die heute mit dem Aufstieg der Volksrepublik China eine Renaissance erlebt. Der wirtschaftliche Erfolg dieser Staaten ist danach auf die überlegene Handlungsfähigkeit autokratischer Systeme zurückzuführen, während Demokratien aufgrund der Verantwortlichkeitsbeziehungen zwischen Regierenden und Regierten nicht in der Lage sind, die notwendigen Entscheidungen zu treffen und durchzusetzen. Die dargestellte Sichtweise der Weltbank ist allerdings von verschiedenen Autoren in Zweifel gezogen worden, die auch für ein im Wesentlichen auf technische Elemente beschränktes Good Governance-Konzept einen Zusammenhang mit der Form politischer Herrschaft erkennen. So wird beispielsweise vertreten, das Konzept der Bank bewege sich ausdrücklich nicht in einem systemneutralen Vakuum, sondern propagiere zumindest implizit die Etablierung demokratischer Regierungsformen. Im Übrigen steht die aus den Annahmen der Weltbank neuerlich abgeleitete Idee der Entwicklungsdiktatur in einem erheblichen Widerspruch zu der von multilateralen wie bilateralen Akteuren verstärkt verfolgten Förderung demokratischer Herrschaft als Mittel für wirtschaftliche Entwicklung sowie der fortschreitenden Verbreitung der Demokratie. Besteht nun doch ein Einfluss der Herrschaftsform auf die Verwirklichung von Good Governance als zentraler Entwicklungsdeterminante und kann zudem davon ausgegangen werden, dass Demokratien diesbezüglich Vorteile besitzen, dann ist eine Entwicklungsdiktatur keine denkbare Möglichkeit, sondern im Gegenteil demokratische Herrschaft der gebotene Weg zu wirtschaftlichem Wachstum bzw. einer Verbesserung der Lebensverhältnisse. Aufgrund der mit den Schlussfolgerungen der Weltbank verbundenen bedeutsamen Implikationen und der bisher weitestgehend fehlenden ausführlichen Thematisierung dieses Gegenstands in der Literatur ist eine detaillierte theoretische Betrachtung der Zusammenhänge zwischen den zentralen Elementen von Good Governance und demokratischer Herrschaft notwendig. Darüber hinaus sollen die angesprochenen Beziehungen auch einer empirischen Analyse unterzogen werden. Gegenstand dieser Arbeit ist deshalb die Fragestellung, ob Good Governance eine von demokratischer Herrschaft theoretisch und empirisch unabhängige Entwicklungsstrategie darstellt.
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La VI regio augustea di Roma rappresenta uno dei settori urbani maggiormente investiti dalle modifiche radicali compiute dall’uomo nel processo di urbanizzazione della città che ne hanno modificato profondamente la situazione altimetrica e la conformazione originaria. Questi notevoli cambiamenti ebbero origine sin dall’età antica, ma si intensificarono profondamente soprattutto nel periodo rinascimentale quando a partire da Pio IV e soprattutto con Sisto V, attivo in tante altre zone della città, si svilupparono numerose opere di rinnovamento urbanistico che incisero notevolmente sul volto e sulle caratteristiche della zona in esame. A partire dal Rinascimento fino ad arrivare ai grandi scavi della fine del 1800 tutto il quartiere incominciò a “popolarsi” di numerosi edifici di grande mole che andarono ad intaccare completamente le vestigia del periodo antico: la costruzione del Palazzo del Quirinale e dei vari palazzi nobiliari ma soprattutto la costruzione dei numerosi ministeri e della prima stazione Termini alla fine dell’800 comportarono numerosi sventramenti senza la produzione di una adeguata documentazione delle indagini di scavo. Questa ricerca intende ricostruire, in un’ottica diacronica, la topografia di uno dei quartieri centrali della Roma antica attraverso l’analisi dei principali fenomeni che contraddistinguono l’evoluzione del tessuto urbano sia per quanto riguarda le strutture pubbliche che in particolar modo quelle private. Infatti, il dato principale che emerge da questa ricerca è che questa regio si configura, a partire già dal periodo tardo-repubblicano, come un quartiere a vocazione prevalentemente residenziale, abitato soprattutto dall’alta aristocrazia appartenente alle più alte cariche dello Stato romano; oltre a domus ed insulae, sul Quirinale, vennero costruiti lungo il corso di tutta l’età repubblicana alcuni tra i più antichi templi della città che con la loro mole occuparono parte dello spazio collinare fino all’età tardoantica, rappresentando così una macroscopica e costante presenza nell’ingombro dello spazio edificato.
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Il percorso sui Frammenti di Erodoto è cronologico. L'introduzione presenta criteri di lavoro, un esempio di studio sul Proemio delle Storie e la struttura generale. Per ogni momento è preso in considerazione un fenomeno particolare con un esempio. Il primo caso è contemporaneo ad Erodoto. Si tratta di un test che riguarda la criticità di alcuni concetti chiave tradizionali: intertestualità e riferimenti letterali. Il secondo capitolo è uno studio sulla storiografica di IV secolo a.C., periodo di fioritura e determinazione delle norme del genere. Qui si mettono in luce la criticità dei frammenti multipli aprendo in questo modo ampie possibilità di ricerca. Il capitolo successivo, sulla tradizione papiracea mostra il passaggio storico tra la tradizione indiretta a la tradizione manoscritta e permette uno sguardo all'epoca alessandrina. Include un catalogo ed alcuni aggiornamenti. Il capitolo quinto pone invece problemi tradizionali di trasmissione delle tradizioni storiche affrontando lo studio di FGrHist 104, testo che permette di osservare passaggi della storiografia di quinto e quarto secolo avanti Cristo. I due capitoli sulle immagini e sul Rinascimento, paralleli per quanto riguarda i riferimenti cronologici, offrono un ponte per passare dal discorso storiografico a quello in cui la consapevolezza di Erodoto è già maturata come parte della ”cultura”. Alto Medioevo, Umanesimo e Rinascimento offrono spazio a storie delle Storie che iniziano ad essere quasi di ricezione di Erodoto. Questo tema è l'oggetto dei due capitoli finali, studi legati alla presenza o assenza di Erodoto in discipline e pensieri moderni e contemporanei: il pensiero di genere e l’analisi conversazionale. Le appendici completano soprattutto il capitolo su Aristodemo con uno studio sul codice che lo trasmette, il papiro P.Oxy 2469 e il testo stesso, con traduzione e commento storico. Il lavoro si completa con una premessa, una bibliografia strutturata e indici di persone e passi citati.
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Ferrara è tra le città con le quali Piero Bottoni (1903-1973) ha istaurato un rapporto proficuo e duraturo che gli permise di elaborare molti progetti e che fu costante lungo quasi tutta la parabola professionale dell’autore milanese. Giunto nella città estense nei primi anni Trenta, vi lavorò nei tre decenni successivi elaborando progetti che spaziavano dalla scala dell’arredamento d’interni fino a quella urbana; i diciannove progetti studiati, tutti situati all’interno del centro storico della città, hanno come tema comune la relazione tra nuova architettura e città esistente. Osservando un ampio spettro di interventi che abbracciava la progettazione sull'esistente come quella del nuovo, Bottoni propone una visione dell'architettura senza suddivisioni disciplinari intendendo il restauro e la costruzione del nuovo come parti di un processo progettuale unitario. Sullo sfondo di questa vicenda, la cultura ferrarese tra le due guerre e nel Dopoguerra si caratterizza per il continuo tentativo di rendere attuale la propria storia rinascimentale effettuando operazioni di riscoperta che con continuità, a discapito dei cambiamenti politici, contraddistinguono le esperienze culturali condotte nel corso del Novecento. Con la contemporanea presenza durante gli anni Cinquanta e Sessanta di Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato, Samonà, Bassani e Ragghianti, tutti impegnati nella costruzione dell’immagine storiografica della Ferrara rinascimentale, i caratteri di questa stagione culturale si fondono con i temi centrali del dibattito architettonico italiano e con quello per la salvaguardia dei centri storici. L’analisi dell’opera ferrarese di Piero Bottoni è così l’occasione per mostrare da un lato un carattere peculiare della sua architettura e, dall’altro, di studiare un contesto cultuale provinciale al fine di mostrare i punti di contatto tra le personalità presenti a Ferrara in quegli anni, di osservarne le reciproche influenze e di distinguere gli scambi avvenuti tra i principali centri della cultura architettonica italiana e un ambito geografico solo apparentemente secondario.
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Negli anni Ottanta si assiste tanto nel vecchio quanto nel nuovo continente alla rinascita del movimento antinucleare. Mentre in Europa l’origine di questa ondata di proteste antinucleari è collegata alla “doppia decisione” NATO del 1979, negli Stati Uniti la genesi si colloca nel contesto dalla mobilitazione dei gruppi ambientalisti in seguito all’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island. Dopo l’elezione di Ronald Reagan, alle proteste contro le applicazioni pacifiche dell’atomo si affiancarono quelle contro la politica nucleare del Paese. La retorica di Reagan, il massiccio piano di riarmo, unitamente al rinnovato deteriorarsi delle relazioni tra USA e URSS contribuirono a diffondere nell’opinione pubblica la sensazione che l’amministrazione Reagan, almeno da un punto di vista teorico, non avesse escluso dalle sue opzioni il ricorso alle armi nucleari nel caso di un confronto con l’URSS. I timori legati a questa percezione produssero una nuova ondata di proteste che assunsero dimensioni di massa grazie alla mobilitazione provocata dalla Nuclear Weapons Freeze Campaign (NWFC). Il target della NWFC era l’ampio programma di riarmo nucleare sostenuto da Reagan, che secondo gli attivisti nucleari, in un quadro di crescenti tensioni internazionali, avrebbe fatto aumentare le possibilità di uno scontro atomico. Per evitare lo scenario dell’olocausto nucleare, la NWFC proponeva «un congelamento bilaterale e verificabile del collaudo, dell’installazione e della produzione di armi nucleari». L’idea del nuclear freeze, che era concepito come un passo per fermare la spirale del riarmo e tentare successivamente di negoziare riduzioni negli arsenali delle due superpotenze, riscosse un tale consenso nell’opinione pubblica americana da indurre l’amministrazione Reagan a formulare una risposta specifica. Durante la primavera del 1982 fu, infatti, creato un gruppo interdipartimentale ad hoc, l’Arms Control Information Policy Group, con il compito di arginare l’influenza della NWFC sull’opinione pubblica americana e formulare una risposta coerente alle critiche del movimento antinucleare.
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Principales aportaciones: Elenco actualizado y más completo de “serlianas” hasta el momento, incluyendo el más amplio repertorio numismático e iconográfico sobre el tema. Visión de conjunto crítica de la “serliana” y motivos afines en la Antigüedad, la Edad Media y el Renacimiento, atendiendo a una selección de ejemplos en todos los formatos posibles (arquitectura e iconografía). Inclusión y explicación de la “serliana” dentro de los avances de la arquitectura romana, con atención a las fuentes escritas. Identificación de las principales áreas de origen y desarrollo de la “serliana”. Explicación de las causas y resultados de los procesos de innovación arquitectónica. Demostración de la llegada de la “serliana” a Hispania mucho antes que el disco de Teodosio. Indagación en las funciones y posibles implicaciones simbólicas de ejemplos de “serliana”. Hipótesis sobre el papel desempeñado por las arquitecturas efímeras. Hipótesis sobre el papel de la arquitectura militar en época romana para la difusión de la “serliana”. Comentario crítico de la situación de la “serliana” en la Antigüedad Tardía y visión general de sus procesos de transferencia y metamorfosis. Demostración de la pervivencia de la “serliana” en la Edad Media. Análisis de la arcada triple como posible sustituto de la “serliana”. Comentario crítico de los dibujos tardomedievales y renacentistas sobre la “serliana” y su relación con el estudio contemporáneo de los monumentos antiguos. Identificación de ejemplos y comentario crítico de la situación de la “serliana” en la Italia del Quattrocento y del Cinquecento. Análisis de las confluencias de la “serliana” Italia-España y evolución del motivo en este último ámbito. Demostración de las novedades propias del ámbito hispano.
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La presente ricerca si occupa della figura di Marco Zoppo, pittore e artista poliedrico, nato a Cento, in Emilia, intorno al 1432. L'indagine si concentra soprattutto sugli esordi e la prima maturità di questo artista, che lo videro attivo in centri importanti come Bologna e Padova e Venezia.
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Con le "Imagini degli dei degli antichi", pubblicate a Venezia nel 1556 e poi in più edizioni arricchite e illustrate, l’impegnato gentiluomo estense Vincenzo Cartari realizza il primo, fortunatissimo manuale mitografico italiano in lingua volgare, diffuso e tradotto in tutta l’Europa moderna. Cartari rimodula, secondo accenti divulgativi ma fedeli, fonti latine tradizionali: come le ricche "Genealogie deorum gentilium" di Giovanni Boccaccio, l’appena precedente "De deis gentium varia et multiplex historia" di Lilio Gregorio Giraldi, i curiosi "Fasti" ovidiani, da lui stesso commentati e tradotti. Soprattutto, però, introduce il patrimonio millenario di favole ed esegesi classiche, di aperture egiziane, mediorientali, sassoni, a una chiave di lettura inedita, agile e vitalissima: l’ecfrasi. Le divinità e i loro cortei di creature minori, aneddoti leggendari e attributi identificativi si susseguono secondo un taglio iconico e selettivo. Sfilano, in trionfi intrisi di raffinato petrarchismo neoplatonico e di emblematica picta poesis rinascimentale, soltanto gli aspetti figurabili e distintivi dei personaggi mitici: perché siano «raccontate interamente» tutte le cose attinenti alle figure antiche, «con le imagini quasi di tutti i dei, e le ragioni perché fossero così dipinti». Così, le "Imagini" incontrano il favore di lettori colti e cortigiani eleganti, di pittori e ceramisti, di poeti e artigiani. Allestiscono una sorta di «manuale d’uso» pronto all’inchiostro del poeta o al pennello dell’artista, una suggestiva raccolta di «libretti figurativi» ripresi tanto dalla maniera di Paolo Veronese o di Giorgio Vasari, quanto dal classicismo dei Carracci e di Nicolas Poussin. Si rivelano, infine, summa erudita capace di attirare appunti e revisioni: l’antiquario padovano Lorenzo Pignoria, nel 1615 e di nuovo nel 1626, vi aggiunge appendici archeologiche e comparatistiche, interessate al remoto regno dei faraoni quanto agli esotici idoli orientali e dei Nuovi Mondi.
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Il progetto si concentra sull’analisi ed il commento del libro dei conti di Lorenzo Lotto. Esso viene conservato nell’Archivio storico della Santa Casa di Loreto, ed è meglio conosciuto con il nome apocrifo di Libro di spese diverse. Possiamo considerarlo uno dei più significativi documenti del Rinascimento italiano: infatti esso ci parla dei rapporti che l’artista ha intessuto con committenti, colleghi ed amici, rivelando tanto la sua condotta di vita che la sua attività. È una ricerca che tenta di concentrarsi sull’artista attraverso una lettura più corretta di questa fonte: infatti in passato il Libro di spese diverse era considerato un diario e studiato attraverso una visione non consona al genere di riferimento.
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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.