985 resultados para principio dei lavori virtuali


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Il mio percorso universitario presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” inizia nell’anno accademico 2005-2006. Da allora ad oggi ho avuto modo di sviluppare particolarmente alcuni temi, oggetto di lavori realizzati nel corso dei miei studi. L’attività di progettazione svolta ogni anno mi ha permesso di acquisire il modus operandi proprio di un progetto di architettura e allo stesso tempo di porre l’attenzione su alcuni argomenti, che a mio avviso, devono essere sempre affrontati da chi ha intenzione di svolgere il mestiere dell’architetto. Durante i corsi di Composizione Architettonica ed Urbanistica frequentati, ho avuto l’occasione di mettere in luce un aspetto che ritengo estremamente importante, anzi addirittura fondante, che potrebbe essere definito come “progetto di suolo”. Il suolo per un architetto rappresenta la condizione fisica essenziale affinché un oggetto architettonico possa essere costruito, ma in realtà esso non è un puro elemento di supporto per l’architettura, quanto piuttosto un “tema” che offre una molteplicità di risposte e soprattutto di possibilità per il progettista. Il costruito nel suo essere sintetico racchiude un duplice significato: da un lato implica la presenza tangibi-le di una manufatto architettonico, ma dall’altro rinvia anche alla dimensione del vuoto, da intendersi come complesso di spazi pubblici e collettivi, che assieme all’architettura generano la città o una sua parte. Nel corso degli studi ho avuto sempre l’occasione di riflettere sul peso che il “suolo” riveste all’interno di un progetto: la sua morfologia, la sua struttura e quindi il suo disegno, il suo trattamento e la sua gestione, sono aspetti che ogni volta fondano e precisano l’idea progettuale. Mi sono sempre chiesta come l’architettura potesse dialogare con il paesaggio circostante, con la superfi-cie sulla quale si innesta, con la città: essa non è un oggetto puramente introverso ma deve necessaria-mente instaurare una relazione con ciò che la circonda, in modo da poter giustificare la sua stessa pre-senza. Il filo conduttore che lega i progetti qui selezionati e presentati è dunque il progetto del suolo, inscindibile rispetto al progetto architettonico e avente pari valore: esso rappresenta un elemento fondativo che si pone in dialogo diretto, continuo e soprattutto reciproco con l’architettura.

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Il lavoro di ricerca tenta di inquadrare sotto nuove prospettive una problematica ormai classica all’interno della semiotica della pubblicità: l’analisi dello spot. I punti chiave del lavoro – e la pretesa di una certa differenza rispetto a lavori con oggetti affini – consistono sostanzialmente in tre aspetti. Innanzitutto, vi è un ritorno alle origini flochiane nella misura in cui non solo il contesto complessivo e le finalità che la ricerca si propone sono fortemente ancorati all’interno di obiettivi di marketing, ma tutto lo studio nella sua interezza nasce dal dialogo concreto tra metodologia di analisi semiotica e prassi concreta all’interno degli istituti di ricerca di mercato. La tesi non presenta quindi una collezione di analisi di testi pubblicitari condotte in modo autoriferito, quanto piuttosto di “messe alla prova” della metodologia, funzionali alla definizione di disegni di ricerca per la marketing research. Questo comporta un dialogo piuttosto stretto con metodologie affini (sociologia qualitativa e quantitativa, psicologia motivazionale, ecc.) nella convinzione che la priorità accordata all’oggetto di analisi sia sovraordinata rispetto all’ortodossia degli strumenti metodologici. In definitiva, lo spot è sempre e comunque analizzato all’interno di una prospettiva brand-centrica che ha ben in mente la semiotica della situazione di consumo rispetto alla quale lo spot agisce da leva di valorizzazione per l’acquisto. In secondo luogo, gli oggetti analizzati sono piuttosto vari e differenziati: non solo lo spot nella sua versione audiovisiva definitiva (il “girato”), ma anche storyboard, animatic, concept (di prodotto e di comunicazione). La prospettiva generativa greimasiana va a innestarsi su problematiche legate (anche) alla genesi dello spot, alla sua progettazione e riprogettazione/ottimizzazione. La tesi mostra quindi come una semiotica per le consulenze di marketing si diriga sul proprio oggetto ponendogli domande ben circoscritte e finalizzate a un obiettivo specifico, sostanzialmente derivato dal brief contenente le intenzioni comunicazionali del cliente-azienda. Infine, pur rimanendo all’interno di una teoria semiotica generativa (sostanzialmente greimasiana e post greimasiana), la ricerca adotta una prospettiva intrinsecamente multidisciplinare che se da un lato guarda a problematiche legate al marketing, al branding e alla comunicazione pubblicitaria e d’impresa tout court, dall’altro ritorna alle teorie dell’audiovisivo, mostrando affinità e differenze rispetto a forme audiovisive standard (il “film”) e a mutuazioni da nuove estetiche (la neotelevisione, il videoclip, ecc). La tesi si mostra solidamente convinta del fatto che per parlare di efficacia discorsiva sia imprescindibile approfondire le tematiche riguardanti il sincretismo espressivo e le specifiche modalità di manifestazione stilistica. In questo contesto, il lavoro si compone di quattro grandi aree tematiche. Dopo una breve introduzione sull’attualità del tema “spot” e sulla prospettiva analiticometodologica adottata (§ 1.), nel secondo capitolo si assume teoreticamente che i contenuti dello spot derivino da una specifica (e di volta in volta diversa) creolizzazione tra domini tematici derivanti dalla marca, dal prodotto (inteso tanto come concept di prodotto, quanto come prodotto già “vestito” di una confezione) e dalle tendenze socioculturali. Le tre dimensioni vengono valutate in relazione all’opposizione tra heritage, cioè continuità rispetto al passato e ai concorrenti e vision, cioè discontinuità rispetto alla propria storia comunicazionale e a quella dei concorrenti. Si esplorano inoltre altri fattori come il testimonial-endorser che, in quanto elemento già intrinsecamente foriero di elementi di valorizzazione, va a influire in modo rilevante sul complesso tematico e assiologico della pubblicità. Essendo la sezione della tesi che prende in considerazione il piano specificatamente contenutistico dello spot, questa parte diventa quindi anche l’occasione per ritornare sul modello delle assiologie del consumo di Jean-Marie Floch, approntando alcune critiche e difendendo invece un modello che – secondo la prospettiva qui esposta – contiene punti di attualità ineludibili rispetto a schematizzazioni che gli sono successive e in qualche modo debitrici. Segue una sezione (§ 3.) specificatamente dedicata allo svolgimento e dis-implicazione del sincretismo audiovisivo e quindi – specularmente alla precedente, dedicata alle forme e sostanze del contenuto – si concentra sulle dinamiche espressive. Lo spot viene quindi analizzato in quanto “forma testuale” dotata di alcune specificità, tra cui in primis la brevità. Inoltre vengono approfondite le problematiche legate all’apporto di ciascuna specifica sostanza: il rapporto tra visivo e sonoro, lo schermo e la sua multiprospetticità sempre più evidente, il “lavoro” di punteggiatura della musica, ecc. E su tutto il concetto dominante di montaggio, intrinsecamente unito a quello di ritmo. Il quarto capitolo ritorna in modo approfondito sul rapporto tra semiotica e ricerca di mercato, analizzando sia i rapporti di reciproca conoscenza (o non conoscenza), sia i nuovi spazi di intervento dell’analisi semiotica. Dopo aver argomentato contro un certo scetticismo circa l’utilità pragmatica dell’analisi semiotica, lo studio prende in esame i tradizionali modelli di valutazione e misurazione dell’efficacia pubblicitaria (pre- e post- test) cercando di semiotizzarne il portato. Ne consegue la proposta di disegni di ricerca semiotici modulari: integrabili tra loro e configurabili all’interno di progetti semio-quali-quantitativi. Dopo aver ridefinito le possibilità di un’indagine semiotica sui parametri di efficacia discorsiva, si procede con l’analisi di un caso concreto (§ 5.): dato uno spot che si è dimostrato efficace agli occhi dell’azienda committente, quali possono essere i modi per replicarne i fattori di successo? E come spiegare invece quelli di insuccesso delle campagne successive che – almeno teoricamente – erano pensate per capitalizzare l’efficacia della prima? Non si tratta quindi di una semiotica ingenuamente chiamata a “misurare” l’efficacia pubblicitaria, che evidentemente la marketing research analizza con strumenti quantitativi assodati e fondati su paradigmi di registrazione di determinati parametri sul consumatore (ricordo spontaneo e sollecitato, immagine di marca risultante nella mente di user e prospect consumer, intenzione d’acquisto stimolata). Piuttosto l’intervento qui esposto si preoccupa più funzionalmente a spiegare quali elementi espressivi, discorsivi, narrativi, siano stati responsabili (e quindi prospetticamente potranno condizionare in positivo o in negativo in futuro) la ricezione dello spot. L’analisi evidenzia come elementi apparentemente minimali, ancorati a differenti livelli di pertinenza siano in grado di determinare una notevole diversità negli effetti di senso. Si tratta quindi di un problema di mancata coerenza tra intenzioni comunicative e testo pubblicitario effettivamente realizzato. La risoluzione di tali questioni pragmatiche conduce ad approfondimenti teoricometodologici su alcuni versanti particolarmente interessanti. In primo luogo, ci si interroga sull’apporto della dimensione passionale nella costruzione dell’efficacia e nel coinvolgimento dello spettatore/consumatore. Inoltre – e qui risiede uno dei punti di maggior sintesi del lavoro di tesi – si intraprende una proficua discussione dei modelli di tipizzazione dei generi pubblicitari, intesi come forme discorsive. Si fanno quindi dialogare modelli diversi ma in qualche misura coestensivi e sovrapponibili come quelli di Jean Marie Floch, Guido Ferraro, Cosetta Saba e Chiara Giaccardi. Si perviene così alla costruzione di un nuovo modello sintetico, idealmente onnipervasivo e trasversale alle prospettive analizzate.

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L’ecografia è la metodica diagnostica più utilizzata come screening e follow-up nei pazienti epatopatici con o senza lesioni focali e questo grazie alle sue peculiari caratteristiche, che sono date dall’essere real-time, maneggevole, priva di radiazioni ionizzanti e con bassi costi. Tuttavia tale metodica se confrontata con la TC o la RMN, può avere importanti limiti, quali l’impossibilità di visualizzare piccole lesioni localizzate in aree anatomicamente “difficili” o in pazienti obesi, che sono già state identificate con altre tecniche, come la TC o la RMN. Per superare queste limitazioni sono stati introdotti dei sistemi di “fusione d’immagine” che consentono di sincronizzare in tempo reale una metodica real time con bassa risoluzione spaziale come l’ecografia ed una statica ad alta risoluzione come la TC o la RMN. Ciò si ottiene creando attorno al paziente un piccolo campo elettromagnetico costituito da un generatore e da un rilevatore applicato al trasduttore ecografico ed introducendo in un computer abbinato all’ecografo il “volume rendering” dell’addome del paziente ottenuto mediante TC multistrato o RM. Il preciso “ appaiamento spaziale “ delle due metodiche si ottiene individuando in entrambe lo stesso piano assiale di riferimento e almeno 3-4 punti anatomici interni. Tale sistema di fusione d’immagine potrebbe essere molto utile in campo epatologico nella diagnostica non invasiva del piccolo epatocarcinoma, che secondo le ultime linee guida, nei noduli di dimensioni fra 1 e 2 cm, richiede una concordanza nel comportamento contrastografico della lesione in almeno due tecniche d’immagine. Lo scopo del nostro lavoro è stato pertanto quello di valutare, in pazienti epatopatici, il contributo che tale sistema può dare nell’identificazione e caratterizzazione di lesioni inferiori a 20 mm, che erano già state identificate alla TC o alla RMN come noduli sospetti per HCC, ma che non erano stati visualizzati in ecografia convenzionale. L’eventuale re-identificazione con l’ecografia convenzionale dei noduli sospetti per essere HCC, può permettere di evitare, alla luce dei criteri diagnostici non invasivi un’ ulteriore tecnica d’immagine ed eventualmente la biopsia. Pazienti e Metodi: 17 pazienti cirrotici (12 Maschi; 5 Femmine), con età media di 68.9 +/- 6.2 (SD) anni, in cui la TC e la RMN con mezzo di contrasto avevano identificato 20 nuove lesioni focali epatiche, inferiori a 20 mm (13,6 +/- 3,6 mm), sospette per essere epatocarcinomi (HCC), ma non identificate all’ecografia basale (eseguita in cieco rispetto alla TC o alla RMN) sono stati sottoposti ad ecografia senza e con mezzo di contrasto, focalizzata su una zona bersaglio identificata tramite il sistema di fusione d’immagini, che visualizza simultaneamente le immagini della TC e della RMN ricostruite in modalità bidimensionale ( 2D), tridimensionale ( 3 D) e real-time. La diagnosi finale era stata stabilita attraverso la presenza di una concordanza diagnostica, secondo le linee guida internazionali o attraverso un follow-up nei casi di discordanza. Risultati: Una diagnosi non invasiva di HCC è stata raggiunta in 15/20 lesioni, inizialmente sospettate di essere HCC. Il sistema di fusione ha identificato e mostrato un comportamento contrastografico tipico in 12/15 noduli di HCC ( 80%) mentre 3/15 HCC (20%) non sono stati identificati con il sistema di fusione d’immagine. Le rimanenti 5/20 lesioni non sono state visualizzate attraverso i sistemi di fusione d’immagine ed infine giudicate come falsi positivi della TC e della RMN, poiché sono scomparse nei successivi mesi di follow-up e rispettivamente dopo tre, sei, nove, dodici e quindici mesi. Conclusioni: I nostri risultati preliminari mostrano che la combinazione del sistema di fusione dell’immagine associata all’ecografia senza e con mezzo di contrasto (CEUS), migliora il potenziale dell’ecografia nell’identificazione e caratterizzazione dell’HCC su fegato cirrotico, permettendo il raggiungimento di una diagnosi, secondo criteri non invasivi e slatentizzazndo casi di falsi positivi della TC e della RMN.

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Spesso il termine virtuale viene associato ad un mondo immateriale, lontano dalla realtà e distante dagli elementi più concreti che la caratterizzano. La virtualità, tuttavia, non è solo questo. Se considerata, come lo stesso Levy sostiene, un mondo che non si contrappone al reale (ma all’attuale), anzi lo potenzia e lo rafforza, il suo valore e l’idea di essa cambiano notevolmente. Già la fotografia, il cinema, la televisione possono essere considerate, ancora prima della più moderna realtà virtuale e delle innovative tecnologie forme di virtualità. Il loro utilizzo largamente diffuso ha ampliato le potenzialità del concreto ed è oggi apprezzato e utilizzato da tutti. Il nostro progetto nasce dalla volontà di sperimentare le nuove forme del virtuale associandole al campo dell’architettura per potenziarne la conoscenza didattica, la diffusione e trasmettere gli importanti contenuti che le sottendono in maniera chiara ed efficace. Il progetto sviluppato affronta un tema concreto di concept di museo virtuale su web e una proposta di installazione interattiva all’interno del salone di Palazzo Barbaran a Vicenza. A cardine di questi due lavori vi è il lascito Palladiano, a cominciare dallo sprawl di ville, palazzi e chiese diffusi nel paesaggio Veneto, passando per i progetti ideali rimasti solo su carta e concludendo con la sua opera bibliografica più famosa: I quattro libri dell’architettura. Palladio e il digitale è dunque un progetto che vuole dimostrare l’importanza e la versatilità delle installazioni virtuali, quali strumenti utili all’apprendimento e alla trasmissione della conoscenza, e dall’altro rispondere concretamente ai cambiamenti della società, cercando, attraverso queste sperimentazioni, di definire anche i nuovi caratteri dell’ evoluzione museale.

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This work is an analysis of integrated urban waste management in the province of Bologna. It consists of five chapters and one enclosure. Primarily, it focuses on the legislative framework at european, national and local level. Then the study analyses the situation of urban waste system adopted in the reference territory from 2003 to 2007 to show its evolution process. Chapter 3 is based on considerations about the percentage of effective recover of materials derived from separate collection that has been reached in the province of Bologna in 2006. The following chapter describes the urban waste management at national level using dates of 2005 and 2006 by APAT (National Agency for environmental protection). Then, it has been made a comparison with Emilia-Romagna and district of Bologna. Chapter 5 focuses on the description of innovative strategies introduced in the district of Bologna to increase separate collection level and optimize waste management. In particular, it analyses two sperimental projects: one based on door to door collection and the other founded on an integrated collection system which provides the application of two collection models (door to door collection in industrial areas and collection by containers in urban ones). Finally, in the enclosure, it is also descrided best practices of waste management sector about collection models, treatment plants and innovative strategies available at that moment in Europe.

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Descrive le caratteristiche chimico fisiche del combustibile derivato dai rifiuti, il suo processo produttivo e i suoi utilizzi. Nella parte finale analizza un impianto di produzione del CDR situato a Cavallino( LE) e una centrale termoelettrica a Massafra (TA) che lo utilizza.

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This study fits into the context of activities aim at waste bioremediation and valorization through the production of energy according to principles of environmental sustainability. The experimental work was carried out at the laboratories of the Department of Civil Engineering, Environmental and Materials (DICAM) of the Faculty of Engineering. The main objective was to enhance the treatment of high organic loading waste, such as manure and cheese whey, through advanced anaerobic digestion systems in order to obtain biogas rich in methane. On the basis of the premise that the environmental conditions pertaining in most anaerobic wastewater digesters are not optimal for both fermentative and methanogenic microorganisms, the research was particularly focused on the implementation of two-phase anaerobic digesters. In fact a two-phase process permits selection and enrichment of different bacteria in each digester by independently controlling the digester operating conditions. Thus, the first phase (acidogenesis) can be operated to optimize acidogenic growth and the second phase (methanogenesis) to optimize methanogenic growth. (Ince O. , 1998). Before reactors’ set up, , some lab scale experiments were carried out to identify the best manure and whey ratio and the best conditions of temperature, pH, hydraulic retention time of acidogenesis an methanogenic phases.

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La tesi di dottorato riguarda il principio del legittimo affidamento nell'esperienza fiscale italiana, tedesca ed europea. La tesi è articolata in tre distinte parti. La prima muove dall’analisi della dottrina pubblicistica italiana e tedesca, con particolare attenzione all’origine e alla fonte del legittimo affidamento: il principio civilistico della buona fede ovvero quello della certezza dei rapporti giuridici. La seconda parte affronta il principio del legittimo affidamento nella disciplina fiscale ed è suddivisa in due distinte sezioni, una relativa all’ordinamento italiano, l’altra a quello tedesco. In particolare, l’attenzione è rivolta, in entrambe le sezioni, a verificare l’interrelazione del legittimo affidamento con il principio di irretroattività della legge e, quindi, l’esistenza, o meno, di un vincolo per il legislatore e con il principio di legalità per quanto concerne i rapporti con l’Amministrazione finanziaria, con particolare riferimento alla possibilità, per quest’ultima, di intervenire in malam partem, con effetti retroattivi. Lo sviluppo di questa seconda parte è stato condotto attraverso una disamina della dottrina e della giurisprudenza di merito e costituzionale che in Germania prima e in Italia dopo hanno proposto diverse ricostruzioni. La terza parte, infine, è dedicata all’analisi del legittimo affidamento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. In particolare, si è cercato di mettere in evidenza come l’Organo di Giustizia comunitaria abbia elaborato e interpretato il principio in esame e sia giunto ad annoverarlo nell’alveo dei principi di diritto comunitario.

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Al giorno d’oggi i combustibili fossili come carbone, olio e gas naturale forniscono più del 75% dell’energia mondiale. Tuttavia, la crescente richiesta di queste fonti di energia non rinnovabili, si manifesta in un momento in cui le riserve naturali si stanno esaurendo; è stato infatti stimato che le riserve petrolifere di tutto il mondo possano essere sufficienti per fornire energia e produrre prodotti chimici per i prossimi quarant’anni. Per questo motivo la conversione delle biomasse per produrre energia e prodotti chimici sta diventando una valida alternativa per diversificare le fonti energetiche e ridurre il surriscaldamento globale. Le biomasse, infatti, oltre ad essere una fonte rinnovabile, generano minori emissioni di gas serra rispetto ai combustibili fossili, perché la CO2 rilasciata nei processi di utilizzo viene bilanciata da quella consumata nel processo di crescita delle biomasse stesse. Lo sfruttamento delle biomasse per la produzione di building blocks per la chimica suscita particolare interesse, poiché le molecole ottenute sono già parzialmente funzionalizzate; ciò significa che la sintesi di prodotti chimici specifici richiede un minor numero di stadi rispetto ai building blocks petroliferi, con conseguente diminuzione di prodotti di scarto e sottoprodotti. Un esempio di queste potenziali “molecole piattaforma” è il 5-idrossimetilfurfurale (HMF), un importante composto derivato dalla disidratazione di zuccheri, intermedio chiave per la sintesi di un’ampia varietà di prodotti chimici e combustibili alternativi, tra cui l’acido 2,5- furandicarbossilico (FDCA), che è stato identificato tra i dodici composti chimici più importanti degli ultimi anni. Per esempio, il FDCA è un possibile sostituto dell’acido tereftalico, usato per produrre il polietilentereftalato (PET). Recentemente alcuni autori hanno riportato interessanti risultati sull’ossidazione dell’HMF a FDCA utilizzando catalizzatori a base di Au supportato. Questi catalizzatori mostrano però significativi problemi di disattivazione. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quindi lo sviluppo di catalizzatori attivi e stabili nella reazione di ossidazione dell’HMF a FDCA. Il lavoro portato avanti ha avuto come obbiettivi principali: l’ottimizzazione della sintesi di nanoparticelle di oro e oro/rame a diverso rapporto molare, mediante un processo di sintesi, in acqua, a basso impatto ambientale. Tale metodo di sintesi si basa sull’azione riducente del sistema glucosio-NaOH ed è stato messo a punto in lavori di tesi precedenti. Le nanoparticelle sintetizzate sono state utilizzate, quali fase attiva, per la preparazione di catalizzatori supportati su TiO2 e CeO2 lo studio dell’attività catalitica e riusabilità dei catalizzatori preparati nell’ossidazione in fase liquida del HMF a FDCA.