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Resumo:
Atualmente, bem-estar cada vez mais ganha espaço como parte importante e integrante da vida das pessoas. Pesquisas vêm buscando destacar fatores positivos que exerçam influencia em sua vida pessoal, e conseqüentemente em seu trabalho. O objetivo deste estudo foi verificar as relações entre bem-estar subjetivo (satisfação geral com a vida, afetos positivos e afetos negativos) e bem-estar no trabalho (satisfação no trabalho, envolvimento com o trabalho e comprometimento organizacional afetivo) em professores de educação física que atuavam em escolas e academias, descrevendo os níveis de bem-estar subjetivo e bem-estar no trabalho, análises de variância e correlação entre os construtos. A amostra foi composta por 124 professores de educação física, 34 atuavam em escolas particulares e 90 atuavam em academias, sendo 81 do sexo masculino e 43 do sexo feminino, solteiros e casados e faixa etária entre 21 e 59 anos, com escolaridade distribuída desde o ensino superior completo até o mestrado concluído. O instrumento de coleta foi um questionário auto-aplicavel composto por cinco escalas que mediram as variáveis do estudo e um questionário de dados complementares. Os resultados deste estudo revelaram que BES e BET guardam relações entre si. Os professores são considerados pessoas relativamente felizes com sua vida pessoal e revelaram uma relação mediana no que se refere a sua vida profissional. Os resultados das correlações relacionadas ao BES sinalizaram que o acúmulo de experiências negativas ao longo da vida poderia reduzir a vivencia de experiências positivas e de avaliações positivas sobre a vida em geral e vice-versa e ao BET, satisfação no trabalho, envolvimento com o trabalho e comprometimento organizacional afetivo são interdependentes. No que se refere às comparações, para BES os professores que atuavam em academias obtiveram médias significativamente maiores de afetos negativos do que os de escolas e por outro lado, a média de satisfação geral com a vida dos professores de escolas foi significativamente superior à dos que atuavam em academias demonstrando que estes vivenciaram mais experiências negativas do que os que trabalhavam em escolas e que os professores de escola eram mais satisfeitos com sua vida do que os de academias. Para BET, o quadro geral se mantém semelhante para professores de educação física que atuavam em escolas e academias. Futuros estudos deveriam aumentar o número de professores bem como, investigar outras áreas de atuação da educação física e compara-las com o presente estudo ampliando os estudos envolvendo bemestar e professores de educação física.(AU)
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Elemento centrale della presente tesi dottorale è il costrutto di perspective taking, definibile come l’abilità, emergente nei bambini intorno a 4-5 anni, di assumere la prospettiva altrui secondo tre differenti dimensioni: emotiva, cognitiva e percettiva (Bonino, Lo Coco, Tani, 1998; Moll e Meltzoff, 2011). Dalla letteratura emerge come il perspective taking, in quanto abilità di comprensione sociale, rivesta un ruolo adattivo e sia fondamentale per lo sviluppo, non solo intellettivo, ma anche per la formazione di adeguate capacità relazionali e sociali (Jenkins e Astington, 2000; Weil et al., 2011). Sulla base di tali considerazioni, alcuni ricercatori si sono interrogati sulla possibilità di insegnare questa abilità, elaborando specifiche e differenti procedure di intervento finalizzate ad incrementare l’abilità di perspective taking sia in bambini a sviluppo normativo (Cigala e Mori, 2015), sia in gruppi di bambini a sviluppo atipico (Fisher e Happé, 2005; Heagle e Rehfeldt, 2006; Paynter e Peterson, 2012). A partire da una prospettiva teorica socio-costruzionista, secondo cui l’acquisizione del perspective taking si configura come un’impresa di co-costruzione continua, all’interno di interazioni quotidiane con figure significative per il bambino, si è deciso di analizzare il perspective taking non solo in relazione a variabili individuali (genere, età del bambino, regolazione emotiva, abilità sociali) ma anche e soprattutto a variabili contestuali quali le caratteristiche del contesto familiare (caratteristiche disposizionali e stili genitoriali di socializzazione emotiva, presenza di fratelli). Sono stati in particolare indagati un contesto familiare normativo ed uno caratterizzato da maltrattamento psicologico, contrassegnato dalla reiterazione di comportamenti inadeguati (critiche svalutanti, denigrazione, umiliazione, minacce verbali, indifferenza) nei confronti del minore, che convogliano sul bambino l’idea di non essere amato e di avere poco valore. Con i termini “a sviluppo tipico” si intendono i bambini per i quali non sussista una diagnosi clinica e con quelli di “famiglie normative” ci si riferisce a nuclei per i quali non ci siano state segnalazioni da parte dei Servizi Educativi e Sociali di riferimento, indipendentemente dalle caratteristiche della composizione del nucleo familiare (nucleare, estesa, multipla, ricostituita o ricomposta). Tale studio rientra in un ampio progetto di ricerca e formazione che ha coinvolto più di 250 prescolari frequentanti 8 scuole dell’infanzia e 15 comunità terapeutiche e di accoglienza mamma-bambino, situate in differenti province del Nord Italia. Il gruppo dei partecipanti alla ricerca si è composto di 256 bambini in età prescolare, compresa quindi tra 3 e 5 anni (M=54,39; DS=5,705): 128 maschi (M=54,08; DS=5,551) e 128 femmine (M=54,70; DS=5,860). In particolare, 213 bambini appartenevano a famiglie normative e 43 a nuclei familiari caratterizzati dalla presenza di maltrattamento psicologico. Oltre ai bambini, la ricerca ha previsto il coinvolgimento di 155 coppie di genitori, 43 madri ospitate in comunità, 18 insegnanti e 30 operatori. Obiettivo centrale è stato l’indagine della possibilità di poter promuovere il perspective taking in bambini di età prescolare a sviluppo tipico appartenenti a due differenti tipologie di contesto familiare (normativo e psicologicamente maltrattante), attraverso l’applicazione di uno specifico percorso di training di natura “ecologica” all’interno della scuola dell’infanzia e della comunità, assimilabile a quelli di tipo evidence based. In particolare è stata prevista una procedura quasi sperimentale di tipo pre-test, training, post-test e follow-up. Dopo una preliminare valutazione dello sviluppo del perspective taking nelle sue tre componenti, in bambini appartenenti ad entrambi i contesti, si è voluto verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra questa abilità ed alcune capacità socio-emotive dei bambini, con particolare riferimento alla disposizione prosociale, rilevate nel contesto scolastico attraverso differenti metodologie (osservazioni dirette non partecipanti, questionari self report compilati dalle insegnanti). Inoltre, data l’importanza del contesto familiare per lo sviluppo di tale abilità, la ricerca ha avuto lo scopo di verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra le abilità di perspective taking mostrate dai bambini e gli stili di socializzazione emotiva delle figure familiari, caratteristiche di entrambi i contesti (maltrattante e non maltrattante). È stato inoltre previsto uno studio di confronto tra i due campioni rispetto alle dimensioni indagate. I risultati ottenuti sono stati particolarmente interessanti. Innanzitutto, le esperienze di training hanno determinato, in entrambi i contesti, miglioramenti nell’abilità dei prescolari di mettersi nei panni altrui. Tale training ha inoltre dimostrato effetti positivi sulla competenza sociale dei bambini, che, a seguito del percorso, hanno manifestato un incremento dei comportamenti prosociali ed una diminuzione di quelli aggressivi. Per lo studio in contesto normativo, è stato inoltre dimostrato un mantenimento delle abilità acquisite a seguito del training attraverso un follow-up a distanza di 4 mesi dal termine dell’intervento. Il positivo esito di tale percorso sembra quindi rappresentare un’importante risorsa per i prescolari, soprattutto in caso di situazioni in cui l’abilità di perspective taking risulti deficitaria. Il confronto dei due gruppi a seguito del training ha evidenziato come non siano emerse differenze significative, rispetto al perspective taking, ad eccezione della dimensione emotiva, in cui le prestazioni dei prescolari maltrattati sono risultate inferiori, come già evidenziato prima del training. Tali risultati non giungono però inaspettati, poiché, sebbene il percorso abbia agito significativamente sull’abilità di comprensione delle emozioni altrui di questi bambini, non si configura come sufficiente a ristrutturare così profondamente le problematiche presentate. Interessanti sono stati altresì i risultati ottenuti dall’analisi degli stili di socializzazione emotiva, dei genitori (madri e padri) dei prescolari non maltrattati e delle mamme dei bambini residenti in comunità. In particolare è emerso come, stili accettanti e di tipo coaching nei confronti delle emozioni negative dei bambini, siano positivamente correlati con il perspective taking dei figli, e come all’opposto, stili rifiutanti rispetto alle espressioni emotive negative dei propri bambini, mostrino correlazioni negative con le abilità di perspective taking dei figli. Oltre ad interessi di ordine teorico e metodologico, è possibile quindi affermare come, il presente lavoro di tesi, sia stato guidato da fini applicativi, affinché la ricerca scientifica possa tradursi in pratiche educative quotidiane da applicare ai contesti di vita significativi per i bambini.
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Introdução: O objetivo do estudo foi investigar se há associação entre déficits na capacidade de reconhecimento de emoções faciais e déficits na flexibilidade mental e na adequação social em pacientes com Transtorno Bipolar do tipo I eutímicos quando comparados a sujeitos controles sem transtorno mental. Métodos: 65 pacientes com Transtorno Bipolar do tipo I eutímicos e 95 controles sem transtorno mental, foram avaliados no reconhecimento de emoções faciais, na flexibilidade mental e na adequação social através de avaliações clínicas e neuropsicológicas. Os sintomas afetivos foram avaliados através da Escala de Depressão de Hamilton e da Escala de Mania de Young, o reconhecimento de emoções faciais através da Facial Expressions of Emotion: Stimuli and Tests, a flexibilidade mental avaliada através do Wisconsin Card Sorting Test e a adequação social através da Escala de Auto- Avaliação de Adequação Social. Resultados: Pacientes com Transtorno Bipolar do tipo I eutímicos apresentam uma associação de maior intensidade comparativamente aos controles entre o reconhecimento de emoções faciais e a flexibilidade mental, indicando que quanto mais preservada a flexibilidade mental, melhor será a habilidade para reconhecer emoções faciais Neste grupo às correlações de todas as emoções são positivas com o total de acertos e as categorias e são negativas com as respostas perseverativas, total de erros, erros perseverativos e erros não perseverativos. Não houve uma correlação entre o reconhecimento de emoções faciais e a adequação social, apesar dos pacientes com Transtorno Bipolar do tipo I eutímicos apresentar uma pior adequação social, sinalizando que a pior adequação social não parece ser devida a uma dificuldade em reconhecer e interpretar adequadamente as expressões faciais. Os pacientes com Transtorno Bipolar do tipo I eutímicos não apresentam diferenças significativas no reconhecimento de emoções faciais em relação aos controles, entretanto no subteste surpresa (p=0,080) as diferenças estão no limite da significância estatística, indicando que portadores de transtorno bipolar do tipo I eutímicos tendem a apresentar um pior desempenho no reconhecimento da emoção surpresa em relação aos controles. Conclusão: Nossos resultados reforçam a hipótese de que existe uma associação entre o reconhecimento de emoções faciais e a preservação do funcionamento executivo, mais precisamente a flexibilidade mental, indicando que quanto maior a flexibilidade mental, melhor será a habilidade para reconhecer emoções faciais e melhorar o desempenho funcional do paciente. Pacientes bipolares do tipo I eutímicos apresentam uma pior adequação social quando comparados aos controles, o que pode ser uma consequência do Transtorno Bipolar que ratifica a necessidade de uma intervenção terapêutica rápida e eficaz nestes pacientes
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Author: Charity M. Walker Title: THE IMPACT OF SHYNESS ON LONELINESS, SOCIAL ANXIETY, AND SCHOOL LIKING IN LATE CHILDHOOD Advisor: Maria T. Riva, Ph.D. Degree Date: August 2011 ABSTRACT Shyness is associated with several emotional, social, and academic problems. While there are multiple difficulties that often accompany shyness, there appear to be some factors that can moderate negative effects of shyness. Research has demonstrated that certain parenting factors affect the adjustment of shy children in early childhood, but there is minimal research illuminating the effect of parenting factors in older age groups. The first purpose of this study was to examine relationships between shyness and loneliness, social anxiety, and school liking. The second purpose was to investigate whether the quality of the relationship between a parent and a 10- to 15-year-olds child influences the amount of loneliness or social anxiety a shy child experiences or how the child feels about school. Parent-child dyads served as participants and were recruited from public and private middle schools and church youth groups in Colorado and Indiana. Child participants completed several self-report surveys regarding their relationship with a parent, shyness, loneliness, social anxiety, and their attitude toward school. Parents completed a survey about their relationship with their child and responded to questions related to their perceptions of their child's shyness. Data was analyzed with a series of correlation and regression analyses. Greater degrees of self-reported shyness were found to be associated with higher levels of loneliness and social anxiety and less positive feelings about school. Due to a problem with multicollinearity during data analysis, this study was not able to explore the effect of the parent-child relationship quality on the associations between shyness and adjustment factors. Overall, these findings imply that shyness remains an important issue as children approach adolescence. Further research is needed to continue learning about the potential importance of parent-child interactions in reducing maladjustment for shy children during late childhood.
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Public service ads (PSAs) are an increasingly visible part of efforts to decrease the occurrence and consequences of domestic violence. Like other advertising, domestic violence PSAs are designed to grab attention, influence attitudes, and enhance memory for ad content. Over the years, images in domestic violence PSAs have changed substantially; agencies have started using pictures that generate emotions - either vivid negative images (bruised faces or body parts), or positive images (smiling faces) that contrast with the negative text. It is not clear, however, how different types of ad images influence memory for the message and attitudes about domestic violence, and what role affect may play in such responses. Moreover, the extent to which individual differences (trauma history, posttraumatic distress - PTSD symptoms) influence outcomes is not known. In three studies with undergraduate and community samples, using methods ranging from psychophysiology to self-report, the impact of images on attitudes and memory for ad content are investigated, also considering affect and individual differences. Results indicate graphic negative images enhanced memory for ad content, are rated as more persuasive, and are more likely to compel the viewer to act. Affective responses to ads also differed based on image type, and in some cases, partially mediated the relationship between ads and outcomes. Trends in the data suggest further study of the role of individual differences (trauma history, PTSD symptoms) is needed. This research provides information specifically relevant to the design of domestic violence public service campaigns and broadly relevant to understanding the role of emotional responses and individual differences on outcomes associated with public service ads.
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Concussive injuries appear to be becoming a more common occurrence among athletes. While many studies have assessed the short-term and long-term effects of concussive injuries, fewer studies have specifically addressed the impact of multiple concussive injuries within a high school population. Through the use of the Immediate Post-Concussion Assessment and Cognitive Testing measure (ImPACT), this study investigated differences in a sample of 946 high school athletes with varying concussive histories (multiple concussions vs. single concussion vs. no concussion) at baseline and following sustaining a concussive injury. An additional analysis was conducted with athletes who obtained two concussions within the study to assess for trends in symptomology between their first and second injuries. For both baseline and study concussed athletes, athletes with multiple concussive injuries did not exhibit significantly elevated self-report symptoms nor decreased ImPACT composite scores compared to the other groups. Analysis of data from athletes who sustained more than one concussion within the study, revealed an increase in self-report symptoms and a decrease in ImPACT performance from time 1 to time 2. However, these changes were small in magnitude and were not consistently exhibited across the variables under investigation. Overall, this study did not find compelling evidence of increased symptomological patterns or decreased functioning for multiple concussed athletes as compared to peers.
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This study explores the relationship between conformity to traditional feminine gender norms and meaning and purpose in life among female college students. Based on previous research findings that show a negative correlation between specific traditional feminine gender norm conformity factors and psychological well-being, we posited that participants with higher levels of traditional gender norm conformity will experience a lower sense of meaning and purpose in life. Self-report data was obtained from 338 female undergraduate college students using the Conformity to Feminine Norms Inventory (CFNI) and the Purpose in Life Test (PIL). A standard multiple regression assessed the accuracy of eight feminine norms in predicting purpose and meaning in life. Results partially supported the hypothesis, with Modesty as the most significant contributor to meaning and purpose. Inconsistent with our hypothesis, participants who endorsed high scores on Nice in Relationships, Involvement with Children, Sexual Fidelity, and Domestic, scored higher on the PIL.
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Use of evidence-based practice is becoming more expected and necessary for mental health practitioners. This allows for proof, accountability, and rigorous standards to be upheld, facilitates healthcare reimbursement, and provides a wider range of services to more clients. Appropriate monitoring and outcome measurement is essential to determine the effectiveness of a given intervention. An organization providing group social skills interventions for children 7-18 years was analyzed to facilitate the best plan for evaluating treatment effectiveness. Measurable goals and objectives consistent with the organizations mission and values were developed. Appropriate social skills measurement tools were identified. Strengths and weaknesses of each measure were compared, and existing literature was reviewed to ensure cohesion between this evaluation and current standards in literature. Parent report, self report, and teacher report on Piers-Harris II, BASC-2, and Skills Improvement System Rating Scales were determined to be the most relevant measures of social skills development. A timeline for administration and plan for how to implement measurement and use data was suggested as well as considerations for future research.
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Eating disorders present a significant physical and psychological problem with a prevalence rate of approximately six percent in the United States. Despite the extensive literature, identifying the consistent risk factors for predicting the course of treatment in eating disorders remains difficult. The present study explores the use of a standardized assessment, using the consistently validated Eating Disorder Inventory-III (EDI-3), in predicting treatment outcome. Specifically, the study investigates the particular scale of Maturity Fears (MF) on the EDI-3, hypothesizing that higher scores on the MF scale would predict lower rates of recovery and treatment completion. The participants were 52 eating disorder patients (19 AN, 18 BN, and 15 EDNOS), consecutively admitted to a five-month long intensive outpatient program (IOP). The participants completed an EDI-3 self-report at pre and post treatment, and their score on the MF scale did not show a significant predictive relationship to treatment completion or change in symptoms, as measured by the Eating Disorder Risk Composite (EDRC) scale on the EDI-3. This finding primarily suggests that maturity fears are not a significant predictive factor in an outpatient setting with adults, as compared to previous studies that found a relationship between maturity fears and treatment outcome, primarily with adolescent and inpatient populations.
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Research on the stability of attachment representations across the lifespan has led to two alternative perspectives: the prototype and revisionist perspectives (Fraley, 2002). The prototype perspective posits that there is a stable factor underlying fluctuations in representations and the revisionist perspective argues that there is no inherently stable factor. The current study employed a latent trait-state model to investigate these alternative models of stability and change in representations of romantic relationships in adolescence and young adulthood. The study also sought to identify individual characteristics and relationship experiences that are associated with changes in representations. In a sample of 200 participants, representations were assessed by interview and self-report over seven measurement occasions between ages 15 and 23. Results were consistent with the prototype perspective emphasizing that a stable, latent factor exerts a consistent influence over the lifespan. In addition to a stable component, representations incorporated a component that varies over time. Findings showed that this fluctuating component of representations was associated with internalizing and externalizing symptomatology as well as experiences of support and negative interaction in relationships.
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Introduction: This study analyses the habits of physical activity of a group of students at the University of Vigo (Spain). Methods: It uses the SRHI (Self-Report Habits Index) scale, which was used for the first time in Spain. It starts from the premise that future educators should have good physical activity habits if they want to convey this attitude to their students due to its importance for health and quality of life. Results: Physical activity habits are well-established in future Secondary Education Physical Education teachers but not in future Infant and Primary Education teachers. In addition, there are greater physical activity habits in men, in students who previously participated in sport at school and at younger ages. The most common difficulties for creating physical activity habits are lack of time, sport facilities and companionship for carrying out the activity. Discussion: In this section our results, which broadly coincide with the results of other studies regarding the same subject, are contrasted with the results of those other studies.
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La tradición investigadora de la violencia escolar se ha centrado fundamentalmente en los últimos ciclos de Educación Primaria y en la Educación Secundaria Obligatoria, abordándose muy poco la presencia, características, evaluación e intervención de los problemas interpersonales en edades tempranas. El objetivo del presente estudio es la construcción y validación de un cuestionario que identifique el inicio y las formas más frecuentes de violencia escolar en los primeros años de escolarización para diseñar programas de prevención eficaces. Los participantes fueron 195 niños/as del último curso de educación infantil y primer ciclo de educación primaria. La investigación realizada ha mostrado que el instrumento denominado Cuestionario de Evaluación de Violencia Escolar en Infantil y Primaria (CEVEIP) presenta adecuadas propiedades psicométricas. El instrumento consta de 27 ítems en formato de autoinforme que evalúa siete tipologías de violencia que se dan en el contexto escolar en edades tempranas desde tres perspectivas: violencia observada, vivida y realizada. Los resulta-dos ponen de manifiesto que el comportamiento violento está presente desde los primeros años de escolarización, siendo éste de baja o moderada frecuencia e intensidad. Estos niveles de violencia podrían ser aprovechados en el ámbito educativo para una gestión más positiva en el desarrollo personal del alumno/a.
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El objetivo de este trabajo fue doble. En primer lugar se describen los cuestionarios, inventarios y escalas de ansiedad escolar elaborados y validados para población infantil y adolescente: Cuestionario de Ansiedad Escolar, Inventario de Miedos Escolares, Catálogo de Situaciones Escolares, Escala Visual Análoga para la Ansiedad-Revisada, Escala Magallanes de Problemas de Ansiedad e Inventario de Ansiedad Escolar. En segundo lugar se analiza la fiabilidad (consistencia interna y estabilidad temporal) y la validez (estructura factorial, relación con otros cuestionarios, relación con otros procedimientos de evaluación y diferenciación entre grupos) de la puntuación de estos instrumentos, con el fin de conocer sus propiedades psicométricas y poder tomar decisiones sobre su uso en la práctica clínica o educativa sobre la base de criterios empíricos. Los resultados permiten concluir que actualmente existen autoinformes que presentan garantías psicométricas satisfactorias para llevar a cabo una interpretación fiable y válida de sus puntuaciones, siendo por tanto útiles en la práctica clínica y educativa.
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The aim of this study was to analyze reliability and validity evidence of scores on the Colombian version of the Questionnaire about Interpersonal Difficulties for Adolescents (QIDA) in a sample of 1,628 adolescents (65.7% boys), ranging in age from 12 to 18 years. Confirmatory factor analyses replicated the correlated five-factor structure of the QIDA: Assertiveness, Heterosexual Relationships, Public Speaking, Family Relationships, and Close Friendships. Internal consistency for the QIDA and subscales scores was excellent. Girls reported higher level of perceived anxiety in heterosexual relationships, whereas boys showed more anxiety in close friendships and decreased interpersonal anxiety during adolescence. Results support the reliability and validity of the scores on the Colombian version of the QIDA.
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This study aimed to determine the level of computer practical experience in a sample of Spanish nursing students. Each student was given a Spanish language questionnaire, modified from an original used previously with medical students at the Medical School of North Carolina University (USA) and also at the Education Unit of Hospital General Universitario del Mar (Spain). The 10-item self-report questionnaire probed for information about practical experience with computers. A total of 126 students made up the sample. The majority were female (80.2%; n=101). The results showed that just over half (57.1%, n=72) of the students had used a computer game (three or more times before), and that only one third (37.3%, n=47) had the experience of using a word processing package. Moreover, other applications and IT-based facilities (e.g. statistical packages, e-mail, databases, CD-ROM searches, programming languages and computer-assisted learning) had never been used by the majority of students. The student nurses' practical experience was less than that reported for medical students in previous studies.