709 resultados para Psychological training, psychological preparation
Resumo:
Un figlio con un Disturbo dello Spettro Autistico, caratterizzato da gravi difficoltà nelle relazioni, nei comportamenti e nella comunicazione, costringe tutto il sistema familiare a gestire un notevole stress dovuto alla gestione quotidiana di una patologia così complessa. Per questi motivi, i genitori necessitano di un sostegno il più possibile personalizzato rispetto alle caratteristiche del loro contesto familiare. Per fare questo sarebbe importante individuare quali siano i parametri correlati ai livelli di stress nei familiari di pazienti con autismo e che potrebbero avere un’influenza sul benessere familiare. Lo scopo di questo studio è quello di valutare quali caratteristiche di personalità, stili di coping e capacità di gestire le emozioni possano essere in relazione con la reattività individuale alle situazioni di stress, valutata attraverso alcuni correlati biologici, quali il livello di cortisolo (l’ormone dello stress) e la variabilità della frequenza cardiaca. L’ottica di ricerca applicata fa sì che gli obiettivi ultimi di questo lavoro siano anche quelli di diminuire l’accesso ai servizi per questi soggetti, considerando il fatto che progetti individualizzati di sostegno genitoriale costituiscono un fattore protettivo rispetto a conseguenze fisiche e psicologiche di disagio se implementati tenendo conto della variabilità individuale rispetto alle caratteristiche sopra citate.
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Elemento centrale della presente tesi dottorale è il costrutto di perspective taking, definibile come l’abilità, emergente nei bambini intorno a 4-5 anni, di assumere la prospettiva altrui secondo tre differenti dimensioni: emotiva, cognitiva e percettiva (Bonino, Lo Coco, Tani, 1998; Moll e Meltzoff, 2011). Dalla letteratura emerge come il perspective taking, in quanto abilità di comprensione sociale, rivesta un ruolo adattivo e sia fondamentale per lo sviluppo, non solo intellettivo, ma anche per la formazione di adeguate capacità relazionali e sociali (Jenkins e Astington, 2000; Weil et al., 2011). Sulla base di tali considerazioni, alcuni ricercatori si sono interrogati sulla possibilità di insegnare questa abilità, elaborando specifiche e differenti procedure di intervento finalizzate ad incrementare l’abilità di perspective taking sia in bambini a sviluppo normativo (Cigala e Mori, 2015), sia in gruppi di bambini a sviluppo atipico (Fisher e Happé, 2005; Heagle e Rehfeldt, 2006; Paynter e Peterson, 2012). A partire da una prospettiva teorica socio-costruzionista, secondo cui l’acquisizione del perspective taking si configura come un’impresa di co-costruzione continua, all’interno di interazioni quotidiane con figure significative per il bambino, si è deciso di analizzare il perspective taking non solo in relazione a variabili individuali (genere, età del bambino, regolazione emotiva, abilità sociali) ma anche e soprattutto a variabili contestuali quali le caratteristiche del contesto familiare (caratteristiche disposizionali e stili genitoriali di socializzazione emotiva, presenza di fratelli). Sono stati in particolare indagati un contesto familiare normativo ed uno caratterizzato da maltrattamento psicologico, contrassegnato dalla reiterazione di comportamenti inadeguati (critiche svalutanti, denigrazione, umiliazione, minacce verbali, indifferenza) nei confronti del minore, che convogliano sul bambino l’idea di non essere amato e di avere poco valore. Con i termini “a sviluppo tipico” si intendono i bambini per i quali non sussista una diagnosi clinica e con quelli di “famiglie normative” ci si riferisce a nuclei per i quali non ci siano state segnalazioni da parte dei Servizi Educativi e Sociali di riferimento, indipendentemente dalle caratteristiche della composizione del nucleo familiare (nucleare, estesa, multipla, ricostituita o ricomposta). Tale studio rientra in un ampio progetto di ricerca e formazione che ha coinvolto più di 250 prescolari frequentanti 8 scuole dell’infanzia e 15 comunità terapeutiche e di accoglienza mamma-bambino, situate in differenti province del Nord Italia. Il gruppo dei partecipanti alla ricerca si è composto di 256 bambini in età prescolare, compresa quindi tra 3 e 5 anni (M=54,39; DS=5,705): 128 maschi (M=54,08; DS=5,551) e 128 femmine (M=54,70; DS=5,860). In particolare, 213 bambini appartenevano a famiglie normative e 43 a nuclei familiari caratterizzati dalla presenza di maltrattamento psicologico. Oltre ai bambini, la ricerca ha previsto il coinvolgimento di 155 coppie di genitori, 43 madri ospitate in comunità, 18 insegnanti e 30 operatori. Obiettivo centrale è stato l’indagine della possibilità di poter promuovere il perspective taking in bambini di età prescolare a sviluppo tipico appartenenti a due differenti tipologie di contesto familiare (normativo e psicologicamente maltrattante), attraverso l’applicazione di uno specifico percorso di training di natura “ecologica” all’interno della scuola dell’infanzia e della comunità, assimilabile a quelli di tipo evidence based. In particolare è stata prevista una procedura quasi sperimentale di tipo pre-test, training, post-test e follow-up. Dopo una preliminare valutazione dello sviluppo del perspective taking nelle sue tre componenti, in bambini appartenenti ad entrambi i contesti, si è voluto verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra questa abilità ed alcune capacità socio-emotive dei bambini, con particolare riferimento alla disposizione prosociale, rilevate nel contesto scolastico attraverso differenti metodologie (osservazioni dirette non partecipanti, questionari self report compilati dalle insegnanti). Inoltre, data l’importanza del contesto familiare per lo sviluppo di tale abilità, la ricerca ha avuto lo scopo di verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra le abilità di perspective taking mostrate dai bambini e gli stili di socializzazione emotiva delle figure familiari, caratteristiche di entrambi i contesti (maltrattante e non maltrattante). È stato inoltre previsto uno studio di confronto tra i due campioni rispetto alle dimensioni indagate. I risultati ottenuti sono stati particolarmente interessanti. Innanzitutto, le esperienze di training hanno determinato, in entrambi i contesti, miglioramenti nell’abilità dei prescolari di mettersi nei panni altrui. Tale training ha inoltre dimostrato effetti positivi sulla competenza sociale dei bambini, che, a seguito del percorso, hanno manifestato un incremento dei comportamenti prosociali ed una diminuzione di quelli aggressivi. Per lo studio in contesto normativo, è stato inoltre dimostrato un mantenimento delle abilità acquisite a seguito del training attraverso un follow-up a distanza di 4 mesi dal termine dell’intervento. Il positivo esito di tale percorso sembra quindi rappresentare un’importante risorsa per i prescolari, soprattutto in caso di situazioni in cui l’abilità di perspective taking risulti deficitaria. Il confronto dei due gruppi a seguito del training ha evidenziato come non siano emerse differenze significative, rispetto al perspective taking, ad eccezione della dimensione emotiva, in cui le prestazioni dei prescolari maltrattati sono risultate inferiori, come già evidenziato prima del training. Tali risultati non giungono però inaspettati, poiché, sebbene il percorso abbia agito significativamente sull’abilità di comprensione delle emozioni altrui di questi bambini, non si configura come sufficiente a ristrutturare così profondamente le problematiche presentate. Interessanti sono stati altresì i risultati ottenuti dall’analisi degli stili di socializzazione emotiva, dei genitori (madri e padri) dei prescolari non maltrattati e delle mamme dei bambini residenti in comunità. In particolare è emerso come, stili accettanti e di tipo coaching nei confronti delle emozioni negative dei bambini, siano positivamente correlati con il perspective taking dei figli, e come all’opposto, stili rifiutanti rispetto alle espressioni emotive negative dei propri bambini, mostrino correlazioni negative con le abilità di perspective taking dei figli. Oltre ad interessi di ordine teorico e metodologico, è possibile quindi affermare come, il presente lavoro di tesi, sia stato guidato da fini applicativi, affinché la ricerca scientifica possa tradursi in pratiche educative quotidiane da applicare ai contesti di vita significativi per i bambini.
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This review provides an overview of the role of circadian preference in psychological functioning of adolescents taking into account their shift to eveningness during this stage of life. After a brief explanation about morningness/eveningness and other terms related, an overview of the changes that occur on three of the most important areas in the adolescent‟s life is presented: school performance, personality styles, and health. Consequences of evening preference on school achievement are considered from the analysis of the relevance of sleep debt and time-of-day in cognition and mood aspects. In general, students who are able to choose activity times coinciding with their preferred times may have a greater opportunity to optimize their performance. The personality styles and health of morning and evening types are also important factors related to school and family adaptation. At last, some recommendations and conclusions in order to promote a healthy psychological functioning are described.
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The author attempted to develop a brief scale to measure clients' beliefs about the effectiveness of psychotherapy. The study is an early pilot study to determine if the scale can predict therapy outcomes. While the scale did differ significantly between clients who were active in therapy and those who were not, higher scores on the instrument were not indicative of greater involvement. Possibilities for future research to refine the instrument are discussed.
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Malingering and the production of false symptoms seen in such disorders as Factitious Disorder are an ongoing mystery to medical and mental health professionals. Historically, these presentations have been difficult to identify and treat. As might be expected, individuals with such symptomology rarely agree to participate in research, possibly because of a reluctance to admit to the feigning or exaggerating behaviors and a fear of reprisals. Many different etiologies have been proposed, including the assumption of roles in order to manage impressions, taking control of symptoms in order to gain attention or other rewards or avoid aversive events, and even the production of symptoms that is largely out of awareness such as is seen in conversion or somatoform presentations. By examining historical and present-day beliefs about etiology and treatment interventions, professionals can explore what new types of effective treatment might look like. The behaviorist philosophy that underlies Acceptance and Commitment Therapy proposes a perspective emphasizing effective working in context. This philosophy also suggests individuals sometimes engage in behavior in order to escape from or avoid aversive experiences. Utilizing case examples and fresh behavioral perspectives provides insight and ideas for conceptualization of these behaviors of interest. Using the above conceptualizations, an ACT based treatment of those who produce false symptoms is introduced.
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Research on the psychological impact of women's fashion has focused on fashion's negative influence over how women think and feel about themselves. Several studies have examined the relationship between fashion and women's self-appraisals (Martin & Gentry, 1997; Pinhas, Toner, Ali, Garfinkel, & Stuckless, 1999; Tiggemann, Polivy, & Hargreaves, 2009), although few investigations have explored the range of viewpoints that arise when women interact with their own personal style or with other forms of fashion media. This paper presents a narrative review of what has been written about fashion in clinical research. I briefly discuss why this is an important topic and why fashion has psychological meaning. Cognitive behavioral therapy (CBT) is considered in the exploration of fashion's impact on conjuring unproductive and productive schemas (Beck, 1976; Wright, Basco, & Thase, 2006). This discussion includes a presentation of interviews with female consultants, hypothetical examples, my own accounts, and feminist perspectives. While emphasizing the potential biases of women's interactions with fashion, I discuss matters of gender performance and reflections on clinical work. The purpose of this article is to present a pro-social defense of fashion. I do this by acquiring personal chronicles, applying those findings to the current body of research, and adding to the continued investigation of why women's fashion is still important in a postfeminist world.
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The aim of this paper is to provide evidence that overweight individuals are at increased risk for emotional abuse compared to their normal weight counterparts. Studies examining weight-based discrimination and bullying demonstrate examples of emotional abuse aimed at overweight individuals. The psychological difficulties associated with emotional abuse, such as symptoms of anxiety, depression and social difficulties, are reviewed. It is hypothesized that similar psychological difficulties are experienced when obese persons experience weight based emotional abuse. A self psychological conceptualization is applied to understand the effect emotional abuse has on one's sense of self. A treatment proposal, which aims to utilize self-object transferences to strengthen the self, is offered. Future research for the application of self psychology in a group therapy format is discussed.
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Boundaries between students and teachers were once clearly defined. Students only interacted with their teachers at school. Currently, however, boundaries are becoming increasingly unclear. As technology advances, students have more venues to interact with their teachers. In addition, teachers are asked to take on more roles in their students' lives. A significant number of teachers and students engage in inappropriate relationships and the possible damage to students is high. Unfortunately, current training programs do not adequately address how teachers can maintain appropriate boundaries with their charges. This paper outlines a proposal for a new training program to fill this gap. This program utilizes training techniques that have been shown to be useful for adult learners as it helps teachers establish and maintain boundaries as well as incorporating elements of effective prevention programs.
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Homophobia continues to exist in society. Homonegative attitudes are often implicit and can be acquired without direct training, which makes them particularly resistant to change. Relational Frame Theory (RFT) is a behavior analytic account of learning processes and can explain these processes of indirect learning. RFT also suggests therapeutic processes for dismantling stigma using a therapy model named Acceptance and Commitment Therapy (ACT). This paper reviews previous research on traditional multicultural training, and addresses its shortcomings. Specifically, this paper makes the argument that traditional models encourage experiential avoidance and thus further perpetuate the processes that maintain stigma. While a handful of studies have examined stigma interventions using ACT, no ACT studies have been completed specifically on the stigma towards gay and lesbian individuals. This paper concludes with a research proposal for such a study.