754 resultados para Need for cognition


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The perspective of the present project can be inscribed in the so-called “Social Cognition” framework, that in the last years moved from a focus on the individual mind toward embodied and participatory aspects of social understanding. Among the topics relevant for social cognition, the aim of the thesis was to shed more light on motor resonance and joint action, by using two well-known effects of cognitive psychology: “Affordance” and “Simon”. In the first part of the project, the Affordance effect has been considered, starting from Gibson to some post-Gibsonian theorizations. Particular attention has received the notion of “Micro-affordance”. The theoretical and empirical overview allows to understand how it can be possible to use the affordance effect to investigate the issue of motor resonance. A first study employed a priming paradigm and explored both in adults and school-age children the influence of a micro-affordance that can be defined dangerousness, and how motor resonance develops. The second part of the thesis focused on the Simon effect, starting with the presentation of the “stimulus–response (S–R) compatibility effect” to introduce the “Simon effect”. Particular attention has been dedicated to recent studies on the “joint Simon effect”. The reviewed empirical findings have been discussed in a wider theoretical perspective on joint action. The second study was aimed at investigating whether shared representations, as indexed by the presence of the joint Simon effect, are modulated by minimal ingroup–outgroup distinctions and by experienced interdependence between participants. The third study explored to what extent prior experience could modulate performance in task sharing, combining two paradigms of cognitive psychology, the joint Simon and the joint transfer-of-learning. In a general discussion the results obtained in the three studies have been summarized, emphasizing their original contribution and their importance within the Social Cognition research.

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This thesis investigated affordances and verbal language to demonstrate the flexibility of embodied simulation processes. Starting from the assumption that both object/action understanding and language comprehension are tied to the context in which they take place, six studies clarified the factors that modulate simulation. The studies in chapter 4 and 5 investigated affordance activation in complex scenes, revealing the strong influence of the visual context, which included either objects and actions, on compatibility effects. The study in chapter 6 compared the simulation triggered by visual objects and objects names, showing differences depending on the kind of materials processed. The study in chapter 7 tested the predictions of the WAT theory, confirming that the different contexts in which words are acquired lead to the difference typically observed in the literature between concrete and abstract words. The study in chapter 8 on the grounding of abstract concepts tested the mapping of temporal contents on the spatial frame of reference of the mental timeline, showing that metaphoric congruency effects are not automatic, but flexibly mediated by the context determined by the goals of different tasks. The study in chapter 9 investigated the role of iconicity in verbal language, showing sound-to-shape correspondences when every-day object figures, result that validated the reality of sound-symbolism in ecological contexts. On the whole, this evidence favors embodied views of cognition, and supports the hypothesis of a high flexibility of simulation processes. The reported conceptual effects confirm that the context plays a crucial role in affordances emergence, metaphoric mappings activation and language grounding. In conclusion, this thesis highlights that in an embodied perspective cognition is necessarily situated and anchored to a specific context, as it is sustained by the existence of a specific body immersed in a specific environment.

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La tesi riflette sulla necessità di un ripensamento delle scienze antropologiche nel senso di un loro uso pubblico e del loro riconoscimento al di fuori dell’accademia. Viene introdotto il dibattito sulla dimensione applicata dell’antropologia a partire dalle posizioni in campo nel panorama internazionale. Negli Stati Uniti la riflessione si sviluppa dalla proposta della public anthropology, l’antropologo pubblico si discosta dalla tradizionale figura europea di intellettuale pubblico. Alla luce delle varie posizioni in merito, la questione dell’applicazione è esaminata dal punto di vista etico, metodologico ed epistemologico. Inizialmente vengono prese in considerazione le diverse metodologie elaborate dalla tradizione dell’applied anthropology a partire dalle prime proposte risalenti al secondo dopoguerra. Successivamente viene trattata la questione del rapporto tra antropologia, potere coloniale e forze armate, fino al recente caso degli antropologi embedded nello Human Terrain System. Come contraltare vengono presentate le diverse forme di engagement antropologico che vedono ricercatori assumere diversi ruoli fino a casi estremi che li vedono divenire attivisti delle cause degli interlocutori. La questione del ruolo giocato dal ricercatore, e di quello che gli viene attribuito sul campo, viene approfondita attraverso la categoria di implication elaborata in contesto francese. Attraverso alcune esperienze di campo vengono presentate forme di intervento concreto nel panorama italiano che vogliono mettere in luce l’azione dell’antropologo nella società. Infine viene affrontato il dibattito, in corso in Italia, alla luce della crisi che sta vivendo la disciplina e del lavoro per la costituzione dell’associazione nazionale di antropologia professionale.

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In questa tesi viene presentata una ricerca di campo che si configura come esempio di un’antropologia applicata alle dinamiche lavorative all’interno di un’azienda ICT italiana. Fulcro della trattazione è la riflessione sui diversi aspetti di un’analisi antropologica del clima aziendale, condotta sulla base di una rilevazione dei processi lavorativi presso una società italiana specializzata in progetti di digital marketing. Il lavoro associato alle tecnologie di ultima generazione non è impersonale o dettato soltanto da regole esterne, ma piuttosto un lavoro dal forte carattere rituale, sociale, morale e performativo, dove soggetti, ruoli, idee, scelte e problematiche si intrecciano secondo modalità uniche ed irripetibili, rintracciabili anche attraverso l’etnografia. E’ dunque necessario dare visibilità al ruolo attivo dei lavoratori nel loro essere contemporaneamente individui e soggetti che lavorano. Partendo da una riflessione su lavoro e tecnologia all’interno di un quadro interdisciplinare che vede coinvolte - insieme all’antropologia - la sociologia, l’economia e la storia, ci si sofferma sulle potenzialità dell’antropologia del lavoro. Dopo aver ripercorso tutti i passi della ricerca di campo presso l’azienda, viene condivisa una più ampia considerazione sul ruolo dell’antropologia applicata al lavoro in contesti aziendali. Infine l’esperienza di antropologa in azienda viene posta a confronto con un’altra attività svolta dalla stessa autrice in ambito accademico nel campo dell’antropologia dell’educazione. Gli studi presi in considerazione e le esperienze concrete offrono la possibilità di affrontare il tema dell’antropologia del lavoro all’interno di una più vasta riflessione sulla necessità di sviluppare un’antropologia applicata in Italia. Essa non occupa ancora un posto rilevante nello scenario della vita pubblica, ma molti sono gli sforzi che si stanno compiendo in questa direzione. Uno sguardo positivo verso il futuro e la consapevolezza di un’antropologia che è insieme azione, impegno, partecipazione e sperimentazione etnografica concludono la tesi.

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Obbiettivo: Valutazione delle eventuali differenze nel trattamento ortodontico di un gruppo di bambini con particolari necessità sanitarie (SHCN) rispetto ad un gruppo di bambini non diagnosticati con SHCN. Materiali e Metodi: Il gruppo campione (SHCN) è costituito da 50 bambini con SHCN. Il gruppo di controllo (NO SHCN) è costituito da 50 bambini non diagnosticati con SHCN pienamente corrispondenti per età, genere e tipo di apparecchio ortodontico utilizzato con i pazienti del gruppo di studio. I dati riguardanti i gruppi SHCN e NO SHCN sono stati analizzati in modo retrospettivo, valutando: - il punteggio pre- e post-trattamento e la riduzione finale dei valori dell'indice PAR (Peer Assessment Rating), della componente DHC (Dental Health Component) e della componente AC (Aesthetic Component) dell'indice IOTN (Orthodontic Treatment Need Index), - il numero di appuntamenti, - il numero di sedute semplici e complesse, - la durata complessiva del trattamento, - l'età all’inizio ed alla fine della terapia. Risultati: Non sono state rilevate differenze statisticamente significative tra i due gruppi per quanto concerne il numero di appuntamenti, la durata complessiva del trattamento, l'età all’inizio ed alla fine della terapia ortodontica (valori del p-value:0.682, 0.458, 0.535, 0.675). Sono state rilevate differenze statisticamente significative tra i due gruppi per quanto riguarda i punteggi dell’indice PAR, delle componenti DHC e AC dello IOTN pre- e post-trattamento, il numero di sedute semplici e complesse (valori del p-value:0.030, 0.000, 0.020, 0.023, 0.000, 0.000, 0.043, 0.037). Per quanto concerne la riduzione finale del valore dell’indice PAR, della componente DHC e di quella AC dello IOTN non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i due gruppi (valori del p-value:0.060, 0.765, 0.825). Conclusioni: Lo studio incoraggia gli ortodontisti a trattare i bambini con SHCN nell'obiettivo di migliorarne la qualità di vita, pur evidenziando la necessità di un maggior numero di sedute complesse.

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Traumatic brain injury is one of the most common reasons for admission to hospital emergency departments. However, optimal diagnosis and treatment protocols remain controversial. The aim of this study is to assess whether a specific group of patients can be discharged from the hospital without 24-h neurological observation.

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Sir, anti TNF-α agents (aTNFs) are the most commonly prescribed biological agents in RA. More recently abatacept (ABA), a T-cell costimulation modulator, and rituximab (RTX), a monoclonal antibody directed against CD20, have become available. Observational studies suggest that switching to a new drug class may be more effective in uncontrolled RA than switching to a class of biologics to which the patient had unsuccessfully been exposed [1]. Information about the efficacy and safety of cycling strategies through third-line biologics is lacking. This study aimed to analyse the effectiveness and safety of switching patients to ABA as the third biological class after failure of aTNF plus RTX. The Swiss Clinical Quality Management (SCQM) programme for RA is a longitudinal population-based cohort, which has been approved by the local ethics committees of all participating centres [2]. For this analysis, we collected all the …

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Attention-deficit hyperactivity disorder (ADHD) is associated with a range of cognitive deficits and social cognition impairments, which might be interpreted in the context of fronto-striatal dysfunction. So far only few studies have addressed the issue of social cognition deficits in ADHD.

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In Switzerland, approximately 350,000 people aged 70 years or older own a valid driving license. By law, these drivers are medically assessed every other year, most commonly by their general practitioner, to exclude that a medical condition is interfering with their driving skills. A prerequisite for driving is the integration of high-level cognitive functions with perception and motor function. Ageing, per se, does not necessarily impair driving or increase the crash risk. However, medical conditions, such as cognitive impairment and dementia, become more prevalent with advancing age and may contribute to poor driving and an increased crash risk. The extent to which driving skills are impaired depends on the cause of dementia, disease severity, other co-morbidities and individual compensation strategies. Dementia often remains undiagnosed and therefore general practitioners (GPs) can find themselves in the difficult situation to disclose a suspicion about cognitive impairment and queries about medical fitness to drive, at the same time. In addition, the literature suggests that cognitive screening tests, most commonly used by GPs, have a limited role in judging whether an older person remains fit to drive. Further specialist assessment, for example in a memory clinic or on the road testing (ORT), may be helpful when the diagnosis or its implication for driving remain unclear. Here, we review the literature about cognition and driving, for GPs who advise older drivers who wish to continue driving.