947 resultados para Infants -- Cura


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Interculturalità, radici storiche e modelli di cura nelle istituzioni degli hospice: un percorso interdisciplinare in prospettiva comparata” è uno studio di conoscenza e punto di partenza per la formazione delle equipe mediche che curano i malati terminali di culture diverse. Attraverso il confronto delle varie realtà Hospice della Regione Emilia Romagna e con il metodo del questionario semistrutturato si è fatta una fotografia dell' esperienza assistenziale in cure palliative. Si mette in luce l'esiguità della popolazione straniera negli Hospice dell'Emilia Romagna in linea con il trend dei ricoveri oncologici ospedalieri. Tuttavia è possibile pensare a una crescita importante dei pazienti di culture diverse nei prossimi decenni e alla necessità di una adeguata preparazione dei team di cura

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La formazione, in ambito sanitario, è considerata una grande leva di orientamento dei comportamenti, ma la metodologia tradizionale di formazione frontale non è la più efficace, in particolare nella formazione continua o “long-life education”. L’obiettivo primario della tesi è verificare se l’utilizzo della metodologia dello “studio di caso”, di norma utilizzata nella ricerca empirica, può favorire, nel personale sanitario, l’apprendimento di metodi e strumenti di tipo organizzativo-gestionale, partendo dalla descrizione di processi, decisioni, risultati conseguiti in contesti reali. Sono stati progettati e realizzati 4 studi di caso con metodologia descrittiva, tre nell’Azienda USL di Piacenza e uno nell’Azienda USL di Bologna, con oggetti di studio differenti: la continuità di cura in una coorte di pazienti con stroke e l’utilizzo di strumenti di monitoraggio delle condizioni di autonomia; l’adozione di un approccio “patient-centred” nella presa in carico domiciliare di una persona con BPCO e il suo caregiver; la percezione che caregiver e Medici di Medicina Generale o altri professionisti hanno della rete aziendale Demenze e Alzheimer; la ricaduta della formazione di Pediatri di Libera Scelta sull’attività clinica. I casi di studio sono stati corredati da note di indirizzo per i docenti e sono stati sottoposti a quattro referee per la valutazione dei contenuti e della metodologia. Il secondo caso è stato somministrato a 130 professionisti sanitari all’interno di percorso di valutazione delle competenze e dei potenziali realizzato nell’AUSL di Bologna. I referee hanno commentato i casi e gli strumenti di lettura organizzativa, sottolineando la fruibilità, approvando la metodologia utilizzata, la coniugazione tra ambiti clinico-assistenziali e organizzativi, e le teaching note. Alla fine di ogni caso è presente la valutazione di ogni referee.

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Tesi sul restauro e valorizzazione del Centro Educativo Italo Svizzero C.E.I.S. di Rimini con interventi umanamente possibili nel rispetto della sostanza.

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La distrofia muscolare di Emery-Dreifuss (EDMD) è una miopatia degenerativa ereditaria caratterizzata da debolezza e atrofia dei muscoli senza coinvolgimento del sistema nervoso. Individui EDMD presentano, inoltre, cardiomiopatia con difetto di conduzione che provoca rischio di morte improvvisa. Diversi studi evidenziano un coinvolgimento di citochine in diverse distrofie muscolari causanti infiammazione cronica, riassorbimento osseo, necrosi cellulare. Abbiamo effettuato una valutazione simultanea della concentrazione di citochine, chemochine, fattori di crescita, presenti nel siero di un gruppo di 25 pazienti EDMD. L’analisi effettuata ha evidenziato un aumento di citochine quali IL-17, TGFβ2, INF-γ e del TGFβ1. Inoltre, una riduzione del fattore di crescita VEGF e della chemochina RANTES è stata rilevata nel siero dei pazienti EDMD rispetto ai pazienti controllo. Ulteriori analisi effettuate tramite saggio ELISA hanno evidenziato un aumento dei livelli di TGFβ2 e IL-6 nel terreno di coltura di fibroblasti EDMD2. Per testare l’effetto nei muscoli, di citochine alterate, abbiamo utilizzato terreno condizionante di fibroblasti EDMD per differenziare mioblasti murini C2C12. Una riduzione del grado di differenziamento è stata osservata nei mioblasti condizionati con terreno EDMD. Trattando queste cellule con anticorpi neutralizzanti contro TGFβ2 e IL-6 si è avuto un miglioramento del grado di differenziamento. In C2C12 che esprimevano la mutazione H222P del gene Lmna,non sono state osservate alterazioni di citochine e benefici di anticorpi neutralizzanti. I dati mostrano un effetto patogenetico delle citochine alterate come osservato in fibroblasti e siero di pazienti, suggerendo un effetto sul tessuto fibrotico di muscoli EDMD. Un effetto intrinseco alla mutazione della lamina A è stato rilevato sul espressione di caveolina 3 in mioblasti differenziati EDMD. I risultati si aggiungono a dati forniti sulla patogenesi dell' EDMD confermando che fattori intrinseci ed estrinseci contribuiscono alla malattia. Utilizzo di anticorpi neutralizzanti specifici contro fattori estrinseci potrebbe rappresentare un approccio terapeutico come mostrato in questo studio.

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La suddivisione in aree assistenziali per intensità di cura e non in reparti e unità operative, consente al personale medico e sanitario una migliore gestione del paziente, ponendolo al centro del suo percorso di cura, evitando dispersioni, sprechi di tempo, di spazio, di risorse e consentendo una ottimizzazione del proprio lavoro. I settori su cui questo elaborato tende a focalizzarsi maggiormente, sono le aree a media e bassa intensità. Tali aree ospitano pazienti i quali necessitano di monitoraggio dei propri parametri fisiologici vitali, ma non in modo invasivo e costante come al contrario avviene in aree assistenziali ad intensità più alta. Si tratterà in particolare di quali dispositivi sono i più adatti per essere impiegati all’interno di tali aree. Si vuole sottolineare l’importanza della “modularità” di questi dispositivi, ovvero la possibilità di rilevare solo ed esclusivamente i parametri che realmente servono al medico per comprendere il quadro clinico del paziente in fase di stabilizzazione. I dati rilevati vengono poi generalmente trasmessi a un accentratore attraverso Bluetooth o altri standard a corto raggio. La cartella clinica del paziente viene aggiornata automaticamente e il personale sanitario può accedere in qualsiasi momento allo storico dei dati, ottimizzando il proprio lavoro. Per descrivere lo stato dell’arte dei dispositivi ne vengono riportati due esempi: Win@Hospital dell’azienda pisana Winmedical e EverOn dell’azienda israeliana EarlySense. L’integrazione dei dati medicali di questi dispositivi, così come per tutte le apparecchiature biomedicali presenti all’interno degli ospedali, avviene per mezzo di standard quali HL7 e sulla base di profili di integrazione definiti da IHE.

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Congenital pseudarthrosis of the tibia (CPT) is caused by an ill-defined, segmental disturbance of periosteal bone formation leading to spontaneous bowing, followed by fracture and subsequent pseudarthrosis in the first 2 years of life. The results of conventional treatment modalities (e.g., bracing, internal and external fixation and bone grafting) are associated with high failure rates in terms of persisting pseudarthrosis, malunion and impaired growth. As a more promising alternative, a more aggressive approach, including wide resection of the affected bone, reconstruction with free vascularised fibula grafts from the healthy contralateral leg and stable external fixation at a very early stage has been suggested. Between 1995 and 2007, 10 children (age 12-31 months, median 20 months) suffering from CPT were treated at our institutions according to this principle. Two patients were treated before a fracture had occurred. The length of the fibula graft was 7-9cm. End-to-end anastomoses were performed at the level of the distal tibia stump. The follow-up was 80 months (median, range 12 months to 12 years). Radiologic examination at 6 weeks postoperatively showed normal bone density and structure of the transplanted fibula in all cases and osseous consolidation at 19 of the 20 graft/tibia junctions. One nonunion was sucessfully treated with bone grafting and plate osteosynthesis. Pin-tract infection occurred in three patients. Five children sustained graft fractures that were successfully treated with internal or external fixation. Two patients developed diminished growth of the affected limb or foot; all others had equal limb length and shoe size. At long-term follow-up, tibialisation of the transplant had occurred, and normal gait and physical activities were possible in all children. We conclude that in spite of a relatively high complication rate and the reluctance to perform free flap surgery in infants at this young age, the present concept may successfully prevent the imminent severe sequelae associated with CPT.

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ABSTRACT Aim: Intrauterine conditions may interfere with fetal brain development. We compared the neurodevelopmental outcome between infants <32 weeks gestational age after maternal preeclampsia or chorioamnionitis and controls. Methods: Case-control study on infants with maternal preeclampsia, chorioamnionitis and controls (each n = 33) matched for gestational age. Neurodevelopment at two years was assessed with the Bayley Scales of Infant Development II. Results: Ninety-nine infants were included with a median gestational age of 29 weeks (range 25-32). Median mental developmental index (MDI) was 96 in the control, 90 in the chorioamnionitis and 86 in the preeclampsia group. Preeclampsia infants had a lower MDI compared with the control group (univariate p = 0.021, multivariate p = 0.183) and with the chorioamnionitis group (univariate p = 0.242; multivariate p = 0.027). Median psychomotor index was 80.5 in the control, 80 in the preeclampsia and 85 in the chorioamnionitis group, and was not different between these three groups (p > 0.05). Chorioamnionitis or preeclampsia exposure was not associated with major neurodevelopmental impairments (cerebral palsy, MDI<70, PDI<70). Conclusion: The results of this preliminary study suggest that preeclampsia and chorioamnionitis play a relatively minor role among risk factors for adverse neurodevelopment outcome. Postnatal factors such as ventilation and bronchopulmonary dysplasia may have a greater impact on neurodevelopmental outcome.

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Despite association with lung growth and long-term respiratory morbidity, there is a lack of normative lung function data for unsedated infants conforming to latest European Respiratory Society/American Thoracic Society standards. Lung function was measured using an ultrasonic flow meter in 342 unsedated, healthy, term-born infants at a mean ± sd age of 5.1 ± 0.8 weeks during natural sleep according to the latest standards. Tidal breathing flow-volume loops (TBFVL) and exhaled nitric oxide (eNO) measurements were obtained from 100 regular breaths. We aimed for three acceptable measurements for multiple-breath washout and 5-10 acceptable interruption resistance (R(int)) measurements. Acceptable measurements were obtained in ≤ 285 infants with high variability. Mean values were 7.48 mL·kg⁻¹ (95% limits of agreement 4.95-10.0 mL·kg⁻¹) for tidal volume, 14.3 ppb (2.6-26.1 ppb) for eNO, 23.9 mL·kg⁻¹ (16.0-31.8 mL·kg⁻¹) for functional residual capacity, 6.75 (5.63-7.87) for lung clearance index and 3.78 kPa·s·L⁻¹ (1.14-6.42 kPa·s·L⁻¹) for R(int). In males, TBFVL outcomes were associated with anthropometric parameters and in females, with maternal smoking during pregnancy, maternal asthma and Caesarean section. This large normative data set in unsedated infants offers reference values for future research and particularly for studies where sedation may put infants at risk. Furthermore, it highlights the impact of maternal and environmental risk factors on neonatal lung function.

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Surveys from the USA, Australia and Spain have shown significant inter-institutional variation in delivery room (DR) management of very low birth weight infants (VLBWI, <1500g) at birth, despite regularly updated international guidelines.

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Infants with chronic lung disease (CLD) have a capacity to maintain functional lung volume despite alterations to their lung mechanics. We hypothesize that they achieve this by altering breathing patterns and dynamic elevation of lung volume, leading to differences in the relationship between respiratory muscle activity, flow and lung volume. Lung function and transcutaneous electromyography of the respiratory muscles (rEMG) were measured in 20 infants with CLD and in 39 healthy age-matched controls during quiet sleep. We compared coefficient of variations (CVs) of rEMG and the temporal relationship of rEMG variables, to flow and lung volume [functional residual capacity (FRC)] between these groups. The time between the start of inspiratory muscle activity and the resulting flow (tria)--in relation to respiratory cycle time--was significantly longer in infants with CLD. Although FRC had similar associations with tria and postinspiratory activity (corrected for respiratory cycle time), the CV of the diaphragmatic rEMG was lower in CLD infants (22.6 versus 31.0%, p = 0.030). The temporal relationship of rEMG to flow and FRC and the loss of adaptive variability provide additional information on coping mechanisms in infants with CLD. This technique could be used for noninvasive bedside monitoring of CLD.

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The temporal bone is ideal for low-dose CT because of its intrinsic high contrast. The aim of this study was to retrospectively evaluate image quality and radiation doses of a new low-dose versus a standard high-dose pediatric temporal bone CT protocol and to review dosimetric data from the literature.

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The clinical benefit of antiretroviral therapy in infants is established. In this cohort collaboration, we compare immunological and virological response to treatment started before or after 3 months of age. Early initiation provides a better short-term response, although evolution after 12 months of age is similar in both groups.

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Objective While respiratory symptoms in the first year of life are relatively well described for term infants, data for preterm infants are scarce. We aimed to describe the burden of respiratory disease in a group of preterm infants with and without bronchopulmonary dysplasia (BPD) and to assess the association of respiratory symptoms with perinatal, genetic and environmental risk factors. Methods Single centre birth cohort study: prospective recording of perinatal risk factors and retrospective assessment of respiratory symptoms during the first year of life by standardised questionnaires. Main outcome measures: Cough and wheeze (common symptoms), re-hospitalisation and need for inhalation therapy (severe outcomes). Patients: 126 preterms (median gestational age 28.7 weeks; 78 with, 48 without BPD) hospitalised at the University Children's Hospital of Bern, Switzerland 1999-2006. Results Cough occurred in 80%, wheeze in 44%, rehospitalisation in 25% and long term inhalation therapy in wheezers in 13% of the preterm infants. Using logistic regression, the main risk factor for common symptoms was frequent contact with other children. Severe outcomes were associated with maximal peak inspiratory pressure, arterial cord blood pH, APGAR and CRIB-Score. Conclusions Cough in preterm infants is as common as in term infants, whereas wheeze, inhalation therapy and re-hospitalisations occur more often. Severe outcomes are associated with perinatal risk factors. Preterm infants who did not qualify for BPD according to latest guidelines also showed a significant burden of respiratory disease in the first year of life.