1000 resultados para Dispositivo prove di trazione


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Le colture starter sono preparazioni comprendenti una o più specie microbiche aggiunte per condurre i processi fermentativi, con risvolti positivi sulle caratteristiche tecnologiche e igienico-sanitarie dei prodotti ottenuti. Questa tesi si inserisce in un progetto europeo volto a sfruttare la biodiversità microbica di salumi dell'area del Mediterraneo, utilizzandoli come fonte di isolamento di batteri lattici (LAB) da proporre come nuove colture starter e/o bioprotettive. Prove preliminari hanno permesso di selezionare un numero ridotto di LAB, considerati sicuri, che in questa tesi sono stati studiati per il loro potenziale tecnologico (cinetiche di crescita a 20°C) per valutarne l’attitudine ad essere utilizzati in salami prodotti a livello industriale. Sulla base di queste prove effettuate in laboratorio, 4 ceppi (Latilactobacillus sakei 2M7 e SWO10, Lactiplantibacillus paraplantarum BPF2, Latilactobacillus curvatus KN55) sono stati utilizzati per la produzione di salami a livello industriale, confrontando le loro performances con uno starter commerciale utilizzato comunemente in azienda. I risultati hanno mostrato come tutti i ceppi siano stati in grado di sviluppare nella matrice con cinetiche simili, anche se questa acidificazione non ha limitato il contenuto di enterobatteri, ad eccezione del campione controllo, dove tuttavia i LAB hanno mostrato una ridotta capacità di persistenza. Il ceppo BPF2 ha ridotto significativamente il contenuto di tiramina nel prodotto finito. L’analisi dei metaboliti volatili ha evidenziato un diverso accumulo di prodotti derivanti dallo sviluppo dei LAB (es. acidi, aldeidi), anche se tali differenze erano difficilmente percepibili a livello olfattivo e tutti i salami presentavano un odore gradevole. Ulteriori prove saranno necessarie per garantire la qualità microbiologica del prodotto finito (controllo degli enterobatteri) e per effettuare anche test sensoriali, al fine anche di favorire la differenziazione dei prodotti.

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Questo elaborato tratta il ruolo dei transistor elettrochimici microfabbricati (OECTs) nel campo della Bioelettronica. Nello specifico, il focus della tesi ruota attorno alla categoria di OECTs basati su poli(3,4-etilenediossitiofene)(PEDOT) con drogaggio a base di poli(3,4-etilenediossitiofene)(PSS) a dare il PEDOT:PSS. Nella struttura del seguente elaborato, il primo capitolo è dedicato all’introduzione dei polimeri conduttori organici; materiali che hanno suscitato interesse grazie alle loro proprietà conduttive coniugate a un’alta stabilità, costi di produzione convenienti e alta riproducibilità; infine la biocompatibilità e le proprietà di trasduzione di informazioni attinenti al campo della biologia in segnale elettronico li ha resi lo strumento di maggior interesse nel campo della bioelettronica. Particolare focus è posto sulla categoria degli OECTs basati su PEDOT:PSS, sulle loro caratteristiche, la modellizzazione ed il ruolo del polimero d’interesse. Ciò è trattato nel secondo capitolo assieme ai regimi di funzionamento di questi dispositivi. Nel seguito si sono riportate le procedure seguite per la realizzazione dei dispositivi studiati: dalla preparazione del substrato ai processi litografici mirati alla creazione di un pattern per il circuito, fino alla deposizione per spin-coating del polimero in soluzione. Si sono descritti e chiariti il ruolo degli elementi del dispositivo, quali elettrodi ed elettrolita nella conducibilità del canale. Si è proceduto a descrive il set up strumentale e la strumentazione. Nell’ultimo capitolo si descrivono le misure sperimentali svolte e si commentano i risultati. Le misure svolte sul dispositivo constano innanzitutto della caratterizzazione dello stesso, previa analisi a vari voltaggi forniti sul gate e per varie geometrie del canale.

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Calibrazione di lente percientrica. Scrittura del codice di calibrazione in Python e utilizzo della libreria OpenCV. L' obbiettivo della tesi consisteva nel definire un modello matematico che potesse rappresentare le caratteristiche della lente pericentrica. Una volta fatto ciò sono state eseguite diverse prove sperimentali con l'obbiettivo di validare i risultati ottenuti. Come primo passo si è prodotto lo sviluppo planare di oggetti cilindrici acquisiti con la lente . successivamente sono state svolte alcune misure sugli sviluppi ottenuti. Infine si è implementato un sistema di calibrazione stereo per determinare la validità dell'algoritmo impiegato per la singola telecamera.

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La presente trattazione propone un metodo innovativo per la fast DC charge, che permette di collegare le colonnine di ricarica a 400 V ai veicoli con batteria ad 800 V. Il collegamento avviene tramite l’azionamento elettrico di propulsione, che deve dunque essere riconfigurato durante la ricarica sotto forma di “integrated boost DC/DC converter”. L'elaborato illustra il modello matematico del sistema, lo schema di controllo in ambiente Simulink ed i risultati delle simulazioni. Infine, sono illustrate le prove a banco effettuate sul sistema in esame, la strumentazione utilizzata ed i risultati ottenuti per le configurazioni confrontate. Tuttavia, si dimostra che il metodo di ricarica richiede un’ulteriore induttanza per il collegamento al motore per evitare gli elevati ripple delle correnti di fase ed il conseguente surriscaldamento dei magneti rinvenuto durante le prove sperimentali.

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Per cercare di ridurre le emissioni inquinanti, soprattutto di CO2, si sta cercando di utilizzare sempre più fonti di energia rinnovabile. Queste non sono costanti, quindi, per ridurre il gap tra energia prodotta e richiesta, si utilizzano accumuli di energia termica, che immagazzinano l'energia quando è prodotta, per poi rilasciarla successivamente all'occorrenza. Gli accumuli termici si distinguono in sensibili, termochimici e latenti. Questa Tesi tratta l’analisi di un’innovativa tipologia di accumulo latente attraverso un materiale a cambiamento di fase (PCM) ed uno scambiatore di calore alettato. I materiali a cambiamento di fase sono in grado di immagazzinare e rilasciare energia sia con lo scambio sensibile, aumentando o diminuendo la propria temperatura, sia con lo scambio di calore latente, durante la propria transizione di fase da solido a liquido e viceversa. L’accumulo in questione è una tasca metallica con all’interno uno scambiatore di calore alettato immerso in un materiale a cambiamento di fase; il tutto è isolato dall’ambiente esterno e collegato con tubi ad un bagno termostatico caldo ed uno freddo. All'inizio l’accumulo è stato riempito con acqua, poi è stato inserito il PCM RT44HC, il cui range di temperatura di transizione di fase è 40-44°C. Nella fase di carica viene inviata acqua calda allo scambiatore per sciogliere il PCM. Nella fase di scarica, inviando acqua fredda si riprende l'energia accumulata e il PCM si solidifica. I set di prove sono stati eseguiti con temperature e portate in massa d'acqua diverse per la carica e per la scarica. I risultati mostrano che si recupera, in scarica, quasi tutta l’energia ceduta nella fase di carica e che la potenza scambiata ha un andamento decrescente nel tempo.

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Nell’ambito di questa Tesi è stata svolta un’analisi sperimentale delle prestazioni di una pompa di calore dual-source (DSHP). Essa è una pompa di calore a doppia sorgente in grado di scambiare potenza termica con due diversi serbatoi termici esterni: aria e terreno. Il campo sonde è composto da quattro sonde geotermiche a doppio tubo ad U, due da 60m e due da 100m, disposte in linea ed accoppiate ad una camera climatica per test su pompe di calore elettriche. Sono stati eseguiti test sul prototipo DSHP in configurazione geotermica stabilendo dei criteri per lo svolgimento delle prove, che in corso d’opera sono stati perfezionati. è stata eseguita la calibrazione dei sensori di temperatura, le termocoppie e le termoresistenze, che sono state collocate lungo il circuito idronico e in camera climatica, dove è installata la DSHP. Invece, per monitorare la temperatura del terreno viene impiegato un filo in fibra ottica inserito rispettivamente nella mandata e nel ritorno di uno dei tubi ad U delle sonde da 60m e da 100m. Si è stabilito di affidarci esclusivamente ai valori di offset che la centralina DTS, alla quale sono collegati i quattro filamenti in fibra ottica, applica di volta in volta sulle misurazioni di temperatura. È stata curata nel dettaglio una prova condotta mantenendo attive tutte le sonde del campo geotermico. Al fine di definire le prestazioni della pompa di calore, è stato eseguito il calcolo del Coefficient of Performance (COP) della macchina lungo lo svolgimento della prova, in modo da poter confrontare questo risultato con quelli ottenuti nelle differenti configurazioni analizzate in questa Tesi. I risultati contenuti in questa tesi hanno permesso di stabilire i tempi di scarica e recupero del terreno, l’entità dell’interferenza che si genera tra sonde adiacenti sottoposte ad un carico termico e di studiare il comportamento del terreno nei suoi strati più superficiali in funzione delle condizioni metereologiche esterne.

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I sistemi di trasporto dell’energia elettrica per lunghe distanze possono dimostrarsi convenienti attraverso l’utilizzo di cavi in corrente continua ad alta tensione (HVDC). Essi possono essere installati seguendo la classica configurazione aerea, oppure interrati, dove le difficili condizioni ambientali, possono portare alla degradazione dei materiali. I materiali polimerici che costituiscono l’isolamento del cavo sono soggetti ad invecchiamento, diventando sempre più fragili e poco affidabili sia a seguito delle condizioni ambientali che dall’applicazione dell’alta tensione, che comporta un forte campo elettrico fra la superficie del conduttore e l’isolante esterno. Per determinare l’integrità e le caratteristiche dei materiali polimerici si utilizzano tecniche diagnostiche. Molte tecniche prevedono però la distruzione del materiale, quindi se ne cercano altre non distruttive. Questa tesi studia gli effetti dell’aggiunta di un additivo alla matrice polimerica del materiale isolante, utilizzando la tecnica di spettroscopia dielettrica, la misura di conducibilità e il metodo dell’impulso elettroacustico. I provini testati sono costituiti da una matrice di polipropilene e polipropilene additivato con nitruro di boro, testati alle temperature di 20, 40, 70°C. In particolare, il primo capitolo introduce i sistemi HVDC, per poi presentare le caratteristiche e le proprietà dei materiali nanodielettrici. Nella terza parte si descrive il set sperimentale utilizzato nelle prove condotte. Nei capitoli 4 e 5 sono riportati i risultati ottenuti e la loro discussione.

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Il presente elaborato descrive il percorso effettuato sulla macchina XTREMA, prodotta dalla divisione Life del gruppo IMA. Il progetto ha come fine il miglioramento delle prestazioni della macchina, quantificate principalmente in termini di accuratezza del prodotto dosato e di prodotti processati in un arco di tempo. Il Capitolo 1 fornisce un iniziale studio delle caratteristiche e del funzionamento della macchina, con successiva focalizzazione sul sistema di controllo peso. Con l’obiettivo di definire le prestazioni del sistema di controllo peso, nel Capitolo 2 è impostata una campagna sperimentale di test che permette di studiare lo stato attuale del sistema, identificando l’influenza dei vari parametri di funzionamento sulle perfomances, portando alla luce le criticità della macchina. Viene quindi analizzato il gruppo, individuando le cause delle problematiche e identificando su quali campi agire per incrementare velocità di funzionamento e accuratezza del sistema. All’interno del Capitolo 3 entrambi i componenti del sistema di controllo peso, discensore e gruppo di bilance, sono quindi riprogettati per risolvere le criticità rilevate. Nel Capitolo 4 viene affrontato il montaggio del prototipo in una macchina dedicata alle prove, dove viene impostata una nuova campagna di test con l’obiettivo collaudare il sistema e validarne le prestazioni. Confrontando le prove si dimostrerà che il nuovo prototipo, oltre ad aumentare il numero di flaconi pesati al minuto, permette di risolvere le problematiche del precedente sistema, consentendo di ottenere un’accuratezza del controllo peso superiore a quanto riscontrato nella campagna iniziale di prove svolta inizialmente.

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Quando si pensa alla figura di un medico, non lo si può immaginare senza uno stetoscopio alle sue spalle. Lo stetoscopio è uno strumento molto semplice ma molto importante, inventato in Francia nel 1816 da René Théophile Hyacinthe Laennec, permise di poter auscultare ed analizzare i rumori generati dai battiti cardiaci ottenendo suoni più puliti e rendendo meno invasiva la procedura, precedentemente svolta posizionando l'orecchio sul petto del paziente. Nel 1970 David Littman migliorò notevolmente la struttura dello stetoscopio precedente, creando lo strumento che noi tutti conosciamo. Grazie alla rapida evoluzione dell'elettronica negli ultimi anni si hanno oggi a disposizione una moltitudine di nuovi ed efficaci sensori, alcuni dei quali trovano impiego nell'ambito dell'ingegneria biomedica. In particolare, si è pensato di utilizzare queste nuove tecnologie per la progettazione e lo sviluppo di uno stetoscopio elettronico. Il forte vantaggio di uno stetoscopio elettronico, rispetto al classico biomeccanico, risiede nell'elaborazione, nel filtraggio e nell'amplificazione del segnale che si può applicare all'auscultazione, oltreché nella possibilità di poter registrare il segnale acquisito, rendendo questo dispositivo uno strumento potenzialmente efficace per la telemedicina. In questo elaborato verrà trattato lo sviluppo di uno stetoscopio elettronico, evidenziando tutti i problemi e le criticità riscontrate durante il progetto in ogni punto di vista, software, hardware e signal processing. Tutto ciò non prima di una consistente introduzione necessaria per comprendere la tipologia di segnale d'interesse e l'analisi di alcuni tipi di dispositivi presenti in commercio e non, da cui si è tratta ispirazione. Seguirà un analisi critica dei risultati ottenuti, confrontando i segnali ottenuti dal dispositivo progettato con quelli ottenuti in reparto utilizzando due dispositivi commerciali, analizzando le differenze, punti di forza e di debolezza.

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Il presente elaborato analizza le rese del sistema di interpretazione automatica WT2 Plus di Timekettle in un reale contesto didattico. Nello specifico, sono state condotte tre sperimentazioni presso l’Accademia Europea di Manga utilizzando due modalità di interpretazione supportate dal dispositivo. L’obiettivo è valutare la qualità di un sistema di interpretazione automatica in un contesto reale, dato che allo stato attuale mancano studi che valutino la performance di questi dispositivi nei reali contesti per i quali sono stati sviluppati. Il primo capitolo ripercorre la storia dell’interpretazione automatica, cui fa seguito la spiegazione della tecnologia alla base dei sistemi disponibili sul mercato, di cui poi si presenta lo stato dell’arte. Successivamente si delinea in breve il prossimo passaggio evolutivo nell’interpretazione automatica e si analizzano tre casi studio simili a quello proposto. Il capitolo si conclude con l’approccio scelto per valutare la performance del dispositivo. Il secondo capitolo, dedicato alla metodologia, si apre con una panoramica su WT2 Plus e sull’azienda produttrice per poi descrivere il metodo usato nelle sperimentazioni. Nello specifico, le sperimentazioni sono state condotte durante alcune delle attività previste nel normale svolgimento delle lezioni presso l’Accademia Europea di Manga con il coinvolgimento di uno studente anglofono e di due membri del personale accademico. I dati raccolti sono analizzati e discussi rispettivamente nei capitoli 3 e 4. I risultati ottenuti sembrano suggerire che il dispositivo non sia, allo stato attuale, compatibile con un reale contesto didattico, per via del quasi mancato funzionamento di una delle modalità prescelte, per il servizio di interpretazione, che risulta ancora troppo letterale, la monotonia dell’intonazione della voce automatica e infine per la traduzione quasi completamente errata della terminologia tecnica.

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Con l’avvento dell’Industry 4.0, l’utilizzo dei dispositivi Internet of Things (IoT) è in continuo aumento. Le aziende stanno spingendo sempre più verso l’innovazione, andando ad introdurre nuovi metodi in grado di rinnovare sistemi IoT esistenti e crearne di nuovi, con prestazioni all’avanguardia. Un esempio di tecniche innovative emergenti è l’utilizzo dei Digital Twins (DT). Essi sono delle entità logiche in grado di simulare il reale comportamento di un dispositivo IoT fisico; possono essere utilizzati in vari scenari: monitoraggio di dati, rilevazione di anomalie, analisi What-If oppure per l’analisi predittiva. L’integrazione di tali tecnologie con nuovi paradigmi innovativi è in rapido sviluppo, uno tra questi è rappresentato dal Web of Things (WoT). Il Web of Thing è un termine utilizzato per descrivere un paradigma che permette ad oggetti del mondo reale di essere gestiti attraverso interfacce sul World Wide Web, rendendo accessibile la comunicazione tra più dispositivi con caratteristiche hardware e software differenti. Nonostante sia una tecnologia ancora in fase di sviluppo, il Web of Thing sta già iniziando ad essere utilizzato in molte aziende odierne. L’elaborato avrà come obiettivo quello di poter definire un framework capace di integrare un meccanismo di generazione automatica di Digital Twin su un contesto Web of Thing. Combinando tali tecnologie, si potrebbero sfruttare i vantaggi dell’interoperabilità del Web of Thing per poter generare un Digital Twin, indipendentemente dalle caratteristiche hardware e software degli oggetti da replicare.

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La complessità dei satelliti e la difficoltà nell’analizzare e risolvere eventuali malfunzionamenti che occorrono dopo la messa in funzione, comportano la necessità di completare estensive campagne di verifica sperimentale prima del lancio in orbita. Nel caso del sistema di determinazione e controllo di assetto (ADCS) è necessario riprodurre a terra le condizioni di microgravità e quasi totale assenza di attrito che si riscontrano in orbita. Per simulare l’ambiente spaziale a terra si usano quindi dei banchi prova progettati e costruiti appositamente per questo scopo: vengono solitamente impiegati dei cuscinetti ad aria sferici, piani oppure di entrambi i tipi per dare al sistema da verificare gradi di libertà rotazionali. Il Laboratorio Microsatelliti Microsistemi Spaziali dell’Università di Bologna ha sviluppato un banco prova in cui possono essere utilizzati alternativamente due cuscinetti sferici, uno realizzato in PVC e l’altro in alluminio. Al fine di certificare l’affidabilità dei risultati ottenuti dalle prove sperimentali, è necessario caratterizzare tutte le fonti di disturbo e in particolare verificare che i disturbi introdotti dai cuscinetti siano sufficientemente bassi da assicurare una fedele simulazione dell’ambiente spaziale. Nel presente elaborato è descritta la progettazione e la realizzazione di una piattaforma sperimentale necessaria per quantificare le coppie di disturbo dei due cuscinetti utilizzati presso il laboratorio. I risultati sperimentali ottenuti sono stati comparati con un modello analitico ricavato da precedenti conclusioni pubblicate nella letteratura scientifica. In seguito, la tesi esamina l’approccio utilizzato per stimare le coppie di disturbo e compara i risultati per entrambi i cuscinetti disponibili. Il lavoro svolto mette a servizio del laboratorio gli strumenti necessari a dimensionare i cuscinetti che verranno sviluppati e utilizzati in futuro.

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Lo scenario oggi più accreditato per spiegare la formazione delle galassie è quello del merging gerarchico: Sgr è una delle prove più importanti a favore di questo scenario. Sgr è una galassia satellite della MW ed è il caso migliore di processo di distruzione mareale in corso dalla MW. La sua distruzione ha contribuito alla costituzione dell'alone della Via Lattea. Di Sgr si osserva solo ciò che ne rimane del corpo principale, i suoi streams ed il suo nucleo, dominato dall'ammasso metal-poor M54. È la presenza di M54 che rende complessa la selezione di stelle metal-poor di Sgr: il main-body di Sgr è rarefatto e fortemente contaminato da stelle galattiche ed il suo nucleo si sovrappone con M54 rendendo quasi impossibile identificare stelle di Sagittario metal-poor non appartenenti ad M54. Fino ad ora l'unico metodo utilizzato per selezionare i targets per studiare la chimica di Sgr ha fatto uso della loro posizione sul CMD: questo metodo introduce un bias, selezionando solo le stelle metal-rich di Sgr. In questo lavoro sono state studiate 23 stelle metal-poor appartenenti al main-body di Sgr ma fuori dal raggio mareale di M54 selezionate grazie ai moti propri dalla missione GAIA. Gli spettri analizzati sono stati ottenuti con lo spettrografo UVES-FLAMES del VLT (ESO)da cui è stata ottenuta l'abbondanza di 17 elementi sia di stelle di Sgr che in 12 stelle di M54. Questo campione di abbondanze chimiche permette per la prima volta: (a) di comprendere la storia di arricchimento chimico di Sgr in un ampio range di metallicità (mai studiato finora) e (b) di confrontare la chimica di Sgr con quella di M54. Tali abbondanze dimostrano come Sgr abbia avuto un'evoluzione chimica diversa da quella della MW, con un contributo inferiore da parte di stelle massive, probabilmente a causa del suo basso SFR. Inoltre è stato possibile determinare la forte somiglianza chimica tra Sgr e M54, confermando che i due sistemi condividono la stessa storia di arricchimento chimico.

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La mancanza di vascolarizzazione dei costrutti tissutali cartilaginei ingegnerizzati rende opportuno e necessario l’impiego di bioreattori che permettano di indurre un flusso nel terreno di coltura favorendo il trasporto di massa e quindi lo sviluppo del metabolismo e del differenziamento cellulare. I bioreattori intendono replicare gli stimoli fisici fisiologici, nello specifico condrogenici, e a regolare la formazione della matrice extracellulare tramite meccanotrasduzione, il fenomeno biologico che traduce le sollecitazioni meccaniche applicate alle cellule in segnali biochimici che suscitano risposte adattative. In questo elaborato sono riportati i risultati di un recente lavoro - pubblicato da J. Hallas, A. J. Janvier, K. F. Hoettges & J. R. Henstock e intitolato “Pneumatic piston hydrostatic bioreactor for cartilage tissue engineering – che propone la realizzazione di un bioreattore idrostatico a pistone pneumatico, realizzato con componenti facilmente acquisibili a basso costo in commercio. Il bioreattore è collegato a una camera di coltura tramite un connettore pneumatico e un tubo per l’aria in polipropilene. La camera di coltura è realizzata in acido polilattico (PLA) tramite stampante 3D. Il dispositivo è in grado di applicare a una coltura cellulare tridimensionale una pressione idrostatica intermittente con ampiezza compresa tra 0 e 400 kPa e frequenza massima di 3,5 Hz. Condrociti provenienti dalla cartilagine di un’articolazione di ginocchio sono stati coltivati all’interno della camera di coltura del bioreattore dove sono stati sottoposti a una pressione di picco di 300 kPa per 3 ore al giorno per un totale di 5 giorni. Al termine della coltura si è ottenuto un aumento dell’attività metabolica cellulare del 21% e un aumento significativo del contenuto di glicosamminoglicani nell’ECM.

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Il progetto di tesi è stato svolto all’interno della divisione logistica dello stabilimento BASF Italia s.p.a. situato a Pontecchio Marconi (BO). L’elaborato tratta lo studio di fattibilità per la valorizzazione di reflui liquidi in un impianto di produzione di fine chemicals volto principalmente al miglioramento della separazione tra liquidi immiscibili all’interno delle cisterne del parco reflui del sito. La prima fase dello studio si è concentrata nella valutazione dello stato dell’arte nell’attuale gestione dei reflui in sito, che ha visto la sua prosecuzione naturale nel campionamento degli stessi per la caratterizzazione chimico-fisica. A seguito dello screening tecnologico e in funzione dei risultati ottenuti dalle analisi, sono stati individuati i processi più idonei per la finalità descritta. Infine sono stati contattati alcuni fornitori per svolgere delle prove con impianti pilota con l’obiettivo di ricavare dei risultati rappresentativi di un processo industriale. Lo studio di fattibilità si è concluso con il confronto tra le soluzioni individuate, evidenziando i diversi aspetti di carattere tecnico-economico-ambientale e illustrando gli svantaggi e i vantaggi di ognuna delle tecnologie.