816 resultados para UNION EUROPEA - POLITICA COMERCIAL - 2000-2008


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La tesi mira ad analizzare e valutare le attuali relazioni esistenti tra le regioni e l’Unione europea, alla luce dei processi di riforma in atto sia sul versante interno sia su quello europeo. In particolare, essa prende spunto dalla riforma del Titolo V della Costituzione italiana e dalle leggi di attuazione della stessa, che hanno ridisegnato i contorni del regionalismo italiano. Nell’introduzione si analizza il contesto europeo delle relazioni dell’Unione con le entità sub-statali; in tal senso si è voluto preliminarmente chiarire il senso in cui si è utilizzato il termine “regione”: non tutti gli Stati europei infatti accolgono una tale nozione nel senso in cui essa è utilizzata nell’ordinamento italiano, né i poteri conferiti alle regioni sono i medesimi in tutti gli Stati che utilizzano ripartizioni territoriali simili alle regioni italiane. Prendendo come punto di riferimento per la prima parte della ricerca le entità territoriali dotate di competenze legislative, trascurando le relazioni dell’UE con i soggetti sub-statali con attribuzioni meramente amministrative. La ricerca prende dunque le mosse dal concetto di “regionalismo comunitario”. La questione regionale ha sempre costituito un problema aperto per le istituzioni comunitarie (legato alla problematica del “deficit democratico” dei processi legislativi comunitari). Le istituzioni, soprattutto agli inizi del cammino di integrazione europea, risentivano infatti delle origini internazionali delle Comunità, e consideravano quale unici interlocutori possibili i governi centrali degli Stati membri. Si è quindi voluta mettere in luce la rapida evoluzione dell’attitudine regionale dell’Unione, provocata da una nuova coscienza comunitaria legata alla prima fase di attuazione della politica dei fondi strutturali, ma soprattutto all’ingresso sulla scena europea del principio di sussidiarietà, e degli effetti che esso è stato in grado di produrre sull’intero sistema di relazioni Stati/Regioni/Unione europea: l’Unione è giunta di recente ad accogliere una nozione più ampia di Stato, comprensiva – anche se in modo limitato e solo per alcuni fini – delle entità sub-statali. Lo studio si concentra poi sull’ordinamento italiano, presentando lo stato attuale della legislazione nazionale relativa alla partecipazione delle regioni al sistema del diritto comunitario. All’inizio del capitolo si precisa la fondamentale distinzione tra fase ascendente, cioè partecipazione di rappresentanti regionali alle procedure legislative dell’Unione, e fase discendente, cioè relativa al ruolo delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario; tale distinzione appare necessaria al fine di chiarire le diverse modalità che può assumere il ruolo delle regioni nel sistema comunitario, e sarà ripresa durante tutta la ricerca. Il secondo capitolo esamina la riforma costituzionale del 2001, complessivamente orientata verso una ridefinizione del nostro sistema delle autonomie e delle loro relazioni con l’Unione europea. Nel nuovo testo costituzionale le prerogative regionali risultano ormai “costituzionalizzate”, trovano ora definitiva collocazione nell’art. 117 Cost. La riforma del 2001 comporta alcuni elementi innovativi circa la complessiva strutturazione del rapporto tra l’ordinamento nazionale e quello comunitario, in particolare prevedendo che “le regioni, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato”. Grazie a questa previsione il coinvolgimento delle regioni assume rango costituzionale e si impone al legislatore ordinario, il quale può continuare a determinarne le modalità procedurali ma non cancellarlo o pregiudicarlo in modo sostanziale. In secondo luogo l’art. 117 Cost. propone, all’interno del nostro ordinamento, una definizione complessiva del rapporto tra le fonti statali e quelle regionali, rimodulando le sfere e le modalità di “interferenza” tra lo Stato e le autonomie regionali. Con riferimento alla ripartizione di competenze, l’evoluzione è evidente: da un sistema in cui la competenza generale era statale, e veniva fornita un’elencazione di dettaglio delle materie che facevano eccezione, si è giunti oggi ad un sistema capovolto, in cui per ogni materia non contenuta nell’elencazione dell’articolo 117 la competenza può essere regionale; in tale sistema può leggersi una forma di “sussidiarietà legislativa”, come messo in luce dalla ricerca. Lo studio passa poi ad analizzare le concrete modalità di partecipazione regionale nelle disposizioni delle leggi primarie che hanno dato attuazione alla novella costituzionale, con riferimento tanto alla fase ascendete quanto a quella discendente. La fase ascendente, osservata nel secondo capitolo della tesi, può verificarsi tramite la partecipazione diretta di rappresentanti regionali alle riunioni del Consiglio, così come previsto da una disposizione della legge n. 131/2003 (“La Loggia”), i cui risultati si sono rivelati però piuttosto modesti e privi, in assenza di una radicale revisione dei Trattati, di serie prospettive di sviluppo. Ma esiste altresì un'altra tipologia di relazioni sviluppabili in fase ascendente, relazioni “indirette”, cioè svolte tramite l’intermediazione dello Stato, che si fa portavoce delle istanze regionali a Bruxelles. In tale prospettiva, la ricerca si concentra sulle disposizioni della legge n. 11/2005 (“Buttiglione”), che riformano il sistema delle conferenze, prevedono precisi obblighi informativi per il Governo nei confronti delle regioni in relazione all’adozione di atti comunitari ed introducono nel panorama legislativo italiano l’istituto della riserva d’esame, al fine di dare maggior peso alle istituzioni regionali al momento dell’adozione di atti comunitari. La tesi passa poi all’analisi della fase discendente. Le funzioni regionali in materia di attuazione del diritto comunitario risultano altresì ampliate non soltanto alla luce della nuova formulazione dell’art. 117 Cost., ma anche e soprattutto grazie ad una disposizione della legge “Buttiglione”, che introduce la possibilità di adottare “leggi comunitarie regionali”, da adottarsi sul modello di legge comunitaria nazionale vigente nel nostro ordinamento fin dal 1989. Tale disposizione ha dato il via ad una serie di processi di riforma all’interno degli ordinamenti giuridici regionali, volti a predisporre tutti gli strumenti legislativi utili all’adozione delle leggi comunitarie regionali, di gran lunga la novità più importante contenuta nella disciplina della legge “Buttiglione”. Perciò, dopo un’analisi approfondita relativa al nuovo riparto di competenze tra Stato e regioni, oggetto della prima parte del capitolo terzo, ed uno studio relativo al locus standi delle regioni nel sistema giurisdizionale europeo, svolto nella seconda parte dello stesso capitolo, l’ultima parte della tesi è rivolta ad individuare gli atti regionali di maggior interesse nella prospettiva dell’attuazione del diritto comunitario realizzata tramite leggi comunitarie regionali. In quest’ambito particolare attenzione è stata rivolta alla legislazione della regione Emilia-Romagna, che si è dimostrata una delle regioni più attente e capaci di cogliere le potenzialità presenti nel “nuovo” sistema di relazioni delle regioni con il sistema comunitario.

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This study deals with the protection of social rights in Europe and aims to outline the position currently held by these rights in the EU law. The first two chapters provide an overview of the regulatory framework in which the social rights lie, through the reorganisation of international sources. In particular the international instruments of protection of social rights are taken into account, both at the universal level, due to the activity of the United Nations Organisation and of its specialized agency, the International Labour Organization, and at a regional level, related to the activity of the Council of Europe. Finally an analysis of sources concludes with the reconstruction of the stages of the recognition of social rights in the EU. The second chapter describes the path followed by social rights in the EU: it examines the founding Treaties and subsequent amendments, the Charter of Fundamental Social Rights of Workers of 1989 and, in particularly, the Charter of Fundamental Rights of the European Union, the legal status of which was recently treated as the primary law by the Treaty of Lisbon signed in December 2007. The third chapter is, then, focused on the analysis of the substantive aspects of the recognition of the rights made by the EU: it provides a framework of the content and scope of the rights accepted in the Community law by the Charter of Fundamental Rights, which is an important contribution to the location of the social rights among the fundamental and indivisible rights of the person. In the last section of the work, attention is focused on the two profiles of effectiveness and justiciability of social rights, in order to understand the practical implications of the gradual creation of a system of protection of these rights at Community level. Under the first profile, the discussion is focused on the effectiveness in the general context of the mechanisms of implementation of the “second generation” rights, with particular attention to the new instruments and actors of social Europe and the effect of the procedures of soft law. Second part of chapter four, finally, deals with the judicial protection of rights in question. The limits of the jurisprudence of the European Union Court of Justice are more obvious exactly in the field of social rights, due to the gap between social rights and other fundamental rights. While, in fact, the Community Court ensures the maximum level of protection to human rights and fundamental freedoms, social rights are often degraded into mere aspirations of EU institutions and its Member States. That is, the sources in the social field (European Social Charter and Community Charter) represent only the base for interpretation and application of social provisions of secondary legislation, unlike the ECHR, which is considered by the Court part of Community law. Moreover, the Court of Justice is in the middle of the difficult comparison between social values and market rules, of which it considers the need to make a balance: despite hesitancy to recognise the juridical character of social rights, the need of protection of social interests has justified, indeed, certain restrictions to the free movement of goods, freedom to provide services or to Community competition law. The road towards the recognition and the full protection of social rights in the European Union law appears, however, still long and hard, as shown by the recent judgments Laval and Viking, in which the Community court, while enhancing the Nice Charter, has not given priority to fundamental social rights, giving them the role of limits (proportionate and justified) of economic freedoms.

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This thesis is aimed at analysing EU external relations from the perspective of the promotion of the rule of law in order to evaluate the effectiveness and consistency of its action within the international community. The research starts with an examination of the notion of the rule of law from a theoretical point of view. The first chapter initially describes the historical-political evolution of the establishment of the notion of the rule of law. Some of the most significant national experiences (France, the UK, Germany and Austria) are discussed. Then, the focus is put on the need to propose interpretations which explain the grounds of the rule of law, by highlighting the different formal and substantive interpretations. This philosophical-historical analysis is complemented by a reconstruction of how the notion of the rule of law was developed by the international community, with a view to searching a common notion at the international level by comparing theory and practice within the main international organisations such as the UN, OECD and the Council of Europe. Specific mention is made of the EU experience, whose configuration as a Community based on the rule of law is often debated, starting from the case law of the European Court of Justice. The second chapter deals with the conditionality policy and focuses on the development and scope of democratic conditionality according to the dominant approach of the doctrine. First, the birth of conditionality is analysed from an economic point of view, especially within international financial organisations and the different types of conditionality recreated in the scientific sector. Then an analysis is provided about the birth of democratic conditionality in the EC – in relation to its external relations – firstly as a mere political exercise to be then turned into a standardised system of clauses. Specific reference is made to the main scope of conditionality, that is to say enlargement policy and the development of the Copenhagen criteria. The third chapter provides further details about the legal questions connected to the use of democratic clauses: on the one hand, the power of the EC to include human rights clauses in international agreements, on the other, the variety and overlapping in the use of the legal basis. The chapter ends with an analysis of the measures of suspension of agreements with third countries in those rare but significant cases in which the suspension clause, included in the Lomè Convention first and in the Cotonou Agreement then, is applied. The last chapter is devoted to the analysis of democratic clauses in unilateral acts adopted by the European Union which affect third countries. The examination of this practice and the comparison with the approach analysed in the previous chapter entails a major theoretical question. It is the clear-cut distinction between conditionality and international sanction. This distinction is to be taken into account when considering the premises and consequences, in terms of legal relations, which are generated when democratic clauses are not complied with. The chapter ends with a brief analysis of what, according to the reconstruction suggested, can be rightly labelled as real democratic conditionality, that is to say the system of incentives, positive measures developed within the community GSP. The dissertation ends with a few general considerations about the difficulties experienced by the EU in promoting the rule of law. The contradictory aspects of the EU external actions are manifold, as well as its difficulties in choosing the most appropriate measures to be taken which, however, reflect all the repercussions and tension resulting from the balance of power within the international community. The thesis argues that it is difficult to grant full credibility to an entity like the EU which, although it proclaims itself as the guardian and promoter of the rule of law, in practice, is too often biased in managing its relations with third countries. However, she adds, we must acknowledge that the EU is committed and constantly strives towards identifying new spaces and strategies of action.

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It is not unknown that the evolution of firm theories has been developed along a path paved by an increasing awareness of the organizational structure importance. From the early “neoclassical” conceptualizations that intended the firm as a rational actor whose aim is to produce that amount of output, given the inputs at its disposal and in accordance to technological or environmental constraints, which maximizes the revenue (see Boulding, 1942 for a past mid century state of the art discussion) to the knowledge based theory of the firm (Nonaka & Takeuchi, 1995; Nonaka & Toyama, 2005), which recognizes in the firm a knnowledge creating entity, with specific organizational capabilities (Teece, 1996; Teece & Pisano, 1998) that allow to sustaine competitive advantages. Tracing back a map of the theory of the firm evolution, taking into account the several perspectives adopted in the history of thought, would take the length of many books. Because of that a more fruitful strategy is circumscribing the focus of the description of the literature evolution to one flow connected to a crucial question about the nature of firm’s behaviour and about the determinants of competitive advantages. In so doing I adopt a perspective that allows me to consider the organizational structure of the firm as an element according to which the different theories can be discriminated. The approach adopted starts by considering the drawbacks of the standard neoclassical theory of the firm. Discussing the most influential theoretical approaches I end up with a close examination of the knowledge based perspective of the firm. Within this perspective the firm is considered as a knowledge creating entity that produce and mange knowledge (Nonaka, Toyama, & Nagata, 2000; Nonaka & Toyama, 2005). In a knowledge intensive organization, knowledge is clearly embedded for the most part in the human capital of the individuals that compose such an organization. In a knowledge based organization, the management, in order to cope with knowledge intensive productions, ought to develop and accumulate capabilities that shape the organizational forms in a way that relies on “cross-functional processes, extensive delayering and empowerment” (Foss 2005, p.12). This mechanism contributes to determine the absorptive capacity of the firm towards specific technologies and, in so doing, it also shape the technological trajectories along which the firm moves. After having recognized the growing importance of the firm’s organizational structure in the theoretical literature concerning the firm theory, the subsequent point of the analysis is that of providing an overview of the changes that have been occurred at micro level to the firm’s organization of production. The economic actors have to deal with challenges posed by processes of internationalisation and globalization, increased and increasing competitive pressure of less developed countries on low value added production activities, changes in technologies and increased environmental turbulence and volatility. As a consequence, it has been widely recognized that the main organizational models of production that fitted well in the 20th century are now partially inadequate and processes aiming to reorganize production activities have been widespread across several economies in recent years. Recently, the emergence of a “new” form of production organization has been proposed both by scholars, practitioners and institutions: the most prominent characteristic of such a model is its recognition of the importance of employees commitment and involvement. As a consequence it is characterized by a strong accent on the human resource management and on those practices that aim to widen the autonomy and responsibility of the workers as well as increasing their commitment to the organization (Osterman, 1994; 2000; Lynch, 2007). This “model” of production organization is by many defined as High Performance Work System (HPWS). Despite the increasing diffusion of workplace practices that may be inscribed within the concept of HPWS in western countries’ companies, it is an hazard, to some extent, to speak about the emergence of a “new organizational paradigm”. The discussion about organizational changes and the diffusion of HPWP the focus cannot abstract from a discussion about the industrial relations systems, with a particular accent on the employment relationships, because of their relevance, in the same way as production organization, in determining two major outcomes of the firm: innovation and economic performances. The argument is treated starting from the issue of the Social Dialogue at macro level, both in an European perspective and Italian perspective. The model of interaction between the social parties has repercussions, at micro level, on the employment relationships, that is to say on the relations between union delegates and management or workers and management. Finding economic and social policies capable of sustaining growth and employment within a knowledge based scenario is likely to constitute the major challenge for the next generation of social pacts, which are the main social dialogue outcomes. As Acocella and Leoni (2007) put forward the social pacts may constitute an instrument to trade wage moderation for high intensity in ICT, organizational and human capital investments. Empirical evidence, especially focused on the micro level, about the positive relation between economic growth and new organizational designs coupled with ICT adoption and non adversarial industrial relations is growing. Partnership among social parties may become an instrument to enhance firm competitiveness. The outcome of the discussion is the integration of organizational changes and industrial relations elements within a unified framework: the HPWS. Such a choice may help in disentangling the potential existence of complementarities between these two aspects of the firm internal structure on economic and innovative performance. With the third chapter starts the more original part of the thesis. The data utilized in order to disentangle the relations between HPWS practices, innovation and economic performance refer to the manufacturing firms of the Reggio Emilia province with more than 50 employees. The data have been collected through face to face interviews both to management (199 respondents) and to union representatives (181 respondents). Coupled with the cross section datasets a further data source is constituted by longitudinal balance sheets (1994-2004). Collecting reliable data that in turn provide reliable results needs always a great effort to which are connected uncertain results. Data at micro level are often subjected to a trade off: the wider is the geographical context to which the population surveyed belong the lesser is the amount of information usually collected (low level of resolution); the narrower is the focus on specific geographical context, the higher is the amount of information usually collected (high level of resolution). For the Italian case the evidence about the diffusion of HPWP and their effects on firm performances is still scanty and usually limited to local level studies (Cristini, et al., 2003). The thesis is also devoted to the deepening of an argument of particular interest: the existence of complementarities between the HPWS practices. It has been widely shown by empirical evidence that when HPWP are adopted in bundles they are more likely to impact on firm’s performances than when adopted in isolation (Ichniowski, Prennushi, Shaw, 1997). Is it true also for the local production system of Reggio Emilia? The empirical analysis has the precise aim of providing evidence on the relations between the HPWS dimensions and the innovative and economic performances of the firm. As far as the first line of analysis is concerned it must to be stressed the fundamental role that innovation plays in the economy (Geroski & Machin, 1993; Stoneman & Kwoon 1994, 1996; OECD, 2005; EC, 2002). On this point the evidence goes from the traditional innovations, usually approximated by R&D investment expenditure or number of patents, to the introduction and adoption of ICT, in the recent years (Brynjolfsson & Hitt, 2000). If innovation is important then it is critical to analyse its determinants. In this work it is hypothesised that organizational changes and firm level industrial relations/employment relations aspects that can be put under the heading of HPWS, influence the propensity to innovate in product, process and quality of the firm. The general argument may goes as follow: changes in production management and work organization reconfigure the absorptive capacity of the firm towards specific technologies and, in so doing, they shape the technological trajectories along which the firm moves; cooperative industrial relations may lead to smother adoption of innovations, because not contrasted by unions. From the first empirical chapter emerges that the different types of innovations seem to respond in different ways to the HPWS variables. The underlying processes of product, process and quality innovations are likely to answer to different firm’s strategies and needs. Nevertheless, it is possible to extract some general results in terms of the most influencing HPWS factors on innovative performance. The main three aspects are training coverage, employees involvement and the diffusion of bonuses. These variables show persistent and significant relations with all the three innovation types. The same do the components having such variables at their inside. In sum the aspects of the HPWS influence the propensity to innovate of the firm. At the same time, emerges a quite neat (although not always strong) evidence of complementarities presence between HPWS practices. In terns of the complementarity issue it can be said that some specific complementarities exist. Training activities, when adopted and managed in bundles, are related to the propensity to innovate. Having a sound skill base may be an element that enhances the firm’s capacity to innovate. It may enhance both the capacity to absorbe exogenous innovation and the capacity to endogenously develop innovations. The presence and diffusion of bonuses and the employees involvement also spur innovative propensity. The former because of their incentive nature and the latter because direct workers participation may increase workers commitment to the organizationa and thus their willingness to support and suggest inovations. The other line of analysis provides results on the relation between HPWS and economic performances of the firm. There have been a bulk of international empirical studies on the relation between organizational changes and economic performance (Black & Lynch 2001; Zwick 2004; Janod & Saint-Martin 2004; Huselid 1995; Huselid & Becker 1996; Cappelli & Neumark 2001), while the works aiming to capture the relations between economic performance and unions or industrial relations aspects are quite scant (Addison & Belfield, 2001; Pencavel, 2003; Machin & Stewart, 1990; Addison, 2005). In the empirical analysis the integration of the two main areas of the HPWS represent a scarcely exploited approach in the panorama of both national and international empirical studies. As remarked by Addison “although most analysis of workers representation and employee involvement/high performance work practices have been conducted in isolation – while sometimes including the other as controls – research is beginning to consider their interactions” (Addison, 2005, p.407). The analysis conducted exploiting temporal lags between dependent and covariates, possibility given by the merger of cross section and panel data, provides evidence in favour of the existence of HPWS practices impact on firm’s economic performance, differently measured. Although it does not seem to emerge robust evidence on the existence of complementarities among HPWS aspects on performances there is evidence of a general positive influence of the single practices. The results are quite sensible to the time lags, inducing to hypothesize that time varying heterogeneity is an important factor in determining the impact of organizational changes on economic performance. The implications of the analysis can be of help both to management and local level policy makers. Although the results are not simply extendible to other local production systems it may be argued that for contexts similar to the Reggio Emilia province, characterized by the presence of small and medium enterprises organized in districts and by a deep rooted unionism, with strong supporting institutions, the results and the implications here obtained can also fit well. However, a hope for future researches on the subject treated in the present work is that of collecting good quality information over wider geographical areas, possibly at national level, and repeated in time. Only in this way it is possible to solve the Gordian knot about the linkages between innovation, performance, high performance work practices and industrial relations.

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This PhD thesis aims at providing an evaluation of EU Cohesion policy impact on regional growth. It employs methodologies and data sources never before applied for this purpose. Main contributions to the literature concerning EU regional policy effectiveness have been extensively analysed. Moreover, having carried out an overview of the current literature on Cohesion Policy, we deduce that this work introduces innovative features in the field. The work enriches the current literature with regards to two aspects. The first aspect concerns the use of the instrument of Regression Discontinuity Design in order to examine the presence of a different outcome in terms of growth between Objectives 1 regions and non-Objective 1 regions at the cut-off point (75 percent of EU-15 GDP per capita in PPS) during the two programming periods, 1994-1999 and 2000-2006. The results confirm a significant difference higher than 0.5 percent per year between the two groups. The other empirical evaluation regards the study of a cross-section regression model based on the convergence theory that analyses the dependence relation between regional per capita growth and EU Cohesion policy expenditure in several fields of interventions. We have built a very fine dataset of spending variables (certified expenditure), using sources of data directly provided from the Regional Policy Directorate of the European Commission.

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La tesi analizza i collegamenti tra la dimensione interna e la dimensione esterna del diritto europeo dell’energia al fine valutare l’efficacia e la coerenza della politica energetica europea in un approccio realmente globale ed integrato. Lo scopo della ricerca è quello di interrogarsi sull’evoluzione della competenza dell’Unione in tema di energia e su quale possa essere il suo contributo allo studio del diritto dell’Unione. L’analisi mira a chiarire i principi cardine della politica energetica europea ed i limiti che incontra l’azione dell’Unione nella disciplina dei settori energetici. Nonostante la centralità e l’importanza dell’energia, tanto per il buon funzionamento del mercato interno, quanto per la protezione dell’ambiente e per la sicurezza internazionale, la ricerca ha riscontrato come manchi ancora in dottrina una sufficiente elaborazione dell’energia in chiave organica e sistematica. L’analisi è svolta in quattro capitoli, ciascuno dei quali è suddiviso in due sezioni. Lo studio si apre con l’indagine sulla competenza energetica dell’Unione, partendo dai trattati settoriali (CECA ed Euratom) fino ad arrivare all’analisi delle disposizioni contenute nel Trattato di Lisbona che prevedono una base giuridica ad hoc (art. 194 TFUE) per l’energia. Lo scopo del primo capitolo è quello di fornire un inquadramento teorico alla materia, analizzando le questioni riguardanti l’origine del ‘paradosso energetico’ ed i limiti della competenza energetica dell’Unione, con un sguardo retrospettivo che tenga conto del dinamismo evolutivo che ha caratterizzato il diritto europeo dell’energia. Nel corso del secondo capitolo, la ricerca analizza l’impatto del processo di liberalizzazione sulla struttura dei mercati dell’elettricità e del gas con la graduale apertura degli stessi al principio della libera concorrenza. L’analisi conduce ad una ricognizione empirica sulle principali categorie di accordi commerciali utilizzate nei settori energetici; la giurisprudenza della Corte sulla compatibilità di tali accordi rispetto al diritto dell’Unione mette in evidenza il difficile bilanciamento tra la tutela della sicurezza degli approvvigionamenti e la tutela del corretto funzionamento del mercato interno. L’applicazione concreta del diritto antitrust rispetto alle intese anticoncorrenziali ed all’abuso di posizione dominante dimostra la necessità di tener conto dei continui mutamenti indotti dal processo di integrazione dei mercati dell’elettricità e del gas. Il terzo capitolo introduce la dimensione ambientale della politica energetica europea, sottolineando alcune criticità relative alla disciplina normativa sulle fonti rinnovabili, nonché gli ostacoli al corretto funzionamento del mercato interno delle quote di emissione, istituito dalla legislazione europea sulla lotta ai cambiamenti climatici. I diversi filoni giurisprudenziali, originatisi dalle controversie sull’applicazione delle quote di emissioni, segnalano le difficoltà ed i limiti della ‘sperimentazione legislativa’ adottata dal legislatore europeo per imporre, attraverso il ricorso a strumenti di mercato, obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni inquinanti che hanno come destinatari, non solo gli Stati, ma anche i singoli. Infine, il quarto ed ultimo capitolo, affronta il tema della sicurezza energetica. Nel corso del capitolo vengono effettuate considerazioni critiche sulla mancanza di collegamenti tra la dimensione interna e la dimensione esterna del diritto europeo dell’energia, evidenziando i limiti all’efficacia ed alla coerenza dell’azione energetica dell’Unione. L’inquadramento teorico e normativo della dimensione estera della politica energetica europea tiene conto del processo di allargamento e della creazione del mercato interno dell’energia, ma viene inserito nel più ampio contesto delle relazioni internazionali, fondate sul delicato rapporto tra i Paesi esportatori ed i Paesi importatori di energia. Sul piano internazionale, l’analisi ricostruisce la portata ed i limiti del principio di interdipendenza energetica. Lo studio si concentra sulle disposizioni contenute nei trattati internazionale di cooperazione energetica, con particolare riferimento ai diversi meccanismi di risoluzione delle controversie in tema di protezione degli investimenti sull’energia. Sul piano interno, la ricerca pone in evidenza l’incapacità dell’Unione di ‘parlare con una sola voce’ in tema di sicurezza energetica a causa della contrapposizione degli interessi tra i vecchi ed i nuovi Stati membri rispetto alla conclusione degli accordi di fornitura di lunga durata con i Paesi produttori di gas. Alla luce delle nuove disposizioni del Trattato di Lisbona, il principio solidaristico viene interpretato come limite agli interventi unilaterali degli Stati membri, consentendo il ricorso ai meccanismi comunitari previsti dalla disciplina sul mercato interno dell’elettricità e del gas, anche in caso di grave minaccia alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici.

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Questa tesi di dottorato ha per oggetto l’analisi della dimensione esterna della tutela dei dati personali, ossia lo studio dei meccanismi attraverso cui il diritto dell’Unione Europea assicura ai dati che vengono trasferiti verso Paesi terzi un elevato livello di protezione. In questo modo la tesi si propone di evidenziare i risultati conseguiti alla luce di quella che si rivela sempre più essere una vera e propria “politica estera legislativa” dell’Unione Europea volta alla protezione del diritto fondamentale alla tutela dei dati personali.

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La tesi si propone di ricostruire la struttura attuale dell'autonomia finanziaria degli enti locali italiani, e in particolare le regioni italiane, alla luce delle riforme legislative e costituzionali approvate dal Parlamento italiano negli ultimi anni (come ad esempio il bilancio riforma costituzionale equilibrata del 2012). Lo studio si concentra sulla situazione italiana alla luce dei vincoli europei introdotti nel corso degli anni, da quelli contenuti nel Trattato di Maastricht a quelli derivati dalla crisi economica e finanziaria. L'obiettivo è quello di verificare se le scelte del legislatore italiano possano dirsi coerenti con il processo di unione politica europea e quali conseguenze abbiano avuto sulla garanzia dei diritti. In particolare, lo studio si concentra sulla garanzia dei diritti sociali nel contesto politico ed economico attuale, a livello europeo e nazionale, con particolare attenzione al diritto alla salute.

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Il lavoro intende dimostrare che lo sviluppo giurisprudenziale del principio di equilibrio istituzionale, il rapporto tra detto principio e il principio di leale cooperazione, il riconoscimento istituzionale e giurisprudenziale dell’importanza della scelta della base giuridica nella tutela dell’equilibrio istituzionale hanno concorso a determinare la dinamicità dell’evoluzione dell’assetto interistituzionale della Comunità e dell’Unione. Focalizzata l’attenzione sulle nuove basi giuridiche introdotte dal Trattato di Lisbona, sono stati definiti gli assetti del nuovo equilibrio istituzionale analizzando, da un lato, il nuovo quadro istituzionale definito dal titolo III del Trattato sull’Unione europea e, in particolare la “costituzionalizzazione” del principio orizzontale di leale cooperazione. In conclusione, si rileva che con l´entrata in vigore del Trattato di Lisbona le dimensioni politica e giuridica dell’equilibrio istituzionale sono state interessate da due mutamenti di ampia portata. In primo luogo, il completamento del processo di revisione dei trattati apertosi con la dichiarazione di Laeken ha definito un nuovo quadro istituzionale, che si è riflesso in rinnovati meccanismi di funzionamento dell’architettura istituzionale. In secondo luogo, la risposta dell’Unione alla crisi economica e finanziaria ha messo al centro dell’agenda il suo bilancio, la programmazione pluriennale e l’Unione economica. Nel primo caso un’analisi dell’articolo 295 TFUE ha costituito la base di una riflessione sulle modalità di codificazione delle relazioni istituzionali attraverso accordi e sul rapporto tra questi ultimi e il titolo III TUE. Si è rilevata, in particolare, un’incongruenza tra gli obblighi di leale cooperazione orizzontale sanciti dall’articolo 13(2) TUE e gli strumenti finalizzati alla loro istituzionalizzazione. Nel secondo caso, invece, è stato evidenziato come il preminente ruolo del Consiglio europeo, al quale il Trattato di Lisbona ha riconosciuto lo status d'istituzione, abbia modificato gli equilibri, determinando un ritorno del ricorso all’integrazione differenziata rispetto a politiche disciplinate dai Trattati.

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In Switzerland, the number, incidence, and cost of acute hospitalizations for major osteoporotic fractures (MOF) and major cardiovascular events (MCE) increased in both women and men between 2000 and 2008, although the mean length of stay (LOS) was significantly reduced. Similar trend patterns were observed for hip fractures and strokes (decrease) and nonhip fractures and acute myocardial infarctions (increase).

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Background While survival rates of extremely preterm infants have improved over the last decades, the incidence of neurodevelopmental disability (ND) in survivors remains high. Representative current data on the severity of disability and of risk factors associated with poor outcome in this growing population are necessary for clinical guidance and parent counselling. Methods Prospective longitudinal multicentre cohort study of preterm infants born in Switzerland between 240/7 and 276/7 weeks gestational age during 2000–2008. Mortality, adverse outcome (death or severe ND) at two years, and predictors for poor outcome were analysed using multilevel multivariate logistic regression. Neurodevelopment was assessed using Bayley Scales of Infant Development II. Cerebral palsy was graded after the Gross Motor Function Classification System. Results Of 1266 live born infants, 422 (33%) died. Follow-up information was available for 684 (81%) survivors: 440 (64%) showed favourable outcome, 166 (24%) moderate ND, and 78 (11%) severe ND. At birth, lower gestational age, intrauterine growth restriction and absence of antenatal corticosteroids were associated with mortality and adverse outcome (p < 0.001). At 360/7 weeks postmenstrual age, bronchopulmonary dysplasia, major brain injury and retinopathy of prematurity were the main predictors for adverse outcome (p < 0.05). Survival without moderate or severe ND increased from 27% to 39% during the observation period (p = 0.02). Conclusions In this recent Swiss national cohort study of extremely preterm infants, neonatal mortality was determined by gestational age, birth weight, and antenatal corticosteroids while neurodevelopmental outcome was determined by the major neonatal morbidities. We observed an increase of survival without moderate or severe disability.