702 resultados para Pressió sanguinia-Mesurament, Hipertensió-Diagnòstic


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Recentemente molti studi in ambiente marino sono stati focalizzati sui possibili impatti dovuti alle variazioni del pH degli oceani, causato dall’aumento delle immissioni di CO2 nell’atmosfera. Tra i possibili effetti nocivi, l’acidificazione oceanica può indurre cambiamenti nelle abbondanze e nelle distribuzioni delle engeneer species, con conseguenti ripercussioni sulla fauna associata. Esempio tipico di engeneer species sono le macroalghe che sono capaci di creare, lungo le coste rocciose, habitat diversi a seconda della specie che riesce ad attecchire. Tra le specie animali che dominano in questi habitat troviamo i copepodi Arpacticoidi, piccoli crostacei che svolgono un ruolo chiave all’interno delle reti trofiche. Per questi motivi lo scopo di questo lavoro è valutare possibili effetti dell’acidificazione sulle taxocenosi a copepodi Arpacticoidi associate alle macroalghe. Lo studio è stato svolto ad Ischia, nella zona nei pressi del Castello Aragonese, dove vi sono dei vents di origine vulcanica che emettono CO2 e formano un gradiente naturale di acidificazione lungo un’area di circa 300m, suddivisibile in 3 stazioni a differenti valori medi di pH. L’analisi delle taxocenosi è stata svolta a livello di generi e famiglie di Arpacticoidi, in termini di abbondanze e di struttura di comunità, su differenti specie algali raccolte lungo il gradiente di acidificazione. Mentre non si notano differenze significative per le famiglie, la struttura di comunità analizzata a livello di generi di copepodi Arpacticoidi mostra una suddivisione in due comunità ben distinte, delle quali una appartenente alla stazione acidificata e un'altra alle stazioni di controllo e moderatamente acidificata. Tale suddivisione si conferma anche prendendo in considerazione la diversa complessità strutturale delle alghe. Per quanto riguarda le abbondanze, sia a livello di famiglie che di generi, queste mostrano generalmente valori più elevati nella stazione moderatamente acidificata e valori più bassi nella stazione più acidificata. C’è però da considerare che se non si tiene conto della complessità algale queste differenze sono significative per le famiglie Ectinosomatidae, Thalestridae e per il genere Dactylopusia, mentre, se si tiene conto della complessità algale, vi sono differenze significative per la famiglia Miraciidae e per i generi Amonardia e Dactylopusia. In definitiva questo studio sembrerebbe evidenziare che le taxocenosi a copepodi Arpacticoidi siano influenzate sia dalla differente complessità algale, che dall’acidificazione oceanica. Inoltre mostra che, in prospettiva di studi futuri, potrebbe essere necessario focalizzarsi su specie algali ben definite e su un'analisi tassonomica dei copepodi Arpacticoidi approfondita fino al livello di specie.

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In questo lavoro di tesi si studieranno le acque superficiali e sotterranee del fiume Marecchia, che sono continuamente monitorate da ARPA allo scopo di mantenere l'ambiente idrologico in buono stato. Una particolare attenzione è stata riposta nell'analisi dell'azoto e dei suoi composti, poiché nella conoide del Marecchia si è sempre osservata una forte presenza di questo tipo di composti, che negli anni hanno causato forti danni all'ambiente. Per raggiungere tale obiettivo, è stato fondamentale ripercorrere gli andamenti dei parametri nel corso degli anni, ricorrendo a dati forniti da ARPA e analizzando direttamente campioni raccolti in campo. Nelle acque analizzate sono state riscontrate varie anomalie, soprattutto nel sito in corrispondenza di via Tonale, che potrebbero essere ricondotte al grave problema dell'intrusione dell'acqua di mare in falda, e degli apporti di tali elementi durante le mareggiate; nel sito campionato nei pressi di Vergiano sono state riscontrate concentrazioni di solfati, cloruri e nitrati in aumento, che potrebbero essere causati da scarichi diretti in falda o nelle acque superficiali, oppure dilavamento dei campi da parte dell'acqua piovana. Anche le concentrazioni di nitriti, determinate nei punti di campionamento nel Torrente Ausa, superano notevolmente la concentrazione limite di 0.5 mg/l e tale effetto potrebbe essere causato da un uso indiscriminato di insetticidi, diserbanti e pesticidi composti da elementi ricchi di azoto, oppure dagli scarichi diretti di colorifici e industrie immessi direttamente nel torrente da parte dello stato di San Marino. Quanto evidenziato con questo studio potrebbe essere un incentivo per gli enti regionali, provinciali e comunali per migliorare il monitoraggio di alcune zone del fiume Marecchia e per ottimizzare i sistemi di gestione del territorio.

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Analisi di vulnerabilità sismica dell'ex Macello del comune di Bologna, situato nella Piazzetta P.P.Pasolini 5b, nei pressi di Porta Lame. Gli stabili sono oggi sede dei laboratori DMS (Dip. Musica e Spettacolo). Le analisi svolte sono di tipo statico e dinamico per gli elementi in muratura ed in acciaio costituenti le strutture in esame. Nell'elaborato è presentata brevemente la teoria alla base delle analisi effettuate ed i relativi risultati.

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La tesi nasce da un'attività di ricerca approfondita su alcune tecnologie innovative e all'avanguardia nell'ambito del mobile computing e dell'Internet of Things. Tra queste il focus principale è orientato allo studio del Bluetooth Low Energy, nuova specifica di Bluetooth caratterizzata principalmente da un consumo di energia assai ridotto. In particolare, si è approfondito il suo funzionamento nel caso dei beacon, piccoli dispositivi che permettono una localizzazione mediante l'invio di un segnale BLE. Inoltre è stata analizzata la possibilità di interazione con Android, poiché oggigiorno non si può evitare di pensare a come queste tecnologie possano interfacciarsi con il mondo degli smartphone e dei tablet. Come conseguenza di tale attività di ricerca è stato analizzato un caso di studio che permettesse di applicare le tecnologie studiate e la loro interazione. Si è pensato quindi a un piccolo sistema distribuito per schermi adattativi (capaci di modificare i contenuti visualizzati in relazione ad eventi esterni) affinché ogni schermo mostrasse dinamicamente l'orario delle lezioni di ciascuno studente all'avvicinarsi di quest'ultimo, e solo per il tempo di permanenza nei pressi dello schermo. Si è quindi progettato e sviluppato un prototipo, e infine durante il testing si sono potute verificare le attuali potenzialità di queste tecnologie e trarre conclusioni sulla possibilità della loro futura diffusione e di impiego in contesti differenti.

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In adroterapia vengono usati fasci di ioni (protoni e ioni carbonio) per il trattamento di tumori profondi; queste particelle possiedono molti vantaggi rispetto ai fotoni utilizzati nella radioterapia convenzionale. Il profilo dose-profondità di questi ioni è caratterizzato da una bassa dose nel canale di entrata e da un massimo molto pronunciato (picco di Bragg) nei pressi della fine del loro percorso: poiché l’ascissa di tale massimo dipende dall’energia del fascio, essa può essere cambiata semplicemente variando tale parametro. Inoltre, grazie alla carica elettrica posseduta da queste particelle, è possibile controllare sempre meglio anche le restanti due dimensioni riuscendo ad indirizzare il fascio sul target con precisione notevole riuscendo così a risparmiare i tessuti sani e le strutture critiche del nostro organismo. Mentre la protonterapia, grazie ai quasi cinquanta centri attualmente in funzione, sta diventando uno dei trattamenti standard per la cura dei tumori più difficili, la terapia con ioni carbonio è ancora ristretta a meno di dieci strutture, una delle quali è il CNAO con sede a Pavia. L’utilizzo di ioni carbonio presenta ulteriori vantaggi rispetto ai protoni, tra i quali un picco di Bragg con una larghezza minore e un diverso effetto radiobiologico: ciò rende gli ioni carbonio l’unica opzione praticabile nel trattamento di tumori radioresistenti. Questo lavoro è una rassegna dei sistemi e dei metodi utilizzati in adroterapia e del loro sviluppo: se ne evince che l’ostacolo maggiore alla diffusione di questa pratica è rappresentato dall’elevato costo del trattamento. La Sezione di Bologna dell’INFN e il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna possiedono competenze relativamente a diverse tecnologie avanzate, tra cui il progetto per acceleratori "tascabili", che potrebbero ridurre drasticamente il costo della terapia. In tale ambito, la presente tesi costituisce uno studio preliminare alla costituzione di un gruppo di ricerca sull’adroterapia a Bologna in piena collaborazione con altre Sezioni dell’INFN, con le Divisioni di Radioterapia ospedaliere e con altre realtà nazionali ed internazionali.

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Il presente lavoro di tesi per la Laurea Specialistica in Geologia e Territorio è stato concepito come ricostruzione, approfondimento e verifica dell’insieme di interventi finalizzati alla stabilizzazione di versante che hanno coinvolto il tratto della ferrovia Porretta-Pistoia ubicato tra la progressiva 50 + 730 e la progressiva 50 + 650. In quest’area, alle prime ore del giorno 5 Gennaio 2014, è avvenuto l’innesco di un evento franoso che ha coinvolto il rilevato su cui transita la via ferrata: la causa della mobilizzazione è stata ricondotta fin da subito all’intenso evento piovoso occorso nei giorni precedenti la mobilizzazione. La zona coinvolta nel dissesto è situata nei pressi della frazione di Corbezzi, in località Casciano, nel territorio nord-orientale della provincia di Pistoia: il bacino idrografico è quello del torrente Brana, tributario del Fiume Ombrone. L’urgenza e l’importanza della realizzazione di questi interventi non era da attribuirsi alla pericolosità nei confronti delle vite dei residenti, ma piuttosto al fatto che l’opera ferroviaria è da considerarsi come un bene di importanza strategica non solo per la provincia di Pistoia, ma anche per le regioni Toscana ed Emilia-Romagna, in quanto mezzo efficace di collegamento e spostamento di pendolari e merce tra le due. L’elaborato che viene proposto è il risultato delle analisi dei dati acquisiti in fase di progettazione, dello studio effettuato direttamente in campo e di una fase finale di verifica sulla stabilità del versante a seguito della realizzazione delle opere e sulla correttezza del dimensionamento previsto per le stesse. Infine, ma non di minor importanza, viene proposto un approfondimento della coerenza dell’intervento nei confronti del contesto paesaggistico.

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Per molto tempo le risorse di acque sotterranee e quelle di acque superficiali sono state considerate e gestite come due entità a sé stanti; in realtà questi due corpi d’acqua rappresentano le componenti di un’unica risorsa: qualsiasi genere di impatto su una delle due andrà ad influire inevitabilmente sulla quantità o sulla qualità dell’altra. Lo scopo di questa tesi è quello di comprendere che grado di interazione esiste tra i Fiumi Uniti e l’acquifero costiero ravennate mediante due approcci distinti: (1) con l’analisi di profili termici teorici e ottenuti dal monitoraggio di misure termometriche in quattro piezometri, si intende ottenere informazioni riguardanti i flussi idrici sotterranei, (2) con la modellazione numerica dell’area nei pressi dei Fiumi Uniti (mediante Processing Modflow) è possibile ottenere una stima dei flussi sotterranei dal fiume verso l’acquifero nella zona di riferimento. Inoltre durante il monitoraggio del mese di settembre 2015 è stato installato un diver, ad una profondità di -7,4 m, in uno dei piezometri per ottenere un monitoraggio continuo per tutto il mese di ottobre. I dati termici rilevati in campo hanno permesso di confermare l’esistenza di un’importante interazione tra i corsi d’acqua presi in esame e l’acquifero costiero ravennate, testimoniato dall’ampia variazione di temperatura negli strati più superficiali. Inoltre tra il 10 e l’11 ottobre è stata registrata un’anomalia termica causata da un flusso orizzontale di acqua più calda in prossimità del piezometro proveniente dai Fiumi Uniti mediante trasporto per avvezione: tale anomalia viene registrata circa 2 giorni dopo una piena dei Fiumi Uniti. Grazie alla modellazione numerica è stato possibile confermare le tempistiche con cui l’acqua percorre la distanza tra il fiume e il piezometro preso in considerazione.

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Le colate detritiche sono manifestazioni parossistiche con trasporto impulsivo di sedimenti lungo la rete idrografica minore che presentano un elevato potere distruttivo. In questo lavoro di tesi si è cercato di descrivere inizialmente le caratteristiche tipiche delle colate di detrito, e le condizioni climatiche e geomorfologiche che tendono a favorirne l’innesco. Verranno poi analizzati, i casi relativi all’Appennino bolognese, prendendo come riferimento le colate rapide di detrito avvenute in località Serraglio (Baragazza) nei pressi del comune di Castiglione dei Pepoli. Nello specifico verrà indagato il fenomeno avvenuto il 31/01/2014, per il quale sono stati effettuati numerosi rilievi morfometrici che hanno portato ad individuare una geometria di dettaglio del canale di flusso e della nicchia di frana, per poter ricostruire i volumi di materiale mobilizzato. In contemporanea alle misure morfometriche si sono effettuate delle indagini sismiche volte a stimare lo spessore della coltre di alterazione presente all’interno del canale prima dell’evento, e a monte della nicchia di frana. Successivamente si è cercato di correlare le misure H/V con le prove MASW effettuate ,senza successo, ciò è probabilmente dovuto dalla difficoltà di indagare spessori così sottili con le MASW. Perciò utilizzando le indagini H/V si è tentato di ricostruire il modello geologico – tecnico alla scala del versante. Infine si è cercato di modellizzare il fenomeno utilizzando il software Dan-W con il quale si sono testati vari modelli reologici fra i quali si sono dimostrati più realistici, in riferimento al caso in esame, il modello frizionale ed il modello di Voellmy. Per questi due modelli è stata quindi effettuata la calibrazione dei parametri, in riferimento dei quali si è visto che, con il modello di Voellmy si è ottenuto un buon valore della distanza percorsa dalla colata, ma una stima delle velocità abbastanza elevate. Il modello frizionale invece ha portato ad una buona stima degli spessori dei depositi, ma sottostimando la distanza che avrebbe potuto percorrere la colata se non avesse incontrato ostacoli.

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Individuare e conoscere la natura degli inquinanti atmosferici e disporre dei dati delle emissioni sono azioni fondamentali per formulare politiche ambientali incentrate sul miglioramento della qualità dell'aria e monitorarne l'efficacia. Sorge l'esigenza di un controllo costante della qualità dell'aria, processo che avviene utilizzando delle centraline di monitoraggio fisse sparse nelle vie delle maggiori città o nei pressi dei principali insediamenti industriali. Lo scopo di questo progetto è quello di realizzare una stazione di monitoraggio mobile al fine di aumentare la superficie di controllo, realizzando un oggetto dinamico capace di acquisire dati sull'inquinamento. Questo è stato fatto applicando ad un drone un sistema di sensori capaci di rilevare le variazioni dei livelli di concentrazione degli agenti inquinanti. Ciò permette di eliminare le stazioni di monitoraggio fisse, le quali rappresentano una spesa ingente. Inoltre, attraverso l'utilizzo di un drone, è possibile monitorare siti più vasti, permettendo un monitoraggio costante e ripetuto nel tempo. La prima parte dell'elaborato analizza il sistema Embedded utilizzato per l'acquisizione dei dati, concentrando l'attenzione prevalentemente sui moduli utilizzati. La seconda descrive quali sono i primi passi per cominciare ad utilizzare i sensori posti sulla Gases Board 2.0 e risponde ai dubbi più comuni su quali parametri di configurazione adottare per un avere una risposta adeguata, quale processo di calibrazione seguire o come trasformare i dati acquisiti, espressi in tensioni, in valori di concentrazione di gas. La terza parte illustra i test effettuati per verificare il corretto funzionamento del sistema completo, con l’esposizione delle problematiche individuate, e una presentazione delle alternative più valide per superarle.

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Il presente lavoro tratta la stabilità del fronte di scavo, rinforzato con barre di consolidamento ed interessato da drenaggi in avanzamento, di gallerie sotto falda in rocce tenere o terreni. Tale studio è stato sviluppato dal progetto di Tesi attraverso l’analisi all’equilibrio limite che approssima il fronte di scavo con un rettangolo e considera un meccanismo di rottura composto da un cuneo, a tergo del fronte, caricato da un prisma. Il metodo descritto consente di tenere conto dell’effetto stabilizzante delle barre, mediante una distribuzione della pressione di supporto non uniforme. Nel caso di gallerie sotto falda, lo stesso metodo permette inoltre di considerare l’effetto destabilizzante dei gradienti idraulici. Sono state ricavate soluzioni analitiche per la valutazione della stabilità, ed implementate successivamente nel software di analisi numerica MATLAB. Dalle analisi condotte è emerso che il numero minimo di barre per garantire la stabilità del fronte di scavo è in molti casi elevato e risulta impossibile da porre in opera in terreni scarsamente coesivi o in gallerie sotto elevati battenti d’acqua. Per risolvere questa situazione si può prevedere l’inserimento di drenaggi in avanzamento, con lo scopo di diminuire i gradienti idraulici nei pressi del fronte della galleria. Il modello che descrive il nuovo andamento dei carichi idraulici, considerando la presenza di dreni, è stato realizzato con il software commerciale agli elementi finiti COMSOL. Una volta determinati gli andamenti dei carichi idraulici, sono stati condotti studi parametrici sull’effetto dei dreni combinato con gli elementi di rinforzo. Dopo tali analisi sono stati ricavati nomogrammi adimensionali che tengano conto della presenza contemporanea delle barre e dei dreni. Tali diagrammi costituiscono uno strumento utile e valido per la progettazione del rinforzo del fronte di scavo. Infine sono stati realizzati confronti fra casi di studio reali e risultati ottenuti dal modello.

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L’analisi morfologia e delle dinamiche evolutive di un alveo fluviale rappresenta una componente fondamentale per la gestione e riqualificazione dei corsi d’acqua naturali. Il presente elaborato tratta i principali aspetti dell’analisi geomorfologica fluviale e della modellazione numerico-idraulica per ciò che riguarda la gestione fluviale e la difesa del suolo, in relazione ad un tratto del torrente Ghiaia nei pressi dell’abitato di Monteveglio, seguendo una linea concettuale conforme alle norme regionali e territoriali. La prima fase del lavoro ha messo in evidenza le dinamiche evolutive del corso d’acqua in riferimento ad una scala temporale di circa 30 anni. È stata effettuata un’accurata indagine geomorfologica, confrontando diversi tipi di materiale disponibile: ortofoto e rilievi topografici relativi alla planimetria dell’alveo, alle sezioni trasversali e ai profili longitudinali. La seconda fase del lavoro ha messo in evidenza lo stato di fatto dell’area in studio, avvalendosi di un modello idraulico generato con l’utilizzo del software HEC – RAS 4.2.0. Sono stati simulati differenti scenari di analisi in moto permanente, i quali hanno permesso di verificare l’officiosità idraulica delle sezioni, il conseguente rischio idraulico, quindi di stimare quei valori di portata associati al Tempo di Ritorno che mettono in crisi il sistema, esponendo il centro abitato a situazioni di potenziale allagamento. Lo studio così effettuato ha permesso di ottenere un quadro preliminare delle condizioni idrauliche dell’area in esame, potendo indicare alcune ipotesi di intervento per mettere in sicurezza il territorio ed in particolare il centro abitato di Monteveglio. Gli interventi proposti sono stati mirati al contenimento almeno della piena trentennale e consistono nel risezionamento del tratto in studio e nella gestione della vegetazione, entrambi volti a migliorare il deflusso idrico e garantire l’officiosità idraulica del tratto in studio.

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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.

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Sign.: [calderon]8-2[calderon]8, A-Z8, Aa-Dd8, Ee6

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El envejecimiento de la poblaci on, el sobrepeso, y el aumento de enfermedades cr onicas, tales como: afecciones cardiacas, diabetes e hipertensi on, plantean nuevos retos al sistema de salud p ublica. En este contexto, las redes de sensores inal ambricas corporales (Wireless Body Area Networks (WBAN)/Wireless Body Sensor Networks (WBSN)) tienen gran potencial para revolucionar el sistema de salud ya que facilitan el seguimiento, la monitorizaci on y el diagn ostico de pacientes en casa, mejorando as su calidad de vida y reduciendo los costes asociados la asistencia sanitaria. Las redes WBAN/WBSN est an constituidas por nodos sensores que miden diferentes variables siol ogicas y cin eticas y disponen de interfaces inal ambricas de bajo coste para transmitir en tiempo real la informaci on a dispositivos en otros niveles de la red. En este tipo de redes, la transmisi on inal ambrica de datos es probablemente la tarea que presenta mayor consumo de energ a, por lo que dicho consumo debe ser reducido para maximizar su vida util. Adicionalmente, en escenarios WBAN/WBSN, el cuerpo humano juega un papel muy importante en la calidad de la comunicaci on. El cuerpo act ua como un canal de comunicaci on para la propagaci on de ondas electromagn eticas, por lo que el comportamiento de este tipo de canal representa un conjunto unico de desaf os para la transferencia able de datos...