945 resultados para Joutseno, Lea
Resumo:
Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.
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Nel presente lavoro di tesi, partendo dall’Inventario del Dissesto della Regione Emilia – Romagna sono stati individuati i fenomeni di colata rapida di detrito che hanno interessato l’Appennino Bolognese negli ultimi anni. Si tratta di fenomeni rapidi, altamente pericolosi e ancora poco studiati. Ad ogni evento individuato è stata associata la precipitazione di innesco, caratterizzandola in termini di durata (D) e intensità (I) al fine di confrontarla con le soglie probabilistiche bayesiane proposte da Berti et al. (2012). Nella maggior parte dei casi è stato verificato che gli eventi considerati ricadono al di sopra delle soglie considerate come limite accettabile. Successivamente è stato applicato il metodo fisicamente basato SHALSTAB (SHALlow STABility model. Montgomery & Dietricht, 1994) al fine di valutarne la capacità previsionale al variare dei dati di input. Ne è emerso che tale metodo risulta fortemente influenzato dalla topografia. Dai dati esaminati, è stato dedotto che i fenomeni di colata rapida si sono innescati in seguito a eventi di pioggia fortemente transitori, pertanto l’applicazione del metodo SHALSTAB, che presuppone flusso allo stato stazionario mal si adatta a riprodurre questi casi.
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In questo elaborato si presenta il teorema del viriale, introdotto per la prima volta da R. J. E. Clausius nel 1870. É una relazione fra energia cinetica e poteziale totali di un sistema che, se soddisfatta, implica che questo sia in equilibrio. Sono equivalenti le affermazioni: "sistema virializzato" e "sistema in equilibrio". Sebbene in ordine cronologico la prima formulazione del teorema sia stata quella in forma scalare, ricaveremo, per maggiore generalità, la forma tensoriale, dalla quale estrarremo quella scalare come caso particolare. Sono di nostro interesse i sistemi astrofisici dinamici autogravitanti costituiti da N particelle (intese come stelle, gas etc.), perciò la trattazione teorica è dedotta per tali configurazioni. In seguito ci concentreremo su alcune applicazioni astrofisiche. In primo luogo analizzeremo sistemi autogravitanti, per cui l'unica energia potenziale in gioco è quella dovuta a campi gravitazionali. Sarà quindi ricavato il limite di Jeans per l'instabilità gravitazionale, con conseguente descrizione del processo di formazione stellare, la stima della quantità di materia oscura in questi sistemi e il motivo dello schiacciamento delle galassie ellittiche. Successivamente introdurremo nell'energia potenziale un termine dovuto al campo magnetico, seguendo il lavoro di Fermi e Chandrasekhar, andando a vedere come si modifica il teorema e quali sono le implicazioni nella stabilità delle strutture stellari. Per motivi di spazio, queste trattazioni saranno presentate in termini generali e con approssimazioni, non potendo approfondire casi più specifici.
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The Great Barrier Reef hosts the only known reliable aggregation of dwarf minke whale (Balaenoptera acutorostrata subspecies) in Australian waters. While this short seasonal aggregation is quite predictable, the distribution and movements of the whales during the rest of their annual cycle are poorly understood. In particular, feeding and resting areas on their southward migration which are likely to be important have not been described. Using satellite telemetry data, I modelled the habitat use of seven whales during their southward migration through waters surrounding Tasmania. The whales were tagged with LIMPET satellite tags in the GBR in July 2013 (2 individuals) and 2014 (5 individuals). The study area around Tasmania was divided into 10km² cells and the time spent by each individual in each cell was calculated and averaged based on the number of animals using the cell. Two areas of high residency time were highlighted: south-western Bass Strait and Storm Bay (SE Tasmania). Remotely sensed ocean data were extracted for each cell and averaged temporally during the entire period of residency. Using Generalised Additive Models I explored the influence of key environmental characteristics. Nine predictors (bathymetry, distance from coast, distance from shore, gradient of sea surface temperature, sea surface height (absolute and variance), gradient of current speed, wind speed and chlorophyll-a concentration) were retained in the final model which explained 68% of the total variance. Regions of higher time-spent values were characterised by shallow waters, proximity to the coast (but not to the shelf break), high winds and sea surface height but low gradient of sea surface temperature. Given that the two high residency areas corresponded with regions where other marine predators also forage in Bass Strait and Storm Bay, I suggest the whales were probably feeding, rather than resting in these areas.
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BACKGROUND: Polymerase chain reaction (PCR) is a sensitive tool for detection of respiratory picornaviruses. However, the clinical relevance of picornavirus detection by PCR is unclear. Immunofluorescence (IF), widely used to detect other respiratory viruses, has recently been introduced as a promising detection method for respiratory picornaviruses. OBJECTIVES: To compare the clinical manifestations of respiratory picornavirus infections detected by IF with those of respiratory picornavirus infections detected by xTAG multiplex PCR in hospitalized children. STUDY DESIGN: During a 1-year period, nasopharyngeal aspirates (NPA) from all children hospitalized due to an acute respiratory infection were prospectively analyzed by IF. All respiratory picornavirus positive IF samples and 100 IF negative samples were further tested with xTAG multiplex PCR. After exclusion of children with co-morbidities and viral co-infections, monoinfections with respiratory picornaviruses were detected in 108 NPA of 108 otherwise healthy children by IF and/or PCR. We compared group 1 children (IF and PCR positive, n=84) with group 2 children (IF negative and PCR positive, n=24) with regard to clinical manifestations of the infection. RESULTS: Wheezy bronchitis was diagnosed more often in group 1 than in group 2 (71% vs. 46%, p=0.028). In contrast, group 2 patients were diagnosed more frequently with pneumonia (17% vs. 6%, p=0.014) accompanied by higher levels of C-reactive protein (46mg/l vs. 11mg/l, p=0.009). CONCLUSIONS: Picornavirus detection by IF in children with acute respiratory infection is associated with the clinical presentation of wheezy bronchitis. The finding of a more frequent diagnosis of pneumonia in picornavirus PCR positive but IF negative children warrants further investigation.
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To measure the intra-individual distribution of the latencies of motor evoked potentials (MepL) using transcranial magnetic stimulation.
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To compare gingival crevicular fluid (GCF) biomarker levels and microbial distribution in plaque biofilm (SP) samples for subjects with type 1 diabetes (T1DM) versus healthy subjects without diabetes during experimental gingivitis (EG).
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Background—Long-term comparative data of first-generation drug-eluting stents are scarce. We investigated clinical and angiographic outcomes of sirolimus-eluting (SES) and paclitaxel-eluting stents (PES) at 5 years as part of the Sirolimus-Eluting Versus Paclitaxel-Eluting Stents for Coronary Revascularization (SIRTAX) LATE study. Methods and Results—A total of 1012 patients were randomly assigned to SES or PES. Repeat angiography was completed in 444 of 1012 patients (43.8%) at 5 years. Major adverse cardiac events occurred in 19.7% of SES- and 21.4% of PES-treated patients (hazard ratio, 0.89; 95% confidence interval, 0.68 to 1.17; P=0.39) at 5 years. There were no differences between SES and PES in terms of cardiac death (5.8% versus 5.7%; P=0.35), myocardial infarction (6.6% versus 6.9%; P=0.51), and target lesion revascularization (13.1% versus 15.1%; P=0.29). Between 1 and 5 years, the annual rate of target lesion revascularization was 2.0% (95% confidence interval, 1.4% to 2.6%) for SES and 1.4% (95% confidence interval, 0.9% to 2.0%) for PES. Among patients undergoing paired angiography at 8 months and 5 years, delayed lumen loss amounted to 0.37±0.73 mm for SES and 0.29±0.59 mm for PES (P=0.32). The overall rate of definite stent thrombosis was 4.6% for SES and 4.1% for PES (P=0.74), and very late definite stent thrombosis occurred at an annual rate of 0.65% (95% confidence interval, 0.40% to 0.90%). Conclusions—Long-term follow-up of first-generation drug-eluting stents shows no significant differences in clinical and angiographic outcomes between SES and PES. The continuous increase in late lumen loss in conjunction with the ongoing risk of very late stent thrombosis suggests that vascular healing remains incomplete up to 5 years after implantation of first-generation drug-eluting stents.
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Gunshot injuries in the back may suggest the unjustified use of firearms. A wound in the back inflicted by a firearm should not automatically imply that the shooter aimed at the back. A previous study demonstrated that it is possible for men to turn their trunk faster than it takes for a shooter to fire or throw a hand-operated weapon. With a high speed motion camera the authors were able to demonstrate that it is also possible for women to turn their trunk fast enough, so that a shot in the back could have been aimed at the front of the body. This conclusion is also likely to apply to hand-operated or thrown weapons, since the velocity of their projectiles is considerably lower than that of firearms.
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Sex determination in forensic practice is performed mostly on sexually dimorphic bones, including pelvic bones such as the os sacrum. Postmortem CT scan provides an easy and fast method for depicting and measuring bone structures prior to elaborate autopsy preparations. To develop a simple and objective method for sex determination in postmortem CT, metric data were evaluated from CT images of the pelvic-associated os sacrum of 95 corpses (49 men and 46 women) from the Canton of Bern, Switzerland. Discriminant function analysis of the data showed that the best accuracy in determining sex was 76.8% and 78.9% with two different observers. It is concluded that measuring the os sacrumin postmortem CT for sex determination has moderate accuracy and should only be applied in combination with other methods.
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To assess the temperature dependency of tissue contrast on post mortem magnetic resonance (PMMR) images both objectively and subjectively; and to visually demonstrate the changes of image contrast at various temperatures.
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B cell activation factor of the TNF family (BAFF) is a potent B cell survival factor. BAFF overexpressing transgenic mice (BAFF-Tg mice) exhibit features of autoimmune disease, including B cell hyperplasia and hypergammaglobulinemia, and develop fatal nephritis with age. However, basal serum IgA levels are also elevated, suggesting that the pathology in these mice may be more complex than initially appreciated. Consistent with this, we demonstrate here that BAFF-Tg mice have mesangial deposits of IgA along with high circulating levels of polymeric IgA that is aberrantly glycosylated. Renal disease in BAFF-Tg mice was associated with IgA, because serum IgA was highly elevated in nephritic mice and BAFF-Tg mice with genetic deletion of IgA exhibited less renal pathology. The presence of commensal flora was essential for the elevated serum IgA phenotype, and, unexpectedly, commensal bacteria-reactive IgA antibodies were found in the blood. These data illustrate how excess B cell survival signaling perturbs the normal balance with the microbiota, leading to a breach in the normal mucosal-peripheral compartmentalization. Such breaches may predispose the nonmucosal system to certain immune diseases. Indeed, we found that a subset of patients with IgA nephropathy had elevated serum levels of a proliferation inducing ligand (APRIL), a cytokine related to BAFF. These parallels between BAFF-Tg mice and human IgA nephropathy may provide a new framework to explore connections between mucosal environments and renal pathology.
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OBJECTIVE: To compare the individual latency distributions of motor evoked potentials (MEP) in patients with multiple sclerosis (MS) to the previously reported results in healthy subjects (Firmin et al., 2011). METHODS: We applied the previously reported method to measure the distribution of MEP latencies to 16 patients with MS. The method is based on transcranial magnetic stimulation and consists of a combination of the triple stimulation technique with a method originally developed to measure conduction velocity distributions in peripheral nerves. RESULTS: MEP latency distributions in MS typically showed two peaks. The individual MEP latency distributions were significantly wider in patients with MS than in healthy subjects. The mean triple stimulation delay extension at the 75% quantile, a proxy for MEP latency distribution width, was 7.3ms in healthy subjects and 10.7ms in patients with MS. CONCLUSIONS: In patients with MS, slow portions of the central motor pathway contribute more to the MEP than in healthy subjects. The bimodal distribution found in healthy subjects is preserved in MS. SIGNIFICANCE: Our method to measure the distribution of MEP latencies is suitable to detect alterations in the relative contribution of corticospinal tract portions with long MEP latencies to motor conduction.