986 resultados para Confine parco cimitero colonia
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L’esigenza di contestualizzare le rovine di Suasa Senonum all’interno di un Parco Archeologico che racconti la composizione della città e le relazioni che questa ha intessuto con il territorio, ha condotto alla formulazione di un progetto territoriale; il Parco Archeologico è così inteso come un’occasione per rilanciare la conoscenza di un sistema che connette aspetti culturali, storici e paesaggistici. La città è intersecata da uno dei percorsi più antichi e importanti della Regione: la Salaria Gallica che attraversa città, borghi, vallate, fiumi e parchi archeologici tra cui quello di Suasa Senonum e offre la possibilità di leggere le dinamiche che hanno modellato il territorio sin dall’antichità. Il punto di forza di questa via consiste nell’offrire la possibilità di leggere come la natura e l’uomo abbiano interagito nel tempo e di come esso eserciti la propria opera modellatrice sul risultato delle loro relazioni. Queste considerazioni hanno portato ad affrontare temi che pongono l’accento su questioni che vanno dalle connessioni territoriali all’aggiunta di stratificazione sullo spessore del tempo culminando in un risultato che riconsegna la città alla collettività. Il progetto traduce queste riflessioni affrontando la costruzione di un ponte sul fiume Cesano quale punto di ricucitura della via Salaria Gallica, dell’inserimento di un visitor centre e della rivitalizzazione dell’anfiteatro quale luogo di spettacolo. Il filo conduttore del tutto, dal lining out all’opera land art, sta nella volontà di intaccare il meno possibile quell’equilibrio con cui la natura ha preso il sopravvento sulle attività umane di un tempo celandone le tracce; la sfida è stata quella di rendere l’organismo urbano nuovamente leggibile attraverso il progetto di architettura. Abbiamo così cercato di reinserire in un circuito ritrovato ciò che il tempo ha in parte cancellato.
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L’HTA rappresenta un valido strumento per operare un’analisi dell’impatto clinico,economico e organizzativo di apparecchiature sempre più tecnologicamente sofisticate.Il SIC si inserisce nella valutazione multidisciplinare con le metodologie dell’HTA garantendo appropriatezza e aggiornamento del patrimonio tecnologico per rendere più efficiente l’erogazione delle prestazioni sanitarie.L’HTA dalla valutazione dei bisogni analizza l’applicabilità clinica.Un SIC deve essere in grado di elaborare dati tecnici,gestionali e clinici mediante il software di gestione della manutenzione del parco macchine che nel caso dell’AOSP BO è TMS che gestisce tutte le fasi del ciclo di vita di un’apparecchiatura biomedica.Il ruolo strategico del SIC prevede la programmazione degli investimenti e la valutazione rigorosa nella scelta del rinnovo tecnologico (urgente o programmato) o del potenziamento del parco tecnologico.L’algoritmo analizzato va a individuare diverse categorie di apparecchiature del Sant’Orsola e valuta modello per modello se e quanto risulta efficiente dopo un’attenta analisi il loro trasferimento all’interno del nuovo Polo Cardio Toraco Vascolare inaugurato il 14 dicembre 2015,determinando così un eventuale rinnovo tecnologico,aggiornamento,fuori uso o mantenimento in vita della strumentazione in esame.Le fasi dell’algoritmo finalizzato alla definizione dei recuperi delle apparecchiature medicali nell’ambito dei progetti di riqualificazione tecnologica sono: 1.Normativo (rispondenza a prescrizioni generali relative alla sicurezza e verifiche particolari.Si definisce anche un’analisi dei rischi). 2.Funzionale (si analizzano su TMS l’età dell’apparecchiatura,i tempi di disservizio,il numero e la frequenza delle azioni di manutenzione, le parti consumabili). 3.Economico (costi degli interventi e mantenimento dell'apparecchiatura, spese relative ai pezzi di ricambio o materiale deperibile,contratto di assistenza). 4.Prestazionale (valutazione dello stato del sistema in toto).
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Homeorhetic Assemblies indaga le potenzialità tettoniche ed architettoniche derivanti dallo studio dei sistemi biologici decentralizzati, dei loro comportamenti e delle relazioni dinamiche con la colonia in termini di processi adattativi e costruttivi continui nel tempo. La ragione di questo interesse è radicata nei principi dell’ecologia applicata al design ed alle tecnologie di fabbricazione contemporanee, che vanno al di là della mera imitazione formale: ci si è quindi chiesto come raggiungere una spazialità complessa ed articolata, omogeneità di prestazioni ed una struttura continua caratterizzata da molti elementi aventi le stesse caratteristiche di forma e materiale. L’ecologia è lo studio di un insieme di economie, ovvero rapporti di scambio, tra un organismo ed il suo ambiente e l’efficenza dei pattern distributivi che derivano da queste relazioni sono fondamentali al fine del successo evolutivo del sistema stesso. I sistemi su cui ci si è concentrati sono caratterizzati dalla capacità di creare strutture a buon mercato (con l’uso di istruzioni semplici ed un unico materiale) e ad elevato grado di complessità ed efficienza, armonizzando l’aspetto formale con l’organizzazione materica e fisiologica. Il modello di comportamento considerato riguarda le dinamiche alla base della creazione degli alveari naturali creati dalle api millifere. Queste caratteristiche sono state codificate nella programmazione di un sistema multi agente composto da agenti autonomi in grado di interagire in un ambiente eterogeneo e capaci di depositare selettivamente elementi in una struttura composta da springs e particles, periodicamente stabilizzata ed ottimizzata. In un tale sistema, a priori sono note solo le relazioni locali per i singoli agenti ed il comportamento strutturale generale, mentre gli oggetti e gli eventi emergono in maniera non predeterminata come risultato di queste interazioni nello spazio e nel tempo. I risultati appaiono estremamente complessi ed eterogenei nella loro organizzazione spaziale, pur emergendo un set di elementi identificabili nella loro specifica singolarità (come ad esempio superfici, colonne, capriate etc...) ma che generano strutture continue, e creano grande differenziazione di densità e di disposizione dei singoli elementi all’interno della struttura. La ridondanza strutturale ottenuta è una scelta deliberata e permessa dall’automatizzazione della fase di costruzione attraverso la programmazione di robot, tramite i quali si intende realizzare un prototipo fisico delle strutture ottenute.
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Il lavoro di tesi è focalizzato sull'utilizzo dei controlli non distruttivi (NDT) nell'ambito della manutenzione industriale, in particolare al controllo di un mega-coaster. Dopo una breve panoramica sulle tecniche di indagine più utilizzate, si prosegue nell'ambito specifico dei controlli eseguiti all'interno del parco divertimenti di Mirabilandia, sull'attrazione di punta, ovvero l'inverted-coaster "KATUN". In particolare viene descritto il controllo del tracciato dell'attrazione, ovvero del binario, mediante tecnica ad ultrasuoni. L'elaborato si conclude con un riassunto dei risultati sperimentali ottenuti ed alcune azioni correttive intraprese per il miglioramento dell'efficacia dei controlli stessi.
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I depositi di liquidi infiammabili sono stabilimenti industriali in cui avvengono spesso incendi di grandi dimensioni a causa degli ingenti quantitativi di sostanze infiammabili detenute. Gli incendi tipici dei liquidi infiammabili sono gli incendi di pozza in caso di rilascio del liquido al suolo e gli incendi di serbatoio in caso di ignizione del liquido all’interno del serbatoio stesso. Tali incendi hanno la potenzialità di danneggiare le apparecchiature limitrofe, determinandone il cedimento e dunque l’incremento delle dimensioni dell’incendio e dell’area di danno; tale fenomeno è detto effetto domino. Per la modellazione degli incendi sono disponibili diversi strumenti, divisibili essenzialmente in due categorie: modelli semplici, ovvero basati su correlazioni semi-empiriche e modelli avanzati, costituiti dai codici CFD. L’obiettivo principale del presente lavoro di tesi è il confronto tra le diverse tipologie di strumenti disponibili per la modellazione degli incendi di liquidi infiammabili. In particolare sono stati confrontati tra loro il codice FDS (Fire Dynamics Simulator), il metodo del TNO ed il modello per gli incendi di pozza incorporato nel software ALOHA. Il codice FDS è un modello avanzato, mentre il metodo del TNO ed il modello implementato nel software ALOHA sono modelli semplici appartenenti alla famiglia dei Solid Flame Models. La prima parte del presente lavoro di tesi è dedicata all’analisi delle caratteristiche e delle problematiche di sicurezza dei depositi di liquidi infiammabili, con specifico riferimento all’analisi storica. Nella seconda parte invece i tre metodi sopra citati sono applicati ad un parco serbatoi di liquidi infiammabili ed è effettuato il confronto dei risultati, anche ai fini di una valutazione preliminare dell’effetto domino. La tesi è articolata in 6 capitoli. Dopo il Capitolo 1, avente carattere introduttivo, nel Capitolo 2 vengono richiamati i principali concetti riguardanti gli incendi e vengono analizzate le caratteristiche e le problematiche di sicurezza dei depositi di liquidi infiammabili. Il Capitolo 3 è dedicato alla discussione delle caratteristiche degli incendi di pozza, alla presentazione delle tipologie di strumenti a disposizione per la loro modellazione ed alla descrizione di dettaglio dei modelli utilizzati nel presente lavoro di tesi. Il Capitolo 4 contiene la presentazione del caso di studio. Nel Capitolo 5, che costituisce il cuore del lavoro, i modelli descritti sono applicati al caso di studio, con un’approfondita discussione dei risultati e una valutazione preliminare dell’effetto domino. Nel Capitolo 6 infine sono riportate alcune considerazioni conclusive.
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Sviluppo di un simulatore della cinetica chimica in una scarica a barriera dielettrica in aria a pressione atmosferica, focalizzando l'attenzione nei processi di creazione e decomposizione dell'ozono. Illustrazione del parco software utilizzato e caratterizzazione del modello fisico reale. Analisi e confronto tra i dati ottenuti tramite calcolatore e i dati ottenuti dalle misure al laboratorio.
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I sedimenti superficiali dei fondali circostanti l’arcipelago del Golfo di La Spezia sono stati analizzati dal punto di vista granulometrico e composizionale al fine di ottenere la mappatura delle concentrazioni di coralliti sub-fossili di Cladocora caespitosa nel sedimento. Mediante lo studio del sedimento campionato in trentacinque stazioni, sono state individuate tre zone di accumulo di coralliti: (i) in corrispondenza del capo occidentale dell’Isola Palmaria con le concentrazioni più elevate comprese tra il 25 e 55% (ii) sul lato sud-orientale della stessa isola con concentrazioni tra il 10 e 12% e (iii) una fascia contornante l’Isola del Tinetto con quantità inferiori al 3%. La concentrazione anomala di coralliti è il risultato dello scarico di materiali di dragaggio provenienti dal porto di La Spezia, scaricati al largo delle coste occidentali dell’arcipelago tra gli anni ‘50 e ’70 e progressivamente ridistribuiti verso sud-est dalla deriva litorale.
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Effettuando un’analisi della condizione attuale del parco edilizio che costituisce le nostre città e periferie, ciò che si può rilevare è che questo, allo stato attuale, risulta in condizioni di grave degrado tecnologico, energetico, sociale ed architettonico. Diviene pertanto necessario intervenire su questa ampia porzione di città. A tal fine possono essere attuati due metodi di intervento: la trasformazione dell’esistente attraverso la completa sostituzione dei manufatti edilizi, oppure la riqualificazione dell’esistente con opere mirate. Questo secondo modello di intervento ha il pregio di riconoscere il valore culturale del tessuto edilizio esistente, puntando a criteri di sviluppo sostenibile, e guardando ai manufatti esistenti riconoscendone il potenziale economico ed architettonico. Allo stato attuale pertanto la disciplina punta a questo secondo metodo di intervento ricercando soluzioni in grado di modificare le prestazioni dell’edificio fino a renderle soddisfacenti in rapporto alle nuove esigenze ambientali, economiche, del vivere contemporaneo dell’individuo e della collettività nel suo complesso. Tra le opere che possono essere attuate al fine di riqualificare queste preziose aree, oltre a quelle di riqualificazione che mirano al miglioramento del comportamento energetico e della qualità architettonica dell’edificio esistente, si considera anche l’intervento per addizione, che permette la densificazione dei tessuti esistenti attraverso l’aumento del numero di alloggi sociali e l’implementazione dei servizi. In questo modo si va ad implementare e completare la gamma di prestazioni di un manufatto edilizio che non è più in grado di soddisfare tutte quelle esigenze del vivere contemporaneo. Il risultato finale è quindi un sistema edilizio che, grazie all’intervento, può vantare una valorizzazione complessiva del patrimonio immobiliare, grazie agli elevati livelli di prestazione energetica, alle condizioni di vivibilità eccellenti raggiunte e alla migliorata qualità architettonica.
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The utopian communities of Finns are linked to world history and the great ideological foundations behind numerous utopian endeavors. In the paper, Finnish utopian communities will be described, compared, and contrasted by their ideological backgrounds and in a global context. In addition, the reasons for the dissolution of these settlements are analyzed. Even though the Finnish utopian communities are not often mentioned together with More's Utopia, or with Fourier, Owen, Cabet, or Oneida, they have an interesting history reaching back to the 1792 “New Jerusalem” plan in Sierra Leone. While the best-known Finnish utopian ventures are Sointula in Canada (1901-1905) and Colonia Finlandesa (1906-1940) in Argentina there were, however, almost twenty similar Finnish ventures around the world based on nationalism, utopian socialism, cooperative movements, “tropic fevers,” and religious ideas.
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Bulk metallic glasses (BMGs) exhibit superior mechanical properties as compared with other conventional materials and have been proposed for numerous engineering and technological applications. Zr/Hf-based BMGs or tungsten reinforced BMG composites are considered as a potential replacement for depleted uranium armor-piercing projectiles because of their ability to form localized shear bands during impact, which has been known to be the dominant plastic deformation mechanism in BMGs. However, in conventional tensile, compressive and bending tests, limited ductility has been observed because of fracture initiation immediately following the shear band formation. To fully investigate shear band characteristics, indentation tests that can confine the deformation in a limited region have been pursued. In this thesis, a detailed investigation of thermal stability and mechanical deformation behavior of Zr/Hf-based BMGs is conducted. First, systematic studies had been implemented to understand the influence of relative compositions of Zr and Hf on thermal stability and mechanical property evolution. Second, shear band evolution under indentations were investigated experimentally and theoretically. Three kinds of indentation studies were conducted on BMGs in the current study. (a) Nano-indentation to determine the mechanical properties as a function of Hf/Zr content. (b) Static Vickers indentation on bonded split specimens to investigate the shear band evolution characteristics beneath the indention. (c) Dynamic Vickers indentation on bonded split specimens to investigate the influence of strain rate. It was found in the present work that gradually replacing Zr by Hf remarkably increases the density and improves the mechanical properties. However, a slight decrease in glass forming ability with increasing Hf content has also been identified through thermodynamic analysis although all the materials in the current study were still found to be amorphous. Many indentation studies have revealed only a few shear bands surrounding the indent on the top surface of the specimen. This small number of shear bands cannot account for the large plastic deformation beneath the indentations. Therefore, a bonded interface technique has been used to observe the slip-steps due to shear band evolution. Vickers indentations were performed along the interface of the bonded split specimen at increasing loads. At small indentation loads, the plastic deformation was primarily accommodated by semi-circular primary shear bands surrounding the indentation. At higher loads, secondary and tertiary shear bands were formed inside this plastic zone. A modified expanding cavity model was then used to predict the plastic zone size characterized by the shear bands and to identify the stress components responsible for the evolution of the various types of shear bands. The applicability of various hardness—yield-strength ( H −σγ ) relationships currently available in the literature for bulk metallic glasses (BMGs) is also investigated. Experimental data generated on ZrHf-based BMGs in the current study and those available elsewhere on other BMG compositions were used to validate the models. A modified expanding-cavity model, employed in earlier work, was extended to propose a new H −σγ relationship. Unlike previous models, the proposed model takes into account not only the indenter geometry and the material properties, but also the pressure sensitivity index of the BMGs. The influence of various model parameters is systematically analyzed. It is shown that there is a good correlation between the model predictions and the experimental data for a wide range of BMG compositions. Under dynamic Vickers indentation, a decrease in indentation hardness at high loading rate was observed compared to static indentation hardness. It was observed that at equivalent loads, dynamic indentations produced more severe deformation features on the loading surface than static indentations. Different from static indentation, two sets of widely spaced semi-circular shear bands with two different curvatures were observed. The observed shear band pattern and the strain rate softening in indentation hardness were rationalized based on the variations in the normal stress on the slip plane, the strain rate of shear and the temperature rise associated with the indentation deformation. Finally, a coupled thermo-mechanical model is proposed that utilizes a momentum diffusion mechanism for the growth and evolution of the final spacing of shear bands. The influence of strain rate, confinement pressure and critical shear displacement on the shear band spacing, temperature rise within the shear band, and the associated variation in flow stress have been captured and analyzed. Consistent with the known pressure sensitive behavior of BMGs, the current model clearly captures the influence of the normal stress in the formation of shear bands. The normal stress not only reduces the time to reach critical shear displacement but also causes a significant temperature rise during the shear band formation. Based on this observation, the variation of shear band spacing in a typical dynamic indentation test has been rationalized. The temperature rise within a shear band can be in excess of 2000K at high strain rate and high confinement pressure conditions. The associated drop in viscosity and flow stress may explain the observed decrease in fracture strength and indentation hardness. The above investigations provide valuable insight into the deformation behavior of BMGs under static and dynamic loading conditions. The shear band patterns observed in the above indentation studies can be helpful to understand and model the deformation features under complex loading scenarios such as the interaction of a penetrator with armor. Future work encompasses (1) extending and modifying the coupled thermo-mechanical model to account for the temperature rise in quasistatic deformation; and (2) expanding this model to account for the microstructural variation-crystallization and free volume migration associated with the deformation.
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La philanthropie joue actuellement un rôle très important en Suisse. On estime que la moitié des personnes domiciliées en Suisse est active dans le champ d’action du bénévolat. Toutefois, cet objet d’études a longtemps été délaissé par les historiens. Ces deux panels viseront à rendre compte des recherches récentes en s’intéressant à la dimension comparative et transnationale de la philanthropie en Suisse de 1880 à nos jours. Deux dimensions seront privilégiées. D’une part, l’accent sera mis sur les rapports entre les associations philanthropiques privées et l’Etat social. Les études tendent le plus souvent à mettre l’accent sur l’opposition, dans le domaine social, entre activités de bienfaisance ou de bénévolat et les politiques publiques. Or, les relations entre ces deux pôles ne se résument pas à cette opposition et oscillent, selon les lieux et les périodes, entre coopération étroite et concurrence acharnée, à moins que ne s’instaure, comme cela semble le cas de la Suisse, une division du travail plus ou moins institutionnalisée. D’autre part, une attention toute particulière sera mise sur les jeux d’échelle. Les activités des associations philanthropiques couvrent des espaces géographiques très différents : certaines se concentrent sur un quartier urbain, d’autres se focalisent sur l’ensemble de la planète. Toutefois, nous postulons que cette spatialisation ne se confine pas à un antagonisme local/global. Bien au contraire, les différentes échelles – locale, nationale, globale ou transnationale – interagissent étroitement. Des contributions d’historiens étrangers permettront d’inscrire le cas suisse dans une perspective comparative.
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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.