979 resultados para Audience development,Cultura,Città,Rigenerazione urbana,Eventi culturali,Frida nel Parco
Resumo:
Il tema della casa, e più in generale dell’abitare, è argomento tornato al centro del dibattito sociale più di quanto non sia avvenuto in campo tecnico‐architettonico. Sono infatti abbastanza evidenti i limiti delle proposte che nel recente passato sono state, di norma, elaborate nelle nostre città, proposte molto spesso incapaci di tener conto delle molteplici dimensioni che l’evoluzione dei costumi e della struttura urbana e sociale ha indotto anche nella sfera della residenza e che sono legate a mutate condizioni lavorative, alla diversità di cultura e di religione di nuovi gruppi etnici insediati, alla struttura dei nuclei familiari (ove ancora esistano) ed a molti altri fattori; cambiate le esigenze, un tempo composte nella struttura della famiglia, sono cambiati desideri e richieste mentre l’apparato normativo è rimasto strutturato su modelli sociali ed economici superati. Il tema dunque assume, oggi più che mai, connotazioni con forti relazioni fra problematiche funzionali, tecnologiche e simboliche. Stimolata da queste osservazioni generali, la ricerca si è mossa partendo da un’analisi di casi realizzati nel periodo storico in cui si è esaurita, in Italia, l’emergenza abitativa post‐bellica, nell’intento di riconsiderare l’approccio vitale che era stato messo in campo in quella drammatica circostanza, ma già consapevole che lo sviluppo che avrebbe poi avuto sarebbe stato molto più circoscritto. La tesi infatti, dopo aver osservato rapidamente la consistenza tipologica ed architettonica di quegli interventi, per trarne suggestioni capaci di suggerire un credibile e nuovo prototipo da indagare, attraverso un’analisi comparativa sugli strumenti oggi disponibili per la comunicazione e gestione del progetto, si è soffermata sulla potenzialità delle nuove tecnologie dell'informazione (IT). Non si può infatti non osservare che esse hanno modificato non solo il modo di vivere, di lavorare, di produrre documenti e di scambiare informazioni, ma anche quello di controllare il processo di progetto. Il fenomeno è tuttora in corso ma è del tutto evidente che anche l'attività progettuale, seppure in un settore quale è quello dell'industria edilizia, caratterizzato da una notevole inerzia al cambiamento e restio all'innovazione, grazie alle nuove tecnologie ha conosciuto profonde trasformazioni (già iniziate con l’avvento del CAD) che hanno accelerato il progressivo mutamento delle procedure di rappresentazione e documentazione digitale del progetto. Su questo tema quindi si è concentrata la ricerca e la sperimentazione, valutando che l'”archivio di progetto integrato”, (ovvero IPDB ‐ Integrated Project Database) è, probabilmente, destinato a sostituire il concetto di CAD (utilizzato fino ad ora per il settore edilizio ed inteso quale strumento di elaborazione digitale, principalmente grafica ma non solo). Si è esplorata quindi, in una prima esperienza di progetto, la potenzialità e le caratteristiche del BIM (Building Information Model) per verificare se esso si dimostra realmente capace di formulare un archivio informativo, di sostegno al progetto per tutto il ciclo di vita del fabbricato, ed in grado di definirne il modello tridimensionale virtuale a partire dai suoi componenti ed a collezionare informazioni delle geometrie, delle caratteristiche fisiche dei materiali, della stima dei costi di costruzione, delle valutazioni sulle performance di materiali e componenti, delle scadenze manutentive, delle informazioni relative a contratti e procedure di appalto. La ricerca analizza la strutturazione del progetto di un edificio residenziale e presenta una costruzione teorica di modello finalizzata alla comunicazione e gestione della pianificazione, aperta a tutti i soggetti coinvolti nel processo edilizio e basata sulle potenzialità dell’approccio parametrico.
Resumo:
La tesi è il frutto di un lavoro di ricerca sul rapporto tra educazione e politica sviluppato considerando letteratura, studi e ricerche in ambito pedagogico, sociologico e delle scienze politiche. I nuclei tematici oggetto delle letture preliminari e degli approfondimenti successivi che sono diventati il corpo della tesi sono i seguenti: • la crisi del ruolo dei partiti politici in Italia e in Europa: diminuiscono gli iscritti e la capacità di dare corpo a proposte politiche credibili che provengano dalla “base”dei partiti; • la crisi del sistema formativo1 in Italia e il fatto che l’educazione alla cittadinanza sia poco promossa e praticata nelle scuole e nelle istituzioni; • la diffusa mancanza di fiducia degli adolescenti e dei giovani nei confronti delle istituzioni (scuola inclusa) e della politica in molti Paesi del mondo2; i giovani sono in linea con il mondo adulto nel dimostrare i sintomi di “apatia politica” che si manifesta anche come avversione verso la politica; • il fatto che le teorie e gli studi sulla democrazia non siano stati in grado di prevenire la sistematica esclusione di larghi segmenti di cittadinanza dalle dinamiche decisionali dimostrando che la democrazia formale sia drasticamente differente da quella sostanziale. Una categoria tra le più escluse dalle decisioni è quella dei minori in età. Queste tematiche, se poste in relazione, ci inducono a riflettere sullo stato della democrazia e ci invitano a cercare nuovi orizzonti in cui inserire riflessioni sulla cittadinanza partendo dall’interesse centrale delle scienze pedagogiche: il ruolo dell’educazione. Essenziale è il tema dei diritti umani: per cominciare, rileviamo che sebbene la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia sia stata approvata da quasi vent’anni (nel 1989) e malgrado numerose istituzioni nazionali e internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Unesco) continuino ad impegnarsi nella promozione dei diritti sanciti e ratificati con leggi da quasi tutti i Paesi del mondo, questi diritti sono spesso trascurati: in particolare i diritti di bambini, adolescenti e giovani fino a 18 anni ad essere ascoltati, ad esprimersi liberamente, a ricevere informazioni adeguate nonché il diritto ad associarsi. L’effetto di tale trascuratezza, ossia la scarsa partecipazione di adolescenti e giovani alla vita sociale e politica in ogni parte del mondo (Italia inclusa) è un problema su cui cercheremo di riflettere e trovare soluzioni. Dalle più recenti ricerche svolte sul rapporto tra giovani e politica3, risulta che sono in particolare i giovani tra i quindici e i diciassette anni a provare “disgusto” per la politica e a non avere alcune fiducia né nei confronti dei politici, né delle istituzioni. Il disgusto è strettamente legato alla sfiducia, alla delusione , alla disillusione che oltretutto porta al rifiuto per la politica e quindi anche a non informarsi volutamente, a tenere ciò che riguarda la politica lontano dalla propria sfera personale. In Italia, ciò non è una novità. Né i governi che si sono succeduti dagli anni dell’Unità ad oggi, né le teorie democratiche italiane e internazionali sono riusciti a cambiare l’approccio degli italiani alla politica: “fissità della cultura politica, indolenza di fronte alla mancanza di cultura della legalità, livelli bassi di informazione, di competenza, di fiducia nella democrazia”4. Tra i numerosi fattori presi in analisi nelle ricerche internazionali (cfr. Cap. I par.65) ve ne sono due che si è scoperto influenzano notevolmente la partecipazione politica della popolazione e che vedono l’Italia distante dalle altre democrazie europee: 1) la vicinanza alla religione istituzionale , 2) i caratteri della morale6. Religione istituzionale Non c’è studio o ricerca che non documenti la progressiva secolarizzazione degli stati. Eppure, dividendo la popolazione dei Paesi in: 1) non credenti, 2) credenti non praticanti e 3) credenti praticanti, fatto salvo per la Francia, si assiste ad una crescita dei “credenti non praticanti” in Europa e dei “credenti praticanti” in particolare in Italia (risultavano da un’indagine del 2005, il 42% della popolazione italiana). La spiegazione di questa “controtendenza” dell’Italia, spiega la Sciolla, “potrebbe essere il crescente ruolo pubblico assunto dalla Chiesa italiana e della sua sempre più pervasiva presenza su temi di interesse pubblico o direttamente politico (dalla fecondazione assistita alle unioni tra omosessuali) oltreché alla sua visibilità mediatica che, insieme al generale e diffuso disorientamento, potrebbe aver esercitato un autorevole richiamo”. Pluralismo morale Frutto innanzitutto del processo di individualizzazione che erode le forme assolute di autorità e le strutture gerarchiche e dell’affermarsi dei diritti umani con l’ampliamento degli spazi di libertà di coscienza dei singoli. Una conferma sul piano empirico di questo quadro è data dal monitoraggio di due configurazioni valoriali che più hanno a che vedere con la partecipazione politica: 1) Grado di civismo (in inglese civicness) che raggruppa giudizi sui comportamenti lesivi dell’interesse pubblico (non pagare le tasse, anteporre il proprio interesse e vantaggio personale all’interesse pubblico). 2) Libertarismo morale o cultura dei diritti ovvero difesa dei diritti della persona e della sua liberà di scelta (riguarda la sessualità, il corpo e in generale la possibilità di disporre di sé) In Italia, il civismo ha subito negli anni novanta un drastico calo e non è più tornato ai livelli precedenti. Il libertarismo è invece aumentato in tutti i Paesi ma Italia e Stati Uniti hanno tutt’ora un livello basso rispetto agli altri Stati. I più libertari sono gli strati giovani ed istruiti della popolazione. Queste caratteristiche degli italiani sono riconducibili alla storia del nostro Paese, alla sua identità fragile, mai compatta ed unitaria. Non è possibile tralasciare l’influenza che la Chiesa ha sempre avuto nelle scelte politiche e culturali del nostro Paese. Limitando il campo al secolo scorso, dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica ha avuto continuativamente un ruolo di forte ingerenza nei confronti delle scelte dei governi (scelte che, come vedremo nel Cap. I, par.2 hanno influenzato le scelte sulla scuola e sull’educazione) che si sono succeduti dal 1948 ad oggi7. Ciò ha influito nei costumi della nostra società caratterizzandoci come Stato sui generis nel panorama europeo Inoltre possiamo definire l’Italia uno "Stato nazionale ed unitario" ma la sua identità resta plurinazionale: vi sono nazionalità, trasformate in minoranze, comprese e compresse nel suo territorio; lo Stato affermò la sua unità con le armi dell'esercito piemontese e questa unità è ancora da conquistare pienamente. Lo stesso Salvemini fu tra quanti invocarono un garante per le minoranze constatando che di fronte a leggi applicate da maggioranze senza controllo superiore, le minoranze non hanno sicurezza. Riteniamo queste riflessioni sull’identità dello Stato Italiano doverose per dare a questa ricerca sulla promozione della partecipazione politica di adolescenti e giovani, sull’educazione alla cittadinanza e sul ruolo degli enti locali una opportuna cornice culturale e di contesto. Educazione alla cittadinanza In questo scritto “consideriamo che lo stimolo al cambiamento e al controllo di ciò che succede nelle sfere della politica, la difesa stessa della democrazia, è più facile che avvenga se i membri di una comunità, singolarmente o associandosi, si tengono bene informati, possiedono capacità riflessive e argomentative, sono dunque adeguatamente competenti e in grado di formarsi un’opinione autonoma e di esprimerla pubblicamente. In questo senso potremmo dire che proprio l’educazione alla democrazia, di chi nella democrazia vive, godendone i vantaggi, è stata rappresentata da Montiesquieu e da J.S Mill come uno dei caratteri basilari della democrazia stessa e la sua assenza come uno dei peggiori rischi in cui si può incorrere”8 L’educazione alla cittadinanza - considerata come cornice di un ampio spettro di competenze, complessivamente legate alla partecipazione e pienamente consapevole alla vita politica e sociale - e in particolare la formazione alla cittadinanza attiva sono da tempo riconosciute come elementi indispensabili per il miglioramento delle condizioni di benessere dei singoli e delle società e sono elementi imprescindibili per costituire un credibile patto sociale democratico. Ma che tipo di sistema formativo meglio si adatta ad un Paese dove - decennio dopo decennio - i decisori politici (la classe politica) sembrano progressivamente allontanarsi dalla vita dei cittadini e non propongono un’idea credibile di stato, un progetto lungimirante per l’Italia, dove la politica viene vissuta come distante dalla vita quotidiana e dove sfiducia e disgusto per la politica sono sentimenti provati in particolare da adolescenti e giovani? Dove la religione e il mercato hanno un potere concorrente a quello dei principi democratici ? La pedagogia può in questo momento storico ricoprire un ruolo di grande importanza. Ma non è possibile formulare risposte e proposte educative prendendo in analisi una sola istituzione nel suo rapporto con adolescenti e giovani. Famiglia, scuola, enti locali, terzo settore, devono essere prese in considerazione nella loro interdipendenza. Certo, rispetto all’educazione alla cittadinanza, la scuola ha avuto, almeno sulla carta, un ruolo preminente avendo da sempre l’obiettivo di formare “l’uomo e il cittadino” e prevedendo l’insegnamento dell’educazione civica. Ma oggi, demandare il ruolo della “formazione del cittadino” unicamente alla scuola, non è una scelta saggia. La comunità, il territorio e quindi le istituzioni devono avere un ruolo forte e collaborare con la scuola. Educazione formale, non formale e informale devono compenetrarsi. Gli studi e le riflessioni della scrivente hanno portato all’ individuazione degli enti locali come potenziali luoghi privilegiati della formazione politica dei giovani e dell’educazione alla cittadinanza. Gli enti locali I Comuni, essendo le Istituzioni più vicine ai cittadini, possono essere il primo luogo dove praticare cittadinanza attiva traducendo in pratiche anche le politiche elaborate a livello regionale e nazionale. Sostiene la Carta riveduta della partecipazione dei giovani9 “La partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e alle attività a livello locale e regionale è essenziale se si vogliono costruire società più democratiche, solidali e prospere. Partecipare alla vita politica di una comunità, qualunque essa sia, non implica però unicamente il fatto di votare e presentarsi alle elezioni, per quanto importanti siano tali elementi. Partecipare ed essere un cittadino attivo vuol dire avere i diritti, gli strumenti intellettuali e materiali, il luogo, la possibilità, e, se del caso, il necessario sostegno per intervenire nelle decisioni, influenzarle ed impegnarsi in attività e iniziative che possano determinare la costruzione di una società migliore”. In Italia, il ruolo degli enti locali è stato per lo più dominante nella definizione delle politiche sociali, sanitarie ed educative ma è divenuto centrale soprattutto in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione italiana operata nel 2001. Sono gli enti locali – le Regioni in primis – ad avere la funzione istituzionale di legiferare rispetto ai temi inerenti il sociale. Le proposte e le azioni di Province e Comuni dovrebbero ispirarsi al “principio di sussidiarietà” espresso nell’art. 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»10 e nei Trattati dell’Unione Europea. Il Trattato istitutivo della Comunità europea accoglie il principio nell’art.5 “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (…)”. Il principio di sussidiarietà può dunque essere recepito anche prevedendo, promuovendo e accogliendo la partecipazione dei cittadini alla vita della città in molteplici forme. Conseguentemente, facilitare l’avvicinamento degli adolescenti e dei giovani (in quanto cittadini) alla vita collettiva, al bene pubblico, alla politica considerandoli una risorsa e mettendoli nelle condizioni di essere socialmente e politicamente attivi rientra nelle possibili applicazioni del principio di sussidiarietà. L’oggetto della ricerca La ricerca condotta dalla scrivente prende le mosse dal paradigma ecologico e si ispira allo stile fenomenologico prendendo in analisi un contesto determinato da numerosi soggetti tra loro interrelati. La domanda di ricerca: “gli enti locali possono promuovere di progetti e interventi di educazione alla cittadinanza di cui adolescenti e giovani siano protagonisti? Se si, in che modo?”. Gli studi preliminari alla ricerca hanno mostrato uno scenario complesso che non era mai stato preso in analisi da chi si occupa di educazione. E’ stato dunque necessario comprendere: 1) Il ruolo e le funzioni degli enti locali rispetto alle politiche educative e di welfare in generale in Italia 2) La condizione di adolescenti e giovani in Italia e nel mondo 3) Che cos’è l’educazione alla cittadinanza 4) Che cosa si può intendere per partecipazione giovanile Per questo il lavoro di ricerca empirica svolto dalla scrivente è basato sulla realizzazione di due indagini esplorative (“Enti locali, giovani e politica (2005/2006)11 e “Nuovi cittadini di pace” (2006/2007)12) tramite le quali è stato possibile esaminare progetti e servizi di promozione della partecipazione degli adolescenti e dei giovani alla vita dei Comuni di quattro regioni italiane e in particolare della Regione Emilia-Romagna. L’oggetto dell’interesse delle due indagini è (attraverso l’analisi di progetti e servizi e di testimonianze di amministratori, tecnici e politici) esplorare le modalità con cui gli enti locali (i Comuni in particolare) esplicano la loro funzione formativa rivolta ad adolescenti e giovani in relazione all’educazione alla cittadinanza democratica. Ai fini delle nostre riflessioni ci siamo interessati di progetti, sevizi permanenti e iniziative rivolti alla fascia d’età che va dagli 11 ai 20/22 anni ossia quegli anni in cui si giocano molte delle sfide che portano i giovani ad accedere al mondo degli adulti in maniera “piena e autentica” o meno. Dall’analisi dei dati, emergono osservazioni su come gli enti locali possano educare alla cittadinanza in rete con altre istituzioni (la scuola, le associazioni), promuovendo servizi e progetti che diano ad adolescenti e giovani la possibilità di mettersi all’opera, di avere un ruolo attivo, realizzare qualche cosa ed esserne responsabili (e nel frattempo apprendere come funziona e che cos’è il governo di una città, di un territorio), intrecciare relazioni, lavorare in gruppo, in una cornice che va al di là delle politiche giovanili e che propone politiche integrate. In questo contesto il ruolo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori, politici) è centrale: è dunque essenziale che le famiglie, il mondo della scuola, gli attivisti dei partiti politici, le istituzioni e il mondo dell’informazione attraverso l’agire quotidiano, dimostrino ad adolescenti e giovani coerenza tra azioni e idee dimostrando fiducia nelle istituzioni, tenendo comportamenti coerenti e autorevoli improntati sul rispetto assoluto della legalità, per esempio. Per questo, la prima fase di approfondimento qualitativo delle indagini è avvenuta tramite interviste in profondità a decisori politici e amministratori tecnici. Il primo capitolo affronta il tema della crisi della democrazia ossia il fatto che le democrazie odierne stiano vivendo una fase di dibattito interno e di riflessione verso una prospettiva di cambiamento necessaria. Il tema dell’inserimento dei diritti umani nel panorama del dibattito sulle società democratiche e sulla cittadinanza si intreccia con i temi della globalizzazione, della crisi dei partiti politici (fenomeno molto accentuato in Italia). In questa situazione di smarrimento e di incertezza, un’operazione politica e culturale che metta al primo posto l’educazione e i diritti umani potrebbe essere l’ancora di salvezza da gettare in un oceano di incoerenza e di speranze perdute. E’ necessario riformare il sistema formativo italiano investendo risorse sull’educazione alla cittadinanza in particolare per adolescenti e giovani ma anche per coloro che lavorano con e per i giovani: insegnanti, educatori, amministratori. La scolarizzazione, la formazione per tutto l’arco della vita sono alcuni dei criteri su cui oggi nuovi approcci misurano il benessere dei Paesi e sono diritti inalienabili sanciti, per bambini e ragazzi dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.13 La pedagogia e la politica devono avere in questo momento storico un ruolo di primo piano; gli obiettivi a cui dovrebbero tendere sono la diffusione di una cultura dei diritti, una cultura del rispetto dell’infanzia e di attenzione prioritaria ai temi del’educazione alla cittadinanza. “Rimuovere gli ostacoli sociali ed economici”14 a che questi diritti vengano rispettati è compito dello Stato e anche degli enti locali. Il secondo capitolo descrive la condizione dei giovani nel mondo e in Italia in rapporto ai diritti di partecipazione. Il contesto mondiale che la Banca Mondiale (organismo dell’Onu)15 dipinge è potenzialmente positivo: “il numero di giovani tra i 12 e i 24 anni è intorno a 1, 3 miliardi ossia il livello più elevato della storia; questo gruppo è in migliore salute e meglio istruito di sempre. I Paesi ricchi come quelli poveri devono approfittare di questa opportunità prima che l’invecchiamento della società metta fine a questo periodo potenzialmente assai fruttuoso per il mondo intero. In Italia invece “Viene dipinto un quadro deprimente in cui “gli adulti mandano segnali incerti, ambigui, contraddittori. Se si può dunque imputare qualcosa alle generazioni dei giovani oggi è di essere, per certi versi, troppo simili ai loro padri e alle loro madri”16 Nel capitolo vengono mostrati e commentati i dati emersi da rapporti e ricerche di organizzazioni internazionali che dimostrano come anche dal livello di istruzione, di accesso alla cultura, ma in particolare dal livello di partecipazione attiva alla vita civica dei giovani, dipenda il futuro del globo intero e dunque anche del nostro Paese . Viene inoltre descritto l’evolversi delle politiche giovanili in Italia anche in rapporto al mutare del significato del concetto controverso di “partecipazione”: il termine è presente in numerose carte e documenti internazionali nonché utilizzato nei programmi politici delle amministrazioni comunali ma sviscerarne il significato e collocarlo al di fuori dei luoghi comuni e dell’utilizzo demagogico obbliga ad un’analisi approfondita e multidimensionale della sua traduzione in azioni. Gli enti locali continuano ad essere l’oggetto principale del nostro interesse. Per questo vengono riportati i risultati di un’indagine nazionale sui servizi pubblici per adolescenti che sono utili per contestualizzare le indagini regionali svolte dalla scrivente. Nel terzo capitolo si esamina l’ “educazione alla cittadinanza” a partire dalla definizione del Consiglio d’Europa (EDC) cercando di fornire un quadro accurato sui contenuti che le pertengono ma soprattutto sulle metodologie da intraprendere per mettere autenticamente in pratica l’EDC. La partecipazione di adolescenti e giovani risulta essere un elemento fondamentale per promuovere e realizzare l’educazione alla cittadinanza in contesti formali, non formali e informali. Il quarto capitolo riporta alcune riflessioni sulla ricerca pedagogica in Italia e nel panorama internazionale e pone le basi ontologiche ed epistemologiche della ricerca svolta dalla scrivente. Nel quinto capitolo vengono descritte dettagliatamente le due indagini svolte dalla scrivente per raccogliere dati e materiali di documentazione sui progetti di promozione della partecipazione dei giovani promossi dagli Enti locali emiliano-romagnoli ai fini dell’educazione alla cittadinanza. “Enti locali, giovani e politica” indagine sui progetti di promozione della partecipazione sociale e politica che coinvolgono ragazzi tra i 15 e i 20 anni. E “Nuovi cittadini di pace”, un’indagine sui Consigli dei ragazzi nella Provincia di Bologna. Nel sesto capitolo la scrivente formula alcune conclusioni e proposte operative concentrando la propria attenzione in particolare sulle questione della formazione di educatori e facilitatori che operano in contesti di educazione non formale interistituzionale, sulla necessità di una ampia diffusione di una cultura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo della politica e della scuola e su un utilizzo del dialogo autentico (in quanto principio democratico) per far sì che adolescenti, giovani e adulti possano collaborare e contribuire insieme alla formulazione di politiche e alla realizzazione di progetti comuni. Ci sembra infine che si debba riconoscere che è tempo di puntare con tutte le forze e in tutti i setting educativi disponibili su un impegno formativo in cui la dimensione politica non solo sia chiaramente e consapevolmente presente, ma sia considerata una delle sue caratteristiche principali. Il nostro tempo lo richiede con urgenza: l’alternativa rischia di essere la disfatta dell’intera umanità e dunque l’impossibilità per l’uomo di realizzarsi nel suo più elevato significato e nel suo autentico valore. I giovani sempre più lo chiedono anche se non sempre utilizzano linguaggi decifrabili dagli adulti.
Resumo:
The thesis in Urban and Regional Geography titled “URBAN AND TERRITORIAL COMPETITIVENESS IN SUSTAINABILITY. EMILIA-ROMAGNA, REGION OF EUROPE” is divided into two sections. Section one is additionally composed by two chapters (chap. 1 and 2) and deals with theoretical and gnosiological issues. Section two, of two more chapters (chap. 3 and 4), provides practical contributions: these issues give explanatory patterns to interpret the performances of emiliano-romagnoli urban systems. Chapter one is an introductory chapter. It analyzes globalization that involves a larger and larger number of cities, rich or poor. It also considers the so called “digital divide” either as one of the major phenomena of this unhomogeneous development or as an interesting gnosiological and practical challenge of geography. Globalization is now involving all the cities, large or small, but the small ones have higher risks of exclusion: it depends on their more fragile socio-economic, cultural, and environmental urban structure. That’s why European Union (chapter two) promotes policies and endows politics to sustain cities, because urban systems are the basis for the territorial development. So, European, national and local Institutions are firmly interested in promoting urban and local interventions and projects. Section two deals with economic-geography methods, which consists on collecting indicators and the benchmarking methodology. It also specifically analyzes the urban systems of Emilia-Romagna. Consequences of the globalization on the cities are interpreted with a study of their local resources, intended as potentials for their development. The STeMA approach, proposed by Professor Maria Prezioso (University of Roma, “Tor Vergata”) and used by the ESPON (European Spatial Program Observation Network) project, describes the main “determinants” of the territorial and urban development. These are easily comparable to one another (similar or better performing). This approach achieves two goals. On one hand, it is possible to analyze every urban system in its all main characteristics and to preserve its historical and cultural factors. On another hand, each city is “knowable” and “understandable” by all scholars, as it is objectively comparable. So, urban planners can propose specific “multi-level” and “multi-varied” programs of governance. These will face globalization by exalting local empowerment.
Resumo:
La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali;per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.
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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali; per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.
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Questa si ripropone in prima istanza di analizzare le origini e l’evoluzione del concetto di sostenibilità e successivamente di prendere in considerazione uno dei tanti mezzi che consentono di perseguirla: la gestione della sosta. Per molti anni infatti, a partire dal momento in cui sono iniziate ad emergere le esternalità negative legate al traffico, si è pensato che quello dei parcheggi fosse solo un ulteriore problema. Solo di recente, dalla fine degli anni ’90, fatta eccezione per il caso della Gran Bretagna che ha fatto da capofila già a partire dagli anni ’80, si è iniziato a considerare la sosta come parte della soluzione dei problemi di congestione, inquinamento e di vivibilità delle città. Verrà analizzata perciò nel secondo capitolo l’evoluzione delle politiche della sosta a livello europeo, con particolare attenzione all’operato svolto dall’EPA (European Parking Association) associazione leader nel settore riconosciuta dall’Unione Europea e sostenuta da 18 Paesi membri tra cui anche l’Italia. Il lavoro svolto da quest’associazione, nata nei primi anni ’80, è quello di decidere insieme agli associati delle linee comuni da seguire per migliorare le politiche a livello europeo riguardo la gestione della sosta. Si tratta nella pratica di studi, convegni e analisi degli effetti prodotti da provvedimenti intrapresi nelle varie città che hanno iniziato ad introdurre la regolamentazione della sosta. Sempre nel secondo capitolo saranno quindi presentate le linee guida europee nell’ambito dei parcheggi e si analizzeranno casi di “Best Practices” di alcuni Paesi che hanno introdotto provvedimenti per la gestione della sosta. Nel terzo capitolo invece viene considerata la situazione in Italia parlando in principio di Aipark, l’associazione italiana operatori nel settore dei parcheggi che partecipa alle attività dell’Epa e prendendo in esame in seguito le politiche adottate a livello nazionale e nello specifico in alcune tra le più importanti città italiane. Si vedrà come sia ancora troppo marcata la distanza del nostro Paese dai progressi registrati in altri Paesi dell’UE, con le dovute eccezioni. Per quel che riguarda l’aspetto normativo è significativo il fatto che, nonostante il riconoscimento della forte influenza che le politiche della sosta hanno sulla regolazione del traffico, ci siano ancora molte lacune legislative e che spesso la sosta non compaia tra i soggetti delle leggi in tale settore. La legislazione italiana nell’ambito dei parcheggi verrà analizzata nel quarto capitolo. Successivamente, nei capitoli 5 e 6 si parlerà delle fasi preliminari della redazione del Piano della Sosta di Casalecchio di Reno. Il Piano della Sosta è uno dei Piani Particolareggiati che costituiscono il 2° livello di progettazione del PUT (Piano Urbano del Traffico) e rappresenta uno strumento di pianificazione utile ad analizzare lo stato di fatto del sistema dei parcheggi di una città in modo da coglierne le criticità e fornire eventualmente le soluzioni per ovviare ad esse. Nel quinto capitolo viene effettuato un inquadramento territoriale di Casalecchio e si parlerà delle problematiche della sosta emerse nel PGTU (Piano Generale del Traffico Urbano) che costituisce il progetto preliminare o Piano Quadro del PUT. Le fasi attraverso le quali viene elaborato un Piano della sosta si possono sintetizzare nei seguenti punti: - Studio della normativa nazionale e locale e di esempi significativi di altre realtà nell’ambito della sosta. - Analisi dello stato di fatto in termini di domanda e offerta. - Indagini mediante incontri pubblici, distribuzione di questionari o interviste dirette, per cogliere le esigenze degli utenti che usufruiscono del servizio. - Analisi delle eventuali criticità emerse. - Progettazione del nuovo assetto della sosta. - Campagna di sensibilizzazione per fare “accettare” con più facilità i cambiamenti agli utenti. Nel sesto capitolo di questa tesi, e negli allegati si possono consultare i risultati delle indagini su domanda e offerta condotte da TPS (Transport Planning Service), azienda che svolge attività di pianificazione e progettazione, di fornitura software, oltre che indagini e rilievi nell’ambito dei trasporti. Verranno descritte le modalità di rilievo e verranno presentati i risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati raccolti, con qualche accenno alle possibili soluzioni per risolvere le problematiche emerse. La fase di progettazione vera e propria degli interventi non verrà invece trattata in questa sede.
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Oggetto della ricerca è il tema dello spazio delle centrali idroelettriche costruite nella prima metà del Novecento dagli architetti Giovanni Muzio e Piero Portaluppi. L’individuazione del tema sorge dalla volontà di indagare quali siano stati gli sviluppi dal punto di vista architettonico all’interno di un genere così specifico durante un periodo di tempo in cui gli stili architettonici e le tendenze hanno subito stravolgimenti ed evoluzioni che ancora oggi trovano una difficile connotazione e definizione precisa. L’analisi dell’architettura delle centrali idroelettriche, effettuata ripercorrendo le principali vicende del settore idroelettrico dalla fine del secolo scorso al secondo dopoguerra, oltre a considerare il rapporto con il contesto territoriale e culturale del nostro Paese vuole prendere in considerazione anche il particolare rapporto che in più casi si è venuto a creare tra committenti e progettisti. Compito della tesi è rileggere un settore poco indagato finora e capire se vi sia stata effettivamente una evoluzione architettonica dal punto di vista tipologico o se la centrale sia stata sempre affrontata come semplice esercizio di “vestizione” di un involucro precostituito da precise esigenze tecniche. La ricerca infatti si pone come obiettivo lo studio delle centrali non solo dal punto di vista tipologico e spaziale dei suoi principali elementi, ma si pone come obiettivo anche lo studio della loro distribuzione nel sito in cui sono sorte, distribuzione che spesso ha portato alla formazione di una sorta di vera e propria “città elettrica”, in cui la composizione dei vari elementi segue una logica compositiva ben precisa. Dal punto di vista del contributo originale la ricerca vuole proporre una serie di riflessioni ed elaborati inerenti alcune centrali non ancora indagate. Nel caso specifico di Portaluppi l’apporto originale consiste nell’aver portato alla luce notizie inerenti centrali che sono sempre state poste in secondo piano rispetto le ben più note e studiate centrali della Val d’Ossola. Nel caso invece di Muzio il contributo consiste in una analisi approfondita e in una comparazione di documenti che di solito sono sempre stati pubblicati come semplice apparato iconografico, ma che messi a confronto danno una lettura di quelle che sono state le fasi e le elaborazioni progettuali apportate dall’autore. Il tema della ricerca è stato affrontato poi attraverso una lettura delle fonti dirette relative agli scritti degli autori, con una contemporanea lettura di testi, articoli e interventi tratti dalle riviste appartenenti al periodo in esame per comprendere al meglio il panorama culturale e architettonico che hanno fatto da scenario alle esperienze di entrambe le figure oggetto di studio. Infine la ricerca si è concentrata sull’analisi di alcune opere in particolare - due centrali idroelettriche per ciascun autore oggetto della tesi - scelte perché considerate rappresentative sia per impianto spaziale e tipologico, sia per le scelte compositive e stilistiche adottate. La lettura dei manufatti architettonici scelti è stata condotta con l’analisi di copie di elaborati grafici originali, foto d’epoca e altri documenti reperiti grazie ad una ricerca condotta in vari archivi. Le centrali scelte nell’ambito delle esperienze maturate da Muzio e Portaluppi sono state individuate per rappresentare il quadro relativo allo sviluppo e alla ricerca di un nuovo linguaggio formale da adottare nell’ambito dell’architettura di questi manufatti. Per entrambi i protagonisti oggetto della ricerca sono state individuate due centrali in grado di dare una visione il più possibile completa dell’evoluzione della tematica delle centrali idroelettriche all’interno della loro esperienza, prendendo in considerazione soprattutto gli aspetti legati all’evoluzione del loro linguaggio compositivo e stilistico. L’individuazione delle centrali da analizzare è stata dettata prendendo in considerazione alcuni fattori come il tipo di impianto, le relazioni e confronto con il contesto geografico e naturale e le soluzioni adottate.
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To understand a city and its urban structure it is necessary to study its history. This is feasible through GIS (Geographical Information Systems) and its by-products on the web. Starting from a cartographic view they allow an initial understanding of, and a comparison between, present and past data together with an easy and intuitive access to database information. The research done led to the creation of a GIS for the city of Bologna. It is based on varied data such as historical map, vector and alphanumeric historical data, etc.. After providing information about GIS we thought of spreading and sharing the collected data on the Web after studying two solutions available on the market: Web Mapping and WebGIS. In this study we discuss the stages, beginning with the development of Historical GIS of Bologna, which led to the making of a WebGIS Open Source (MapServer and Chameleon) and the Web Mapping services (Google Earth, Google Maps and OpenLayers).
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Fin dai primi approcci alla città dell'Aquila, quando ancora non la conoscevamo e attraverso libri e articoli in rete cercavamo di capire la sua storia e la sua identità, abbiamo riconosciuto chiaramente quanto fosse importante la sua università. Le testimonianze precedenti il sisma parlavano di una città universitaria con quasi 30000 iscritti in continua crescita, viva e attiva, una città giovane; quelle posteriori il 6 aprile 2009 invece erano le richieste di aiuto da parte di docenti e fuorisede che si rifiutavano di abbandonare quello che per loro era diventato un importante punto di riferimento per la loro vita e la loro formazione. Forse anche perchè noi stesse studentesse, abbiamo fin da subito sentito il dovere di occuparci di questo angoscioso problema, da un lato per essere solidali verso i nostri sfortunati colleghi, dall'altro per non permettere un ulteriore abbandono dell'ateneo aquilano da parte di altri studenti. Lo slogan apparso sui cartelloni di alcuni studenti aquilani durante una manifestazione fatta per sensibilizzare la popolazione sulla loro situazione palesa il loro attaccamento alla città e la loro volontà di continuare a farne parte e partecipare alla sua ricostruzione: "Noi siamo il cuore de L'Aquila". L’Università dell’Aquila vuole tornare nel centro storico. A confermare questa volontà, più volte espressa, c’è l’acquisizione della vecchia struttura dell’ospedale San Salvatore nei pressi della Fontana Luminosa, dove verrà realizzato il nuovo polo umanistico. La nuova sede di Lettere e filosofia, situata nella parte più nuova dell’ex complesso ospedaliero sarà aperta per il prossimo anno accademico e nell'ultima porzione di struttura acquistata si insedierà anche la facoltà di Scienze della formazione. “L’Università deve tornare nel centro storico - ha affermato il rettore Ferdinando di Orio nella conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa - perché deve tornare a rappresentare ciò che L’Aquila è, ovvero una città universitaria”. Da qui un percorso di studio che partendo dalla storia della città e della sua università ci ha portato fino alla scelta dell'area, secondo noi la più adatta ad ospitare servizi per gli studenti universitari e permettere un tempestivo approccio al problema. Un'area che si è rivelata piena di potenzialità e per noi possibile punto di riferimento per la rinascita del centro storico aquilano. Dagli studi preliminari svolti è infatti emerso che l'area di progetto è attualmente poco sfruttata benchè la sua posizione sia assolutamente favorevole. Importante è per esempio la vicinanza alla stazione ferroviaria, usata da studenti fuori sede soprattutto della conca aquilana, professori e ospiti che devono raggiungere la città. Il piazzale della stazione ferroviaria, assieme alla via XX Settembre sono poi importanti fermate del servizio urbano ed extraurbano pubblico che collegano l'area con l'università, l'ospedale, e l'autostazione di Collemaggio. Altrettanto rilevante è parsa la prossimità dell'area al centro storico ed il fatto che si presenti agibile nella quasi sua totalità il che permette di poter pensare ad un intervento di ricostruzione tempestivo. Oltre alle mura storiche, la zona di progetto si trova nelle immediate vicinanze di altre due importanti emergenze: la Fontana delle 99 cannelle, uno dei più importanti e più significativi monumenti dell’Aquila e l'edificio dell'ex-mattatoio, struttura di archeologia industriale nella quale il Comune ha scelto di localizzare temporaneamente il Museo Nazionale d'Abruzzo. Attraverso la realizzazione di questo importante spazio espositivo insieme con il restauro della Fontana delle novantanove Cannelle e della Porta Rivera a cura del FAI, sarà possibile ripristinare un polo di attrazione culturale e monumentale. L’operazione assume inoltre un valore simbolico, poiché viene effettuato in un luogo di primaria importanza, legato all’origine stessa della città, che farà da battistrada per la riappropriazione del centro storico. Noi ci affianchiamo quindi a questo importante intervento e alle ultime direttive segnalate dal Comune e dall'Ateneo che dimostrano la loro volontà di riappropriarsi del centro storico, localizzando nell'area i servizi che dopo il sisma risultano necessari affinché gli studenti possano continuare i loro studi nella città e andando a potenziare il sistema museale già presente per creare un importante polo didattico e culturale.
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Nel corso della mia esperienza universitaria ho rivolto l’attenzione soprattutto verso il progetto urbano affrontato sia nei laboratori di progettazione e composizione architettonica che in quelli di urbanistica, su temi che hanno riguardato essenzialmente la città di Cesena e il territorio circostante. Nel primo progetto presentato, il Foro Annonario di Cesena, ci siamo dovuti confrontare con un intorno storico consolidato; nel secondo, il Palazzo di Giustizia, l’area di progetto un tempo apparteneva alla prima periferia e oggi, pur essendo nel perimetro civico, non ha un’identità urbana definita; nel terzo progetto, l’ambito SACIM, abbiamo analizzato un’area di espansione urbana letta nel complesso più esteso della città metropolitana di Forlì-Cesena.
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IMPARARE LA SOSTENIBILITA’ Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di un asilo nido in prossimità della scuola dell’infanzia “Coccinella” di Bertinoro (FC) per rispondere alle esigenze espresse dalla’Amministrazione Comunale, orientate a realizzare un ampliamento della struttura esistente, completando così il polo scolastico comprendente anche la scuola elementare comunale adiacente. La strategia di intervento che il progetto ha adottato prevede due scenari: uno che assume integralmente gli obiettivi dell’Amministrazione e prevede la realizzazione di una struttura per la prima infanzia ad ampliamento di quella esistente, e un secondo che invece propone anche la realizzazione di una nuova scuola materna, in sostituzione di quella attualmente presente. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, mostrando particolari attenzioni alle tematiche ambientali, assunte come determinanti per ottenere elevati livelli di benessere per i fruitori. La scuola diventa così promotrice di una progettazione orientata a principi di sostenibilità ambientale, efficienza e risparmio energetico, attraverso scelte in cui, sin dalle prime fasi, tecnologia, ambiente, comfort e salute cercano un reciproco equilibrio. A scala urbana si è scelto di recuperare e ampliare il sistema di percorsi pedonali che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio quale risorsa primaria. A scala locale, per garantire l’integrazione del nuovo intervento con l’ambiente e il territorio, il progetto ha richiesto un’approfondita analisi preliminare del sito, comprendente lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si sono affiancati gli aspetti climatologici, funzionali alla scelta dell’esposizione da attribuire all’edificio in modo da mitigare gli effetti delle variazioni climatiche e ottimizzare la qualità indoor. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze di educatori e bambini. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Questo sistema consente la realizzazione di strutture affidabili, durevoli nel tempo e rispondenti a tre criteri fondamentali nell’ottica della sostenibilità: impiego di materiali rinnovabili, minimizzazione dei rifiuti e del consumo di acqua in cantiere e possibilità di recupero tramite smontaggio. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, quali la pietra, e di attenuare l’impatto visivo dell’intervento attraverso l’impiego di coperture verdi. Queste, oltre a restituire in copertura il suolo occupato dai volumi edificati, contribuiscono alla mitigazione del microclima, sia all’interno dell’edificio che nel suo intorno. Rispetto agli obiettivi di benessere degli utenti, il progetto si è posto l’obiettivo di superare i confini determinati dalla normativa sui requisiti energetici, puntando al raggiungimento di condizioni ottimali in termini di salubrità del costruito e confort abitativo. Questo intervento si propone di sperimentare un approccio ecologico di sensibilizzazione ai criteri di sostenibilità, capace di coinvolgere tutti i protagonisti della vita scolastica: i bambini, gli insegnanti, i genitori e la città. “Imparare la sostenibilità” è l’obiettivo del progetto e la linea guida della tesi, i “percorsi di sostenibilità”, rappresenta il frutto degli studi, delle analisi, delle scelte che ci hanno spinto ad ottenere lo scopo prefissato e racchiude in un significato sia fisico che metaforico i risultati finali, sia a scala urbana, che a scala dell’edificio. Il termine “percorsi” ci permette di comprendere sia la nuova rete di collegamenti tra l’area di intervento e il resto della città quali strumento di rigenerazione e di contatto con il paesaggio, ma anche il processo di crescita e formativo che il bambino, destinatario e protagonista del progetto, intraprenderà in questi luoghi. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche (raggiungimento classe B per la struttura esistente, classe A per le ipotesi di ampliamento) ma anche dal punto di vista del confort luminoso rappresenta la premessa per la formazione di una nuova generazione più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.
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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.
Resumo:
Questo lavoro di tesi curriculare ripercorre attraverso l’analisi di tre progetti, che ho svolto durante il mio percorso di studi, le mie esperienze nell’ambito della riqualificazione di aree al margine del centro storico. In fase di tesi ho poi svolto un lavoro fotografico a supporto degli elaborati progettuali che ho invece redatto negli anni di corso dei laboratori. Il lavoro fotografico a posteriori è da intendersi non tanto come approfondimento delle scelte progettuali effettuate, ma come un ripensamento e una riflessione sui luoghi sui quali ho precedentemente svolto i progetti. Per elaborare questo lavoro ho applicato le conoscenze che ho acquisito nel corso di Storia e Tecnica della Fotografia e nei workshop fotografici ai quali ho partecipato come studente. Dei tre progetti presi in esame, due sono stati svolti nei Laboratori di Progettazione (precisamente II e IV) e uno nel Laboratorio di Sintesi Finale. Come già detto, questi tre progetti sono stati da me scelti perché accomunati dalla prossimità delle aree ai centri storici delle città. Il carattere di queste aree di studio, composto da molteplici identità, è frammentario e le identifica come aree di margine o di confine nelle quali si rende necessario un processo di analisi e di riqualificazione. In maniera differente e con risultati altalenanti, le amministrazioni stanno provvedendo a cercare di dare a questi luoghi un carattere di maggior omogeneità .
Resumo:
L’importanza dell’acqua nel territorio ravennate è facilmente riscontrabile nella sua storia: la città sorge letteralmente in mezzo all’acqua, composta da fiumi, canali e specchi d’acqua, mutati profondamente nel corso del tempo grazie alle bonifiche e all’opera dell’uomo. Diventa, quindi, fondamentale uno studio di come la città abbia convissuto, si sia adattata all’acqua e di come l’uomo abbia cambiato la conformazione della città nel tempo in base al sistema idrico. Ora Ravenna ha, per cosi dire, perso il suo carattere di città marittima, ciò che prima si trovava a diretto contatto con il mare ora risulta distaccato e le tracce di questa evoluzione si sono via via perse col passare degli anni. L’unico collegamento al mare e alle zona lagunare limitrofa al porto rimane il canale Candiano, un collegamento che porta l’acqua fino al confine del centro storico. Il porto che prima rivestiva un ruolo importante e di sopravvivenza, in quanto il mercato ittico rappresentava un punto nodale nella vita della città e dei suoi abitanti, ora ha cambiato la sua destinazione a crocevia del commercio e di materie prime utilizzate dalle industrie sorte lungo le sponde del canale Candiano. Il museo delle acque vuole essere perciò un salto nel passato, riscoprendo e valorizzando l’antico legame tra uomo, città e acqua. Alla luce dello stato di fatto, dei cambiamenti e degli studi condotti sull’area, andiamo ora a chiarire gli aspetti basilari e generatori dell’edificio museale: - L’ingresso verrà posto lungo l’asse viario proveniente dalla città e dal mausoleo di Teodorico. - L’intero progetto verrà immerso nel verde, e collegato al vicino parco di Teodorico. - Il museo verrà realizzato all’interno di una piazza urbana che diverrà il fulcro della nuova cittadella della cultura. Prima di tutto è importante capire cosa si vuole esporre all’interno del museo e a che tipo di visitatore le mostre sono dedicate. Il museo prevede per lo più mostre permanenti dedicate al tema dell’acqua. L’esposizione si dividerà principalmente in due parti, la prima riguarderà le lagune costiere presenti nelle zone del porto di Ravenna, la seconda dedicata al Mare saranno quindi idealmente due percorsi differenti. Il percorso inizierà al primo piano con una sala completamente buia nella quale verranno presentati gli aspetti principali dei fondali. Nel caso delle lagune, saranno esposte le stratificazione e composizione dei fondali con carotaggi e pannelli illustrativi dell’evoluzione nel tempo, gli aspetti chimici e soprattutto idraulici di questo sistema. Il tutto sarà improntato per far comprendere l’importanza delle lagune, grazie alle quali è possibile il corretto funzionamento del porto, dovuto elle maree. Al secondo piano del Museo verrà illustrata la vita all’interno della laguna, quindi le specie presenti, sia animali che vegetali, siano esse naturali o introdotte dall’uomo, come nel caso degli allevamenti di vongole filippine, determinando le dinamiche di conservazione di questo patrimonio faunistico e naturalistico, con attività di analisi legate al centro ricerche. Si provvederà in questo senso anche a controllare i vari livelli massimi di inquinamento delle attività industriali presenti nel canale. Al terzo piano si andranno ad analizzare e mostrare gli aspetti che legano queste zone alle attività umane, che possiamo riunire in due settori principali quali la pesca e la navigazione. Verranno esposti utilizzando modelli in scala, cartellonistica, pannelli illustrativi ed immagini e tutta una serie di oggetti che illustrano le relazioni tre l’uomo e il luogo. Ci sarà una sezione dedicata alle imbarcazioni utilizzate per il guado dei canali, fino ai più piccoli strumenti usati proprio nelle attività di pesca. Al quarto piano si concluderà l’esposizione cercando di lasciare l’aspetto scientifico e ci si dedicherà all’evoluzione del porto dalle origini con il suo mercato ittico, fino ai giorni nostri in cui i traffici di materie prime destinate alle industrie sono l’aspetto principale. Il percorso museale si eleva a spirale, è formato da due rampe quadrate che servono i piani e che si intrecciano senza mai toccarsi. Questo permette al visitatore di scegliere il percorso che più gli interessa e nel modo che vuole, non è obbligato né dall’architettura né dal percorso espositivo, è quindi un sistema molto flessibile rispetto quello del museo classico, può capitare che due visitatori entrino nel museo insieme, inizino il giro in senso opposto, e non si incontrino mai, questa idea risulta complessa e nuova in un edificio che almeno esternamente sembra molto regolare e schematico. Per quanto riguarda la parte dell’illuminazione, che ha avuto anch’essa un ruolo molto importante all’interno del progetto del museo, l’idea è quella di rendere un effetto di risalita dalle profondità del mare fino alla superficie, man mano che si sale lungo il percorso espositivo. Per fare ciò, è stato svolto uno studio attento delle aperture, lasciando il primo piano espositivo cieco ed aprendo il secondo e il terzo piano in maniera da avere un progressivo aumento di luce nelle sale. Le finestre sono state posizionate compatibilmente con la composizione esterna dei prospetti, alla ricerca di un giusto equilibrio tra pieni e vuoti e tra composizione e tecnica.