904 resultados para Álbum narrativo
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Abstract Il tema delle infrastrutture, intese come parte dell’architettura dello spazio urbano e del territorio, assume un ruolo centrale in molti progetti contemporanei e costituisce la ragione di questa ricerca. E’ preso in esame, in particolare, il tracciato extraurbano della via Emilia, antica strada consolare romana la cui definizione risale al II sec. a.C., nel tratto compreso tra le città di Rimini e Forlì. Studiare la strada nel suo rapporto con il territorio locale ha significato in primo luogo prendere in considerazione la via Emilia in quanto manufatto, ma anche in quanto percorso che si compie nel tempo. Si è dunque cercato di mostrare come, in parallelo all’evoluzione della sua sezione e della geometria del suo tracciato, sia cambiata anche la sua fruizione, e come si sia evoluto il modo in cui la strada viene “misurata”, denominata e gestita. All’interno di una riflessione critica sulla forma e sul ruolo della strada nel corso dei secoli la Tesi rilegge il territorio nella sua dimensione di “palinsesto”, riconoscendo e isolando alcuni momenti in cui la via Emilia ha assunto un valore “simbolico” che rimanda alla Roma imperiale. La perdita del significato via Emilia, intesa come elemento di “costruzione” del territorio, ha origine con il processo di urbanizzazione diffusa che ha investito il territorio extraurbano a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. La condizione attuale della strada, sempre più congestionata dal traffico veicolare, costituisce la premesse per una riflessione sul futuro della sua forma e degli insediamenti che attraversa. La strategia proposta dagli Enti locali che prevede il raddoppio della strada, con la costruzione della via Emilia Bis, non garantisce solo un potenziamento infrastrutturale ma rappresenta l’occasione per sottrarre al tracciato attuale la funzione di principale asse di comunicazione extraurbana. La via Emilia potrebbe così recuperare il ruolo di itinerario narrativo, attraverso la configurazione dei suoi spazi collettivi, l’architettura dei suoi edifici, il significato dei suoi monumenti, e diventare spazio privilegiato di relazione e di aggregazione. The theme of urban infrastructures, thought as part of the design of urban space and territory, has a central role in several contemporary projects and is the reason of this research. The object of the study is the extra urban route of the via Emilia, an ancient roman road which has been defined in the II century b. C., in its stretch between the cities of Rimini and Forlì. Studying the road in its relationship with the local environment has meant first of all considering the via Emilia as an “artefact” but also as a path that takes place over time. The aim of this research was also to demonstrate how its fruition has changed together with the evolution of the section and geometry of the route, and how the road itself is measured, named and managed. Within a critical approach on the shape and on the role played by the road through the centuries, this Essay reinterprets the territory in its dimension of “palimpsest”, identifying and isolating some periods of time when the via Emilia assumed a symbolic value which recalls the Imperial Rome. The loss of the meaning of the via Emilia, intended as an element that “constitutes” the territory originates from a process of diffused urbanization, which spread in the extra urban environment from the end of the second world war. The actual condition of the road, more and more congested by traffic, is the premise of a reflection about the future of its shape and of the settlements alongside. The strategy proposed by the local authorities, that foresees to double the size of the road, building the via Emilia Bis, not only guarantees an infrastructural enhancement but also it represents an opportunity to take off from the road itself the current function of being the principal axis of extra urban connection. In this way the via Emilia could regain its role as a narrative itinerary, through the configuration of its public spaces, the architecture of its buildings, the meaning of its monuments, and then become a privileged space of relationship and aggregation.
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La ricerca si propone come studio teorico e analitico basato sulla traduzione letteraria e audiovisiva del genere diasporico, esemplificato nel romanzo The Namesake – L’omonimo di J. Lahiri e nel film The Namesake – Il destino nel nome di M. Nair. Si sviluppa, quindi, un doppio percorso di analisi, concentrandosi sulla traduzione interlinguistica di due modalità testuali differenti, quella letteraria (il testo narrativo) e quella audiovisiva (in particolare, il doppiaggio). L’approccio teorico è di stampo interdisciplinare, come risulta sempre più imprescindibile nel campo dei Translation Studies: infatti, si cerca di coniugare prospettive di natura più linguistica, quali i Descriptive Translation Studies (in particolare, Toury 1995) e lo sviluppo degli studi sui cosiddetti ‘universali traduttivi’, con approcci di stampo più culturalista, in particolare gli studi sulla traduzione post-coloniali, con le loro riflessioni sui concetti di ‘alterità’ e ‘ibridismo’. Completa il quadro teorico di riferimento una necessaria definizione e descrizione del genere diasporico relativo alla cultura indiana, in rapporto sia al contesto di partenza (statunitense) sia al contesto di arrivo (italiano) per entrambi i testi presi in considerazione. La metodologia scelta per l’indagine è principalmente di natura linguistica, con l’adozione del modello elaborato dallo studioso J. Malone (1988). L’analisi empirica, accompagnata da una serie di riflessioni teoriche e linguistiche specifiche, si concentra su tre aspetti cruciali per entrambe le tipologie testuali, quali: la resa della naturalezza dei dialoghi nel discorso letterario e in quello filmico, la rappresentazione del multiculturalismo e delle varietà linguistiche caratterizzanti i due testi di partenza e i numerosi riferimenti culturo-specifici delle due opere e la loro traduzione in italiano. Si propongono, infine, alcune considerazioni in ottica intersemiotica in relazione alle tre aree individuate, a integrazione dell’indagine in chiave interlinguistica.
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La mia tesi si riallaccia al dibattito teorico-letterario contemporaneo sulla possibilità di un approccio cognitivo alla narrativa e alla letteratura in particolare. Essa si propone di esplorare il rapporto tra narrazione ed esperienza, ridefinendo il concetto di “esperienzialità” della narrativa introdotto da Monika Fludernik nel suo Towards a “Natural” Narratology (1996). A differenza di Fludernik, che ha identificato l’esperienzialità con la rappresentazione dell’esperienza dei personaggi, la mia trattazione assegna un ruolo di primo piano al lettore, cercando di rispondere alla domanda: perché leggere una storia è – o si costituisce come – un’esperienza? L’intuizione dietro tutto ciò è che le teorizzazioni dell’esperienza e della coscienza nella filosofia della mente degli ultimi venti anni possano gettare luce sull’interazione tra lettori e testi narrativi. Il mio punto di riferimento principale è la scienza cognitiva “di seconda generazione”, secondo cui l’esperienza è un relazionarsi attivo e corporeo al mondo. La prima parte del mio studio è dedicata all’intreccio tra la narrativa e quello che chiamo lo “sfondo esperienziale” di ogni lettore, un repertorio di esperienze già note ai lettori attraverso ripetute interazioni con il mondo fisico e socio-culturale. Mi soffermo inoltre sul modo in cui relazionarsi a un testo narrativo può causare cambiamenti e slittamenti in questo sfondo esperienziale, incidendo sulla visione del mondo del lettore. Mi rivolgo poi al coinvolgimento corporeo del lettore, mostrando che la narrativa può attingere allo sfondo esperienziale dei suoi fruitori anche sul piano dell’esperienza di base: le simulazioni corporee della percezione contribuiscono alla nostra comprensione delle storie, incidendo sia sulla ricostruzione dello spazio dell’ambientazione sia sulla relazione intersoggettiva tra lettori e personaggi. Infine, mi occupo del rapporto tra l’esperienza della lettura e la pratica critico-letteraria dell’interpretazione, sostenendo che – lungi dal costituire due modalità opposte di fruizione dei testi – esse sono intimamente connesse.
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La ricerca si propone di inquisire il modo in cui il fantastico del primo Novecento utilizza la rappresentazione finzionale degli oggetti ai fini della propria emersione. Si ipotizza che certi schemi rappresentativi elaborati da autori fantastici come Hoffmann, Poe o Maupassant siano riscontrabili anche nella letteratura del XX secolo, e vengano reimpiegati per rispondere a una mutata situazione socioculturale. La tesi è bipartita: la prima parte, che è a sua volta suddivisa in due capitoli, funziona da cornice teorica e storica alle analisi testuali. Vi si discute del concetto di immagine; e da tale discussione viene derivata una precisa idea di spazio e di oggetto letterari. In seguito si procede a una ricostruzione della storia del fantastico ottocentesco (dalla quale non sono assenti riflessioni teoriche e in particolare genologiche), che da un lato è volta a storicizzare l’idea di “genere fantastico”; dall’altro ha come obiettivo l’identificazione di una tipologia di oggetti strutturalmente legata a quel genere narrativo. Due sono le classi di oggetti così individuate, e altrettanti i capitoli che compongono la seconda parte del lavoro. Entrambi i tipi di oggetto, che per semplicità si possono chiamare oggetti-feticcio e oggetti spettrali, stanno a metà strada tra immaginario e reale; ma mentre l’oggetto-feticcio ha qualcosa in più rispetto a un oggetto descritto realisticamente, l’oggetto spettrale ha un che di deficitario, e non giunge al risultato di una completa materializzazione. Tra gli autori affrontati compaiono Papini, Pirandello, Bontempelli, Savinio, Landolfi; né mancano riferimenti ad autori di altre nazioni da Kafka a Sartre, da James a Virginia Woolf, in ottemperanza all’idea di considerare il fantastico italiano all’interno di una più ampia geografia letteraria.
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La tesi è incentrata sull'analisi dell'organizzazione retorica della prosa di Giorgio Manganelli, indagando il sistema ritmico attraverso il quale l'autore è in grado di creare un fluire sintattico che sfugge alle classificazioni di genere. Per Manganelli, infatti, il linguaggio è solamente organizzazione di se stesso, e perciò la scrittura ruota attorno a un centro narrativo vuoto, dissimulando l'assenza di necessità. Egli è un retore puntuale dotato di una straordinaria abilità compositiva, che gli consente di mettere in scena l'ambiguità insita nella retorica. Per affrontare questa analisi è stato opportuno avvalersi della critique du rythme ideata da Henri Meschonnic, a partire dalle riflessioni di Emile Benveniste sul concetto eracliteo di ritmo, poiché essa fornisce una prospettiva duttile, dinamica e svincolata da pregiudizi critici. Meschonnic infatti considera il ritmo non come schema metrico ma in quanto organizzazione del senso nel discorso, volto alla signifiance del testo. In quest'ottica si è tentato di costruire un percorso attraverso le opere di Manganelli per descrivere il sistema retorico su cui si fonda la sua scrittura, a partire dai materiali del suo laboratorio (poesie, prose, appunti di diario, scambi epistolari) fino all'ideazione di discorsi pseudo-teologici che si presentano come allegoria stessa della scrittura. Si sono analizzati in particolare la trasposizione letteraria della tecnica musicale della variazione in Nuovo commento (1969), e il ritmo del periodo ipotetico in Rumori o voci (1987), testo emblematico della ricerca di Manganelli sulle potenzialità del linguaggio. Infine la prosa manganelliana è stata messa a confronto con quella di altri importanti autori italiani del Novecento (Pavese, Gadda, Camporesi, Celati), al fine di comparare tra loro diverse organizzazioni ritmiche del linguaggio, e ricollocando così Manganelli al centro del panorama letterario italiano con tutta la sua eversiva marginalità.
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La tesi è dedicata alla personalità artistica dell’Illustratore, tra i protagonisti della miniatura bolognese degli anni trenta e quaranta del Trecento, così felicemente soprannominato da Roberto Longhi. Dopo un capitolo dedicato alla vicenda critica dell’artista, la tesi affronta il percorso artistico dell’Illustratore nell’ambito della decorazione libraria bolognese del secondo quarto del XIV secolo. Ho trattato le opere attribuite al’Illustratore insieme agli esempi contemporanei della miniatura bolognese, in modo da far emergere il ruolo di questo maestro nelle relazioni con il contesto cittadino. Nella successione cronologica dei manoscritti, emerge un nuovo sconvolgimento caotico che scardina l’ordine spaziale e compositivo delle opere iniziali debitrici del giottismo del Maestro del 1328. Il capitolo si conclude con alcune osservazioni sui rapporti tra il maestro e i suoi aiuti e sul rapporto con Buffalmacco. In questo capitolo sono inoltre presentate due nuove attribuzioni. Gli ultimi due capitoli sono un approfondimento sull’interazione tra il linguaggio figurativo dell’artista e la funzione dell’immagine quale forma di comunicazione visiva in stretta relazione con i testi scritti che accompagnano e sui caratteri della committenza, là dove è possibile definirli. La prima parte del terzo capitolo è dedicata all’illustrazione dei libri legales, mentre nella seconda parte si tratta di un caso particolare, le iniziali istoriate dell’Inferno e del Purgatorio di Dante Alighieri della Biblioteca Riccardiana di Firenze (ms. 1005), per molti aspetti riconducibili all’illustrazione giuridica. La mia intenzione in questo capitolo è di verificare come il caratteristico linguaggio narrativo espressivo e diretto dell’Illustratore abbia risposto alla funzione delle immagini dipinte nei codici giuridici di offrire una struttura materiale alla memorizzazione visiva per via di luoghi e figure dei contenuti di studio del diritto comune. In appendice alla tesi si trova un catalogo dei manoscritti decorati da miniature dell’Illustratore, comprensivo anche di una sezione per le opere di dubbia o erronea attribuzione.
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La fotografia viene utilizzata intermedialmente per la narrazione di contromemorie e memorie traumatiche ricorrendo a numerose modalità e strategie di inserzione e impiego diverse. Se l’intermedialità da un lato non è riconducibile ad una serie di pratiche convenzionali, ma dipende dal contesto narrativo, dall’altro essa detiene un’organicità che la allinea funzionalmente ai processi e alle indagini sulla rappresentabilità del trauma. Inoltre, per la versatilità della sua natura poliedrica, la pratica narrativa intermediale (nelle sue configurazioni più diverse) assume una valenza epistemologica e metodologica nei confronti degli studi sull’esternazione e rielaborazione del trauma. Questo studio si prefigge di mettere a confronto testi teorici e testi narrativi per metterne in rilievo il reciproco apporto.
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Il lavoro di tesi parte da un presupposto di osservazione empirica. Dopo aver rilevato la ricorrenza da parte di registi teatrali del panorama internazionale all’adattamento di testi non drammatici, ma narrativi per la scena, si è deciso di indagare come la natura narrativa dei testi di partenza si adatti, permanga o muti nel passaggio dal medium narrativo a quello spettacolare. La tesi si suddivide in tre parti. Nella parte intitolata “Della metodologia” (un capitolo), viene illustrato il metodo adottato per affrontare l’analisi degli spettacoli teatrali. Facendo riferimento alla disciplina semiotica teatrale, si è definito l’oggetto empirico di studio come testo spettacolare/performance text. La seconda parte della tesi, “Della comparazione dei modelli comunicativi”, (due capitoli), procede nella definizione: 1) dell’elemento teorico da indagare nei testi spettacolari, ovvero, la “narratività”; 2) dei modelli comunicativi della narrazione e dello spettacolo teatrale e delle loro intersezioni o differenze. Nella terza parte della tesi, “Della critica”, (due capitoli), vengono analizzate alcune delle opere del regista Jurij Ljubimov (Russia), Eimuntas Nekrošius (Lituania), Alvis Hermanis (Lettonia). La scelta è ricaduta sulle opere di questi registi in base a una considerazione: 1) culturale: si è deliberatamente circoscritta la sfera di indagine alla produzione teatrale russa e post-sovietica; 2) estetica: è stato osservato che la linea registica inaugurata da Jurij Ljubimov va permeando l’attività registica di registi più giovani come Nekrošius e Hermanis; 3) statistica: Ljubimov, Nekrošius, Hermanis hanno scelto di mettere in scena testi non drammatici con una elevata frequenza. La tesi è corredata da un’ampia appendice iconografica. Per l’analisi dei testi spettacolari si è fatto riferimento alla visione degli spettacoli in presa diretta in Italia e all’estero.
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Il presente lavoro è dedicato allo studio della geografia immaginaria creata dallo scrittore indiano di lingua inglese R.K. Narayan (1906-2001), allo scopo non solo di indagare la relazione che si stabilisce tra spazio, personaggi e racconto, ma anche di rilevare l’interazione tra il mondo narrativo e le rappresentazioni dominanti dello spazio indiano elaborate nel contesto coloniale e postcoloniale. Dopo un primo capitolo di carattere teorico-metodologico (che interroga le principali riflessioni seguite allo "spatial turn" che ha interessato le scienze umane nel corso del Novecento, i concetti fondamentali formulati nell’ambito della teoria dei "fictional worlds", e i più recenti approcci al rapporto tra spazio e letteratura), la ricerca si articola in due ulteriori sezioni, che si rivolgono ai quattordici romanzi dell’autore attraverso una pratica interpretativa di ispirazione geocritica e “spazializzata”. Nel secondo capitolo, che concerne la dimensione “verticale” che si estende dal cronotopo dei romanzi a quello dell’autore e dei lettori, si procede al rilevamento, all’interno del mondo narrativo, di tre macro-paesaggi, successivamente messi a confronto con le rappresentazioni endogene e esogene dello spazio extratestuale; da questo confronto, la cittadina di Malgudi emerge come proposta autoriale di riorganizzazione sociale e urbana dal carattere innovativo e dallo statuto eterotopico, sia in rapporto alla tradizione letteraria dalla quale origina, sia rispetto alle circostanze ambientali dell’India meridionale in cui essa è finzionalmente collocata. Seguendo una dinamica “orizzontale”, il terzo capitolo esamina infine il rapporto tra lo spazio frazionato di Malgudi, i luoghi praticati dai suoi abitanti e la relazione che questi instaurano con il territorio transfrontaliero e con la figura del forestiero; inoltre, al fine di stabilire la misura in cui la natura dello spazio narrativo influisce sulla forma del racconto, si osservano le coincidenze tra il tema dell’incompiutezza che pervade le vicende dei personaggi e la forma aperta dei finali romanzeschi.
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La relazione interdisciplinare tra letteratura e fotografia, nella rilettura della storia recente del Mozambico, è l’oggetto di studio della presente tesi. Il presupposto coincide in primo luogo con la disamina interna della dialettica esistente tra archivio coloniale e oralità, modalità narrativa in parte transitata nella estória, declinazione lusofona della forma breve che permette di recuperare l’eredità popolare del racconto tradizionale. Il dialogo tra verbale e visuale consente a sua volta di stabilire nuovi paradigmi interpretativi nel dibattito postcoloniale tra memoria, trauma e rappresentazione. L’analisi comparativa tra la narrativa di João Paulo Borges Coelho e la fotografia di Ricardo Rangel rivela sguardi diversi sul mondo circostante, ma anche convergenze contemplative che si completano nell’incorporazione reciproca delle “omologie strutturali” comuni alle due modalità espressive. La fotografia colma delle lacune fornendoci delle visioni del passato, ma, in quanto “rappresentazione”, ci mostra il mondo per come appare e non per come funziona. Il testo letterario, grazie al suo approccio dialogico-narrativo, consente la rielaborazione museologica della complessa pletora di interferenze semantiche e culturali racchiuse nelle immagini, in altre parole fornisce degli “indizi di verità” da cui (ri)partire per l’elaborazione di nuovi archetipi narrativi tra l’evento rappresentato e la Storia di cui fa parte. Il punto di tangenza tra i due linguaggi è la cornice, espediente fotografico e narrativo che permette di tracciare i confini tra l’indicibile e l’invisibile, ma anche tra ciò che si narra e ciò che sta fuori dalla narrazione, ovvero fuori dalla storia. La tensione dialettica che si instaura tra questi due universi è seminale per stabilire le ragioni della specificità letteraria mozambicana perché, come afferma Luandino Vieira, “nel contesto postcoloniale gli scrittori sono dei satelliti che ruotano intorno ai «buchi neri della storia» la cui forza di attrazione permette la riorganizzazione dell’intero universo letterario.
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La tesi analizza la rappresentazione del maquis nella letteratura spagnola contemporanea, scritti in castigliano e pubblicati dal 1985 ad oggi. La tesi si articola in tre capitoli: il primo presenta a livello teorico la metodologia e gli strumenti utilizzati nello svolgimento dello studio, ed è incentrato innanzitutto sul tentativo di definizione e catalogazione dei romanzi del maquis, con una particolare attenzione alla temperie culturale cui fanno riferimento, presentando le estetiche postmoderna e neomoderna e cercando di situare le opere narrative facenti parte del corpus della ricerca. Nel secondo capitolo è centrale in cambio l’analisi dei rapporti tra Storia e narrazione: oltre a concentrarsi sul dibattito interdisciplinare circa le connessioni tra la Storia e la narrativa, si cerca di dar conto dei riflessi di questa riflessione contemporanea all’interno delle opere facenti parte del corpus. Infine, il terzo capitolo riguarda l’analisi delle metafore animali rintracciabili nei romanzi sul maquis scelti, concentrandosi principalmente su Luna de lobos di Julio Llamazares e La agonía del búho chico di Justo Vila. L’impiego di questa figura retorica, che si ritrova in vari gradi in tutte le opere narrative scelte, risponde tanto ad una ricerca di verosimiglianza quanto alle modalità di rappresentazione della realtà empirica, riportando l’attenzione sui metodi atti alla figurazione e all’accesso alla conoscenza del mondo. La proposta di un cambio di paradigma estetico e narrativo in atto nella letteratura contemporanea spagnola cerca quindi una conferma nel momento dell’analisi, attraverso la quale si cerca di indagare se, e in che misura, il romanzo sul maquis si inserisce nel dibattito letterario odierno, e quanto contribuisce allo sviluppo del medesimo paradigma estetico in via di definizione – quello neomoderno –, cercando una conferma che si basa sulla presenza di quelle tematiche segnalate nel momento della discussione teorica e metodologica come tratti basilari e strutturanti le opere.
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Gli obiettivi principali che si è voluti raggiungere sono essenzialmente: - a livello urbano la realizzazione di un percorso continuo di collegamento tra il centro storico e l’area periferica della città, lasciando inalterata l’impostazione introversa della struttura claustrale, - la rivisitazione dell’apparato museografico del lapidario in modo che possa costituire un percorso didattico – narrativo della storia della città utile per conoscere la storia non solo della città di Ravenna, ma anche quella dei principali monumenti della città. La maggior parte di questi sono stati eretti durante il periodo bizantino sotto l’Impero di Teodorico per ospitare il culto ariano per essere poi convertiti al culto cattolico, - la scomposizione del complesso museale in ambienti comunicanti tra di loro, ma nello stesso gestibili in modo autonomo con ingressi indipendenti dall’esterno.
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Le fiabe giapponesi sono un’importante finestra sulla psiche e sulla storia di questo paese. Questo lavoro si occuperà di analizzare la fiaba tradizionale giapponese, la sua struttura e i suoi contenuti. Nel primo capitolo saranno introdotti concetti di base (come quello di fiaba e racconto popolare) e si traccerà in breve la genealogia di questo genere narrativo; il secondo capitolo sarà interamente dedicato a una selezione delle dieci fiabe nipponiche più conosciute. Nel terzo, invece, ci si occuperà degli aspetti tecnici e contenutistici delle storie giapponesi, fornendo in alcuni casi delle comparazioni con il mondo occidentale. Infine, nell'ultima parte di questo elaborato, si ricapitoleranno i concetti che sono venuti fuori nei capitoli precedenti, ribadendo quanto la fiaba occidentale e quella giapponese siano diverse sia nella forma sia nei contenuti.
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El presente trabajo tiene como propósito presentar una reflexión acerca del papel de la abuela en la literatura infantil, junto con la traducción de algunas tablas ilustradas del álbum “Abuelas. Manual de Instrucciones” de la ilustradora-autora española Raquel Díaz Reguera. El primer capítulo ofrece una panorámica del perfil de la abuela en la literatura infantil e incluye el análisis de tres novelas italianas, ejemplificadoras del cambio que el papel de la abuela sufrió entre finales del siglo XX y comienzos del siglo XXI. Se trata de “Terza Generazione” de Melina Marchetta (1999), “Aldabra. La tartaruga che amava Shakespeare” de Silvana Gandolfi (2000), “La nonna di Elena” de Anna Vivarelli (2001). En el segundo capítulo, una breve introducción a la autora Raquel Díaz Reguera así como a la obra “Abuelas. Manual de Instrucciones” anticipa las traducciones que, en cambio, se analizarán y comentarán en el tercer capítulo. El presente trabajo pretende ser un pequeño homenaje a las abuelas, punto de referencia tanto en la sociedad como en la literatura.
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Lo scopo di questo lavoro è analizzare il saggio La Leggenda del Grande Inquisitore scritto da Vasilij Rozanov. Rozanov esamina le pagine de I Fratelli Karamazov che riportano il poema del Grande Inquisitore, e vi compone attorno una cornice in chiave filosofica, antropologica e interpretativa che sarà lo sfondo per tutti i successivi studi sul racconto. Dopo aver scomposto lo sfondo narrativo della vicenda e i personaggi, Rozanov prosegue la sua analisi con una spiegazione dettagliata dell’intera Leggenda, per poi soffermarsi con particolare attenzione sulla figura del Grande Inquisitore, sulla natura dell’uomo nella sua concezione filosofica e sul rapporto che esiste tra le tre religioni del Cristianesimo (Cattolicesimo, Protestantesimo e Ortodossia).