872 resultados para Peripheral blood stem cell transplantation
Resumo:
L'outcome dei pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è fortemente influenzato da graft versus leukemia (GvL) e graft versus host disease (GvHD) che sono mediate, almeno in parte, dagli antigeni minori di istocompatibilità (mHAgs). In letteratura sono stati identificati 26 mHAgs che sono stati correlati a GvHD/GvL con risultati incompleti e in alcuni casi contrastanti; inoltre manca una metodica che sia in grado di genotipizzare contemporaneamente un pannello così ampio. Il lavoro è stato finalizzato alla preparazione di un protocollo di laboratorio che permetta di studiare in modo efficace i 26 mHAgs identificati, per poi correlarli con GvHD/GvL all’interno di uno specifico gruppo di trapiantati. Utilizzando la metodica IPlex Gold Mass Array Sequenom e tecniche di biologia molecolare convenzionale sono stati genotipizzati 26 antigeni minori di istocompatibilità per 46 coppie full-matched. Tutti i pazienti inclusi nel progetto di studio erano stati sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche da donatore familiare o volontario full-compatibile per leucemia mieloide cronica (n=46) o leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (LAL-Ph+, n=24). Il progetto ha confermato l'efficienza (98.6%) e la fattibilità delle metodiche proposte. Dal lavoro è inoltre emerso che, le differenze tra donatore e ricevente a libello mHAgs ACC-1, ACC-4, ACC-5, LB-MTHFD1-1Q, UGT2B17, DPH1, LRH1 potrebbero essere fattori predittivi di GvHD (p<0.05). La seconda evidenza è legata a un trend secondo cui il mismatch per LB-ADIR1 protegge dalla recidiva di malattia, in particolare nei confronti della LAL-Ph+ che è scarsamente responsiva all'allo-immunoterapia. Questo lavoro pilota, la cui casistica deve quindi essere ampliata, ha dimostrato l’efficacia della genotipizzazione con IPlex Gold Sequenom e l’elevato potenziale degli mHAgs sia come fattori predittivi di GvHD che come driver di GvL.
Resumo:
L’overespressione dei geni EVI1(3q26) e PRDM16(1p36), è descritta sia in presenza che in assenza di riarrangiamenti 3q26 e 1p36 in specifici sottogruppi citogenetici di LAM, ed è associata ad una prognosi sfavorevole. Lo scopo principale del nostro studio è stato identificare e caratterizzare tramite FISH e RQ-PCR, alterazioni di EVI1 e PRDM16 in pazienti con alterazioni cromosomiche 3q e 1p.Riarrangiamenti di EVI1 si associavano ad alterazioni cromosomiche 3q26, ma, in 6 casi (6/35;17,1%) erano presenti in assenza di coinvolgimenti, in citogenetica convenzionale, della regione 3q26, a causa di meccanismi complessi e/o alterazioni ‘criptiche’. Inoltre, abbiamo identificato quattro nuovi riarrangiamenti di EVI1, tra cui due nuove traslocazioni simili presenti in due fratelli. Riarrangiamenti e/o amplificazioni di PRDM16 erano spesso associate ad alterazioni 1p36 (7/14;50%). L’analisi di EVI1 e PRDM16 è stata estesa ad altri casi con alterazioni -7/7q-, con cariotipo normale, con alterazioni 3q per PRDM16 e con alterazioni 1p per EVI1. L’overespressione di EVI1 era presente solo nel gruppo -7/7q- (10/58;17.2%) ed in un caso si associava ad amplificazione genica, mentre PRDM16 era overespresso in casi di tutti i gruppi analizzati,sia con cariotipi complessi, dove si associava in alcuni casi ad amplificazione genica, sia con cariotipi normali o con singole alterazioni. Il nostro studio dimostra come la FISH permetta di identificare alterazioni dei geni EVI1 e PRDM16, anche in assenza di coinvolgimenti delle regioni 3q26 e 1p36. Riarrangiamenti complessi e/o una scarsa qualità dei preparati citogenetici sono le cause principali per la mancata identificazione di queste alterazioni. La RQ-PCR permette di identificare l’overespressione anche nei casi in cui non sia dovuta ad alterazioni citogenetiche. È importante confermare con FISH e/o RQ-PCR il coinvolgimento di questi due geni, per individuare alla diagnosi pazienti con prognosi sfavorevole e che potranno beneficiare di terapie maggiormente aggressive e/o di trapianto allogenico di cellule staminali.
Resumo:
L’applicazione della citogenetica convenzionale e molecolare può identificare: Ph-negatività, traslocazioni t(9;22) varianti e alterazioni citogenetiche addizionali (ACA) al cromsoma Ph in pazienti con LMC alla diagnosi. Prima dell’introduzione della terapia con Imatinib, esse mostravano un impatto prognostico negativo o non chiaro. Nel nostro studio, 6 casi di LMC Ph- erano trattati con Imatinib. La FISH identificava 4 casi con riarrangiamento BCR/ABL sul der(9q), 1 sul der(22q) e 1 su entrambi i derivativi. Quattro pazienti (66,7%) raggiungevano la RCgC, 2 fallivano il trattamento e 1 sottoposto a TMO. A causa dello scarso numero di casi, non era possibile nessuna correlazione con la prognosi. Nell’ambito di studi prospettici multicentrici del GIMEMA-WP, abbiamo valutato: traslocazioni varianti e ACA. Dei 559 pazienti arruolati, 30(5%) mostravano traslocazioni varianti, 24 valutabili in FISH: 18(75%) mostravano meccanismo 1-step, 4(16,7%) meccanismo 2-step e 2(8,3%) meccanismo complesso. Abbiamo confermato che le varianti non influenzano la risposta e la sopravvivenza dei pazienti trattati con Imatinib. Dei 378 pazienti valutabili alla diagnosi con citogenetica convenzionale, 21(5,6%) mostravano ACA: 9(43%) avevano la perdita del cromosoma Y, 3(14%) trisomia 8, 2(10%) trisomia 19, 6(28%) altre singole anomalie e 1 cariotipo complesso. La presenza di ACA influenzava la risposta: le RCgC e RMolM erano significativamente più basse rispetto al gruppo senza ACA e le curve di sopravvivenza EFS e FFS non erano significativamente diverse. Le curve di PFS e OS erano sovrapponibili nei due gruppi, per il basso numero di eventi avversi oppure perché alcuni raggiungevano la risposta con TKI di seconda generazione. Le anomalie “major route” mostravano decorso clinico peggiore, ma non è stato possibile determinare l’impatto prognostico in relazione al tipo di alterazione. Pertanto, le ACAs alla diagnosi rivestono un ruolo negativo nella prognosi dei pazienti trattati con Imatinib, che quindi rappresentano una categoria più a rischio per la risposta.
Resumo:
Pränatale Infektionen mit dem humanen Cytomegalovirus (HCMV) sind die häufigste Ursache frühkindlicher Schädigung, noch vor dem Down-Syndrom oder dem fetalen Alkoholsyndrom. Reaktivierung dieses Herpesvirus ist darüber hinaus als lebensbedrohliche Komplikation in der Transplantationsmedizin gefürchtet. Von Experten wurde daher die Entwicklung einer Vakzine vielfach angemahnt. Trotz unterschiedlicher Ansätze zu ihrer Entwicklung ist bisher jedoch kein Impfstoff verfügbar. Die Verwendung von subviralen Dense Bodies (DB) des Virus als Vakzinegrundlage stellt eine vielversprechende Strategie zur HCMV-Impfstoffentwicklung dar. DB enthalten bereits in ihrer natürlichen Form wichtige Zielantigene der humoralen und zellulären Immunantwort gegen HCMV. Durch gezielte Mutation des 230.000 Basenpaare umfassenden Genoms des HCMV konnte in Vorarbeiten der Beweis erbracht werden, dass DB hinsichtlich ihres antigenen Repertoires optimierbar sind. Allerdings waren Immunogenität und erzielte Ausbeuten noch unbefriedigend. Ziel der vorliegenden Arbeit war es, den Ansatz der Verwendung modifizierter DB als Impfstoff-Grundlage weiter zu entwickeln und Erkenntnisse über die für die Partikelbildung entscheidenden molekularen Mechanismen zu erarbeiten. In einem ersten Abschnitt wurde der Ansatz der Modifikation von DB durch Insertion heterologer Peptidantigene in das virale Tegumentprotein pp65 verfeinert. Das pp65 ist die mengenmäßig dominante Komponente von DB. Durch Herstellung und Austestung definierter HCMV Mutanten konnte die Position 175 des pp65 als geeignete Insertionsstelle für virale wie für nicht-virale Antigene identifiziert werden. In einem zweiten Schritt der Arbeit wurde die Rolle des pp65 im Verlauf der viralen Vermehrung und Morphogenese näher untersucht. Grundlage für diese Analysen war eine Virusmutante, die eine dominant-negative Variante des pp65 exprimierte. Vergleichende massenspektrometrische Untersuchungen unter Einbeziehung von pp65-kompetenten und pp65-negativen Virusmutanten zeigten, dass pp65 in der spät-infizierten Zelle mit dem viralen RNA-Exportfaktor pUL69 und der virale Kinase pUL97 komplexiert vorkommt. Das pp65 wurde als Substrat von pUL97 identifiziert. Daneben wurden essentielle Proteine des viralen Replikationsapparates, sowie zelluläre Proteine des RNA-Metabolismus und Transports und virale DNA in diesen Komplexen gefunden. Die Ergebnisse deuteten darauf hin, dass pp65 zu späten Zeitpunkten der viralen Infektion zu Stellen viraler DNA rekrutiert wird und dort regulatorisch in posttranskriptionelle Vorgänge von RNA Prozessierung oder RNA Transport eingreift. Die Hypothese, dass pp65 einen regulatorischen Einfluss auf die RNA-Exportfunktion von pUL69 nimmt, liegt nahe und ist nun in weiteren Analysen prüfbar.
Resumo:
Die Transplantation von allogenen hämatopoetischen Stammzellen stellt für viele Patienten mit hämatologischen Erkrankungen, wie beispielsweise akuter Leukämie, oftmals die einzige kurative Therapieoption dar. Die Erkennung von Empfängerantigenen durch immunkompetente Zellen des Spenders bietet dabei die Basis für erwünschte Graft-versus-Tumor-Effekte, verursacht jedoch häufig außerdem die unerwünschte Graft-versus-Host Disease (GvHD), eine mitunter schwerwiegende Komplikation. In der vorliegenden Arbeit wurden potentielle Mechanismen zur Hemmung alloreaktiver CD4+ und CD8+ T-Zellen (TZ) und folglich zur Hemmung der akuten GvHD in einem experimentellen GvHD-Modell untersucht, welches auf dem Transfer von allogenen Zellen zwischen MHC-inkompatiblen Mausstämmen basiert. Die vorliegende Arbeit weist zum Einen darauf hin, dass das Fehlen MyD88- und TRIF-vermittelter Toll-like-Rezeptor-Signale zumindest im Rahmen des hier verwendeten Transplantationsmodells nicht zwingend zu einer Hemmung der akuten GvHD führt. Zum Anderen konnte belegt werden, dass CD4+ CD25+ regulatorische T-Zellen (Tregs) kompetente Suppressoren der durch alloreaktive CD4+ und CD8+ TZ ausgelösten akuten GvHD darstellen. In weiterführenden Experimenten ist gezeigt worden, dass die Tregs sich verschiedener Mechanismen bedienen, um ihre Zielzellen zu inhibieren. Das suppressive Zytokin Interleukin-10 kann als löslicher Mediator zumindest in vitro offenbar eine Rolle bei der Treg-vermittelten Suppression alloreaktiver TZ spielen. Da jedoch auch Tregs aus Interleukin-10-defizienten Spendern die GvHD-Entstehung in den Empfängern abschwächen konnten, müssen noch weitere Mechanismen involviert sein. Es konnte in einer gemischten Leukozyten Reaktion in vitro eine zellkontaktabhängige Kommunikation mittels gap junctions hauptsächlich zwischen den Tregs und den allogenen Dendritischen Zellen (DCs) nachgewiesen werden, welche prinzipiell den Transfer von cAMP möglich macht. Die Kommunikation zwischen Tregs und DCs resultierte in einem supprimierten Phänotyp der DCs, gekennzeichnet durch eine verminderte Expression kostimulatorischer Moleküle auf ihrer Oberfläche. Solche supprimierten DCs können als Folge die alloreaktiven Spender-TZ vermutlich nicht aktivieren. Das cAMP-erhöhende Rolipram konnte in einer gemischten Leukozyten Reaktion in vitro die Proliferation alloreaktiver CD4+ und CD8+ TZ hemmen. Daneben konnte die Treg-vermittelte Suppression alloreaktiver TZ und der GvHD in vivo durch die zusätzliche Verabreichung von Rolipram noch gesteigert werden. Im letzten Kapitel dieser Arbeit wurde beschrieben, dass die alleinige Aktivierung alloreaktiver CD8+ TZ ausreichend ist, um eine akute GvHD auszulösen. In diesem Zusammenhang konnte nachgewiesen werden, dass CD4+ CD25+ Tregs die akute GvHD auch in einer scheinbar MHC-II-unabhängigen Weise hemmen können. Zusammenfassend belegt die vorliegende Arbeit, dass Tregs in einem MHC-inkompatiblen Transplantationsmodell alloreaktive CD4+ und CD8+ TZ und folglich die Entstehung einer GvHD effizient hemmen können. Bei der Hemmung der GvHD kommen wahrscheinlich verschiedene Mechanismen zum Tragen. Zumindest in vivo scheint von Tregs produziertes Interleukin-10 eine untergeordnete Rolle bei der Suppression alloreaktiver TZ und der GvHD zu spielen, hierbei steht vermutlich vielmehr der cAMP-abhängige Suppressionsmechanismus im Vordergrund.
Resumo:
Nach einer hämatopoetischen Stammzelltransplantation spielt die Zuordnung hämatopoetischer Zellen zum Spender oder Empfänger für viele transplantationsbezogene Fragestellungen eine wichtige Rolle. Unter anderem ist das Persistieren von dendritischen Zellen des Empfängers, welche allogene T-Zellen des Spenders stimulieren, ein wichtiger Schritt bei der Entstehung der akuten GVHD. Aus diesem Grund wurde in dieser Arbeit die Weiterentwicklung einer Methode angestrebt, die es uns erlaubt, die Zugehörigkeit isolierter hämatopoetischer Zellen dem Spender oder dem Empfänger zuzuordnen (Chimärismusbestimmung) und gleichzeitig Aussagen über das Ursprungsgewebe und den Aktivierungszustand der Zellen machen zu können. Hierfür nutzten wir Einzelbasenpolymorphismen (SNPs). Ziel dieser Arbeit war es, einen Pool von cDNA-kodierten SNPs zu definieren, mit dem auch HLA-identische Geschwister eindeutig unteschieden werden können. rnHierfür wurden zunächst aus publizierten Datenbanken solche SNPs ausgewählt, die in kodierenden Genabschnitten konstitutiv und gewebeunabhängig auf expremierten Genen lagen und zugleich eine hohe Heterozygotenfrequenz in der europäischen Population aufwiesen. Anhand dieser Kriterien wurden mittels der NCBI-Datenbank insgesamt eine Anzahl von 208 Polymorphismen auf 150 Genen identifiziert. Anschließend erfolgte die Gestaltung von Primerpaaren zur Amplifikation der SNP-kodierenden cDNA-Abschnitte. Diese mussten mindestens eine Intron/Exon-Grenze überspannen, um genomische DNA in der PCR ausschließen zu können. Mit Hilfe der etablierten PCR-Reaktion wurden die Gene in unterschiedlichen Geweben auf ihre Expression hin überprüft. Für 45 Gene ließ sich sowohl eine entsprechende PCR etablieren als auch deren konstitutive Expression in verschiedenen hämatopoetischen Zellen nachweisen. Zur Detektion der einzelnen SNPs in der Minisequenzierung wurden Minisequenzierungs-Sonden generiert und geprüft. Im Folgenden wurden für PCR und Minisequezierung Multiplex-Reaktionen aus vier bis sechs Reaktionen zusammengestellt. Zu diesem Zweck wurden die jeweiligen Primerinteraktionen und die unterschiedlichen Basenlängen des PCR-Produktes berücksichtigt.rnVon den 45 etablierten Einzelreaktionen waren 30 für den Multiplexansatz geeignet. Unter Anwendung dieser Multiplex-Reaktionen wurden 24 HLA-identische Geschwisterpaare (Spender und Empfänger) getestet. Zur Kontrolle erfolgte zusätzlich eine konventionelle Sequenzierung der SNP-kodierenden Bereiche auf der cDNA der jeweiligen Proben. Mit Hilfe der SNP-Kombinationen und der etablierten Methodik waren wir in der Lage alle 24 untersuchten Geschwisterpaare in zwischen sechs und 18 SNP-Systemen zu unterscheiden. rnDie Möglichkeiten, die die Analysen des Chimärismus mittels SNPs auf kodierenden Bereichen der DNA mit sich bringen, liegen nicht nur in der gleichzeitigen Bestimmung der Gewebszugehörigkeit und der Detektion des bestehenden Chimärismus sowie dessen Quantifizierung unter Anwendung einer Real-time-PCR. Vielmehr ermöglicht sie auch eine Aussage über die Genexpression der untersuchten Zelle zu machen. Dies ist insbesondere dann von Interesse, wenn geringe Zellzahlen von aus Gewebe isolierten Zellen zur Verfügung stehen. Die in dieser Arbeit etablierten Ansätze werden derzeit für eine Quantifizierung mittels real-time RCR weiterentwickelt und sollen mittelfristig insbesondere für Untersuchungen des Chimärismus von dermalen und epidermalen dendritischen Zellen der Haut und anderer Zielgewebe der GvHD verwendet werden.rn
Resumo:
Die akute myeloische Leukämie (AML) zählt zu den aggressivsten neoplastischen Erkrankungenrnder Hämatopoese. Die Mehrheit der Patienten mit AML erreicht nach Induktions-rnChemotherapie den Zustand der kompletten Remission, jedoch erleiden mehr als die Hälfterndieser Patienten anschließend einen Rückfall und versterben an den Folgen der Erkrankungrn[1]. Die allogene hämatopoetische Stammzelltransplantation (engl.: hematopoietic stem cellrntransplantation, HSCT) stellt die einzig putativ kurative Behandlungsform für rezidierendernPatienten und solche mit schlechter Prognose dar. Jedoch birgt diese Form der Therapiernauch eine Vielzahl an Risiken. Insbesondere das Auftreten einer akuten Transplantat-gegen-rnWirt-Erkrankung (engl.: graft-versus-host disease, GvHD) stellt die Hauptursache für transplantationsassoziierternMortalität und Morbidität dar [2]. Die Depletion von alloreaktiven zytotoxischenrnT Lymphozyten (CTL) aus dem Transplantat ermöglicht zwar die Prävention derrnEntstehung einer GvH-Erkrankung, jedoch häufig unter gleichzeitigem Verlust des förderlichen,rnanti-leukämischen Transplantat-gegen-Leukämie-Effekts (engl.: graft-versus-leukemia,rnGvL) [3]. Um den GvL-Effekt unter Vermeidung einer GvH-Erkrankung zu erhalten, bietetrnsich der gezielte adoptive Transfer von Leukämie-spezifischen, nicht alloreaktiven CTL alsrnattraktive Strategie der Immuntherapie für AML-Patienten nach allogener HSCT an. In derrnvorliegenden Arbeit konnte erfolgreich ein prä-klinisches murines AML-Modell unter Einsatzrndes stark immundefizienten NOD.Cg-Prkdcscid Il2rgtm1Wjl/SzJ- (NSG-) Mausstamms und primärenrnAML-Blasten durch die Optimierung bereits publizierter Protokolle etabliert werden.rnBei zehn von 17 transplantierten primären AML-Proben konnte ein erfolgreiches Engraftmentrnder humanen Zellen und eine Rekonstitution der humanen Neoplasie in den NSG-Mäusenrnerzielt werden. Die Engraftment-Rate betrug somit 58,82% und lag etwas unter dem aus derrnLiteratur bekannten Wert von 65-70% [4, 5]. Es ließen sich gut, intermediär und schlecht anwachsendernAML-Proben anhand der Engraftment-Stärke und -Reproduzierbarkeit voneinanderrnunterscheiden. Anhand der Analyse von für das Engraftment kritischer Parameter konnternein Zusammenhang zwischen Engraftment-Rate in der Maus und Flt3-Mutationsstatus sowiernFAB-Klassifikation des Patienten hergestellt und somit Angaben aus der Literatur bestätigtrnwerden. Für zwei Patienten-spezifische AML-Modelle, MZ580 und MZ308, konnten in vitrornerfolgreich AML-reaktive, über einzelne bzw. duale HLA-Diskrepanzen restringierte CTLPopulationenrngeneriert und über einen Zeitraum von bis zu 70 Tagen expandiert werden.rnDeren adoptiver Transfer in zuvor mit humanen AML-Blasten inokulierte NSG-Mäuse führternzu einer nahezu vollständigen Eradikation der AML-Blasten und Remission der Versuchstiere.rnAnhand unterschiedlich langer in vitro Kultur-Zeiträume konnte ein für die in vivo ausgeübtenrnEffektor-Funktionen optimaler Reifungszustand der CTL-Populationen von maximalrn28 Tagen bestimmt werden. Die kinetische Analyse der lytischen Aktivität in vivo deutete auf eine relativ schnelle Ausübung der Effektor-Funktionen durch die CTL-Populationen innerhalbrnvon zwei bis 24 Stunden nach adoptivem Transfer hin. Durch die Verwendung von inrnvitro generierten EBV-reaktiven CTL aus einem irrelevanten Spender konnte zudem die Spezifitätrnder in vivo ausgeübten Effektor-Funktionen nachgewiesen werden. Die ex vivo Re-rnIsolation adoptiv transferierter CTL und deren in vitro Analyse in einem IFNγ ELISpot wiesrneine konstante Reaktivität der Zellen ohne Induktion einer Xeno-Reaktivität nach. Die zurrnVerbesserung der Persistenz humaner CTL-Populationen eingesetzten autologen CD4+ TrnZellen zeigten nur im AML MZ308-System eine positive Wirkung. Generell konnte die Persistenzrnin vivo jedoch trotz initialer Substitution mit den Zytokinen IL-2 und IL-7 nicht über einenrnZeitraum von sieben Tagen hinaus aufrechterhalten werden.rnZur Untersuchung des Extravasations-Mechanismus humaner T Zellen über murines Endothelrnwurden sowohl Flusskammer- als auch Transwell-Studien durchgeführt, um die molekularenrnGrundlagen des Adhäsions- und Transmigrationsprozesses aufzuklären. Durch denrnparallelen Einsatz humaner und muriner T Zellen auf murinen Endothelzellen unter Zusatzrnfunktionsblockierender monoklonaler Antikörper konnte gezeigt werden, dass derrnExtravasations-Mechanismus beider Spezies auf Interaktionen homologer Adhäsionsmolekül-rnPaare, nämlich VLA-4–VCAM-1 und LFA-1–ICAM-1, beruht. Für einzelne Moleküle konntenrnin Abhängigkeit der eingesetzten Endothelzellen Unterschiede in der Funktionalität zwischenrnden Spezies identifiziert werden. Der Adhäsionsprozess war durch die Blockade derrnVLA-4–VCAM-1-Interaktion stärker inhibierbar als durch die Blockade von LFA-1–ICAM-1.rnDie Transmigration hingegen war durch die Blockade beider Adhäsionsmolekül-Paare vergleichbarrnstark inhibierbar.
Resumo:
Die akute myeloische Leukämie (AML) stellt ein äußerst heterogenes hämatologisches Krankheitsbild dar, welches durch die unkontrollierte Proliferation unausdifferenzierter und gleichzeitig nicht-funktioneller hämatopoetischer Zellen gekennzeichnet ist. Sowohl die unterschiedliche Zellherkunft, als auch zytogenetische Aberrationen und molekulargenetische Mutationen sorgen für eine große Diversität der Erkrankung. In der Therapie kommen Chemotherapeutika zum Einsatz, welche die Leukämie in eine komplette Remission bringen sollen. Der einzige kurative Ansatz besteht aus der allogenen hämatopoetischen Stammzelltransplantation. Abgesehen von den gewünschten kurativen Effekten, induzieren die im Transplantat befindlichen Spender-T-Lymphozyten ebenfalls die Transplantat-gegen-Wirt Erkrankung – eine Hauptursache von Mortalität und Morbidität nach erfolgter allogener hämatopoetischer Stammzelltransplantation. Da bei vielen Patienten aufgrund ihres Alters und ihrer Begleiterkrankungen eine Transplantation nicht tolerieren und da viele akuten myeloischen Leukämien trotz Chemotherapie progredient sind, schlägt die Therapie fehl und es gibt keine Chance auf Heilung. rnZur Erforschung der pathologischen Prozesse der akuten myeloischen Leukämie sowie für die Entwicklung neuer Therapiekonzepte bedarf es stabiler Tiermodelle, die die maligne Erkrankung des Menschen darstellen können. Ziel der vorliegenden Arbeit war die Untersuchung des Engraftments humaner primärer akuter myeloischer Leukämien in immuninkompetenten NSG-Mäusen. Die Untersuchungen zeigten, dass lediglich 61,5% der getesteten Leukämien in den Versuchstieren nach der Xenotransplantation nachgewiesen werden konnten. Die Gründe hierfür sind noch nicht ausreichend geklärt, beinhalten jedoch vermutlich Elemente des Homings, des Überlebens der Zelle in der fremden murinen Knochenmarknische, der Abwesenheit spezifischer humaner Wachstumsfaktoren, sowie intrinsische Unterschiede unter den verschiedenen Leukämieproben. Leukämien, die mit einer schlechten Prognose beim Patienten verbunden sind, wachsen in den Tieren stärker an. In den Versuchen konnte gezeigt werden, dass Leukämien mit einer Längenmutation des FLT3-Rezeptors eher häufiger in den NSG-Mäusen anwachsen, als wenn diese Mutation fehlt. Die Analyse der erstellten Wachstumskinetiken zweier Leukämien ergab, dass die Höhe des Engraftments in den einzelnen Organen sowohl von der transplantierten Zellmenge, als auch von der Höhe der angesetzten Versuchszeit abhängt. Zudem wurde ein Wachstum humaner T-Lymphozyten in den xenotransplantierten Mäusen beobachtet, welches sowohl mit einem höheren Engraftment der Leukämie in der Maus verbunden war, als auch mit einer höheren Tiersterblichkeit vergesellschaftet war.rnZum Verhindern dieses Wachstums wurden zwei unterschiedliche Methoden angewendet und miteinander verglichen. Dabei erzielten sowohl die medikamentöse Behandlung der Tiere mit dem Calcineurininhibitor Cyclosporin A, als auch die CD3-Depletion der Leukämie vor der Transplantation ein T-Zell-freies Wachstum in den Mäusen, letzteres erwies sich jedoch als das schonendere Verfahren. In den T-Zell-freien Tieren konnte bei dem Großteil der Tiere kein Engraftment im Knochenmark festgestellt werden, was auf einen positiven Einfluss der humanen T-Lymphozyten beim Vorgang des Engraftments schließen lässt.rn
Resumo:
Klinische Manifestationen einer Cytomegalovirus (CMV)-Infektion gefährden den therapeutischen Erfolg der hämatopoetischen Stammzelltransplantation (HSCT). Dabei stellt insbesondere die Reaktivierung von latentem CMV im HSCT-Rezipienten das häufigste Infektionsrisiko dar. Die Inzidenz der CMV-Erkrankung kann durch Rekonstitution adoptiv transferierter CMV-spezifischer CD8 T-Zellen im HSCT-Rezipienten reduziert werden. Das Modell der sogenannten adoptiven Immuntherapie wurde zunächst im murinen Modell entwickelt und bereits in klinischen Studien bestätigt. Jedoch ist der adoptive Transfer (AT) aufgrund der nur limitiert zur Verfügung stehenden therapeutisch effektiven Zellzahlen zurzeit in der klinischen Routine nicht einsetzbar.rnZiel dieser Arbeit war daher die präklinische Evaluierung einer Kombinationstherapie aus AT einer limitierten Anzahl CMV-spezifischer T-Zellen und deren in vivo Expansion durch therapeutische Vakzinierung nach HSCT. Zur Testung dieser Therapie wurde ein murines Modell auf der Grundlage von rekombinanten murinen CMV (mCMV) und rekombinanten HCMV Dense Bodies (DB) etabliert. Beide exprimieren das gut charakterisierte MHC-Klasse-I Kb-restringierte SIINFEKL-Peptid (OVA257-264) des Ovalbumins (OVA) bzw. die Funktions-verlustmutante SIINFEKA als Modellantigen. In den rekombinanten mCMV, mCMV-Δm157Luc/m164-SIINFEKL/-A (mCMV-SIINFEKL/-A), wurde mittels orthotopen Peptid-austauschs das m164257-265 Peptid des gp36,5/m164 Proteins deletiert und durch das SIINFEKL- bzw. SIINFEKA-Peptid ersetzt. Anhand von Priming-Analysen konnte gezeigt werden, dass nach Infektion von C57BL/6 Mäusen mit mCMV-SIINFEKL SIINFEKL-spezifische T-Zellen nachweisbar sind und das im CMV-Genom integrierte SIINFEKL funktional prozessiert und präsentiert wird. Parallel hierzu konnte nach Immunisierung mit DB-SIINFEKL in vivo ein SIINFEKL-spezifisches CD8 T-Zell-Priming induziert werden. In weiteren Experimenten konnte nach DB-SIINFEKL-Immunisierung im poplitealen Lymphknoten sowie in der Milz eine Proliferation von adoptiv transferierten CD8 T-Zellen beobachtet werden. Die anschließenden Challenge-Versuche zeigten, dass eine DB-SIINFEKL-Immunisierung epitopspezifisch vor einer hoch dosierten Challenge-Infektion mit mCMV-SIINFEKL schützt. Im AT-Modell konnte gezeigt werden, dass adoptiv transferierte OT-I Zellen hämatoablativ behandelte Rezipienten epitopspezifisch vor einer mCMV-SIINFEKL-Infektion schützen können, wobei der erzielte Schutz durch zusätzliche Vakzinierung mit DB-SIINFEKL deutlich verbessert werden konnte. Im Anschluss konnte im HSCT-Rezipienten erstmals eine durch zusätzliche Vakzinierung signifikante Verbesserung des protektiven Potenzials adoptiv transferierter OT-I Zellen bestätigt werden. Diese Verstärkung der Protektion ermöglicht die Reduktion der Anzahl der für den Schutz benötigten Zellzahl und erhöht damit die Effizienz der adoptiven Immuntherapie.
Resumo:
Acute myeloid leukemia (AML) is a very aggressive cancer of the hematopoietic system. Chemotherapy and immunotherapeutical approaches including hematopoietic stem cell transplantation (HSCT) and donor lymphocyte infusion (DLI) are the only curative options available. The beneficial graft-versus-leukemia (GVL) effect of cellular immunotherapy is mostly mediated by donor-derived CD8+ T lymphocytes that recognize minor histocompatibility antigens (mHags) and leukemia-associated antigens (LAAs) presented on the surface of AML blasts (Falkenburg et al. 2008; Kolb 2008). A main complication is graft-versus-host disease (GVHD) that can be induced when cytotoxic T lymphocytes (CTLs) recognize broadly expressed antigens. To reduce the risk of GVHD, specific allogeneic T-cell therapy inducing selective GVL responses could be an option (Barrett & Le Blanc 2010; Parmar et al. 2011; Smits et al. 2011). This requires efficient in vitro strategies to generate AML-reactive T cells with an early differentiation phenotype as well as vigorous effector functions and humanized mouse models to analyze the anti-leukemic potential of adoptively transferred T cells in vivo. In this study, AML-reactive CTL clones and oligoclonal T-cell lines could be reliably generated from the naive subset of healthy HLA-class I-identical donors by stimulation with primary AML blasts in mini-mixed-lymphocyte / leukemia cultures (MLLCs) in eight different patient / donor pairs. These CTLs were promising candidates for cellular immunotherapy because of their relatively early differentiation phenotype and strong proliferative and lytic capabilities. The addition of the common γ-chain cytokine IL-21 to the stimulation protocol enabled more precursors to develop into potent leukemia-reactive CTLs, presumably by its beneficial effects on cell survival and antigen-specific proliferation during the first weeks of cultures. It also strengthened the early-stage phenotype. Three long-term cultured CTLs exemplarily transferred into leukemia-engrafted immunodeficient NSG mice mediated a significant reduction of the leukemic burden after a single transfusion. These results demonstrate that CTL clones with reactivity to patient-derived AML blasts can be isolated from the naive compartment of healthy donors and show potent anti-leukemic effects in vivo. The herein described allo-MLLC approach with in vitro “programmed” naive CTL precursors independent of a HSCT setting is a valuable alternative to the conventional method of isolating in vivo primed donor CTLs out of patients after transplantation (Kloosterboer et al. 2004; Warren et al. 2010). This would make leukemia-reactive CTLs already available at the time point of HSCT, when residual leukemia disease is minimal and the chances for complete leukemia eradication are high. Furthermore, leukemia-reactive CTLs effectively expanded by this in vitro protocol can be used as screening populations to identify novel candidate LAAs and mHags for antigen-specific immunotherapy.
Resumo:
Die allogene hämatopoetische Stammzelltransplantation ist bereits seit mehreren Jahrzehnten zur Therapie von Leukämien und anderen malignen Erkrankungen etabliert, aber ihre Effektivität wird durch Graft-versus-Host Reaktionen weiterhin deutlich eingeschränkt. Um die zu Grunde liegenden Mechanismen besser zu verstehen und Möglichkeiten zur Modulation zu untersuchen, wurden in dieser Arbeit verschiedene Ansätze verfolgt.rnRegulatorische T-Zellen sind in der Lage allogene T-Zell-Antworten, wie sie auch bei einer GvH-Erkrankung auftreten zu supprimieren. Es konnte gezeigt werden, dass dies unabhängig von Interleukin-10 geschieht, dafür jedoch ein kontaktabhängiger Mechanismus eine wichtige Rolle spielt. Dabei wird cAMP von Treg über Gap-Junctions in allogene Dendritische Zellen übertragen und deren Aktivierung dadurch verhindert. Versuche zur Modulation dieses Mechanismus mithilfe von Phosphodiesterase-Inhibitoren haben gezeigt, dass diese nicht nur die suppressiven Fähigkeiten von Treg verbessern, sondern ebenfalls direkt auf die T-Zellen einwirken, die schließlich die GvH-Erkrankung auslösen. Diese Ergebnisse konnten in vivo bestätigt werden und zeigen somit einen möglichen Ansatz hin zu einer kombinierten zellulären und pharmakologischen Therapie von GvH-Erkrankungen. Ein großer Vorteil dabei wäre, dass bereits eine Palette an PDE-Inhibitoren in der Klinik zur Verfügung steht.rnInterleukin-10 ist ein immunsuppressives und anti-inflammatorisches Zytokin, dem bei der Regulation des Immunsystems eine wichtige Rolle zukommt. Wie in dieser und anderen Arbeiten gezeigt, ist diese Funktion von IL-10 auch bei GvH-Erkrankungen essentiell. Ein Ziel war es daher, die Zellpopulationen, die für die Produktion des Zytokins verantwortlich sind, zu identifizieren. Mittels einer IL-10 Reporter-Maus konnten B-Zellen vom Spender, wie auch vom Empfänger als IL-10 Produzenten ausgemacht werden. Darüberhinaus zeigen die so gefundenen Zellen auch einen typischen Phänotyp für sog. immunregulatorische B-Zellen. Transplantationsexperimente mit Mäusen, die einen B-Zell-spezifischen Knock-out für IL-10 tragen, konnten die Relevanz der B Zellen als IL-10 Produzenten in vivo belegen.rnDendritische Zellen sind sehr potente Antigenpräsentierende Zellen und somit in der Lage GvH-Reaktionen zu induzieren. Überraschenderweise ist das Überleben von Versuchsmäusen, denen alle DC oder auch nur die BATF3-abhängige Subpopulation der CD8α+ DC fehlt, nicht besser als das des WT, sondern sogar deutlich schlechter. Dies geht einher mit entsprechenden Veränderungen im Zytokinmilieu der peripheren lymphatischen Organe. Bei Abwesenheit der CD8α+ DC sind die Zellen der mesenterialen Lymphknoten nach dem Konditionierungsprotokoll stärkere Stimulatoren für allogene T-Zell-Proliferation, was eine Erklärung für die stärkere GvH-Erkrankung ist. Eine Erklärung für diese Befunde liefert die verringerte Anzahl an Treg, die nach einer Transplantation in Abwesenheit der CD8α+ DC zu beobachten ist.rnDie aufgezeigten immunsupressiven Mechanismen stellen gute Ansatzpunkte dar, um GvH-Erkrankungen besser zu verstehen und damit die Effektivität der allogenen hämatopoetischen Stammzelltransplantation zu verbessern.rn
Resumo:
Acute myeloid leukaemia (AML) is a cancer of the haematopoietic system, which can in many cases only be cured by haematopoietic stem cell transplantation (HSCT) and donor lymphocyte infusion (DLI) (Burnett et al., 2011). This therapy is associated with the beneficial graft-versus-leukaemia (GvL) effect mediated by transplanted donor T and NK cells that either recognise mismatch HLA molecules or polymorphic peptides, so-called minor histocompatibility antigens, leukaemia-associated or leukaemia-specific antigens in the patient and thus eliminate remaining leukaemic blasts. Nevertheless, the mature donor-derived cells often trigger graft-versus-host disease (GvHD), leading to severe damages in patients’ epithelial tissue, mainly skin, liver and intestine (Bleakley & Riddell, 2004). Therefore, approaches for the selective mediation of strong GvL effects are needed, also in order to prevent relapse after transplantation. One promising opportunity is the in vitro generation of AML-reactive CD4+ T cells for adoptive transfer. CD4+ T cells are advantageous compared to CD8+ T cells, as HLA class II molecules are under non-inflammatory conditions only expressed on haematopoietic cells; a fact that would minimise GvHD (Klein & Sato, 2000). In this study, naive CD4+ T cells were isolated from healthy donors and were successfully stimulated against primary AML blasts in mini-mixed lymphocyte/leukaemia cell cultures (mini-MLLC) in eight patient/donor pairs. After three to seven weekly restimulations, T cells were shown to produce TH1 type cytokines and to be partially of monoclonal origin according to their TCR Vβ chain usage. Furthermore, they exhibited lytic activity towards AML blasts, which was mediated by the release of granzymes A and B and perforin. The patient/donor pairs used in this study were fully HLA-class I matched, except for one pair, and also matched for HLA-DR and -DQ, whereas -DP was mismatched in one or both alleles, reflecting the actual donor selection procedure in the clinic (Begovich et al., 1992). Antibody blocking experiments suggested that the generated CD4+ T cells were directed against the HLA-DP mismatches, which could be confirmed by the recognition of donor-derived lymphoblastoid cell lines (LCLs) electroporated with the mismatched DP alleles. Under non-inflammatory conditions primary fibroblasts did not express HLA-DP and were thus not recognised, supporting the idea of a safer application of CD4+ T cells regarding induction of GvHD. For the assessment of the biological significance of these T cells, they were adoptively transferred into NSG mice engrafted with human AML blasts, where they migrated to the bone marrow and lymphoid tissue and succeeded in eliminating the leukaemic burden after only one week. Therefore, AML-reactive CD4+ T cells expanded from the naive compartment by in vitro stimulation with primary leukaemia blasts appear to be a potent tool for DLI in HSCT patients and promise to mediate specific GvL effects without causing GvHD.
Resumo:
Allogene hämatopoetische Stammzelltransplantationen (HSZTs) werden insbesondere zur Behandlung von Patienten mit Hochrisiko-Leukämien durchgeführt. Dabei bewirken T-Zellreaktionen gegen Minorhistokompatibilitätsantigene (mHAgs) sowohl den therapeutisch erwünschten graft-versus-leukemia (GvL)-Effekt als auch die schädigende graft-versus-host (GvH)-Erkrankung. Für die Identifizierung neuer mHAgs mittels des T-Zell-basierten cDNA-Expressionsscreenings waren leukämiereaktive T-Zellpopulationen durch Stimulation naïver CD8+-T-Lymphozyten gesunder HLA-Klasse I-identischer Buffy Coat-Spender mit Leukämiezellen von Patienten mit akuter myeloischer Leukämie (AML) generiert worden (Albrecht et al., Cancer Immunol. Immunother. 60:235, 2011). Im Rahmen der vorliegenden Arbeit wurde mit diesen im AML-Modell des Patienten MZ529 das mHAg CYBA-72Y identifiziert. Es resultiert aus einem bekannten Einzelnukleotidpolymorphismus (rs4673: CYBA-242T/C) des Gens CYBA (kodierend für Cytochrom b-245 α-Polypeptid; syn.: p22phox), der zu einem Austausch von Tyrosin (Y) zu Histidin (H) an Aminosäureposition 72 führt. Das mHAg wurde von T-Lymphozyten sowohl in Assoziation mit HLA-B*15:01 als auch mit HLA-B*15:07 erkannt. Eine allogene T-Zellantwort gegen CYBA-72Y wurde in einem weiteren AML-Modell (MZ987) beobachtet, die ebenso wie in dem AML-Modell MZ529 polyklonal war. Insgesamt konnte bei drei von fünf getesteten HLA-B*15:01-positiven Buffy Coat-Spendern, die homozygot für CYBA-72H (H/H) waren, eine CYBA-72Y-spezifische T-Zellantwort generiert werden. Das von den T-Lymphozyten übereinstimmend in niedrigster Konzentration erkannte Peptid umfasste die Aminosäuren 69 - 77, wobei das homologe Peptid aus CYBA-72H auch in hohen Konzentrationen keine Reaktivität auslöste. Eine reziproke Immunogenität des mHAg ist bislang nicht belegt. T-Lymphozyten gegen CYBA-72Y erkannten Leukämiezellen bei acht von zwölf HLA-B*15:01-positiven Patienten (FAB-Subtypen: M1, M2, M4, M5). Da das Gen CYBA für eine Komponente des mikrobiziden Oxidasesystems von phagozytierenden Zellen kodiert, ist es überwiegend in Zellen des hämatopoetischen Systems exprimiert. Von Leukozytensubtypen, aufgereinigt aus HLA-B*15:01-positiven Buffy Coat-Spendern mit CYBA-242T-Allel, wurden Monozyten und daraus abgeleitete dendritische Zellen durch CYBA-72Y-reaktive T-Lymphozyten sehr stark, untransformierte B-Zellen in weit geringerem Maße und Granulozyten sowie T-Lymphozyten nicht erkannt. Das für CYBA-72Y kodierende Allel CYBA-242T wurde bei 56% aller getesteten gesunden Spender und Malignompatienten (n=481) nachgewiesen. Unter Berücksichtigung der Häufigkeit des präsentierenden HLA-Allels ist davon auszugehen, dass etwa 4,5% der Kaukasier das mHAg CYBA-72Y zusammen mit HLA-B*15:01 tragen. Nach bisherigen Beobachtungen führt ein immunogener CYBA-72Y-Mismatch bei allogenen HSZTs nicht notwendigerweise zu einer schweren GvH-Erkrankung. Das hier beschriebene mHAg CYBA-72Y erscheint potenziell geeignet, im Rahmen einer allogenen HSZT die präferenzielle Elimination der Empfänger-Hämatopoese unter Einschluss von myeloischen Leukämiezellen zu bewirken. Jedoch sind weiterführende Untersuchungen erforderlich, um die therapeutische Relevanz des Antigens zu belegen.
Resumo:
Asthma is a chronic inflammatory disease of the airways. The treatment of asthma is far from optimal and hence the need for novel therapeutic agents exists. The purpose of this study was to assess the anti-asthma effects of an enaminone, E121, and also its effects on human peripheral blood mononuclear cell proliferation and cytokine release. The effects of E121 were assessed in an ovalbumin-induced model of airway inflammation and airway hyperresponsiveness. In addition, the effects of E121 on phytohemagglutinin (PHA), anti-CD3 monoclonal antibody and lipopolysaccharide (LPS)-induced human peripheral blood mononuclear cell proliferation and cytokine release, respectively, were assessed. Treatment of mice with E121 significantly decreased the ovalbumin-induced increase in airway total cell influx and eosinophil infiltration and this was associated with an inhibition of ovalbumin-induced airway hyperresponsiveness. Moreover, E121 reduced PHA and anti-CD3-induced human peripheral blood mononuclear cell proliferation in vitro. E121 also inhibited PHA, anti-CD3 monoclonal antibody and LPS-induced cytokine release from human peripheral blood mononuclear cell cultures. These findings indicate that E121 exhibits anti-inflammatory and immunosuppressive activities.
Resumo:
Thrombotic thrombocytopenic purpura (TTP) and hemolytic-uremic syndrome (HUS) represent multiple disorders with diverse etiologies. We compared the gender and race of 335 patients enrolled in the Oklahoma TTP-HUS Registry across 21 years for their first episode of TTP or HUS to appropriate control groups. The relative frequency of women and white race among patients with TTP-HUS-associated with a bloody diarrhea prodrome and the relative frequency of women with quinine-associated TTP-HUS were significantly greater than their control populations. The relative frequency of women and black race among patients with idiopathic TTP and TTP-associated with severe ADAMTS13 deficiency was significantly greater than their control populations. The relative frequency of black race among patients who had systemic lupus erythematosus (SLE) preceding TTP was significantly greater than among a population of patients with SLE, and the relative frequency of black race among patients with other autoimmune disorders preceding TTP was significantly greater than their control population. No significant gender or race disparities were present among patients with hematopoietic stem cell transplantation-associated thrombotic microangiopathy, TTP associated with pregnancy, or TTP associated with drugs other than quinine. The validity of these observations is supported by the enrollment of all consecutive patients across 21 years from a defined geographic region, without selection or referral bias. These observations of different gender and race disparities among the TTP-HUS syndromes suggest the presence of different risk factors and may serve as starting points for novel investigations of pathogenesis.