841 resultados para undiagnosed urinary tract infection
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Respiratory Syncytial Virus (RSV) is a major cause of respiratory tract infections in immunocompromised patients such as children less than 2 years, premature infants with congenital heart disease and chronic lung disease, elderly patients and patients who have undergone hematopoietic stem cell transplant (HSCT). HSCT patients are at high risk of RSV infection, at increased risk of developing pneumonia, and RSV-related mortality. Immunodeficiency can be a major risk factor for severe infection & mortality. Therapy of RSV infection with Ribavirin, Palivizumab and Immunoglobulin has shown to reduce the risk of progression to LRI and mortality, especially if initiated early in the disease. Data on RSV infection in HSCT patients is limited, especially at various levels of immunodeficiency. 323 RSV infections in HSCT patients have been identified between 1/1995 and 8/2009 at University of Texas M D Anderson Cancer Center (UTMDACC). In this proposed study, we attempted to analyze a de-identified database of these cases and describe the epidemiologic characteristics of RSV infection in HSCT patients, the course of the infection, rate of development of pneumonia and RSV-related mortality in HSCT patients at UTMDACC.^ Key words: RSV infections, HSCT patients ^
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Undiagnosed infected mothers often are the source of pertussis illness in young infants. The Centers for Disease Control and Prevention (CDC) recommends Tdap vaccine for post-partum women before hospital discharge. This intervention has been implemented at Ben Taub General Hospital (BTGH) in Houston, TX since January 2008. Our objective was to compare the proportion of infants born at BTGH and developing pertussis to the total number of pertussis cases before and after the intervention. Methods. We conducted a cross-sectional comparative study between the pre-intervention (7/2000 to 12/2007) and post-intervention (1/2008 to 5/2009) periods. Information on pertussis diagnosis was determined using ICD-9 codes, infection control records, and molecular microbiology reports from Texas Children's Hospital (TCH) and BTGH. Only patients ≤ 6 months of age with laboratory-confirmed B. pertussis infection were included in the study. Results. 481 infants had pertussis illness; 353 (73.3%) during pre-intervention and 128 (26.6%) during post-intervention years. The groups were comparable in all measures including age (median 73 vs. 62.5 days; p=0.08), gender (males 54.2%; p=0.47), length of hospitalization (median 9.8 vs. 4 9.5 days; p=0.5), outcomes (2 deaths in each period; p=0.28) and pertussis illness at TCH (95.2% vs. 95.3%; p=0.9). The proportion of pertussis patients born at BTGH, and thus amenable to protection by the intervention, was not statically different between the two periods after adjusting for age, gender and ethnicity (7.3% vs. 9.3%; an OR=1.05, 95% CI 0.5-2.1, p=0.88). Conclusions. Vaccinating only mothers with Tdap in the post-partum period does not reduce the proportion of pertussis in infants age ≤ 6 months. Efforts should be directed at Tdap immunization of not only mothers, but also all household and key contacts of newborns to protect them against pertussis illness before the primary DTaP series is completed.^
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Experimental lemurs either were infected orally with the agent of bovine spongiform encephalopathy (BSE) or were maintained as uninfected control animals. Immunohistochemical examination for proteinase-resistant protein (prion protein or PrP) was performed on tissues from two infected but still asymptomatic lemurs, killed 5 months after infection, and from three uninfected control lemurs. Control tissues showed no staining, whereas PrP was detected in the infected animals in tonsil, gastrointestinal tract and associated lymphatic tissues, and spleen. In addition, PrP was detected in ventral and dorsal roots of the cervical spinal cord, and within the spinal cord PrP could be traced in nerve tracts as far as the cerebral cortex. Similar patterns of PrP immunoreactivity were seen in two symptomatic and 18 apparently healthy lemurs in three different French primate centers, all of which had been fed diets supplemented with a beef protein product manufactured by a British company that has since ceased to include beef in its veterinary nutritional products. This study of BSE-infected lemurs early in their incubation period extends previous pathogenesis studies of the distribution of infectivity and PrP in natural and experimental scrapie. The similarity of neuropathology and PrP immunostaining patterns in experimentally infected animals to those observed in both symptomatic and asymptomatic animals in primate centers suggests that BSE contamination of zoo animals may have been more widespread than is generally appreciated.
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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione
Resumo:
Letter to the Editor
Mortality and perinatal infectious complications following home birth in Washington State: 2003-2013
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Thesis (Master's)--University of Washington, 2016-06
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Nosocomial transmission of methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA) to patients with cystic fibrosis (CF) frequently results in chronic respiratory tract carriage. This is an increasing problem, adds to the burden of glycopeptide antibiotic use in hospitals, and represents a relative contraindication to lung transplantation. The aim of this study was to determine whether it is possible to eradicate MRSA with prolonged oral combination antibiotics, and whether this treatment is associated with improved clinical status. Adult CF patients (six mate, one female) with chronic MRSA infection were treated for six months with rifampicin and sodium fusidate. Outcome data were examined for six months before treatment, on treatment and after treatment. The patients had a mean age of 29.3 (standard deviation = 6.3) years and FEV1 of 36.1% (standard deviation = 12.7) predicted. The mean duration of MRSA isolation was 31 months. MRSA isolates identified in these patients was of the same lineage as the known endemic strain at the hospital when assessed by pulsed-field get electrophoresis. Five of the seven had no evidence of MRSA during and for at [east six months after rifampicin and sodium fusidate. The proportion of sputum samples positive for MRSA was lower during the six months of treatment (0.13) and after treatment (0.19) compared with before treatment (0.85) (P < 0.0001). There was a reduction in the number of days of intravenous antibiotics per six months with 20.3 +/- 17.6 on treatment compared with 50.7 before treatment and 33.0 after treatment (P = 0.02). There was no change in lung function. Gastrointestinal side effects occurred in three, but led to therapy cessation in only one patient. Despite the use of antibiotics with anti-staphylococcal activity for treatment of respiratory exacerbation, MRSA infection persists. MRSA can be eradicated from the sputum of patients with CF and chronic MRSA carriage by using rifampicin and sodium fusidate for six months. This finding was associated with a significant reduction in the duration of intravenous antibiotic treatment during therapy. (C) 2003 The Hospital Infection Society. Published by Elsevier Ltd. All rights reserved.
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Human metapneumovirus (hMPV) has emerged as an important human respiratory pathogen causing upper and lower respiratory tract infections in young children and older adults. In addition, hMPV infection is associated with asthma exacerbation in young children. Recent epidemiological evidence indicates that hMPV may cocircullate with human respiratory syncytial virus (hRSV) and mediate clinical disease similar to that seen with hRSV. Therefore, a vaccine for hMPV is highly desirable. In the present study, we used predictive bioinformatics, peptide immunization, and functional T-cell assays to define hMPV cytotoxic T-lymphocyte (CTL) epitopes recognized by mouse T cells restricted through several major histocompatibility complex class I alleles, including HILA-A*0201. We demonstrate that peptide immunization with hMPV CTL epitopes reduces viral load and immunopathollogy in the lungs of hMPV-challenged mice and enhances the expression of Th1-type cytokines (gamma interferon and interleukin-12 [IL-12]) in lungs and regional lymph nodes. In addition, we show that levels of Th2-type cytolkines (IL-10 and IL-4) are significantly lower in hMPV CTL epitope-vaccinated mice challenged with hMPV. These results demonstrate for the first time the efficacy of an hMPV CTL epitope vaccine in the control of hMPV infection in a murine model.
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Respiratory syncytial virus (RSV) is the major cause of viral lower respiratory tract illness in children. In contrast to the RSV prototypic strain A2, clinical isolate RSV 2-20 induces airway mucin expression in mice, a clinically relevant phenotype dependent on the fusion (F) protein of the RSV strain. Epidermal growth factor receptor (EGFR) plays a role in airway mucin expression in other systems; therefore we hypothesized that the RSV 2-20 F protein stimulates EGFR signaling. Infection of cells with chimeric strains RSV A2-2-20F and A2-2-20GF or over-expression of 2-20 F protein resulted in greater phosphorylation of EGFR than infection with RSV A2 or over-expression of A2 F, respectively. Chemical inhibition of EGFR signaling or knockdown of EGFR resulted in diminished infectivity of RSV A2-2-20F but not RSV A2. Over-expression of EGFR enhanced the fusion activity of 2-20 F protein in trans. EGFR co-immunoprecipitated most efficiently with RSV F proteins derived from “mucogenic” strains. RSV 2-20 F and EGFR co-localized in H292 cells, and A2-2-20GF-induced MUC5AC expression was ablated by EGFR inhibitors in these cells. Treatment of BALB/c mice with the EGFR inhibitor erlotinib significantly reduced the amount of RSV A2-2-20F-induced airway mucin expression. Our results demonstrate that RSV F interacts with EGFR in a strain-specific manner, EGFR is a co-factor for infection, and EGFR plays a role in RSV-induced mucin expression, suggesting EGFR is a potential target for RSV disease.
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Chronic weight loss in marmosets is often associated with wasting marmoset syndrome (WMS), an important disease that occurs in callitrichid colonies around the world. Even though its etiology is very difficult to determine, particular variables, such as weight loss, diarrhea and alopecia, associated or not with infestation in the pancreatic ducts with Trichospirura leptossoma (Nematoda: Thelazioidea), seem to be linked with the syndrome. This study investigated the histopathology of the lungs, duodenum, liver, gallbladder, extrahepatic bile ducts and pancreatic ducts of six common marmosets (Callithrix jacchus) suffering from severe non-diarrheic weight loss. Three individuals died naturally and the other three were euthanized. Microscopic findings showed the presence of adult flukes (Platynosomum) in the liver. These flukes, which provoke common infection in cats, were also observed inside the gallbladder as well as in the intra and extrahepatic bile ducts in common marmosets. Portal fibrosis was observed in two animals, which developed chronic fibrosing hepatopathy (biliary pattern, grade 3). The disease progresses without diarrhea and without pancreatic lesions or infestation. With the rogression, the animals presented with ascending cholangitis, cholestasis and portal fibrosis, sometimes culminating in secondary biliary cirrhosis. Therefore, this nfirmity, associated with chronic weight loss in common marmosets, could be another tiological factor linked with WMS
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Chronic weight loss in marmosets is often associated with wasting marmoset syndrome (WMS), an important disease that occurs in callitrichid colonies around the world. Even though its etiology is very difficult to determine, particular variables, such as weight loss, diarrhea and alopecia, associated or not with infestation in the pancreatic ducts with Trichospirura leptossoma (Nematoda: Thelazioidea), seem to be linked with the syndrome. This study investigated the histopathology of the lungs, duodenum, liver, gallbladder, extrahepatic bile ducts and pancreatic ducts of six common marmosets (Callithrix jacchus) suffering from severe non-diarrheic weight loss. Three individuals died naturally and the other three were euthanized. Microscopic findings showed the presence of adult flukes (Platynosomum) in the liver. These flukes, which provoke common infection in cats, were also observed inside the gallbladder as well as in the intra and extrahepatic bile ducts in common marmosets. Portal fibrosis was observed in two animals, which developed chronic fibrosing hepatopathy (biliary pattern, grade 3). The disease progresses without diarrhea and without pancreatic lesions or infestation. With the rogression, the animals presented with ascending cholangitis, cholestasis and portal fibrosis, sometimes culminating in secondary biliary cirrhosis. Therefore, this nfirmity, associated with chronic weight loss in common marmosets, could be another tiological factor linked with WMS
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International audience
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Aim: This study was designed to determine the prevalence of and risk factors for schistosomiasis among a group of preschool children in Malawi. Schistosomiasis burden among preschoolers in Malawi is not well documented in the literature. Methods: This study used field research (in the form of a snail survey), laboratory work (urinalysis and microscopy for parasite identification), and questionnaireguided interviews to determine the prevalence of and risk factors for urinary schistosomiasis among children, aged between 6 and 60 months, in Malengachanzi, Nkhotakota District, Malawi. Results: Urinary schistosomiasis prevalence among preschool children was 13%. Of the factors evaluated, only age (P = 0.027) was statistically significantly associated with urinary schistosomiasis risk. Four-year-old preschool children were five times more likely to contract urinary schistosomiasis than two-year-old children (odds ratio [OR] = 5.255; 95% confidence interval [CI] = 1.014-27.237; P = 0.048). Increased contact with infested water among older children likely explains much of their increased risk. Infestation was evidenced by the presence of infected Bulinus globosus snails in the water contact points surveyed. Multiple regression analysis showed that visiting water contact sites daily (OR = 0.898, 95% CI = 0.185-4.350, P = 0.894), bathing in these sites (OR = 9.462, 95% CI = 0.036-0.00, P = 0.430) and lack of knowledge, among caregivers, regarding the causes of urinary schistosomiasis (OR = 0.235, 95% CI = 0.005-1.102, P = 0.066) posed statistically insignificant risk increases for preschoolers contracting urinary schistosomiasis. Conclusions: Urinary schistosomiasis was prevalent among preschool children in Malengachanzi, Nkhotakota District. Contact with infested water puts these children and the general population at risk of infection and reinfection. Inclusion of preschool children in treatment programmes should be considered imperative, along with safe treatment guidelines. To prevent infection, the population in the area should be provided with health education and safe alternative water sources.