1000 resultados para Modello organizzativo e funzionale, Unità Complesse di Cure Primarie.


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In questa Tesi vengono trattati alcuni temi relativi alla modellizzazione matematica delle Transizioni di Fase, il cui filo conduttore è la descrizione basata su un parametro d'ordine, originato dalla Teoria di Landau. Dopo aver presentato in maniera generale un modo di approccio alla dinamica delle transizioni mediante campo di fase, con particolare attenzione al problema della consistenza termodinamica nelle situazioni non isoterme, si considerano tre applicazioni di tale metodo a transizioni di fase specifiche: la transizione ferromagnetica, la transizione superconduttrice e la transizione martensitica nelle leghe a memoria di forma (SMA). Il contributo maggiore viene fornito nello studio di quest'ultima transizione di fase per la quale si è elaborato un modello a campo di fase termodinamicamente consistente, atto a descriverne le proprietà termomeccaniche essenziali.

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La Rocca delle Caminate nella coscienza e nell’immaginario Ben volentieri mi sono occupato dell’ambizioso progetto di restauro e recupero funzionale della Rocca delle Caminate, perché se è vero che il complesso ha rivestito un’importanza rilevante sotto il profilo storico e politico di questa parte di Romagna, è pur vero che vive nei miei ricordi fin dall’epoca dell’infanzia, ed è venuto acquistando nel tempo un preciso valore nella mia coscienza e nel mio immaginario. Questa rocca, questa fortificazione, questa torre che si staglia all’orizzonte dominando con austerità le amene vallate, l’ho sempre veduta e ha sempre sollevato in me suggestioni e interrogativi che però non mi ero mai preoccupato di chiarire: ero, per così dire, rimasto fedele alla mia emotività e mi erano bastati i racconti di nonna che andava spesso rammentando di quando, durante il ventennio fascista, insieme alle sorelle percorreva a piedi i sentieri che dalla vicina Dogheria conducevano alle Caminate, in occasione di una tal festa o di una tal funzione religiosa. Le sue parole e i suoi racconti continuano a donarmi un po’ del profumo dell’epoca, e fa specie notare come ancora oggi – in un tempo che fa dello sfavillio delle luci sfoggio di opulenza e miraggio di benessere – vengano puntualmente traditi dall’ammirazione per un faro che all’epoca ruotava emanando luce verde, bianca e rossa: quella del tricolore italiano. La Rocca delle Caminate – dicevo – è sempre stata una veduta familiare e fin troppo consuetudinaria, nei cui riguardi ero quasi giunto a una sorta d’indolenza intellettuale. Eppure, alla vigilia di decidere l’oggetto di questa tesi, ho volto lo sguardo ancora verso la “torre che domina a meraviglia il circostante paese”, ma in questa circostanza trovandomi cambiato: non più solo emozionato dal racconto nella memoria degli anziani, bensì spinto a una sfida anche per onorare il loro attaccamento verso questa fortificazione. È un popolo, quello che ho trovato, che mi ha stupito alquanto per la capacità di ricordare. Voglio dire ricordo, non trasognata visione; sottolineo fulgida testimonianza, non di rado animata dalla fierezza di chi sente fortemente il radicamento a una terra e rivendica il diritto di poter un giorno rivedere la ‘propria’ Rocca come l’ha veduta un tempo, poterla finalmente visitare e toccare, al didi ogni colore politico, al didi ogni vicenda passata, bella o brutta che sia. Poterla, in concreto, vivere. Così, un giorno ho varcato il limite dell’ingresso della Rocca e ho iniziato a camminare lungo il viale che conduce al castello; mi sono immerso nel parco e ho goduto della frescura dei pini, dei frassini e dei cipressi che fanno da contorno alla fortificazione. Certamente, ho avvertito un po’ di soggezione giunto ai piedi dell’arce, e mi è sorto spontaneo pormi alcune domande: quanti fanti e cavalieri saranno giunti a questa sommità in armi? Quanti ne saranno morti travolti nella furia della battaglia? Quanti uomini avranno provveduto alla sicurezza di questi bastioni oggi privati per sempre delle originarie mura difensive? Quanti castellani avranno presieduto alla difesa del castro? Ma più che a ogni altra cosa, il mio pensiero è andato a un protagonista della storia recente, a Benito Mussolini, che fra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta aveva eletto questo luogo a dimora estiva. Camminando lungo i corridoi della residenza e visitando le ampie stanze, nel rimbombo dei miei passi è stato pressoché impossibile non pensare a quest’uomo che si riconosceva in un duce e che qui ha passato le sue giornate, qui ha indetto feste, qui ha tenuto incontri politici e ha preso importanti decisioni. Come dimenticare quel mezzobusto, quella testa, quella postura impettita? Come dimenticare quello sguardo sempre un po’ accigliato e quei proclami che coglievano il plauso delle masse prima ancora di essere compiutamente formulati? In questo clima, fra castellani, capitani, cavalieri e duces di ogni epoca, sono entrato in punta di piedi, procedendo ai rilevamenti e ai calcoli per la realizzazione di questo progetto. È vero, non è stato facile muoversi nel silenzio che avvolge questo posto magico senza romperne l’incanto, e se a volte, maldestramente, ho fatto più rumore del solito, me ne rammarico. Sono sicuro che questi illustri signori sapranno scusarmene.

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L’obiettivo che l’elaborato si prefigge consiste nel dar forma ad un progetto palladiano rimasto sulla carta attraverso l’utilizzo delle tecnologie informatiche. Nello specifico si è ricostruita Villa Mocenigo in forma tridimensionale attraverso uno schizzo del progetto fatto su carta dallo stesso Palladio nel 1550. Lo schizzo della pianta, conservato al RIBA di Londra, anticiperebbe il successivo progetto finale pubblicato ne “I Quattro Libri dell’Architettura” ma rimasto comunque incompiuta. Il linguaggio di base utilizzato per la definizione dell’ipotesi progettuale del modello 3D è stato attinto dalle regole generali di proporzionamento “alla maniera degli antichi” che lo stesso Architetto illustra nel suo trattato. Al fine di rendere l’ipotesi ricostruttiva il più possibile in linea con il metodo di proporzionamento palladiano, come esercitazione, si è partiti dallo studio preparatorio di un altro progetto: Villa Sarego, edificata solo in parte. A partire quindi dalla ricostruzione 3D basata sui disegni dei rilievi eseguiti dal CISAAP è stata avanzata l’ipotesi di ricostruzione totale della villa, completa della parte incompiuta. Lo studio sintetizzato in questo elaborato ha anche riguardato: la composizione architettonica e lo studio delle regole proporzionali evolutesi nel tempo; il processo di digitalizzazione e archiviazione delle opere palladiane e i progetti attualmente in corso; escursus storico sulle ville romane; le opera di Palladio, costruite e progettate.

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Il progetto di tesi, inizialmente, è stato concentrato sull’approfondimento, e studio, delle problematiche relative alla costruzione delle linee ad Alta Velocità, che hanno recentemente segnato il territorio italiano, da nord a sud e da ovest ad est. Proseguendo l’analisi sul sistema ferroviario, tramite il confronto con le altre realtà europee, ho compreso quali fossero le principali criticità e doti del trasporto su ferro in Italia, che è ancora molto lontano dalla sua miglior ottimizzazione, ma che comunque, ci tengo a dire, in rapporto a ciò che succede negli altri paesi d’Europa, non è così deficitario come si è portati a pensare. L’entrata in funzione delle linee ad Alta Velocità, infatti, ha cambiato lo scenario di relazioni tra infrastruttura, città e territorio, proprio in questo ambito nasce la volontà di proporre un modello di sviluppo urbano che comprenda, nella sua pianificazione originale, città, infrastruttura ed architettura, e che anzi rivendichi l’importanza di quest’ultima nelle scelte urbanistiche, al contrario di quanto purtroppo avviene oggi. Dopo uno studio dei contesti possibili in cui inserire un progetto di questa portata, è stata individuata la zona che meglio si adatta alle premesse iniziali, ad ovest di Milano tra Novara e l’aeroporto di Milano Malpensa. Qui la scarsa razionalizzazione dei trasporti pregiudica lo sfruttamento delle potenzialità dell’aeroporto da una parte, e della nuova linea ad Alta Velocità dell’altra, così aggiungendo una nuova tratta di ferrovia ad alte prestazioni e riorganizzando trasporti e territorio, ho tentato di dare risposta alle mancanze del sistema della mobilità. In questo quadro si inserisce la città lineare studiata per dimostrare la possibile integrazione tra trasporti, città ed architettura, il modello, partendo dallo studio del blocco milanese giunge a definire un piano di tipo composto, con un asse principale in cui sono concentrate le vie di trasporto, ed una serie di assi ortogonali secondari che individuano le emergenze architettoniche, punti notevoli che devono fungere da catalizzatori. In uno di questi punti, posto in posizione baricentrica è stato collocato il centro di ricerca avanzata, in particolare è stato inserito in una zona difficilmente raggiungibile, questo per enfatizzare l’isolamento e la riservatezza che sono necessarie alla funzione. Il campus avrebbe potuto trovarsi anche in un altro punto del piano e questo non avrebbe inficiato le premesse iniziali, il progetto dell’università è solo un pretesto per dimostrare l’ipotesi prima dichiarata, l’architettura può e deve svolgere un ruolo importante nella pianificazione anche infrastrutturale.

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Il progetto di tesi si sviluppa in una delle tre aree individuate dal bando di concorso indetto dal Comune di Rimini, allo scopo di riqualificare il lungomare della città, donandogli una nuova immagine in Italia e nel mondo. Le aree, tra di loro attigue, si collocano su di un tratto di costa lungo circa due km, che vanno da piazzale Boscovich al Parco Fellini, dal Parco Fellini a piazzale Kennedy e da piazzale Kennedy a piazza Marvelli, già piazza Tripoli. Si tratta di una procedura concorsuale sulla base delle leggi urbanistiche vigenti con la quale nel corso del 2008 l'Amministrazione Comunale di Rimini ha inteso ricercare soggetti privati per ridefinire in senso ambientale, urbano e funzionale, una delle parti più preziose e delicate della città: il waterfront di Marina centro. In particolare il bando stabiliva tutta una serie di obbiettivi da perseguire tra i quali: l'aumento dell'attività turistica per tutto l'arco dell'anno, la riorganizzazione della viabilità, la realizzazione di spazi legati al commercio e al terziario, la riqualificazione urbana, una diversa collocazione degli attuali parcheggi, la completa pedonalizzazione del lungomare, oggi principale elemento viario di questa parte di città. Alla scadenza del bando, il 28 marzo del 2008 sono pervenuti agli uffici comunali tre proposte: dallo Studio Altieri con l'architetto Julien de Smedt e Coopsette con l'architetto Jean Nouvel per il bando relativo al tratto Piazzale Boscovich – piazzale Kennedy; e da Gecos con Foster + Partners per il tratto piazzale Kennedy – piazza Marvelli. Nello sviluppo del progetto mi è sembrato necessario integrare quelle che erano le richieste del bando con alcune scelte programmatiche, di forte impatto, ma a mio avviso indispensabili per assicurare e ritrovare quella “urbanità” che qui sembra sia stata dimenticata. In tal senso in prossimità di piazzale Boscovich ho proposto la realizzazione di una serie di spazi culturali legati allo spettacolo, per mezzo di due auditorium con sale di 250 e 900 posti e una serie di spazi espositivi legati alle varie manifestazioni.

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La tesi affronta la questione della riqualificazione dell’ area situata lungo l’argine orientale del fiume Savio a Cesena, a sud del Ponte del Risorgimento e a nord del Ponte Clemente; longitudinalmente il quartiere è individuati dall’asse carrabile di via IV Novembre e ad est tra le vie IX Febbraio e Aurelio Saffi. L'area è attualmente dominata dalla caserma militare “Decio Raggi” (oggi acclusa al C.A.P.S.) e da un parcheggio multipiano di recente costruzione, oltre ad alcune abitazioni private. Il progetto prevede di resettare quasi completamente l'area, fatta salva una palazzina del complesso del C.A.P.S. ed il parcheggio; al posto degli attuali edifici sorgeranno tre poli destinati a funzioni diverse: un polo commerciale, uno culturale ed uno residenziale. Il polo culturale, oggetto specifico della presente tesi, sorge approssimativamente al centro dell'area di progetto e si relaziona sulla sinistra con il mercato, con il quale divide una piazza concepita sul modello di Piazza del Popolo; la costruzione ospita un auditorium con una sala d'ascolto da 476 posti a sedere (più un altro centinaio sistemati nei palchetti laterali), diversi spazi adibiti a sala prove ed aule musicali o teatrali; gli ambienti secondari dell’auditorium sono ricavati in due corpi laterali, affiancati lateralmente al volume principale. Sul lato opposto alla facciata sorge una corte quadrata, che può fungere sia da spazio pubblico che da platea all'aperto: il palcoscenico infatti è concepito in modo da avere un doppio boccascena: uno rivolto verso la sala ed uno (chiuso da una parete scorrevole) verso la corte. Sul solaio dei corpi secondari sono stati progettati due ampi terrazzi, di cui uno che guarda al fiume e che si prolunga con una passerella verso il sentiero tra il ponte Risorgimento e il ponte Clemente. Per l'argine del Savio è stato previsto un sistema di terrazzamenti che contengano e regolino le esondazioni del fiume e siano contemporaneamente spazi verdi calpestabili. L'intera area fluviale verrà riassettata in modo che la vegetazione possa estendersi più profondamente verso le costruzioni ed armonizzarsi con esse meglio di quanto non faccia attualmente.

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Questa tesi ha come oggetto la riqualificazione energetica e funzionale della scuola media statale “P. Amaducci” di Bertinoro e la realizzazione, all’interno della stessa area, di una scuola elementare che condivida, con la struttura esistente, spazi per attività parascolastiche e sportive. Il lotto di intervento è situato ai margini del centro urbano, circondato da un’area identificata dalla pubblica amministrazione come di possibile espansione residenziale; esso presenta diverse criticità, tra cui la poca sicurezza dei percorsi pedonali, la frammentarietà del sistema degli spazi aperti, la mancanza di adeguate aree di sosta e di parcheggio. Grazie alla sua posizione elevata e alla collocazione all’interno di un ambito di interesse paesaggistico, dall’area si gode di un’ampia visuale sul territorio circostante, caratterizzato dalla coltivazione della vite. L’attuale scuola media statale “P. Amaducci”, realizzata nel 1990, è un edificio di circa 17800 mc con disposizione planimetrica a corte aperta, sviluppato su tre piani, ad est del quale nel 2000 è stato collocato un edificio a blocco di 12000 mc, che ospita un palazzetto dello sport di rilevanza provinciale. Nonostante la sua recente costruzione, la struttura presenta diverse carenze progettali, tra cui lo sfavorevole orientamento delle aule per la didattica, che determina un elevato livello di discomfort, la scarsa prestazione energetica che colloca l’edificio in classe energetica E, e il generale sovradimensionamento del complesso e dei singoli spazi interni (circa 180% di spazio in più rispetto a quanto previsto dal D.M.del 1975 sull’edilizia scolastica. La scuola era originariamente progettata per ospitare tre sezioni, per un totale di 225 alunni; attualmente è frequentata da solo 132 studenti, con conseguente mancata utilizzazione di una parte consistente dell’edificio. Gli obiettivi dell’intervento sono quelli fissati dall’Amministrazione comunale e consistono essenzialmente in: - Riunificazione della scuola media con la scuola elementare in un unico polo scolastico, mettendo in comune una serie di ambienti quali l'auditorium, la mensa, le aule speciali, l’adiacente palazzetto dello sport. - Realizzazione di un ampliamento per la nuova scuola elementare, con capacità di 10 aule. Esso andrebbe realizzato a monte dell'attuale scuola media favorendo un ingresso separato dei due ordini di scuola. - Revisione di alcune soluzioni progettuali ed energetiche errate o non funzionali presenti nell'attuale struttura. A seguito di alcune analisi effettuate sulla popolazione di Bertinoro e sull’accesso ai plessi scolastici dalle frazioni vicine (Fratta Terme, Capocolle, Panighina) è emersa la scarsa dinamica demografica del comune, la quale ha suggerito di prevedere la riduzione degli spazi destinati alla scuola media e l’utilizzo dei locali eccedenti per ospitare aule per la didattica ad uso della nuova scuola elementare, prevedendo inoltre l’uso congiunto degli spazi per attività parascolastiche tra le due scuole (mensa, biblioteca, auditorium e palestra) e progettando un ampliamento per ospitare le altre attività necessarie al funzionamento della nuova scuola elementare. Il progetto ha assunto la sostenibilità e il minimo impatto sull’ambiente come principi generatori gli elementi del contesto naturale come risorse: mantiene l’edificio adagiato sul declivio del terreno e valorizza la vista verso la vallata circostante, in modo da aprirlo sul paesaggio. Per limitare una delle criticità funzionali rilevate, il progetto si è proposto di separare i percorsi pedonali da quelli carrabili inserendo zone filtro con la funzione di proteggere l’accesso al polo scolastico e al palazzetto dello sport e, al fine di evitare la promiscuità delle utenze, di differenziare altimetricamente gli ingressi dei diversi edifici e di prevedere due parcheggi, uno a monte dell’area (di pertinenza della nuova scuola primaria), e uno a valle (ad uso degli utenti della scuola secondaria di primo grado e della palestra). Nella nuova configurazione spaziale dell’edificio esistente, le aule per la didattica sono collocate sul fronte principale orientato a sud-est e dotate di ampie aperture provviste di schermature studiate sulla radiazione solare locale. Per raggiungere un ottimo livello di illuminamento si è “scavato” un canale di luce all’interno dell’edificio, che fornisce alle aule un apporto di luce naturale aggiuntivo rispetto a quello che entra dalle facciate. Sul fronte nord-ovest si localizzano invece le aule speciali e i servizi, affacciati sulla corte. L’ingresso e il vano scala esistenti, in rapporto al volume ridimensionato della scuola media, risultano così in posizione baricentrica. La tesi presenta due diverse ipotesi di ampliamento, che prevedono entrambe la collocazione dei nuovi volumi a monte dell’edificio esistente, connessi ad esso tramite lo spazio dell’ingresso e la localizzazione di quattro aule per la didattica in una parte dell’edificio esistente. Il primo progetto di ampliamento si propone di ridefinire e valorizzare la corte interna attraverso l’inserimento a monte dell’edificio esistente di un volume su un solo piano, che si va ad inserire nel profilo della collina, secondo il principio del minimo impatto sul paesaggio circostante. Il secondo progetto di ampliamento punta invece sulla continuità visiva tra gli spazi aperti e il paesaggio: per questo si è collocato il nuovo volume, che si sviluppa su due piani (nella ricerca di un ottimale rapporto di forma) in adiacenza all’edificio esistente,dando luogo ad un ampio spazio verde su cui si affacciano le aule esposte a sud-est.

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Il miglioramento dell’ambiente urbano e, in particolare, della qualità di vita dei cittadini, così come lo scriteriato consumo di territorio in favore della barbara cementificazione delle aree non edificate, sono diventate questioni di particolare rilievo nello scenario globale finalizzato al raggiungimento di un nuovo modello di sviluppo delle città. Gli abitanti dei centri urbani, oggi, sono costretti ad affrontare il sovraffollamento e i problemi ad esso connessi: il traffico, la congestione, l’inquinamento e gli effetti che questi fattori generano alla società. L’area oggetto di questa tesi, luogo a forte vocazione turistica, presenta questo tipo di problematiche soprattutto in corrispondenza della stagione estiva mentre, per il resto dell’anno, si trova ad affrontare il problema opposto di riduzione delle attività e dello spopolamento causate dalla stagionalità. L’espansione edilizia, avvenuta con estrema rapidità e durante un periodo caratterizzato da un forte sviluppo economico , non ha seguito gli indirizzi di un Piano che avrebbe se non altro evitato sprechi di territorio e una struttura così caotica. Tradizionalmente l’idea di densità è sempre stata considerata in maniera negativa rispetto alla questione urbana, in quanto simbolo di un uso intensivo e indiscriminato del territorio e causa della scarsa qualità di vita che caratterizza molte città. In realtà il concetto di densità può assumere un significato diverso: legato all’efficienza, alla qualità e alla sostenibilità. Densificare, infatti, secondo opportune linee guida e in relazione agli standard di qualità, significa sfruttare al meglio le risorse esistenti all’interno delle città, utilizzando il territorio senza sprechi e ricucendo le fratture in grado di generare situazioni di degrado ambientale. Un complesso e minuzioso processo di “densificazione” è in grado di apportare molti benefici al cittadino e alla comunità, come la trasformazione degli spazi inutilizzati o dismessi, la riduzione delle distanze e della mobilità veicolare, la limitazione dell’impatto energetico sull’ambiente e, non ultima, la promozione di una nuova immagine urbana connessa a nuove funzionalità e strutture. Densificare è però condizione necessaria ma non sufficiente per il miglioramento dell’ambiente urbano, infatti il termine “densità” non specifica nulla sul risultato qualitativo e quantitativo che si intende ottenere. “Creazione di un ambiente più propizio alla vita ed intenzionalità estetica sono i caratteri stabili dell’architettura; questi aspetti emergono da ogni ricerca positiva ed illuminano la città come creazione umana” . È in questo senso che deve essere letta la “densificazione” proposta da questa tesi per la riqualificazione di Misano Adriatico. Occorrerà riqualificare soprattutto quelle aree marginali del tutto prive dei requisiti urbani al fine di integrarle maggiormente al resto della città. A essa dovrà essere collegata una nuova visione di quelle che saranno le infrastrutture legate alla mobilità ed i servizi necessari alla vita della comunità. Essi non dovranno più essere visti come elementi di semplice collegamento o episodi isolati distribuiti a caso nel territorio, ma dovranno recuperare quell’importanza strategica che li portavano ad essere l’elemento catalizzatore e la struttura portante dell’espansione urbana. La riqualificazione della città sviluppata in questa tesi segue “la strategia dei luoghi complementari” teorizzata da O.M. Ungers secondo cui: “la città dei -luoghi complementari- è composta dal numero più grande possibile di aree diverse, nelle quali viene sviluppato un aspetto urbano particolare tenendo conto del tutto. In un certo senso è un sistema della -città nella città-. Ogni parte ha le sue proprie caratteristiche, senza però essere perfezionata e conclusa. […] Si cerca la molteplicità, la diversità, non l’unitarietà. La contraddizione, la conflittualità sono parte del sistema e rimangono insolute” . Il fine ultimo di questa tesi è quindi quello di proporre un’idea di città del nostro tempo, un prodotto complesso, non identificabile con un unico luogo ma con un insieme di luoghi che si sovrappongono e si integrano in maniera complementare mantenendo le peculiarità intrinseche del territorio a cui appartengono.

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L’arteria principale dell’antica Regio VIII si è dimostrata l’elemento cardine per la fondazione delle città in epoca romana. Le città che nascono sulla via Emilia entrano in un rapporto di simbiosi e di dipendenza con la strada antica, tanto che quest’ultima diventa l’asse generatore di tutta la forma urbis. Questo tracciato generatore è rimasto immutato se non per alcune sporadiche eccezioni e si è consolidato, nella sua forma e funzione, andando a creare così un’integrazione perfetta con l’imago urbis. Anche la città di Claterna deve la sua fondazione alla presenza di questo importante segno, tracciato nel 187 a.C.; un segno che nasce da un’astrazione e dal possesso dell’idea di linea retta da parte dei romani, il cui compito è dare ordine allo spazio che consideravano un caos, e come tale doveva essere organizzato in maniera geometrica e razionale. La via Emilia diventa l’asse generatore della città, la quale segue appunto l’orientamento fornito dall’asse stesso che assume il ruolo di decumanus maximus per l’insediamento, e sulla quale si baserà la costruzione della centuriazione claternate. Il tracciato così forte e importante dal punto di vista funzionale assume però in contemporanea un ruolo di divisione della civitas, in quanto va a separare in maniera netta la zona sud da quella nord. Questa situazione è maggiormente percepibile oggi rispetto al passato, vista la situazione di incolto che prevale sull’area. L’area di progetto risulta infatti tagliata dalla strada statale ed è di conseguenza interessata da problematiche di traffico veicolare anche pesante; tale situazione di attraversamento veloce non permette al viaggiatore di cogliere una lettura completa e unitaria di quello che era l’antico insediamento romano. Inoltre la quota di campagna, che racchiude il layer archeologico, è più bassa rispetto alla quota di percorrenza della strada e non essendoci alcun elemento visivo che possa richiamare l’attenzione di chi percorre questo tratto di via Emilia, l’area d’interesse rimane completamente nascosta e inserita nel contesto paesaggistico. Il paesaggio diventa l’unico immediato protagonista in questo frangente di via Emilia; qui è diverso da molte altre situazioni in cui l’abitato si accosta alla strada, o ancora da quando la strada antica, e ciò si verifica nei maggiori centri urbani, viene ad essere inglobata nel reticolo cittadino fatto di strade ed edifici e con esso si va a confondere ed integrare. Infatti nella porzione compresa tra il comune di Osteria Grande e la frazione di Maggio, ci si trova di fronte ad un vero e proprio spaccato della conformazione geomorfologica del territorio che interessa tutta la regione Emilia Romagna: rivolgendosi verso sud, lo sguardo è catturato dalla presenza della catena appenninica, dove si intravede il grande Parco dei Gessi, che si abbassa dolcemente fino a formare le colline. I lievi pendii si vanno a congiungere con la bassa pianura che si scontra con il segno della via Emilia, ma al di là della quale, verso nord, continua come una distesa senza limite fino all’orizzonte, per andare poi a sfumare nel mare Adriatico. Questi due aspetti, la non percepibilità della città romana nascosta nella terra e la forte presenza del paesaggio che si staglia sul cielo, entrano in contrasto proprio sulla base della loro capacità di manifestarsi all’occhio di chi sta percorrendo la via Emilia: la città romana è composta da un disegno di tracce al livello della terra; il paesaggio circostante invece diventa una vera e propria quinta scenica che non ha però oggetti da poter esporre in quanto sono sepolti e non sono ancora stati adeguatamente valorizzati. Tutte le città, da Rimini a Piacenza, che hanno continuato ad esistere, si sono trasformate fortemente prima in epoca medievale e poi rinascimentale tanto che il layer archeologico romano si è quasi completamente cancellato. La situazione di Claterna è completamente diversa. La città romana è stata mano a mano abbandonata alla fine del IV secolo fino a diventare una delle “semirutarum urbium cadavera” che, insieme a Bononia, Mutina, Regium e Brixillum fino a Placentia, Sant’Ambrogio ha descritto nella sua Epistola all’amico Faustino. Ciò mostra molto chiaramente quale fosse la situazione di tali città in età tardo-antica e in che situazione di degrado e abbandono fossero investite. Mentre alcune di queste importanti urbes riuscirono a risollevare le loro sorti, Claterna non fu più interessata dalla presenza di centri abitati, e ciò è dovuto probabilmente al trasferimento degli occupanti in centri e zone più sicure. Di conseguenza non si è verificato qui quello che è successo nei più importanti centri emiliano-romagnoli. Le successive fasi di sviluppo e di ampliamento di città come Bologna e Piacenza sono andate ad attaccare in maniera irrecuperabile il layer archeologico di epoca romana tanto da rendere lacunosa la conoscenza della forma urbis e delle sue più importanti caratteristiche. A Claterna invece lo strato archeologico romano è rimasto congelato nel tempo e non ha subito danni contingenti come nelle città sopra citate, in quanto il suolo appunto non è stato più interessato da fenomeni di inurbamento, di edificazione e di grandi trasformazioni urbane. Ciò ha garantito che i resti archeologici non venissero distrutti e quindi si sono mantenuti e conservati all’interno della terra che li ha protetti nel corso dei secoli dalla mano dell’uomo. Solo in alcune porzioni sono stati rovinati a causa degli strumenti agricoli che hanno lavorato la terra nell’ultimo secolo andando ad asportare del materiale che è stato quindi riportato alla luce. E’ stata proprio questa serie di ritrovamenti superficiali e fortunati a far intuire la presenza di resti archeologici, e che di conseguenza ha portato ad effettuare delle verifiche archeologiche con sondaggi che si sono concluse con esiti positivi e hanno permesso la collocazione di un vincolo archeologico come tutela dell’area in oggetto. L’area di progetto non è quindi stata contaminata dall’opera dell’uomo e ciò ha garantito probabilmente, secondo le indagini degli archeologi che lavorano presso il sito di Claterna, un buono stato di conservazione per gran parte dell’insediamento urbano e non solo di alcune porzioni minori di città o di abitazioni di epoca romana. Tutto questo attribuisce al sito una grande potenzialità visto che i casi di ritrovamenti archeologici così ampi e ben conservati sono molto limitati, quasi unici. Si tratterebbe quindi di riportare alla luce, in una prospettiva futura, un intero impianto urbano di epoca romana in buono stato di conservazione, di restituire un sapere che è rimasto nascosto e intaccato per secoli e di cui non si hanno che altre limitatissime testimonianze.

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La ricerca analizza, con gli strumenti della semiotica della cultura, il rito islamico del sacrificio in occasione di Aid al Adha. Il lavoro dunque esplora un oggetto tradizionalmente più vicino all’interesse etnografico e antropologico. Di tale sapere si rende conto nel Capitolo 1 dedicato interamente a una puntualizzazione dei maggiori studi antropologici elaborati sul sacrificio. Tali riflessioni sono anche l’occasione per problematizzare il dialogo tra semiotica e antropologia, in particolare in riferimento alla costruzione del corpus e alla applicabilità della categoria di “testo” a oggetti e pratiche sociali così complesse. Dopo una descrizione (Capitolo 2) delle caratteristiche del sacrificio islamico, nella seconda parte del lavoro si passa alla vera e propria analisi semiotica del rito in contesto di immigrazione (Capitolo 3), soffermandosi su alcune dimensioni significative per la semiotica: attori (Capitolo 4) e organizzazione spaziale (Capitolo 5).

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The present study was performed to validate a spatial working memory task using pharmacological manipulations. The water escape T-maze, which combines the advantages of the Morris water maze and the T-maze while minimizes the disadvantages, was used. Scopolamine, a drug that affects cognitive function in spatial working memory tasks, significantly decreased the rat performance in the present delayed alternation task. Since glutamate neurotransmission plays an important role in the maintaining of working memory, we evaluated the effect of ionotropic and metabotropic glutamatergic receptors antagonists, administered alone or in combination, on rat behaviour. As the acquisition and performance of memory tasks has been linked to the expression of the immediately early gene cFos, a marker of neuronal activation, we also investigated the neurochemical correlates of the water escape T-maze after pharmacological treatment with glutamatergic antagonists, in various brain areas. Moreover, we focused our attention on the involvement of perirhinal cortex glutamatergic neurotransmission in the acquisition and/or consolidation of this particular task. The perirhinal cortex has strong and reciprocal connections with both specific cortical sensory areas and some memory-related structures, including the hippocampal formation and amygdala. For its peculiar position, perirhinal cortex has been recently regarded as a key region in working memory processes, in particular in providing temporary maintenance of information. The effect of perirhinal cortex lesions with ibotenic acid on the acquisition and consolidation of the water escape T-maze task was evaluated. In conclusion, our data suggest that the water escape T-maze could be considered a valid, simple and quite fast method to assess spatial working memory, sensible to pharmacological manipulations. Following execution of the task, we observed cFos expression in several brain regions. Furthermore, in accordance to literature, our results suggest that glutamatergic neurotransmission plays an important role in the acquisition and consolidation of working memory processes.

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Il presente lavoro ha come obiettivo la definizione e la misura della complessità tecnologica, al fine di costruire strumenti a supporto di tutti gli operatori che si occupano dello sviluppo e della fabbricazione di un prodotto industriale, quali progettisti di prodotto e responsabili di produzione. La ricerca è stata sviluppata attraverso le fasi di seguito descritte. Analisi dello stato dell’arte su definizioni e misure della complessità in ambito industriale attraverso l’individuazione e studio di oltre un centinaio di pubblicazioni al riguardo. Classificazione dei metodi proposti in letteratura per la misura della complessità in cinque categorie e analisi critica dei punti di forza e di debolezza dei differenti metodi, ai fini di orientare la elaborazione di un nuovo metodo. Sono stati inoltre analizzati i principali metodi di Intelligenza Artificiali quali potenziali strumenti di calcolo della complessità. Indagine su tematiche correlate alla complessità quali indicatori, trasferimento tecnologico e innovazione. La complessità viene misurata in termini di un indice che appartiene alla categoria degli indicatori, utilizzati in molti ambiti industriali, in particolare quello della misura delle prestazioni di produzione. In particolare si è approfondito significato e utilizzo dell’OEE (Overall Equipment Effectiveness), particolarmente diffuso nelle piccole medie imprese emilianoromagnole e in generale dalle aziende che utilizzano un sistema produttivo di tipo job-shop. È stato implementato un efficace sistema di calcolo dell’OEE presso una azienda meccanica locale. L’indice di complessità trova una delle sue più interessanti applicazioni nelle operazioni di trasferimento tecnologico. Introdurre un’innovazione significa in genere aumentare la complessità del sistema, quindi i due concetti sono connessi. Sono stati esaminati diversi casi aziendali di trasferimento di tecnologia e di misura delle prestazioni produttive, evidenziando legami e influenza della complessità tecnologica sulle scelte delle imprese. Elaborazione di un nuovo metodo di calcolo di un indice di complessità tecnologica di prodotto, a partire dalla metodologia ibrida basata su modello entropico proposta dai Prof. ElMaraghy e Urbanic nel 2003. L’attenzione è stata focalizzata sulla sostituzione nella formula originale a valori determinati tramite interviste agli operatori e pertanto soggettivi, valori oggettivi. Verifica sperimentale della validità della nuova metodologia attraverso l’applicazione della formula ad alcuni componenti meccanici grazie alla collaborazione di un’azienda meccanica manifatturiera. Considerazioni e conclusioni sui risultati ottenuti, sulla metodologia proposta e sulle applicazioni del nuovo indice, delineando gli obiettivi del proseguo della ricerca. In tutto il lavoro si sono evidenziate connessioni e convergenze delle diverse fonti e individuati in diversi ambiti concetti e teorie che forniscono importanti spunti e considerazioni sul tema della complessità. Particolare attenzione è stata dedicata all’intera bibliografia dei Prof. ElMaraghy al momento riconosciuti a livello internazionale come i più autorevoli studiosi del tema della complessità in ambito industriale.

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L’attenta analisi della letteratura scientifica su argomenti riguardanti i contaminanti ambientali oggetto di studio (i policlorodifenili) ha permesso di raccogliere dati utili riguardanti le proprietà di queste molecole, la loro diffusione e la loro pericolosità. Oggetto della ricerca è stato lo studio in vitro del potenziale citotossico e trasformante dei PCB, utilizzando come riferimento una miscela commerciale di PCB, l’Aroclor 1260, e di un MIX di 18 congeneri ricostituito in laboratorio. Il lavoro è proseguito con la valutazione degli effetti di queste miscele e di due congeneri singoli (PCB 118 e PCB 153) su linee cellulari diverse in test di vitalità a breve termine. L’utilizzo di test specifici ha poi permesso la valutazione di un possibile potenziale estrogenico. Una volta ottenuto un quadro generale sui possibili effetti delle miscele grazie ai risultati dei test funzionali, è stata valutata la modulazione, da parte delle molecole e/o di miscele delle stesse, dell’espressione di geni coinvolti nella risposta ad estrogeni o a composti diossino simili, andando ad effettuare un’analisi di tipo molecolare con Real-Time PCR (RT-PCR) e analizzando nello specifico marcatori di pathway dell’Aryl Hydrocarbon Receptor (AhR) o dell’Estrogen Receptor (ER). In ultima analisi al fine di verificare l’applicabilità di biomarkers di espressione a situazioni di contaminazioni reali, ci si è focalizzati su campioni estratti da matrici ambientali, ed in particolare linee cellulari di interesse sono state esposte a estratti di sedimenti provenienti da siti inquinati. L’approccio scelto è stato di tipo molecolare, con lo scopo di individuare pathway da valutare in un secondo momento in test funzionali specifici. L’attività di ricerca si è avvalsa della tecnica del DNA-microarray per valutare la modulazione dell’espressione genica in risposta all’esposizione a contaminanti ambientali. In questo modo è possibile definire i profili di espressione genica che sottendono a risposte biologiche complesse nell’intento di individuare biomarcatori in grado di predire il rischio per l’uomo, e di consentire la stima di una relazione diretta tra esposizione ed effetti possibili.